L’accompagnamento familiare, una sfida culturale per il nostro tempo
Montserrat Gas Aixendri
Istituto di Studi Superiori della Famiglia
Università Internazionale della Catalogna, Barcellona (Spagna)
La salute di una società è direttamente legata alla vitalità delle sue famiglie, giacché esse sono il luogo primario nel quale si imparano l’amore, la solidarietà e la responsabilità verso gli altri. La famiglia non è solo un nucleo privato, ma una realtà che, andando oltre la dimensione individuale, giunge a riguardare il bene comune, e questo la rende insostituibile nella costruzione di una società giusta. La famiglia, inoltre, agisce come elemento di resistenza alle crescenti frammentazioni e crisi culturali che colpiscono le società contemporanee.
Dalla seconda metà del secolo passato sono stati fatti passi avanti significativi nella comprensione della realtà familiare: oggi, per esempio, apprezziamo di più il ruolo dell’amore personale e della libertà nella costituzione delle relazioni coniugali, così come la pari dignità e responsabilità delle donne e degli uomini all’interno della famiglia. Paradossalmente, la vita delle persone sembra essersi allontanata dai suoi fondamenti antropologici più profondi: la vocazione dell’essere umano a stabilire vincoli durevoli di comunione con gli altri, partendo da sé stesso. Molti Paesi – specialmente in Occidente, con una influenza più o meno ampia nel resto del mondo – vivono sotto una specie di “tirannide della artificiosità”[1], nella quale le leggi cercano di ridefinire che cosa vuol dire essere famiglia secondo le ideologie del momento. Siamo sprofondati in quello che si potrebbe chiamare un “blackout antropologico”[2], contrassegnato da una grande ignoranza su chi è l’essere umano e a che cosa è destinato. Benedetto XVI ha fatto riferimento a questo fenomeno come a una grande «emergenza educativa»[3], nella quale appare evidente una crescente difficoltà nel trasmettere alle nuove generazioni i valori fondamentali dell’esistenza umana.
Le sfide culturali della famiglia
Insieme a questa realtà, si deve prendere in considerazione la rapidità con la quale, negli ultimi decenni, stanno cambiando le nostre società. Con la cultura sta cambiando il modo di vivere delle persone e delle famiglie, oggi molto diverse da quelle di venti o trenta anni fa. Per esempio, la crescente irruzione della tecnologia nelle case sta modificando le relazioni familiari. I telefoni intelligenti permettono che, stando fisicamente presenti, si stia nello stesso tempo mentalmente ed emotivamente assenti: ciascuno rimane immerso in un mondo a sé stante. Un altro cambiamento importante riguarda il pieno inserimento delle donne nel mercato del lavoro e l’introduzione delle politiche di eguaglianza, che non solo stanno influendo sull’impostazione della conciliazione del lavoro con la vita familiare, ma stanno anche trasformando le dinamiche stesse delle famiglie. Oggi le differenze tra essere donna ed essere uomo tendono a svanire. Da una parte, costa di più intendere il versante positivo di tali differenze, come elementi di una complementarietà che arricchisce la relazione. Dall’altra parte, in molti luoghi sono una realtà le cosiddette “nuove paternità”: uomini che sono maggiormente coinvolti in casa e nella educazione dei figli. Nello stesso tempo, le madri e i padri più giovani, in generale, non hanno pregiudizi e sono pronti a riscoprire la verità[4].
Tutti questi cambiamenti culturali non sono andati di pari passo con un cambiamento nella maniera di aiutare le famiglie in base a questa nuova mentalità e alle nuove circostanze. L’attuale contesto richiede un cambiamento di sguardo verso tutto ciò che riguarda la famiglia. La cultura post-moderna è caratterizzata, fra l’altro, dal credere che l’essere umano basti a sé stesso e non abbia bisogno degli altri per raggiungere la pienezza. Una delle principali conseguenze di questo modo di pensare è la solitudine, che, come ricordava Papa Benedetto XVI, diventa una delle peggiori malattie del nostro mondo[5], perché Dio non ci ha fatti per la solitudine, ma per la comunione. Il primo racconto della creazione afferma che «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2, 18). Nel contesto dell’antropologia personalista, da alcuni decenni si va facendo strada la nozione di gruppo. Dio ha voluto che ognuno di noi, come persona, raggiunga la sua pienezza mediante l’incontro con altri. Si può affermare che ogni essere umano vive “grazie agli altri”, e questo implica l’essere accompagnato; e vive “per gli altri”, e questo implica accompagnare. Gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno, più che mai, di scoprire che siamo destinati ad accompagnare e ad essere accompagnati[6].
