Dal vicario ausiliare
“Laici: santi in mezzo al mondo”,
articolo pubblicato su
Mundo cristiano
(numero di
febbraio 2020)
All’inizio di questo millennio san Giovanni Paolo II ha definito il programma pastorale della Chiesa per i secoli futuri. Si potrebbe riassumere in una parola: santità. Papa Francesco ha dedicato alla santità una intera Esortazione apostolica. Sia l’uno che l’altro si sono sempre ispirati al Concilio Vaticano II, che ha come uno dei suoi punti focali la chiamata universale alla santità.
Tutti siamo chiamati a seguire Cristo, a imitarlo, perché proprio in questo consiste la santità. Tutti noi battezzati condividiamo questa chiamata e, nello stesso tempo, tutti i fedeli hanno nella Chiesa una missione specifica. I membri della Gerarchia – vescovi, sacerdoti, diaconi – hanno la missione di insegnare con autorità la Parola di Dio, sostenere i fedeli e celebrare il culto divino; i religiosi, di ricordare al mondo le realtà escatologiche attraverso la loro vita consacrata; i laici hanno quella di santificarsi in seno alle strutture temporali, in mezzo al mondo. Dopo il Concilio e il magistero degli ultimi Papi, ormai nessuno può pensare che la santità sia riservata ai sacerdoti e ai religiosi: tutti noi, in virtù del battesimo, abbiamo ricevuto la vocazione alla pienezza della vita cristiana.
Attualmente parliamo molto della necessità di una “Chiesa in uscita”. “Uscire” ha molteplici significati – biblici, spirituali, ecc. –: per esempio, andar via dalla propria terra, dagli ambienti più comodi, da strutture ossidate, da un atteggiamento difensivo... e andare incontro alle persone. Possiamo domandarci: dove stanno le persone? La risposta è ovvia: le troviamo nelle famiglie, negli ambienti di lavoro, nell’intreccio delle relazioni sociali... Secondo questa ottica, potremmo dire che il laico è colui che in modo naturale è sempre “in uscita”, perché sta laddove sta la gente, ed è questo il suo primo e più importante spazio di evangelizzazione. Non occorre penetrare nelle strutture temporali, perché il laico si trova già lì, è il suo habitat naturale.
Riscoprire il battesimo
In una lettera di qualche anno fa il Papa scriveva che “guardare al Popolo di Dio è ricordare che tutti noi facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità, e di cui dovremmo essere sempre orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, [i fedeli] vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo. La nostra prima e fondamentale consacrazione affonda le sue radici nel nostro battesimo” (Lettera al cardinale Ouellet, 19-III-2016).
Il battesimo è forza di salvezza e di invio. Come il big-bang, chi lo riceve dà inizio a qualcosa di nuovo – la vita in Cristo –, destinato a espandersi verso gli altri nella storia e nella piccola storia di ciascuno. Il luogo di “espansione” dei laici è il mondo in tutte le sue dimensioni, e cioè, nella vita familiare, negli ambienti di lavoro, negli spazi pubblici. È la grazia del battesimo a dare impulso a questo movimento.
In quella stessa lettera, riferendosi a certi slogan, Papa Francesco aggiungeva: “Ricordo ora la famosa frase: ‘è l’ora dei laici’, ma sembra che l’orologio si sia fermato”. È vero; è come se la maggioranza dei fedeli laici non senta più il protagonismo di essere figli di Dio e la responsabilità di illuminare con il Vangelo gli angoli più riposti della loro vita quotidiana. Forse neppure noi pastori ci siamo resi conto del tutto dell’immenso potenziale di santità e di evangelizzazione che i laici, uomini e donne, possono sviluppare attraverso la loro libertà e la loro iniziativa; un potenziale irrinunciabile nei nostri aneliti di portare Cristo a tutte le persone. Riscoprire il ruolo del laico nella Chiesa richiede un cambiamento di mentalità molto grande. Il punto di partenza ci porterebbe a ritornare al battesimo e alla sua prima conseguenza: la chiamata a identificarci con Cristo, a essere santi.
