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Pluralismo, amicizia civica e difesa della propria identità

Andrés Irarrázaval

Dottore in Storia

Università delle Ande (Cile)

1. Introduzione

La recente e graduale pubblicazione dell’edizione critica delle lettere di Josemaría Escrivá ha offerto ai suoi lettori la possibilità di approfondire gli insegnamenti di questo santo su diverse materie riguardanti la santificazione del lavoro quotidiano[1]. Questi documenti permettono di addentrarsi nel suo intimo pensiero e di completare con precedenti di prima mano le informazioni date dai suoi biografi e dagli storiografi dell’Opus Dei[2].

Il contributo offerto dalle lettere è assai prezioso, giacché il suo tono riflessivo fa conoscere i principi culturali e dottrinali che ispirarono san Josemaría a risolvere le differenti situazioni che dovette affrontare in vita. D’altra parte, la non lontana commemorazione dei cinquant’anni della sua morte, avvenuta a Roma il 26 giugno 1975, è una chiara dimostrazione che la sua epoca non è più quella attuale: l’ambiente sociale e intellettuale nel quale si formò e visse è differente dalla realtà del XXI secolo. Benché possa sembrare ovvio, è necessario avvalersi di questo dato cronologico per comprendere che la sua realtà vitale non si può analizzare sulla base del presente senza altri contesti[3].

Un aspetto specifico degli insegnamenti di san Josemaría è stato il suo profondo rispetto per la liberà delle persone, che lo portava a difendere un ampio pluralismo in tutti gli ambiti dell’attività umana, che nel caso dei cattolici si esercita negli ampi margini dottrinali e morali definiti dal Magistero della Chiesa. Però i suoi insegnamenti al riguardo possono svanire col passare del tempo e col continuo cambiamento delle circostanze sociali, cosa che sottolinea la necessità di ritornare ai principi sui quali fondava le sue posizioni, più che valutare con criteri attuali le decisioni concrete che poté prendere nel passato.

Su questa linea, il presente studio cerca – senza pretendere di essere esaustivo – di riportare il pensiero di san Josemaría Escrivá su pluralismo e libertà negli ambiti politico e sociale, analizzare il loro fondamento e le circostanze in cui è stato elaborato e valutare la validità di questi insegnamenti oggi. L’autore ringrazia i professori della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università delle Ande Cecilia McIntyre, Daniel Mansuy e Juan Eduardo Carreño per i commenti e i contributi da essi ricevuti.

2. Magistero, verità e opinione

Prima di analizzare gli insegnamenti di san Josemaría sulla libertà in temi politici e sociali, è necessario fare alcune brevi considerazioni su ciò che s’intende per pluralismo e altri concetti che saranno utilizzati nel presente studio.

L’essere umano ha bisogno di manifestarsi agli altri attraverso la comunicazione, specialmente nel linguaggio verbale e scritto: «Per il fatto di essere persona, l’uomo ha bisogno dell’incontro con il tu. Il linguaggio non ha senso se non per questa apertura agli altri»[4]. Questo carattere dialogante richiede come contropartita la capacità di ascolto degli altri, il sapersi accolto dal prossimo: solo in questo ambiente si potrà formare la personalità umana, conoscere la propria identità e valorizzare quella altrui. Comunque, questa realtà presuppone una complementarietà che non è uniforme, dato che ogni persona è unica e irripetibile[5].

Il concetto di pluralismo è definito dal dizionario della Reale Accademia Spagnola come il «sistema per il quale si accetta o riconosce la pluralità di dottrine o posizioni»; e si indicano come sinonimi di pluralità i termini varietà, diversità ed eterogeneità[6]. Il pluralismo esige il rispetto delle posizioni altrui, ma la diversità non è sinonimo di bontà né ogni differenza deve essere accolta solo per il suo carattere diverso[7]. Per ciò stesso, il pluralismo non può identificarsi con il permissivismo: la diversità non è un valore assoluto e il rispetto al pluralismo va al di là della semplice tolleranza[8]. Neppure la libertà di opinione permette di definire il buono e il cattivo: e anche se la coscienza morale «attesta l’autorità della verità in riferimento al Bene supremo, di cui la persona umana avverte l’attrattiva»[9], non è una istanza suprema né può ignorare una verità universale intorno al bene[10].