Quella che sperimenta in modo radicale l’essere umano è una solitudine che ora riguarda anche le famiglie, per cui, proprio come affermiamo che non è bene che l’uomo sia solo, si potrebbe dire che non è bene che le famiglie siano sole, e che di conseguenza hanno bisogno di essere accompagnate. Il punto di partenza per comprendere l’importanza che oggi ha l’accompagnamento familiare è la conoscenza di come sono oggi le famiglie in un contesto culturale che tende a estendersi globalmente. Carlo Caffarra[7], grande propugnatore di una nuova cultura dell’ambito familiare, sottolineava l’importanza di cambiare il modo di osservare, «togliendo dai nostri occhi le cataratte delle ideologie» per riscoprire le «certezze originarie sulla famiglia»[8]. Togliere le cataratte delle ideologie significa identificare gli elementi della cultura post-moderna che via via hanno messo progressivamente in dubbio le basi delle relazioni familiari.
La prima di queste “cataratte ideologiche” è una visione pessimista del progetto familiare, percepito assai spesso come un ostacolo al successo personale e professionale, o come un progetto con scarse probabilità di riuscita. Secondo quest’ottica, le difficoltà e le crisi non vengono intese come parte della normalità nello sviluppo delle relazioni personali, ma come patologie o insuccessi. Le difficoltà, che nel divenire della vita di famiglia e della relazione fra gli sposi si affrontavano come “crisi di crescita”, vengono considerate oggi come motivi imperdonabili di rottura. L’esperienza però dimostra che le principali cause per le quali oggi si spezzano molte unioni familiari non sono in realtà irreparabili.
Buona parte di questo pessimismo antropologico è dovuta alla tendenza a presentare un “modello ideale” di famiglia, che nella realtà non esiste[9]. Ciò che troviamo nel mondo reale sono persone di carne e ossa, con limiti e imperfezioni, che cercano di vivere la loro vocazione familiare come meglio sanno e possono[10]. È necessario, pertanto, partire dalla comprensione di come sono e di che cosa hanno bisogno le famiglie reali, e riacquistare uno sguardo ottimista e pieno di speranza davanti alle difficoltà che comporta oggi portare avanti un progetto familiare, confidando nella forza intrinseca dei vincoli familiari e proponendo modelli a noi vicini e realisti.
