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Omelia pronunciata dal Prelato nella Santa Messa celebrata nella Basilica di Sant'Eugenio a Valle Giulia, il 14-II-1990.

State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi[1]. Quest'esortazione di San Paolo alla gioia e alla gratitudine segna il programma perenne della preghiera, che io desidero ricordare a tutti voi in questo fausto anniversario. La gratitudine, infatti, è davvero l'espressione più alta dell'orazione: quella in cui più viva traspare l'esperienza dell'amore divino. L'anima veramente cristiana non può che effondere così, in esuberanza di gioia, l'inesprimibile certezza di essere amata dal Padre con amore di predilezione. Figli di Dio, come abbiamo letto nella Lettera ai Galati, assaporiamo in ogni cosa le sue premure e ci sentiamo spinti a far nostro il consiglio dell'Apostolo: Tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre[2].

Il Signore stesso pose la consapevolezza della nostra filiazione divina in Cristo a fondamento della vita spirituale del Fondatore dell'Opus Dei. Da lui abbiamo imparato ad accogliere con gioiosa gratitudine tutto ciò che avviene, perché tutto è veicolo della provvidente sollecitudine di quel Dio che, come ci ha rammentato la prima lettura della Messa, ha posto le sue delizie tra i figli dell'uomo[3]. Avvenimenti piccoli e grandi, svolte storiche ed episodi che non lasciano quasi traccia nella memoria, tutto reca in sé l'impronta di Dio.

Di questi eventi di grazia, piccoli e grandi, trabocca la vita della Chiesa. Ma vi sono momenti in cui lo Spirito Santo sembra condensare in un punto la propria azione salvifica: Dio sceglie una creatura e le rivolge, nell'intimo dell'anima, un appello al quale, nel misterioso farsi della redenzione, è legato uno sviluppo imprevedibile di grazie. Solo il sì della creatura può consentire che questo progetto giunga a compimento. Se essa è fedele, come lo fu il nostro amatissimo Fondatore, dalle sue risposte il Signore fa germinare, in una moltitudine incalcolabile di anime, una sequela ininterrotta di gesti d'amore e di servizio, come cerchi concentrici in progressiva espansione.

Oggi commemoriamo uno di quei momenti decisivi e fontali che la Provvidenza divina ha voluto come punto di partenza di una splendida avventura spirituale. Il 2 ottobre 1928 il Signore mostrò al suo Servo Josemaría Escrivá la missione alla quale lo aveva destinato ed egli fondò l'Opus Dei. Solo qualche mese più tardi, il 14 febbraio 1930, gli fece comprendere con soprannaturale chiarezza che il suo compito fondazionale non era esaurito. Perché si aprissero davvero tutti «i cammini divini della terra», perché la pienezza della contemplazione di Dio facesse davvero irruzione «nel bel mezzo della strada», occorreva che la via di santità nel mondo, apertasi con la fondazione dell'Opera, percorresse anche tutto l'immenso panorama delle realtà segnate dalla presenza della donna.

Sono passati sessant'anni da quel giorno: Mons. Escrivá stava celebrando la Santa Messa. Dal sacrificio di Cristo, rinnovato sull'Altare, era saltata nel mondo una scintilla d'amore che avrebbe incendiato migliaia di cuori. Oggi io ringrazio con voi il Signore per questo nuovo segno della sua misericordia. Gli rendo grazie per l'eroica fedeltà con cui il Fondatore dell'Opus Dei ha consumato tutta la propria vita nel compimento della volontà divina. Esalto la Sua Provvidenza, che ha diffuso quel seme di santità nel mondo intero, fecondando tutti gli ambienti della società con frutti di eroismo cristiano. Vorrei gridare la mia riconoscenza al Signore per la dedizione e lo zelo di tutte le donne che, al calore dello spirito dell'Opus Dei, hanno incontrato Cristo nella propria vita quotidiana e hanno saputo illuminare con la Sua luce folgorante tante altre creature. Con commozione sacerdotale contemplo l'immane lavoro di evangelizzazione e di promozione umana che, in tutti i continenti, è stato così possibile svolgere per l'edificazione del Regno di Cristo nelle anime.