Per questo, benché sia dovuto un rispetto intrinseco alla persona che emette altre opinioni per la dignità inalienabile di ogni essere umano, il contenuto delle sue affermazioni si potrà condividere in maggiore o minore misura. Viceversa, se sul piano sociale o familiare l’autorità si mostra paternalista per assicurare il buon uso della libertà degli altri, si può instaurare un autoritarismo; e questo perché l’eccesso di controllo comporta una sottovalutazione arbitraria delle capacità delle persone, che non sono considerate mature o competenti per assumere le proprie responsabilità[11].

Nell’ambito dottrinale si chiede ai cattolici di accettare la rivelazione soprannaturale e le verità sulla fede e la morale da essa derivate, proposte dall’insegnamento della Chiesa attraverso una concreta definizione o mediante il magistero ordinario universale. L’adesione a questi contenuti dottrinali non costituisce una imposizione arbitraria, perché essi provengono dalla parola di Dio e dagli insegnamenti di Gesù Cristo, che illuminano la ragione ferita dal peccato originale[12]. Per i cattolici, di conseguenza, c’è un ambito specifico di fede che è vincolante e tutto un ampio e maggioritario ambito di materie – siano esse di carattere spirituale o meno – nel quale si vive un sano e necessario pluralismo.

Pertanto i fedeli cattolici accettano il magistero ecclesiastico in materia di fede e di morale al quale debbono aderire per formare i loro giudizi ed emettere le loro opinioni. Anche se la fede richiede sempre un cammino di maturità interiore, la decisione di allontanarsi dal magistero non sarebbe una manifestazione di pluralismo, ma di disunione rispetto alla legittima autorità ecclesiastica e probabilmente di mancanza di visione soprannaturale. Questa responsabilità per custodire la dottrina cattolica è comune a tutti i battezzati, ma ricade in modo particolare su coloro che nella Chiesa esercitano la potestà di insegnare; essi hanno una particolare missione per la conservazione nei fedeli della purezza della fede e dei costumi[13].

Da parte loro, i laici hanno un ruolo prioritario nello sviluppo delle diverse soluzioni sociali e culturali che vanno al di là degli insegnamenti magisteriali, data la loro chiamata a configurare il mondo dal di dentro[14]. Naturalmente questa sfida richiede una buona formazione dottrinale, giacché il magistero ecclesiastico influisce più o meno profondamente in vari aspetti della vita quotidiana delle persone.

San Josemaría – il cui messaggio spirituale era diretto in modo particolare ai fedeli laici, donne e uomini che vivono in mezzo al mondo – sviluppò in vari suoi scritti temi relativi alla convivenza sociale, al pluralismo e al rispetto del prossimo. Nella sua concezione di queste materie teneva presente il magistero della Chiesa, le luci apportate dal messaggio che era chiamato a diffondere e anche la sua vasta esperienza pastorale e personale[15].

3. Il pluralismo e la responsabilità in san Josemaría

A metà del secolo passato san Josemaría si rivolgeva a un pubblico che condivideva una stessa visione antropologica dell’uomo e della società. Questo spiega come mai i suoi insegnamenti intorno al pluralismo siano concentrati sul modo di affrontare cristianamente la discussione sulle diverse posizioni esistenti in materie temporali o spirituali di carattere opinabile, e che consigli l’unità per ciò che riguarda i temi nei quali sia in gioco una definizione magisteriale.

Attualmente questo scenario è cambiato ed esistono differenti approcci antropologici all’interno della società – sguardi che toccano il nucleo stesso di ciò che s’intende per essere umano, persona, uomo e donna, famiglia, ecc. –, che richiedono una comprensione più ampia del pluralismo. Questo punto e le luci che possono produrre gli insegnamenti di san Josemaría in questo nuovo contesto saranno trattati nel paragrafo 4.