Insieme al pessimismo dobbiamo eliminare anche la “cataratta” dell’individualismo. Molti Paesi vivono immersi in un contesto sociale nel quale l’essere umano è ritenuto indipendente e autosufficiente. La concezione individualista presuppone, sia sul piano intellettuale sia su quello vitale, l’ignoranza della verità dell’uomo come “essere familiare”, chiamato all’esistenza per amore e destinato ad amare attraverso il dono di sé[11]. Si giunge così a un rifiuto inconsapevole della relazionalità come mezzo per lo sviluppo e la felicità delle persone. Costa anche accettare la situazione di dipendenza e di vulnerabilità che ogni relazione umana comporta. Non possiamo ignorare che l’individualismo è profondamente presente nelle nostre forme di vita quotidiana. Nessuno può sfuggire al suo influsso. Molte famiglie che non lo hanno come presupposto teorico, hanno un po’ alla volta adottato, magari inconsapevolmente, forme di vita individualiste, profondamente contrarie all’essenza dell’amore familiare. Così, per esempio, non è raro riscontrare nelle coppie di coniugi, e specialmente in quelle più giovani, una difficoltà oggettiva nel predisporre un progetto reale di vita comune. Molti vedono il fatto di sposarsi “in base alla loro individualità”, come una somma o una aggiunta al proprio essere, che può migliorare la vita personale e forse rendere felici, senza comprendere che il matrimonio è un progetto “co-biografico” attraverso la reciproca donazione e accettazione degli sposi. Alcune manifestazioni di questa mentalità, che impregna modi di vita molto pratici, si possono osservare oggi in non poche famiglie: a malapena si condividono alcuni tempi comuni nella vita di famiglia, non si prevedono né si apprezzano i momenti da trascorrere insieme a tavola, nei festeggiamenti o nella cura dei malati, degli anziani, dei bambini, ecc. Gli sposi si dedicano spesso a relazioni professionali e sociali parallele: non condividono amici, non mettono in comune i beni materiali, ecc. Così si va alterando e rendendo difficile o quasi impossibile un’autentica comunità di vita e di amore. In definitiva, risulta costoso comprendere l’importanza dei vincoli, che costituiscono i pilastri fondanti dell’ambito familiare[12]. A tutto quello che abbiamo detto occorre aggiungere l’ostacolo della mancanza di strumenti per comunicare la verità sulla famiglia. Continua a essere abituale utilizzare un linguaggio volontarista per spiegare il processo di amare, lessico che difficilmente si comprende oggi, giacché soprattutto i giovani “ragionano con gli affetti” più che con le facoltà intellettive[13].
L’accompagnamento come stile formativo
L’emergenza educativa nel trasmettere alle nuove generazioni i valori fondamentali dell’esistenza[14], insieme alle attuali circostanze culturali, richiede una riflessione sulla necessità di formare in un modo, con una metodologia e uno stile conformi alla cultura nella quale oggi noi viviamo, che, come si è detto, è cambiata in modo significativo negli ultimi decenni. Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha sottolineato la necessità di stare vicino alle famiglie, in un modo prossimo e realista[15]. Fino a qualche anno fa, per aiutarle poteva apparire sufficiente offrire alle famiglie “una formazione”. Dimenticavamo forse che formare non consiste solo nel dare o ricevere informazioni. La formazione integrale richiede di poter contare sulla libertà, elemento che rende possibile che ogni persona – ogni famiglia – scopra il suo protagonismo unico. Evidentemente la formazione, in questo senso più razionale e discorsivo, continua a essere necessaria, però possiamo dire che oggi non è più sufficiente.
Il documento Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale, del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, affronta le modalità della formazione delle famiglie, mettendo in evidenza che «non si tratta tanto di trasmettere nozioni o far acquisire competenze, quanto piuttosto di guidare, aiutare ed essere vicini alle coppie in un cammino da percorrere insieme»[16]. Il documento si riferisce alla necessità di formare accompagnando le famiglie, un modo di fare di grande ricchezza, la cui portata è ancora da scoprire. Seguendo la terminologia di Itinerari, l’accompagnamento è uno “stile” (vale a dire, un modo di agire più vitale che concettuale o razionale) che si deve imparare. Perciò ci si augura che tutti quelli che accompagnano «siano in possesso di una formazione e di uno stile di accompagnamento adatti al percorso catecumenale». In riferimento all’accompagnamento, si utilizzano termini come «gradualità», «accoglienza», «appoggio», «testimonianza», «essere presenti», e inoltre si parla di creare un «clima di amicizia e fiducia». Si cita, inoltre, il «tono» generale che si deve adottare nell’accompagnamento, che «dovrebbe andare ben al di là del “richiamo moralistico” ed essere, invece, propositivo, persuasivo, incoraggiante e tutto orientato al bene e al bello che è possibile vivere nel matrimonio»[17]. Questa proposta è un buon punto di partenza che deve continuare a fare passi avanti, in ampiezza e profondità, per arrivare a mostrare, nella pratica, che cosa significa accompagnare le famiglie nella Chiesa[18].