Non è un caso che questa splendida realtà abbia avuto inizio durante la celebrazione della Santa Messa. Era un segno e un'anticipazione. Segno del fatto che l'amore diviene fecondo solo nel dono totale di sé, fino all'olocausto. E indicazione anticipata della condizione indispensabile che occorreva raggiungere per garantire il buon esito dell'impresa affidata da Dio a Mons. Escrivá il 14 febbraio 1930: bisognava che donne forti nella fede, capaci di ideali grandi e di perseveranza nella lotta, ponessero la propria vita a disposizione di questo disegno divino. Dalla considerazione di come Maria visse la Passione accanto alla Croce di suo Figlio, scopriamo il senso di questa riflessione di Mons. Escrivá: «E' più forte la donna dell'uomo, e più fedele nell'ora del dolore. —Maria Maddalena e Maria di Cleofa e Salomé! Con un gruppo di donne coraggiose, come queste, ben unite alla Vergine Addolorata, che lavoro di anime si farebbe nel mondo!»[4].

La nuova evangelizzazione, alla quale il Santo Padre convoca tutti i cristiani, richiede la virtù della fortezza. Essa —riflettete— è anzitutto disposizione profonda a vincere quella paradossale paura a ciò che Dio quotidianamente esige da noi, la quale induce tante anime a disattendere la Sua chiamata. Vedono nel cristianesimo solo il sacrificio e non pensano che esso è sì rinuncia, ma all'egoismo, alla comodità, al peccato, a ciò che rende l'anima schiava e incapace di amare. Ed è, soprattutto, la grande gioia di poter amare, con tutte le forze dell'anima, prima di tutto Dio e, con il Signore, tutte le anime, cominciando da quelle che ci stanno accanto.

Nella lettera apostolica Mulieris dignitatem il Santo Padre Giovanni Paolo II ha svolto considerazioni illuminanti sulla centralità del ruolo della donna in questa nuova evangelizzazione del mondo attuale. La donna, egli afferma, è posta da Dio come testimone privilegiata dell'ordine dell' amore[5]. A lei il Signore affida in un modo speciale l'essere umano[6], affinché essa sia per l'umanità quasi la rivelazione vivente dell'amore con cui Dio ama ciascuno.

La nostra cultura ha fatto dell'edonismo il proprio miraggio e appare perciò tragicamente incapace di decifrare il comandamento della carità. A questa cultura sembra addirittura contraddittorio che l'amore possa divenire oggetto di un comandamento; essa vorrebbe separare l'amore dalla rinuncia, dal sacrificio, e respinge l'ammonimento di Gesù: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici[7]. In questo contesto tutti i cristiani, e tra essi le donne, cui oggi desidero rivolgermi in modo particolare, sono chiamati a testimoniare un amore modellato sull'amore di Cristo per la Chiesa: un amore fedele e fecondo, fatto di accoglienza e di perdono; un amore che dona senza calcolo, paziente, comprensivo, dimentico di sé. Ma insieme un amore esigente: infatti Dio chiede ad ogni persona tutto ciò che essa è in grado di dare, proprio perché ci ama e ci vuole santi, ed è così, come piaceva ripetere a Mons. Escrivá, che tutto diventa grande: anche l'azione più normale, più insignificante, con il Signore acquista valore eterno.

Questa rivelazione dell'amore, del saper vivere compiendo la Volontà di Dio, è la testimonianza che il mondo attuale attende dai cristiani. Testimonianza di generosità senza misura, di purezza santa, di delicato rispetto, di sollecitudine, di fedeltà. E di vigore, perché tutte queste virtù richiedono di non essere relegate nei confini della vita privata, ma di trasferirsi —malgrado gli ostacoli ed in modo tangibile— nei costumi, nella famiglia, nell'educazione dei figli, nei rapporti sociali, negli ambienti professionali. Penso alla difesa della vita fin dal concepimento, alla rivalutazione senza complessi della maternità e della fecondità del matrimonio, così come della verginità e della castità nel fidanzamento. Penso all'impegno nelle professioni intellettuali, a tutela e promozione della verità al di sopra di ogni condizionamento o compromesso. Penso alla diffusione di modelli più conformi alla dignità dell'uomo-immagine di Dio (per esempio nella moda e nello spettacolo); all'affermazione del primato della persona, con i suoi diritti, le sue aspirazioni e le sue esigenze, in tutte le attività professionali; alla necessità di restituire il suo insostituibile valore al lavoro domestico, fulgido campo di esercizio di una fondamentale virtù cristiana: lo spirito di servizio. E penso, infine, all'entusiasmante avventura cui siamo chiamati tutti noi cristiani, figli di Dio: percorrere tutti i cammini della terra, sapendo che ogni professione o mestiere onesto è occasione di incontro con il Signore. Pertanto, dobbiamo vivere il nostro tempo all'insegna di questo invito: Dio si aspetta che ciascuno, rimanendo al suo posto, trasformi ogni sua azione in un capolavoro di amore e di servizio. Infatti, non c'è nulla di più lontano dalla visione cristiana del pessimismo, della lamentela. Dio è gioia, è Amore, è Donazione, e vuole vedere queste sue perfezioni ben riflesse nella vita di ognuno di noi.