3.1. Responsabilità e mentalità laicale

Il 16 maggio 1966 il giornalista francese Jacques Guillemé-Brulon domandò a san Josemaría: «Il fatto che alcuni membri dell’Opera siano presenti nella vita pubblica del Paese non ha politicizzato in qualche modo l’Opus Dei in Spagna? Non compromettono così l’Opera e la Chiesa stessa?». La risposta del fondatore fu categorica: «Né in Spagna né in alcun altro posto»[16]. La domanda aveva una sua ragion d’essere giacché in quel periodo quattro membri dell’Opus Dei erano ministri del governo di Francisco Franco; solo un mese prima era entrata in vigore una nuova legge sulla stampa e si preparava lo schema della nuova legge organica dello Stato spagnolo che sarebbe stata sottoposta a plebiscito a novembre[17]. San Josemaría continuò completando la risposta con fermezza: «Insisto sul fatto che ogni socio dell’Opus Dei lavora con piena libertà e con responsabilità personale, senza impegnare né la Chiesa né l’Opera, perché né alla Chiesa né all’Opera si appoggiano per compiere le loro attività personali»[18].

Per comprendere del tutto questa affermazione si deve tenere presente il carattere laicale del messaggio che insegnava san Josemaría da diversi anni, diffondendo la chiamata alla santità di tutti gli uomini e di tutte le donne, senza distinzione di età, stato civile, razza o risorse economiche. Come scrisse in una delle sue lettere, «la santità non è per gente privilegiata: il Signore ci chiama tutti, da tutti si aspetta Amore, tutti ovunque si trovino, quali che siano il loro stato, la professione o il mestiere che svolgono»[19]. Completava questo ampio sguardo con un richiamo alla propria responsabilità, anche in ciò che riguarda la fede e la relazione con la Chiesa, come del resto aveva rilevato nei numeri 755 e 519 di Cammino: «Dal fatto che tu e io ci comportiamo come Dio vuole – non dimenticarlo – dipendono molte cose grandi» e «Quel grido – serviam! – significa volontà di “servire” fedelissimamente, anche a prezzo dei beni terreni, dell’onore e della vita, la Chiesa di Dio»[20].

San Josemaría espose queste idee più accuratamente nella lettera Legitima hominum, in data 31 maggio 1943, e pubblicata per i fedeli dell’Opera nel febbraio del 1967. In essa precisava: «La prima cosa che desidero farvi notare, anche se me l’avete sentito dire tante volte, è che il nostro è un lavoro secolare, laicale, di normali cittadini, non come gli altri ma uguali agli altri, che ricercano la santità e fanno apostolato nelle e dalle attività professionali che svolgono in mezzo al mondo»[21]. Pochi paragrafi più avanti si riferiva in modo più specifico alle ripercussioni di questa dottrina in ambito pubblico, nell’esprimere la sua perplessità nei confronti di quei laici che, «ostentando la loro qualità di cattolici», non sono capaci di assumersi una loro personale responsabilità di cittadini e «si abbarbicano alla Chiesa come l’edera sul muro, che prima lo nasconde completamente con il suo fogliame e poi lo distrugge con le radici che cercano alimento nelle fessure delle sue belle pietre»[22].

Quello che ci si aspettava da un cattolico era che nella sua attività politica si comportasse con rettitudine di intenzione e responsabilità personale, accollandosi in pieno le conseguenze delle sue decisioni. Poi conclude così: «Dovete, insomma, servire le anime da persone adulte, pronti a rendere ragione del vostro agire, senza implicare la Sposa di Cristo o l’Opera nelle vostre iniziative di cittadini»[23].

Queste idee, benché ad alcuni possano sembrare ovvie, non lo sono per molte persone, sia ecclesiastici che laici. Ai primi può sembrare logico, come è successo in tante occasioni nel corso della storia della Chiesa, che la gerarchia intervenga con suggerimenti o richieste, servendosi della condizione di cattolico di un uomo o di una donna che ricopra cariche nella vita pubblica, che naturalmente questa persona dovrebbe avallare per un motivo di unità. Un esempio che riguardò da vicino monsignor Escrivá fu quando, verso la fine degli anni ’60, da Roma si raccomandò che le autorità ecclesiastiche spagnole prendessero le distanze dal regime franchista. In questo contesto il sostituto della segreteria di Stato, monsignor Giovanni Benelli, lo sollecitò a dare disposizioni ai soci dell’Opus Dei che ricoprivano incarichi politici in Spagna per promuovere la formazione di un partito politico simile alla Democrazia Cristiana dell’Italia; san Josemaría non volle farlo per rispetto alla libertà dei suoi figli in un argomento temporale e opinabile[24].