È ben nota l’affermazione di san Paolo VI secondo la quale «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri» e che «se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni»[19]. Il prelato dell’Opus Dei, Fernando Ocáriz, citava questo testo e aggiungeva che «nella cultura contemporanea si ha bisogno di volti che rendano credibile un messaggio»[20]. È perciò necessario dare all’accompagnamento un valore teologico e antropologico forte. Il prototipo di ogni accompagnamento è quello che Gesù fece con i discepoli di Emmaus[21], dove si nota la trasformazione delle loro vite. L’accompagnamento è una esigenza intrinseca dell’amore cristiano; non è una strategia o un metodo, ma la partecipazione alla «forza stessa dello Spirito Santo, Carità increata»[22], perché Cristo vuole accompagnare ogni uomo, e lo fa mediante i cristiani[23].
Che cosa significa accompagnare?
Accompagnare significa, etimologicamente, condividere spazio e tempo con altre persone. Il termine proviene dal latino cum-panis, che significa dividere il pane. Sta a indicare la comunanza delle cose quotidiane dell’esistenza nello svolgimento di una vita, e questo fa comprendere che prima di tutto per accompagnare occorre condividere la vita[24]. L’essenza dell’accompagnamento risiede nella presenza consapevole per offrire un appoggio a un’altra persona, senza imporre, controllare o dirigerne l’esperienza, rispettandone l’autonomia. Nell’azione di accompagnare si potrebbero individuare, fra gli altri, quattro aspetti essenziali, che possono aiutare a capirne il significato e l’importanza:
1°. Per accompagnare bisogna esserci. L’accompagnamento è un’azione che si può compiere in maniera permanente in quei luoghi in cui si riuniscono, operano e si trovano le famiglie. Vale a dire, nelle scuole, nelle associazioni, negli spazi dedicati al tempo libero o al riposo, ecc.
2°. Per accompagnare bisogna stabilire un legame. Non c’è accompagnamento se non ci si lega e se non ci si rende vulnerabili nel legame. Questo è il fondamento antropologico dell’accompagnamento[25]. Per questo l’accompagnamento non può essere confuso con una tattica, con una metodologia per realizzare programmi di successo, o con una risorsa per risolvere i problemi altrui. Accompagnare consiste nello stabilire una relazione personale che, come tale, si basa sulla fiducia, che non si può imporre, ma che invece può determinare le condizioni per poter esistere.
3°. Accompagnare non vuol dire dirigere o sostituire l’altro nel prendere le sue decisioni, cercando di risolvere i suoi problemi. Fino ad alcuni anni fa credevamo che, per aiutare le famiglie, bastasse suggerire alcune idee su come vanno fatte le cose, con uno stile che potremmo chiamare “direttivo”. Forse certe volte abbiamo dimenticato che per dare formazione si deve poter contare sulla libertà delle persone. Accompagnare vuol dire mostrare, vuol dire insegnare a fare, vuol dire anche aiutare a scoprire la propria capacità di risolvere le difficoltà.
4°. Infine, accompagnare non è una necessità solo per i momenti di crisi. L’accompagnamento si deve proporre come un’attività che agirà in maniera preventiva delle situazioni conflittuali. Malgrado tutto, vi saranno momenti nei quali le difficoltà si accentueranno o una famiglia attraverserà circostanze particolarmente difficili. Dunque, per accompagnare occorre partire dalla convinzione che la crisi non è necessariamente un guaio irreparabile. Le crisi sono sempre una minaccia, ma sono anche una sfida e una opportunità di migliorare, un’occasione di rinnovarsi e scoprire nuovi aspetti nelle persone e nelle relazioni.