Nel commentare la dottrina del Concilio Vaticano II, san Josemaría affermava che “la specifica partecipazione del laico alla missione della Chiesa consiste proprio nel santificare ab intra (da dentro) – in maniera immediata e diretta – le realtà secolari, l’ordine temporale, il mondo” (Colloqui). A volte si tende a pensare al “laico” come a colui che ha un incarico di responsabilità nelle strutture ecclesiali o compie alcune funzioni liturgiche.
Nessuno dubita dell’importanza e della necessità di questi servizi, ma la sua missione nella Chiesa è, fondamentalmente, quella di far presente Dio nelle strutture temporali, nei crocevia della società, in mezzo al mondo. In questo processo di cambiamento di mentalità, dobbiamo stare sempre vigili per evitare la tentazione di “clericalizzare” il laico, trascurando le sfide di formazione e di frequentazione che questo progetto richiede, e preferendo percorsi più brevi ma forse meno validi.
È impossibile descrivere tutti gli scenari in cui i laici si trovano e cercano Dio. Soltanto pochi svolgeranno funzioni nella vita pubblica e politica. La figura di san Tommaso Moro, proclamato da san Giovanni Paolo II patrono dei governanti e dei politici durante il giubileo del 2000, può dare un’idea di dove può arrivare l’esempio di un laico nella politica: la sua integrità, la sua fortezza, il suo buonumore, sono di grande ispirazione per numerosi politici e servitori pubblici dei nostri giorni. Come statista – ricordava il Papa polacco – “si metteva sempre a servizio della persona, specialmente del debole e del povero; gli onori e le ricchezze non fecero breccia in lui, dotato com’era di un raffinato senso dell’equità. Soprattutto, egli non accettò mai di andare contro la propria coscienza, arrivando fino al sacrificio supremo pur di non mettere a tacere la sua voce”.
La maggioranza dei laici vive lontana dalla politica o dalla funzione pubblica in senso stretto, ma non può rimanere indifferente ai problemi della società né ai nuovi stili di vita. Non sono “personaggi pubblici”: sono uomini e donne comuni che, nelle rispettive famiglie, nelle professioni e negli ambiti sociali che frequentano, cercano di lasciare una traccia di Dio. Mi soffermerò brevemente su tre aspetti propri del laicato che sembrano particolarmente significativi: la famiglia, il lavoro professionale e gli stili di vita.
Famiglia, lavoro, stili di vita
Per diversi secoli la famiglia è stata la maggiore forza in grado di trasmettere la fede. Costituisce il primo ambito di responsabilità dei laici, in cui il lavoro di evangelizzazione avviene specialmente attraverso la testimonianza di una vita di cristiani coerenti, e non tanto mediante grandi ragionamenti, anche se questi saranno necessari man mano che i figli maturano. Oltre ad alcuni contenuti formativi e alcune consuetudini di pietà cristiana, in seno alla famiglia si trasmette anche una percezione della persona umana che, almeno nelle società secolarizzate, ora appare sempre più evanescente e minoritaria.
In che consiste la percezione cristiana della persona? Come insegna il Concilio Vaticano II, l’uomo e la donna trovano in Cristo la loro piena manifestazione e si realizzano nel dono sincero di sé. Cristo dona la sua vita per gli altri e così noi dobbiamo imitare Cristo. La “verità sull’uomo” include, fra l’altro, l’amore inteso come dono, l’apprendimento del perdono, l’affettività e la sessualità integrate in un contesto di donazione reciproca e fruttifera, le modulazioni della giustizia, l’attenzione preferenziale per i poveri, i malati e gli anziani, e la gratuità. In una società in cui tutti i vincoli sono liquidi, la famiglia cristiana può proporre una concezione adeguata della realizzazione della persona umana attraverso il dono sincero e fedele di sé: madri e padri che condividono la responsabilità di formare i loro figli con amore, con la dedicazione quotidiana, aiutandoli ad amministrare la loro libertà, perché senza libertà non possiamo né formare né essere formati. La famiglia, in quanto Chiesa domestica, è il punto strategico della nuova evangelizzazione, come hanno indicato gli ultimi Romani Pontefici. È il semenzaio delle nuove generazioni di cristiani.