Per i fedeli laici può essere più semplice comprendere questa libertà personale nelle materie temporali, ma si può supporre in loro una maggiore difficoltà a rispettare diverse opinioni di altre persone, cattoliche o meno. Per esempio può accadere che, anche in presenza di una affinità spirituale, una persona rimanga colpita dal fatto che un’altra arrivi a conclusioni diverse sul modo di affrontare situazioni specifiche su argomenti che sono legittimamente opinabili: potrà dissentire nell’ambito di questa relazione personale – politica, votando per un altro candidato, o lavorativa, cambiando la propria attività –; potrà anche criticare il contenuto di una decisione, salvaguardando il rispetto dovuto alla persona e l’ambito della correttezza legale; ma non potrà farsi scudo della fede cattolica per mettere in discussione un’altra persona o per evitare il dovuto compimento delle indicazioni ricevute.

San Josemaría si riferì anche a questo aspetto specifico con molta chiarezza: «A voi dico: se ne avete la vocazione, sentitevi liberi di fare politica, senza abdicare ai vostri diritti di cittadini, e cercate di santificarvi in tale attività servendo la Chiesa e la patria, promuovendo il bene comune come ritenete più opportuno, visto che non ci sono dogmi in materia temporale»[25]. E a quelli che non si dedicavano a questa attività raccomandava di compiere con fedeltà i loro doveri ed esigere i loro diritti. Per san Josemaría è un argomento antico già trattato in Cammino: «Codesta falsa umiltà è comodità; in tal modo tu, così umilino, stai rinunciando a diritti… che sono dei doveri»[26]. È da mettere in evidenza il tono soprannaturale dei suoi orientamenti, lontani da ogni traccia di partigianeria o visione solo umana, con riferimenti espliciti alla ricerca della santità, al servizio per amore a Dio e al prossimo, e indirettamente a virtù come l’umiltà e la fortezza.

3.2. Libertà e amicizia civica

In un’altra delle sue lettere – la numero 6, denominata Sincerus est –, san Josemaría poteva affermare, secondo una prospettiva più generale: «Amiamo lavorare pacificamente con tutti, proprio perché stimiamo, rispettiamo e difendiamo il grandissimo valore della dignità e della libertà che Dio ha conferito alla creatura razionale sin dal momento della Creazione»[27]. Il motivo dichiarato per giustificare questo atteggiamento non fu semplicemente di efficacia umana o di promozione di una sana empatia, ma alludeva a qualcosa di più profondo: l’uguale dignità di tutte le persone voluta da Dio. Ancora una volta, dunque, fece ricorso a un ambito soprannaturale e a una prospettiva ampia, laicale, capace di valutare responsabilmente le opinioni altrui nella giusta misura. Nello stesso documento continua poco più avanti con la seguente riflessione: «Mi sono sempre detto, come dovreste fare voi e insegnarlo agli altri, che se il Signore ha lasciato gli uomini liberi di pensarla come vogliono su tante cose, perché devo essere nemico di uno che la pensa diversamente da me?»[28].

E, come se fossero cose di poco conto, enumerò nel medesimo scritto varie manifestazioni pratiche: evitare le discussioni, studiare con calma le ragioni degli altri, comprendere la loro posizione, praticare l’amicizia con quelli che la pensano diversamente, generare clima di fiducia, ecc. Spiegò che «dal contrasto non viene alcuna luce perché la passione lo impedisce», e che per questo «bisogna saper ascoltare l’interlocutore e parlare serenamente, sebbene ciò richieda talvolta uno sforzo interiore per dominarsi, un sacrificio meritorio»[29].