La Chiesa come spazio di accompagnamento
L’accompagnamento familiare è un richiamo urgente per tutti, specialmente nella Chiesa, che vuole arrivare alle famiglie perché possano scoprire la maniera migliore di superare le difficoltà che incontrano nel loro cammino[26]. Si è già detto che accompagnare non consiste nel realizzare programmi efficaci, ma nel comprendere che Dio vuole che nessuno si senta solo, il che, del resto, è la missione fondamentale della Chiesa[27]. Il Vangelo ci è stato trasmesso mediante testimoni, mediante altre persone che ci hanno accompagnato nella vita. Inoltre, la prima evangelizzazione fu compiuta nelle domus ecclesiae, nelle chiese domestiche come luogo di accoglienza dei cristiani, dove trovavano un ambiente familiare. La pastorale delle famiglie a volte sembra limitarsi a offrire una serie di “servizi spirituali”, quando in realtà noi fedeli abbiamo bisogno soprattutto di referenti credibili e di spazi in cui condividere la fede. San Giovanni Paolo II capì molto bene che non bastava dire alle coppie di coniugi quello che dovevano fare, ma bisognava accompagnarle. Per questo creò un gruppo di coniugi (Środowisko) come “ambiente” di accompagnamento, cercando di condividere il tempo con loro; e in questa convivenza imparavano molto gli uni dagli altri. Per poter accompagnare con efficacia, la Chiesa ha bisogno di mostrare di essere davvero una famiglia[28].
L’Opus Dei, come parte della Chiesa, è uno strumento voluto da Dio per accompagnare le persone e le famiglie nel loro cammino di vita cristiana. Gli insegnamenti di san Josemaría sottolineano diversi aspetti ed elementi in chiara sintonia con l’essenza dell’accompagnamento. In primo luogo, san Josemaría capì che l’Opera è una piccola famiglia all’interno della grande famiglia della Chiesa. Lo spirito di famiglia è profondamente radicato nel cuore dello spirito e delle modalità di evangelizzazione propri dell’Opus Dei. L’esperienza di essere famiglia rende possibile che ci accompagniamo, che si creino autentici vincoli personali di fiducia tra i fedeli dell’Opera. Inoltre, considerare l’Opera come una famiglia costituisce una delle chiavi di interpretazione degli insegnamenti di san Josemaría sulla formazione che si impartisce, e più specificamente sull’accompagnamento spirituale[29]. In qualche modo, tutti i mezzi di formazione, e lo stesso rapporto fraterno tra i membri dell’Opera e le persone che partecipano ai suoi apostolati, costituiscono un accompagnamento di tipo familiare. In effetti, l’ambiente di amicizia e fraternità che si genera in queste attività stimola la crescita personale e spirituale, irrobustendo anche le relazioni familiari. Nello stesso tempo, questo stesso clima può e deve farsi notare in altri circoli più vasti, nei quali le famiglie si accompagnano a vicenda in processi di crescita spirituale e umana.
All’inizio del nuovo millennio, san Giovanni Paolo II affermava che tutte le iniziative apostoliche che sorgeranno in futuro saranno «apparati senz’anima» se non saranno capaci di mettere al centro un amore sincero per ciascuno, un «condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia»[30]. Il rapporto personale è un aspetto relazionale che è al centro del modo di fare apostolato che san Josemaría trovò nei racconti evangelici[31]. Gli insegnamenti di san Josemaría sull’amicizia e sulla confidenza danno luce al significato reale dell’accompagnamento cristiano. «In un cristiano, in un figlio di Dio, amicizia e carità formano una cosa sola: luce divina che dà calore»[32]. San Josemaría concepisce l’amicizia come una relazione sincera «a tu per tu, da cuore a cuore»[33]. «Per vocazione divina vivete in mezzo al mondo, condividendo con gli altri uomini – uguali a voi – gioie e dolori, impegni ed entusiasmi, aneliti e avventure […]. L’uomo ha bisogno, tutti abbiamo bisogno, figlie e figli miei, di appoggiarci gli uni sugli altri, percorrendo così il cammino della vita, convertendo in realtà i nostri entusiasmi, superando le difficoltà, godendo del prodotto dei nostri aneliti. Da ciò deriva la straordinaria importanza, non solo umana ma divina, dell’amicizia»[34].
