Omelia della Messa concelebrata con il clero della diocesi di Roma nella solennità di Tutti i Santi, 50º anniversario della sua ordinazione sacerdotale (1-XI-1996)
1. Ecce sacerdos magnus...
«Ecco il gran sacerdote che nei suoi giorni piacque a Dio, e fu trovato giusto, e nel giorno dell’ira fu strumento di riconciliazione... A lui diede la benedizione di tutte le genti e confermò il suo patto sopra il capo di lui» (cfr. Sir 44, 16 ss.; 45, 3 ss.).
Queste parole, tratte dalla Messa del Comune dei Confessori Pontefici secondo l’antica Liturgia, mi tornano spesso alla mente. Esse mi riportano ai tempi detta mia Ordinazione sacerdotale, avvenuta cinquant’anni fa, proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra tutti i Santi.
Il mistero di Cristo Sacerdote si inscrive, oggi, nella liturgia della Solennità di Tutti i Santi. In questo giorno la Chiesa proclama che «del Signore è la terra e quanto contiene, l’universo e i suoi abitanti. È lui che l’ha fondata sui mari e sui fiumi l’ha stabilita» (Sal 23 [24], 1-2). Sullo sfondo di tutta la ricchezza del creato, il salmista contempla colui che è degno di salire il monte di Dio e di stare nel suo luogo santo (cfr. Sal 23 [24], 3). Colui cioè che «ha mani innocenti e cuore puro» (Sal 23 [24], 4); che ha ricevuto «benedizione dal Signore» per presentarsi davanti a Lui a nome di tutte le generazioni desiderose di vedere il volto del Dio di Giacobbe.
In questo modo, l’odierna liturgia ci invita a rivolgere i pensieri e i cuori verso Cristo Sommo ed Eterno Sacerdote.
2. «Ecce Sacerdos magnus...»: Cristo, Redentore del mondo, è questo «gran Sacerdote». Sul suo capo viene «confermato il patto» di Dio col suo popolo. Egli è il Legislatore e il Testimone; di quella nuova ed eterna Alleanza che ha la sua «magna charta» nelle otto Beatitudini, ricordate nel Vangelo di oggi. Quest’Alleanza con Dio, suggellata mediante la croce e la risurrezione di Cristo, continua immutabile nei secoli. È grazie ad essa che si attua ciò di cui parta il brano del Libro dell’Apocalisse poc’anzi proclamato. Ecco, «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono [di Dio] e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide... E gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio... Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli”» (Ap 7, 9-12).
Chi sono quelli avvolti in bianche vesti, che testimoniano l’eterna salvezza proveniente da Dio e da Cristo? Sono coloro che «sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell’Agnello» (Ap 7, 14).
3. Gesù è il Sommo Sacerdote che, solo, può parlare a Dio con l’ineffabile linguaggio del proprio sacrificio. È a Lui che oggi rendiamo onore e grazie. Desidero farlo insieme all’intera comunità cristiana di Roma, ricordando il mio giubileo sacerdotale.
Carissimi Fratelli e Sorelle, grazie per la vostra presenza in questa circostanza così significativa per la mia vita. Saluto con affetto anzitutto il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, e tutti voi, cari Fratelli nel sacerdozio, che avete voluto unirvi a me nel ringraziamento al Signore per il dono inestimabile del sacerdozio ministeriale. Saluto inoltre e ringrazio per la loro gradita partecipazione il Presidente della Repubblica Italiana, il Sindaco della Città di Roma, il Presidente della Provincia e quello della Regione Lazio, come anche le altre Autorità presenti.
In quest’occasione mi è spontaneo pensare con particolare affetto e gratitudine a tutti i sacerdoti che operano e vivono qui a Roma. Ricordo in special modo gli anziani, gli ammalati, ai quali assicuro il mio quotidiano «memento» nella celebrazione del Sacrificio eucaristico. Il mio pensiero va anche ai giovani sacerdoti, che stanno affrontando le prime esperienze di ministero, con relative gioie ed amarezze, delusioni e speranze. Che il Signore non lasci mai mancare alle loro lampade l’olio della fede, che può gettare luce sulle umane vicende e può dare senso ad ogni sofferenza.
