Omelia nella ricorrenza del 26-VI-1990, quindicesimo anniversario del pio transito del Fondatore dell'Opus Dei, pronunciata dal Prelato nella Basilica di Sant'Eugenio.
Ci siamo riuniti qui oggi per celebrare questo Santo Sacrificio in onore e a lode della Trinità Beatissima; e lo stesso succede —lo dico con gratitudine a Dio— in centinaia di chiese dei cinque continenti. Gratias tibi, Deus, gratias tibi: vera et una Trinitas, una et summa Deitas, sancta et una Unitas![1]. Con quanta fede e con quanta devozione il Fondatore dell'Opus Dei ripeteva ogni giorno queste parole: era una preghiera la cui eco non si estinguerà più fino alla fine dei tempi, perché risuonerà e diverrà programma di vita in migliaia e migliaia di anime. Vi confesso che lo scorso 9 aprile, quando la Congregazione per le Cause dei Santi, con l'autorità del Sommo Pontefice, ha dichiarato l'eroicità delle virtù del Venerabile Servo di Dio Josemaría Escrivá, mi è ritornata con forza in mente l'intensità di questa sua preghiera e ho compreso più chiaramente che tali parole costituivano una sintesi della sua esistenza, il riassunto di ognuna delle sue giornate: elevare una lode piena e sincera a Dio Uno e Trino, attraverso le occupazioni quotidiane, grandi o piccole, perché in tutti i momenti il Signore aspetta i suoi figli.
Anche se con la Dichiarazione dell'eroicità delle virtù non si può tributare culto pubblico al Servo di Dio, questo riconoscimento della Chiesa ci spinge a ricorrere privatamente alla sua intercessione con rinnovata fiducia e a pregare con maggior insistenza per la sua beatificazione e canonizzazione, nell'unico desiderio di rendere gloria a Dio e di cercare il bene della Santa Chiesa e del mondo. Non nobis, Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam![2].
In ogni epoca, anche in quella in cui viviamo, è necessaria la testimonianza di coloro che hanno vissuto pienamente, con eroismo, il Vangelo. Oggi, alle soglie del terzo millennio, vediamo che questa necessità appare particolarmente urgente, persino in Paesi di antica tradizione cristiana. Notiamo che accanto all'esaltazione di importanti valori umani, vengono purtroppo ignorati o persino combattuti apertamente i beni essenziali per un'esistenza degna dell'uomo, fatto a immagine del Creatore e chiamato all'ineffabile condizione di figlio di Dio. Dinanzi alla crisi e alle tensioni in cui si dibatte la nostra società, oggi come ieri il Signore invita tutti noi —te e me!— a percorrere le strade del mondo offrendo una testimonianza luminosa dell'indefettibile santità della Chiesa.
«Al numero di questi testimoni appartiene il Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer —leggiamo nel Decreto sulle sue virtù eroiche—, non solo per la fecondità dell'esempio che ha offerto con la propria vita, ma anche per la forza singolare con cui, ponendosi in coincidenza profetica con il Concilio Vaticano II, fin dagli inizi del suo ministero cercò di rivolgere a tutti i cristiani l'appello evangelico: "Hai l'obbligo di santificarti. Anche tu. (...) A tutti, senza eccezione, il Signore ha detto: Siate perfetti, com'è perfetto il Padre mio che è nei cieli" (Cammino, n. 291)»[3]. Ci staremmo ingannando, quindi, se ci limitassimo ad ammirare e a venerare l'eroismo cristiano, come se fosse un'esigenza esclusiva per qualche anima straordinaria. No, cari fratelli e sorelle: l'eroismo, la santità —inseparabilmente unita all'apostolato, all'impegno per la salvezza, per la santificazione degli altri— è oggetto di una vocazione universale che viene rivolta a noi tutti. Con quanta chiarezza e con quanta energia lo predicò instancabilmente il Fondatore dell'Opus Dei! Con accenti sempre nuovi e attuali, non si stancò mai di ricordare «che la santità —sono parole sue, risalenti al 1930— non è una cosa per privilegiati: a tutti chiama il Signore, da tutti aspetta Amore: da tutti, dovunque si trovino; da tutti, qualunque sia la loro condizione, professione o impiego. Perché questa vita corrente, ordinaria, non appariscente, può essere mezzo di santità»[4].
La santità a cui è chiamato ognuno di noi dalla vocazione cristiana richiede il compimento del Volere divino in tutto, con un amore per Dio che conduca proprio all'identificazione delle volontà, sull'esempio supremo di Gesù, che affermò: Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e di compiere la sua opera[5]. Come spiega Sant'Agostino, dobbiamo piegare la nostra volontà a quella di Dio[6], non solo facendo esteriormente ciò che il Signore vuole, ma identificando con la Sua la nostra volontà, cioè, la nostra capacità di volere, di amare: identificarsi con la Volontà di Dio significa amare la Volontà di Dio fino alle ultime conseguenze.