La famiglia è il primo luogo di accompagnamento e il suo ambito naturale per eccellenza. Il compito degli sposi cristiani consiste nell’accompagnarsi a vicenda e nell’accompagnare i loro figli nel cammino della vita. Quest’ottica richiede un cambiamento di mentalità nel programmare l’educazione familiare: non si tratta tanto di “fare cose”, ma di condividere realmente la vita. La famiglia è una Chiesa domestica nella misura in cui è capace di compiere questo accompagnamento cristiano dei suoi membri, facendo sì che nessuno si senta solo. D’altra parte, la famiglia è accompagnata ed è capace di accompagnare quando essa stessa diventa consapevole della propria vocazione: essere, come comunione di persone, una luce per il mondo[35]. San Josemaría è stato uno strumento decisivo per la riscoperta della vocazione cristiana nella vita familiare e attraverso di essa, aiutando a capire che i vincoli personali che costituiscono la famiglia sono un autentico cammino di incontro con Dio. «Gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare sé stessi in questa unione. Commetterebbero perciò un grave errore se edificassero la propria condotta spirituale volgendo le spalle alla famiglia o al margine di essa. La vita famigliare, i rapporti coniugali, la cura e l’educazione dei figli, lo sforzo economico per sostenere la famiglia, darle sicurezza e migliorarne le condizioni, i rapporti con gli altri componenti della comunità sociale: sono queste le situazioni umane più comuni che gli sposi cristiani devono soprannaturalizzare»[36].
La famiglia è l’ambito naturale perché la persona possa arrivare a crescere in tutto il suo dinamismo: è scuola di amore, e il “sistema” con il quale insegna è la vita condivisa, le stesse relazioni familiari[37]. Il sapersi amato senza condizioni è il metodo migliore per imparare la dinamica del dono, che appare tanto sconosciuta agli uomini e alle donne di oggi: l’amore degli sposi che fonda la famiglia è anche la migliore preparazione remota dei figli per intraprendere il cammino matrimoniale[38].
San Josemaría si riferisce all’accompagnamento familiare quando afferma che i genitori sono i principali educatori dei loro figli, soprattutto sapendoli amare e dando il buon esempio, dato che fondamentalmente educano con la loro condotta. Quello che i figli e le figlie cercano nel padre e nella madre non è soltanto un’esperienza o dei consigli più o meno giusti, ma una testimonianza sul valore e sul senso della vita incarnata in un’esistenza concreta. Per questo il fondatore dell’Opus Dei invita i genitori a essere verso i propri figli dei veri amici, ai quali si confidano le personali inquietudini, con cui si discutono i diversi problemi, dai quali ci si aspetta un aiuto efficace e sincero. Per questo è necessario che i genitori trovino il tempo di stare con i figli e parlare con loro[39]. Questo stile educativo ha come presupposto il rispetto della loro legittima libertà. «I genitori devono fare attenzione a non cedere alla tentazione di proiettarsi indebitamente nei propri figli – di costruirli secondo i propri gusti –, perché devono rispettare le inclinazioni e le capacità che Dio dà a ciascuno. Di solito, quando esiste vero amore, tutto questo non è difficile. E anche nel caso estremo in cui il figlio prende una decisione che i genitori ritengono a ragione errata e prevedibile fonte di infelicità, nemmeno allora la soluzione sta nella violenza, ma nel comprendere e – più di una volta – nel saper rimanere al suo fianco per aiutarlo a superare le difficoltà e trarre eventualmente da quel male tutto il bene possibile»[40].