Un altro grande ambito proprio dei laici è il lavoro, uno spazio vastissimo che può illuminare intere società. San Josemaría diceva che ogni cristiano è chiamato a “santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro e santificare gli altri con il lavoro”. Davanti a Dio non esiste lavoro di maggiore o minore importanza: dipenderà dall’unione con Dio che la persona avrà raggiunto, sviluppando nella sua professione tutte le proprie potenzialità, messe al servizio degli altri. Il fondatore dell’Opus Dei utilizzava un’altra espressione molto eloquente per mettere in evidenza l’importanza del lavoro nella evangelizzazione: noi cristiani – e in particolare gli uomini e le donne che vivono nel mondo – dobbiamo porre “Cristo in cima a tutte le attività umane”.
La società di oggi ci presenta molti problemi. I laici sono chiamati a risolverli – o almeno a tentare di risolverli – con senso cristiano, con professionalità, mossi dalla giustizia e dalla misericordia. Abitualmente i problemi sociali richiedono conoscenze tecniche adeguate. Nello stesso tempo, le soluzioni proposte possono essere molto diverse tra loro. I laici che sono impegnati a migliorare questo mondo e renderlo più in accordo con il progetto di Dio, devono mettere tutte le loro capacità al servizio del bene comune. Saranno molto uniti nel desiderio di imitare il Signore e nella loro decisione di fare presente la luce del Vangelo nella società, ma evidentemente non saranno necessariamente d’accordo sulle soluzioni tecniche che si dovrebbero adottare.
Trattandosi di questioni temporali, normalmente le soluzioni non saranno univoche, ma molteplici, dato che entrano in gioco la libertà e la responsabilità di ognuno. Imporre una soluzione “cattolica” a problemi che si prestano a molte possibilità di risposta sarebbe un “clericalismo” intollerabile, contrario alla libertà dei figli di Dio. Si starebbe confondendo ciò che è dogmatico con ciò che è opinabile, col rischio di strumentalizzare la Chiesa per fini temporali. Già nel 1934 un grande pensatore cattolico, Étienne Gilson, scriveva: “Tutte le ingiurie che l’odio ha fatto rovesciare a Voltaire sui preti, noi siamo disposti a ripeterle contro il clericalismo; forse siamo anche gli unici che di questo possiamo dare una giustificazione teologica” (Per un ordine cattolico).
Stili di vita
Famiglia, lavoro. Dedichiamo qualche parola agli stili di vita. Nei primi secoli del cristianesimo i laici partecipavano con i loro concittadini al divenire della storia senza uscire dal mondo. La loro influenza sulla società non era soprattutto di tipo economico, politico, militare o sociale. Invece il loro stile di vita, che si ispirava alla carità cristiana, in alcuni causava attrazione e in altri rifiuto. I primi cristiani ci hanno lasciato una eredità piena di suggerimenti intorno all’esperienza del laicato in una società che non conosce Cristo. Dimostrarono che è possibile essere coerenti con la propria fede in qualunque circostanza, e anche che è possibile trasformare la società attraverso le occupazioni quotidiane.
Seguire Cristo comporta un determinato modo di affrontare la vita. Le proposte del Vangelo – amare i nemici, condurre una vita austera, trattare gli altri come ci piacerebbe essere trattati noi, accogliere il povero e lo straniero, assumere impegni familiari permanenti, sperare in una vita futura… – cominceranno a diffondersi attorno a loro, serviranno da ispirazione a molti, pur continuando a essere rifiutate da altri. Il problema del laico consiste nel mantenere la coerenza della fede malgrado la pressione di altri comportamenti magari più diffusi e saper spiegare, in maniera semplice e gioiosa, il perché del loro stile di vita e la felicità che vi trovano: come ci chiede san Pietro, noi cristiani dobbiamo “dare ragione della nostra speranza”.