Lungo questi diciotto anni di servizio pastorale come Vescovo di Roma ho avuto la gioia di ordinare quasi duemila sacerdoti, dei quali non pochi al servizio diretto della nostra comunità diocesana. Come non elevare al Signore un cantico di lode e di ringraziamento per tutto questo? Ringrazio Iddio per il mio e per il vostro sacerdozio e lo faccio assieme a voi e a tutti i fedeli della diocesi di Roma spiritualmente uniti a questa celebrazione giubilare. Invito tutti a pregare con me il «Padrone della messe», perché moltiplichi gli operai di cui la sua messe abbisogna.
4. Come suonano eloquenti in questo giorno le parole di san Giovanni apostolo: «Quale grande amore ci ha dato il Padre» (1 Gv 3, 1); non soltanto ci ha «chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente» (ibid.), ma ci ha resi partecipi del sacerdozio di Cristo. Mediante il sacramento dell’Ordine, noi sacerdoti possiamo offrire «in persona Christi» l’unico ed eterno Sacrificio della Nuova Alleanza. Per questo rendo grazie a Dio perché mi ha concesso di celebrare la Santa Messa ogni giorno in questi cinquant’anni, a partire dal primo novembre 1946.
Scorrono di fronte a me, in questo momento, le immagini di quell’ormai lontano giorno, quando di mattina presto mi presentai nella residenza degli Arcivescovi di Cracovia, in via Franciszkanka, per ricevere l’Ordinazione sacerdotale, accompagnato da un piccolo gruppo di parenti e amici. Con emozione mi rivedo steso sul pavimento della cappella privata del Principe Metropolita; odo il canto del «Veni Creator» e delle Litanie dei Santi; attendo l’imposizione delle mani; accolgo l’invito a proclamare la Buona Novella, a guidare il Popolo di Dio, a celebrare i divini misteri. Sono ricordi incancellabili, che rivivo in questo giorno con indicibile gratitudine verso il Signore.
5. «Quale grande amore ci ha dato il Padre!»: un amore che ci trasforma e ci spinge alla santità! La santità è vocazione universale rivolta ad ogni battezzato, come ben sottolinea l’odierna Solennità di tutti i Santi. Il sacerdote esiste per offrire ai fedeli i mezzi predisposti da Cristo per questo cammino di progressiva santificazione. Tra questi mezzi di santità vi è anzitutto l’Eucaristia, memoriale della passione, morte e risurrezione del Salvatore. Attraverso il sacerdote, la Chiesa fa l’Eucaristia, ed è questa stessa Eucaristia che, a sua volta, fa la Chiesa. Così, il sacerdote diviene il servo della santità e della comunione dei battezzati.
È in questo spirito che ripenso agli anni del mio sacerdozio. Al di là della memoria degli eventi e delle persone, fisso lo sguardo in profondità, quasi per scrutare il mistero che lungo questi decenni mi ha accompagnato ed avvolto. Come sacerdote, Dio mi ha chiamato ad essere uomo della Parola, uomo del Sacramento, uomo del «Mistero della fede». Nonostante il tempo trascorso, continuano a sgorgare quotidianamente dal mio cuore le parole del salmista: «Misericordias Domini in æternum cantabo; in generationem, et generationem adnuntiabo veritatem tuam in ore meo» (Sal 88, 2).
6. Annuncerò la tua verità, Signore, annuncerò il tuo amore: amore eterno, che incoraggia a guardare fiduciosi verso il futuro. Scrive san Giovanni: «Ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Attendiamo questo momento, attendiamo con trepidazione, ad esso ci prepariamo ogni giorno. L’amore di Dio ci permette di varcare ogni giorno questa soglia della speranza escatologica. «Lo vedremo così come egli è». Lo vedremo faccia a faccia.
Lo vedremo insieme a quanti ci hanno accompagnato lungo il pellegrinaggio terreno; lo incontreremo con coloro che sono nella gloria del paradiso ed anzitutto con Maria, che oggi contempliamo Regina di tutti i Santi. E sarà gioia piena nella luce della Santissima Trinità.
A Dio, alla Santissima Trinità sia gloria ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen!
Romana, n. 23, Luglio-Dicembre 1996, p. 154-156.