Famiglie che accompagnano altre famiglie
San Josemaría ricorreva spesso all’esempio dei primi cristiani. Gli faceva piacere fare riferimento a quelle famiglie che vissero di Cristo e che fecero conoscere Cristo. «Piccole comunità cristiane che furono come dei centri di irradiazione del messaggio evangelico. Focolari come tanti altri di quei tempi, ma animati da uno spirito nuovo che contagiava chi li avvicinava e li frequentava. Così furono i primi cristiani, e così dobbiamo essere noi, cristiani di oggi: seminatori di pace e di gioia, della pace e della gioia che Gesù ci ha guadagnato»[41]. Frutto di questi insegnamenti e del loro impulso, sono sorte e continuano a sorgere numerose iniziative. Tra di esse vi sono, per esempio, le scuole promosse dalle famiglie[42]. L’accompagnamento familiare in questi spazi educativi ha una ripercussione particolare. Per un verso, questi centri sono per le famiglie “punti di appoggio” dai quali possono essere aiutate a riscoprire il loro protagonismo educativo ed è possibile promuovere una formazione familiare trasversale. Inoltre, grazie all’ambito scolastico è possibile offrire un sostegno alle famiglie in modo che i loro figli non solo abbiano successo nell’ambito professionale, ma siano anche capaci di realizzare un programma molto più importante: il progetto familiare. Nello stesso tempo, la scuola è un ambito naturale nel quale le famiglie possono accompagnare altre famiglie. Un’altra iniziativa notevole sono i centri e le attività di orientamento familiare, che danno formazione, consigli e un appoggio pratico ai coniugi; cercano di fortificare l’unità familiare mediante il dialogo e la comprensione reciproca, promuovendo la costituzione di focolari capaci di irradiare valori cristiani nella società. Queste e altre iniziative, come le associazioni familiari, sono spazi nei quali è possibile stimolare l’accompagnamento tra le famiglie.
In realtà l’accompagnamento familiare non deve essere considerato un “metodo” o una semplice azione, ma piuttosto un cambiamento di prospettiva ad ampio raggio, che si può compiere in ambiti molto diversi e che ammette realizzazioni molto diverse in funzione della situazione delle famiglie, della rete di relazioni che esse hanno, ecc. Dato che non esistono famiglie ideali né famiglie perfette, in realtà tutti abbiamo bisogno di essere accompagnati. Sta nelle possibilità di ogni persona accompagnare nell’ambito ordinario con piccole azioni, che portano sempre frutto. Si possono anche utilizzare gli spazi di accompagnamento che ognuno ha a sua disposizione, stimolando la fiducia nella efficacia dei “molti pochi”. Così come la cultura del fallimento familiare e del divorzio non si è imposta a forza di idee, ma di pratiche (di pessime pratiche, potremmo dire), una genuina cultura della famiglia si deve ricostruire più con buone pratiche – con stili di vita – che con idee astratte.
Nel futuro continueranno indubbiamente a sorgere molte altre iniziative per la famiglia, frutto della creatività e della carità cristiana, che, ispirandosi agli insegnamenti di san Josemaría, cercheranno di essere luoghi di incontro di famiglie, dove queste si sentano accompagnate e siano a loro volta capaci di accompagnare altre famiglie.
[1] Carlo Caffarra, “Fede e cultura di fronte al matrimonio”, in H. Franceschi (a cura di), Matrimonio e famiglia. La questione antropologica, EDUSC, Roma, 2015, p. 26.
[2] Si utilizza questa espressione in contrapposizione a quella di “blackout analogico” iniziato a partire dal 2005, che consiste nella cessazione delle emissioni analogiche degli operatori della televisione per cominciare a trasmettere unicamente mediante segnali digitalizzati.
[3] Benedetto XVI, Discorso alla inaugurazione dei lavori dell’Assemblea diocesana di Roma, 11-VI-2007.
[4] Cfr. Pierpaolo Donati, Manuale di sociologia della famiglia, Ed. Laterza, 2006, pp. 156-191.
[5] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 29-VI-2009, n. 53.
[6] L’accompagnamento si può realizzare in diversi ambiti (spirituale, terapeutico, educativo, ecc.). In questo testo si applica all’ambito specifico della famiglia e delle relazioni familiari.
[7] Carlo Caffarra [Busseto (Parma), 1938-2017] è stato un cardinale italiano, esperto in teologia morale della famiglia e della vita. Nel 1981, per incarico del Papa, fondò e presiedette il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per gli Studi sul Matrimonio e la Famiglia.
[8] Carlo Caffarra, “Fede e cultura di fronte al matrimonio”, cit., p. 27.