Questa radicale disposizione spirituale si tradusse costantemente in opere nel Venerabile Josemaría Escrivá: la sua fu una dedizione infaticabile e incessante al compimento del Volere divino. Negò se stesso fino al completo olocausto, giorno dopo giorno, al servizio della Chiesa Santa e delle anime, senza cedere mai alla tristezza, alla rassegnazione, bensì con la gioia di possedere la felicità eterna, che pregustiamo già sulla terra se, come dice l'Apostolo, il nostro vivere è Cristo[7], Sommo Amore e Sommo Bene. Il Decreto della Santa Sede sulle sue virtù eroiche afferma ancora: «Fu esempio di un eroismo cercato nelle situazioni più normali: nella preghiera continua, nella mortificazione ininterrotta, "come il battito del cuore", nell'assidua presenza di Dio, capace di attingere i vertici dell'unione con Dio persino nel frastuono del mondo e nell'intensità di un lavoro senza risparmio»[8].
Quando si cammina lungo questo sentiero, immancabilmente avviene l'incontro con la Croce di Cristo. Una Croce, la Santa Croce, che si ama teneramente, che si desidera con vera ansia, che reca l'allegria più piena perché permette l'esercizio più sincero e completo dell'amore: lo vediamo nel Maestro, perfetto Uomo, che ci amò con immensità divina e disse: Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum[9], ardo dal desiderio di darmi senza riserve per ognuno di voi. Contemplando l'attraente esempio di Gesù, Mons. Escrivá ripeteva nella sua orazione: «Tu mi hai fatto comprendere, Signore, che avere la Croce è trovare la felicità, la gioia. E la ragione —lo vedo con più chiarezza che mai— è questa: avere la Croce è identificarsi con Cristo, essere Cristo e, per questo, essere figlio di Dio»[10].
Non dimentichiamo, perciò, che una concezione riduttiva e superficiale del cristianesimo è inconciliabile, anzi non ha nulla a che vedere, con il necessario e radicale impegno cristiano, proprio dei figli di Dio, per identificarsi con Gesù Cristo. Un cristiano che si accontentasse di aggiungere alcune pratiche di pietà a una vita che trascorre al margine della Volontà di Dio, non meriterebbe di portare questo nome. Permettetemi che ve lo ricordi e lo ricordi a me stesso: Cristo ci sta chiedendo di essere cristiani in ogni momento, in ogni ambiente.
Insisto: in tutte le dimensioni della nostra esistenza personale, familiare, professionale, sociale, Cristo ci viene incontro con la sua chiamata divina ad amarlo con le opere. Perciò, sono parole del Fondatore dell'Opus Dei, «quando un cristiano compie con amore le attività quotidiane meno trascendenti, in esse trabocca la trascendenza di Dio. Per questo vi ho ripetuto, con ostinata insistenza —continuava—, che la vocazione cristiana consiste nel trasformare in endecasillabi la prosa quotidiana. Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell'orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria»[11].
«Vivere santamente la vita ordinaria» significa vivere eroicamente, in dialogo con Dio Uno e Trino, che ci ascolta sempre, nel lavoro e nel riposo, nella vita familiare e nelle relazioni sociali, nella salute e nella malattia, nei momenti propizi e in quelli avversi, nei piccoli doveri di ogni giorno e quando si presentano le grandi decisioni che possono capovolgere la nostra esistenza. Non è un programma facile; la piena coerenza delle nostre azioni con la fede cristiana dovrà sempre superare ostacoli: innanzitutto, i nostri limiti personali, i nostri difetti e le cattive inclinazioni, e, forse, l'ambiente professionale e sociale. Ma non permettiamo che ci avvilisca la falsa umiltà di pensare che non siamo capaci, che le strutture e i costumi rendono impossibile l'esercizio eroico della carità, della giustizia, della veracità o di qualunque altra virtù cristiana. Nel constatare la situazione della società, il Servo di Dio ci spronava energicamente: «Guardiamo Cristo!». Con questo punto di riferimento comprenderemo che da soli, con le nostre forze umane, non possiamo trasformare il mondo, non riusciremo ad impiantare e ad estendere il Regno di Dio nella storia; ma Cristo può e pertanto anche noi possiamo se ci identifichiamo con Lui, perché «Dio è sempre lo stesso. —Occorrono uomini di fede: e si rinnoveranno i prodigi che leggiamo nella Sacra Scrittura. —"Ecce non est abbreviata manus Domini". Il braccio di Dio, il suo potere, non s'è rimpiccolito!»[12].