Figlie e figli miei, fratelli e sorelle, se avvertiste qualche esitazione di fronte all'impegno che tale compito richiede, non dimenticate che il Signore agisce sempre con sapiente gradualità. La sua grazia ci trasforma a poco a poco e ci abilita ad imprese che superano le nostre capacità. Dal Vangelo di oggi apprendiamo che Gesù lasciò passare dodici anni prima di preannunciare alla Madonna e a San Giuseppe il futuro distacco e le sofferenze che la sua missione avrebbe imposto loro.

La stessa considerazione emerge dalla riflessione sul processo fondazionale dell'Opus Dei. Ecco la descrizione che ne faceva Mons. Escrivá: «Se —nel 1928— avessi saputo che cosa mi attendeva, sarei morto: ma Dio Nostro Signore mi ha trattato come un bambino; non mi ha presentato il peso tutto in una volta, e me lo ha messo davanti a poco a poco»[8]. Troppo grande era l'impresa perché la si potesse compiere in un solo istante. Dio commisura sempre le proprie richieste alla progressiva maturazione spirituale della creatura e le concede le grazie proporzionate ai compiti che man mano le assegna.

Lo stesso rilievo può addursi riguardo ad una caratteristica essenziale dell'Opus Dei, vale a dire la sua intrinseca unità. La Costituzione Apostolica Ut sit, il documento pontificio che ha eretto l'Opus Dei in Prelatura, afferma che esso è «una compagine apostolica che, formata da sacerdoti e laici, uomini e donne, è allo stesso tempo organica e indivisa»[9]. Unità di uno stesso fenomeno spirituale e pastorale, di una sola realtà ecclesiale, all'insegna di una medesima giurisdizione. Eppure, ciò che fin dal primissimo momento presentava questa caratteristica costitutiva nella percezione e nel carisma del Fondatore si è via via consolidato sulla scia di una successione incessante di grazie divine. Così, il 14 febbraio 1943, un altro intervento divino completò la struttura istituzionale dell'Opus Dei, consentendo l'ordinazione sacerdotale di membri laici e la loro incardinazione nell'Opera stessa. Veniva così sottolineata la sua unità, in piena conformità con ciò che il Fondatore aveva visto fin dal 2 ottobre 1928. In un'altra occasione, Mons. Escrivá scriveva: «A un bambino piccolo non si danno quattro incarichi contemporaneamente: ma prima uno, e poi un altro, e poi ancora un altro quando ha terminato il precedente. Avete notato come un bimbo gioca con suo padre? Il bambino ha dei dadi di legno, di forma e di colore diversi... E suo padre gli dice: questo mettilo qui, e quest'altro lì, quello rosso più in là... E alla fine, un castello!»[10].

Sarà Dio stesso, nella sua mirabile condiscendenza, a sostenere ciascuno di noi, ciascuna di voi, figlie mie, in questo compito smisurato al quale la Chiesa ci chiama e l'umanità intera ci attende. Il Fondatore dell'Opus Dei ha scritto: «Ti sei mai soffermato a considerare la somma enorme che possono arrivare a costituire "molti pochi"?»[11]. Cerchiamo la santità nelle piccole cose della giornata, nella fedeltà ai doveri di ogni istante: sarà il Signore a dare un valore infinito ai nostri più minuti atti d'amore. Sarà Lui a renderli soprannaturalmente fecondi, per la salvezza del mondo.

Che Maria, Madre di Dio e Madre nostra, Madre di ogni uomo e di ogni donna, Modello perfetto della femminilità secondo il disegno eterno della Creazione e della Redenzione, ci guidi ad accogliere la grazia divina che, passo passo, innalzerà la nostra vita fino al Cielo.

[1] 1 Ts 5, 18.

[2] Col 3, 17.

[3] Cfr. Prv 8, 31.

[4] Josemaría Escrivá, Cammino, Ares, Milano 1988, 23ª ed. it., n. 982.

[5] Cfr. n. 29.

[6] Cfr. n. 30.

[7] Gv 15, 13.

[8] Josemaría Escrivá, Lettera, 29-IX-1957, n. 79.

[9] Giovanni Paolo II, Cost. apost. Ut sit, 28-XI-1982, proemio.

[10] Josemaría Escrivá, Lettera, 25-I-1961, n. 2.

[11] Josemaría Escrivá, Cammino, Ares, Milano 1988, 23ª ed. it., n. 827.

Romana, n. 10, Gennaio-Giugno 1990, p. 74-77.

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