[9] Come sottolinea Papa Francesco, non esiste «uno stereotipo della famiglia ideale, bensì un interpellante mosaico formato da tante realtà diverse, piene di gioie, drammi e sogni», Papa Francesco, Esort. ap. Amoris laetitia, 19-III-2016, n. 57.
[10] In effetti, «molte famiglie, che sono ben lontane dal considerarsi perfette, vivono nell’amore, realizzano la propria vocazione e vanno avanti anche se cadono tante volte lungo il cammino»,ibid.
[11] Cfr. San Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 22-XI-1981, n. 11.
[12] Cfr. Montserrat Gas Aixendri, M. Pilar Lacorte Tierz, “La famiglia quale realtà originaria: mostrare, educare, accompagnare”, in H. Franceschi (a cura di), Matrimonio e famiglia, cit., pp. 290-291.
[13] Cfr. ibid, p. 301.
[14] Cfr. Benedetto XVI, Discorso, 11-VI-2007, cit.
[15] Cfr. Papa Francesco, Esort. ap. Amoris laetitia, n. 208.
[16] Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale. Orientamenti pastorali per le Chiese particolari, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2022, n. 20.
[17] Ibid.
[18] Cfr. ibid.
[19] San Paolo VI, Discorso ai membri del “Consilium de Laicis”, 2-X-1974.
[20] Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14-II-2017, n. 18.
[21]Lc 24, 13-35.
[22] Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14-II-2017, n. 9.
[23] Cfr. Juan José Pérez-Soba, “¿Qué tipo de acompañamiento familiar abre una esperanza?”, Quaderns de Polítiques Familiars, vol. 8 (2022).
[24] Ibid.
[25] Ibid.
[26] Cfr. Papa Francesco, Esort. ap. Amoris laetitia, n. 200.
[27] Cfr. Juan José Pérez-Soba, “¿Qué tipo de acompañamiento familiar abre una esperanza?”, cit.
[28] Cfr. ibid.
[29] Cfr. Guillaume Derville, “Dirección spiritual”, in Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer (coord. José Luis Illanes), Monte Carmelo - Instituto Histórico San Josemaría Escrivá, Burgos 2013, p. 339.
[30] San Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 6-I-2001, n. 43.
[31] Cfr. Fernando Ocáriz, Lettera pastorale, 14-II-2017, n. 9; San Josemaría, Lettera I, n. 11.
[32] San Josemaría, Forgia, n. 565.
[33] San Josemaría, Solco, n. 191.
[34] San Josemaría, Lettera, 24-X-1965, nn. 2 e 16.
[35] Cfr. Juan José Pérez-Soba, El arte de acompañar, una luz para la familia, conferenza pronunciata durante le “Seconde Giornate sull’accompagnamento familiare”, organizzate dall’Università Internazionale della Catalogna, Barcellona, 4-V-2024, pro manuscripto.
[36] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 23.
[37] Cfr. Beato Álvaro Del Portillo, “La famiglia, vera scuola dell’amore”. Commento della Lettera alle Famiglie,Avvenire, 24-02-1994 (inRomana 10, 1994, pp. 94-96).
[38] Aquilino Polaino-Lorente, Familia y autoestima, Ariel, Madrid 2004, p. 106.
[39] Cfr. San Josemaría, È Gesù che passa, nn. 27-28.
[40] San Josemaría, Colloqui, n. 104.
[41] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 30.
[42] Queste scuole «hanno interesse per i padri di famiglia, poi per il collegio dei professori e infine per gli studenti», perché «il primo affare per ogni famiglia dovrebbero essere i propri figli» (San Josemaría, “Apuntes tomados en una tertulia”, 21-XI-1972). Testo citato da Mons. Javier Echevarría nella conferenza “La familia en las enseñanzas de San Josemaría Escrivá de Balaguer”, pronunciata in occasione della chiusura del Congresso Internazionale su Famiglia e Società all’Università Internazionale della Catalogna (Barcellona, 17-V-2008). Disponibile in https://opusdei.org/es-es/arti... familia-en-las-ensenanzas-de-san-josemaria-escriva-de-balaguer/
Romana, n. 79, Luglio-Dicembre 2024, p. 289-299.