La luce dei santi laici
Come i primi nostri fratelli nella fede, negli ultimi decenni sono numerosi gli esempi di laici (canonizzati o meno) che sono stati un riflesso di Cristo negli ambienti di lavoro, dello sport, della società civile, della cultura, della famiglia, in mezzo alla loro vita ordinaria; persone che esternamente in nulla si sono distinte dai loro concittadini, che hanno saputo andare fino in fondo nella loro condizione di battezzati e sono stati lievito, coraggio e sostegno per migliaia di colleghi. A modo loro e nel loro ambiente sono stati grandi annunciatori del Vangelo.
Tra quelli che hanno in corso un processo di beatificazione, mi piace ricordare un imprenditore della mia terra chiamato Enrique Shaw (1921-1962), la cui causa di canonizzazione è stata aperta quando il cardinale Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires. È stato un grande sposo e padre di una numerosa famiglia, oltre che un imprenditore di successo, che si è dedicato al servizio di quelli che lavoravano con lui; ha lottato incessantemente per migliorare le condizioni lavorative degli operai e considerava come propria missione personale quella di “umanizzare l’impresa”; di questo parlava spesso nelle riunioni che organizzava con i suoi amici dell’Azione Cattolica.
Si comportava in modo benevolo, paziente, amabile, attento alle necessità della gente, traendo forza dal suo rapporto con Dio; di fatto, come molti hanno testimoniato, irradiava l’amore di Cristo. La sua breve vita è una straordinaria lezione sul valore della dottrina sociale della Chiesa con la legittimità di chi l’ha vissuto da dentro, nel mondo dell’impresa.
Recentemente è stata beatificata a Madrid Guadalupe Ortiz de Landázuri (1917-1975); era laureata in chimica. Papa Francesco l’ha definita “un esempio per le donne cristiane che si dedicano al lavoro sociale e alla ricerca scientifica”. Era una persona piena di gioia, che ha messo le sue “numerose qualità al servizio degli altri”, ha detto il Papa. Nei suoi diversi aspetti di insegnante, amica, ricercatrice, ha avvicinato alla fede migliaia di persone, in ambienti dove forse un ecclesiastico non sarebbe arrivato tanto facilmente.
Vi sono laici che hanno lasciato una traccia profonda malgrado la loro breve esistenza. C’è lo splendido esempio della romana Chiara Corbella Petrillo (1984-2012), amante della musica, sposata con Enrico, che ricordiamo come una autorevole catechista sul fidanzamento, il matrimonio e l’amore alla vita. O quello del giovane milanese Carlo Acutis, morto a soli 15 anni in seguito a una leucemia fulminante: la sua vita autenticamente cristiana si rifletteva in tutto ciò che faceva in internet, dove si collegava con parecchi giovani, che faceva partecipi del suo amore per l’Eucaristia e per la Madonna. La sua felicità cristiana destava ammirazione tra quelli che lo conoscevano.
Enrique, Guadalupe, Chiara e Carlo sono soltanto pochi esempi di come i laici sono il volto visibile della Chiesa (volto di Cristo) in alcuni ambienti (nel mondo del lavoro, della chimica, della tecnologia, della famiglia) che sono loro propri. Sono propulsori di stili di vita, evangelizzatori di prim’ordine, in un mondo diverso – a volte complementare e sempre necessario – da quello di quanti hanno funzioni ministeriali o di altra natura nella struttura della Chiesa. Nella Chiesa sarà sempre “l’ora dei laici”. Potranno trasformare il mondo, a condizione di andare sino in fondo nella nuova vita che hanno ricevuto nel battesimo, che li ha innestati in Colui che di sé stesso ha affermato di essere la Vita.
Romana, n. 70, Gennaio-Dicembre 2020, p. 104-109.