Con quale vibrazione il Fondatore dell'Opus Dei meditava questa verità, perché comprendeva a fondo che in tutto ciò che Dio vuole o permette, anche in ciò che ci fa soffrire, è nascosto il suo infinito Amore per noi. E' vero che forse molte volte non riusciamo a capirlo con la nostra intelligenza, ma proprio perché quest'amore viene da Lui —dall'Amore!— dobbiamo crederlo[13]. Come ha scritto il Santo Padre Giovanni Paolo II, «l'uomo è amato da Dio! E' questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all'uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è Via, Verità, Vita! (Gv 14, 6)»[14]. Quest'insegnamento fa eco alle parole di San Paolo che abbiamo considerato nella seconda lettura della Messa: Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!". E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria[15].
L'assidua contemplazione del mistero della Croce ci aiuterà, con la grazia divina, a rifuggire la tentazione di condurre una vita imborghesita, la tendenza a lasciarci guidare da modelli di condotta ispirati ad una visione materialista dell'uomo. La coerenza della nostra vita con la nostra fede nell'Amore e nella forza redentrice della Croce, ci renderà capaci di essere, nei momenti di gioia —che abbonderanno— e nei momenti di dolore, testimoni di Cristo, collaboratori di Dio, «nel divino proposito di unire ciò che è rotto, di salvare ciò che è perso, di ordinare ciò che l'uomo ha messo in disordine, di condurre al suo fine quel che è fuorviato: di ristabilire la divina concordia di tutto il creato»[16], come scrisse Mons. Escrivá.
Com'è Buono e Misericordioso il Signore! Dio non si impone con la forza: ci ha creati liberi e rispetta la nostra libertà. E' necessario voler scoprire qual'è la sua Volontà in ogni momento e, per questo, abbiamo bisogno della Sua grazia: abbiamo bisogno di trascorrere alla sua presenza tutte le nostre giornate; abbiamo bisogno della preghiera e dei Sacramenti, soprattutto dell'Eucaristia —in cui si rinnova sacramentalmente il Sacrificio della Croce, «centro e radice della vita cristiana»[17] -, e della Penitenza, che ci purifica e restituisce la pace e la salvezza all'anima, qualora siano state perse con il peccato grave. Ricorriamo, quindi, con autentica sete a queste sorgenti della grazia, come il cervo che anela ad fontes aquarum, alle fonti delle acque, secondo le parole della Sacra Scrittura[18].
Fare di Cristo la meta di tutte le nostre azioni, guardare sempre a Cristo. Come non ricordare, dinanzi a tale aspirazione, l'ideale santo che informò tutta l'azione apostolica del Venerabile Josemaría Escrivá? Egli lo esprimeva con queste parole: Cristo, Maria, il Papa: cioè arrivare a Cristo per l'intercessione della Madonna, in stretta unione con il Santo Padre e la Gerarchia della Chiesa, per servire tutte le anime.
Chiedo quindi alla Santissima Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, di ottenere per noi da suo Figlio la grazia di una fede sempre più viva nell'amore di Dio, affinché amiamo con gioia la Volontà divina in tutte le circostanze e, identificandoci con il suo santo Volere, viviamo eroicamente la vita ordinaria strettamente uniti a Cristo Redentore, a gloria di Dio e al servizio della Chiesa e del mondo. Amen.
[1] Solennità della Santissima Trinità, Ad I Vesp., Ant. ad Magnif.
[2] Sal 115 [113 B], 1.
[3] Congregazione per le Cause dei Santi, Decreto sull'esercizio eroico delle virtù del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, Fondatore dell'Opus Dei, 9-IV-1990, § 2.
[4] Josemaría Escriva, Lettera, 24-III-1930, n. 2. Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 40.
[5] Gv 4, 34.
[6] Cfr. Sant'Agostino, Enarrationes in Psalmos, 31, 2, 26: PL 36, 274.
[7] Cfr. Fil 1, 21.
[8] Congregazione per le Cause dei Santi, Decreto sull'esercizio eroico delle virtù del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, Fondatore dell'Opus Dei, 9-IV-1990, § 10.
[9] Lc 22, 15.
[10] Josemaría Escrivá, Meditazione, 28-IV-1963.
[11] Josemaría Escrivá, Colloqui, Ares, Milano 1987, 5ª ed. it., n. 116.
[12] Josemaría Escrivá, Cammino, Ares, Milano 1988, 23ª ed. it., n. 586.
[13] Cfr. 1 Gv 4, 16.
[14] Giovanni Paolo II, Es. Ap. Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 34.
[15] Rm 8, 15-17.
[16] Josemaría Escrivá, Lettera, 11-III-1940, n. 2.
[17] Cfr. Josemaría Escrivá, Lettera, 2-II-1945, n. 11; E' Gesù che passa, Ares, Milano 1988, 5ª ed. it., n. 87; Forgia, Ares, Milano 1989, 2ª ed. it., n. 69. Si veda inoltre, Concilio Vaticano II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 14.
[18] Cfr. Sal 41, 2.
Romana, n. 10, Gennaio-Giugno 1990, p. 80-84.