Poi san Josemaría fa una considerazione più spirituale: «Grazie all’amicizia con Dio, che dobbiamo coltivare e accrescere prima di ogni altra, saprete farvi molti amici veri» e pone come modello di amicizia «ciò che ha fatto e fa continuamente il Signore con noi per mantenerci suoi amici», un lavoro che vuole replicare in molte anime attraverso i credenti. Per questo spiegava che lui si sentiva «amico di tutti» e che «un vero amico non può essere doppio per i suoi amici. […] L’amicizia, se vuol essere leale e sincera, richiede rinunce, rettitudine, scambio reciproco di favori, di servizi nobili e leciti»[30].

San Josemaría applicò questi criteri di sana pluralità anche all’ambito apostolico. Già negli anni ’30 ne parlava espressamente: «Ti stupivi perché approvavo la mancanza di “uniformità” nell’apostolato in cui lavori. E ti ho detto: Unità e varietà. – Dovete essere diversi come diversi sono i santi nel cielo, ognuno dei quali ha le sue proprie note personali e specialissime. E, anche, dovete assomigliare gli uni agli altri come i santi, che non sarebbero santi se ognuno di loro non si fosse identificato con Cristo»[31]. Incoraggiava i membri dell’Opera e i cooperatori a partecipare alle istituzioni politiche e private nelle quali potessero servire la società con il loro lavoro, senza necessità di farlo tutti insieme: «Individualmente, senza formare un gruppo – è impossibile che lo formiate perché tutti e ciascuno godete di una libertà illimitata in tutto ciò che è temporale –, prendete parte attiva ed efficace alle associazioni ufficiali o private, perché non sono mai indifferenti per il bene temporale ed eterno degli uomini»[32].

Gli insegnamenti di san Josemaría concordavano col magistero della Chiesa in queste materie, di allora e di oggi. Le sue parole sulla responsabilità nel proprio agire, il rispetto delle opinioni differenti e la convivenza pacifica coincidono con il contenuto di diversi documenti emanati dalla Santa Sede negli ultimi anni. Per esempio, la Costituzione apostolica Gaudium et Spes indicò che si deve rispettare e amare coloro che hanno posizioni differenti in materie sociali, politiche e anche religiose[33], mentre il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa afferma che ogni essere umano deve valorizzare con passione la propria libertà personale e accettare responsabilmente le sue decisioni personali e sociali[34].

Da parte sua, Papa Francesco ha collegato l’apertura al prossimo con la vita virtuosa: per cercare la santità non basta sviluppare le virtù morali nell’ambito individuale, ma gli atti personali devono essere orientati verso gli altri[35]. San Josemaría vedeva così la chiamata a vivere con pienezza la fede, e invitava i membri dell’Opus Dei a «un servizio senza riserve, come cittadini cattolici responsabili, alla Chiesa Santa, al Romano Pontefice e a tutte le anime»[36]. In altre parole, non limita la chiamata vocazionale a una ricerca personale della santità, ma la considera intimamente associata al bene degli altri.

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa ricorda, a tale proposito, che «la natura dell’uomo si manifesta, infatti, come natura di un essere che risponde ai propri bisogni sulla base di una soggettività relazionale, ossia alla maniera di un essere libero e responsabile, il quale riconosce la necessità di integrarsi e di collaborare con i propri simili ed è capace di comunione con loro nell’ordine della conoscenza e dell’amore»[37]. San Josemaría concepiva allo stesso modo la vocazione battesimale e la chiamata alla santità dei laici, anche dei membri e dei vicini all’Opus Dei. Non considerò mai il lavoro dell’Opera come una difesa di gruppo, una specie di angolo idealizzato nel quale i suoi membri si prenderebbero cura gli uni degli altri, rimanendo lontani dalle difficoltà proprie del mondo[38]. Nulla sarebbe più lontano dalla sua concezione della secolarità[39].

3.3. Rispetto reciproco e identità cristiana

Naturalmente in questi insegnamenti vi sono alcuni aspetti ascetici. In un cristiano, chiamato dal suo battesimo a santificare ogni sua attività e a vivere in pieno la carità, il rispetto alla diversità di opinioni richiede spesso l’esercizio di varie virtù, in alcuni casi in grado eroico. Un aspetto che san Josemaría sviluppò con particolare enfasi fu quello che chiamò «santa intransigenza» e «santa transigenza». Nella lettera n. 4, denominata Vos autem, datata 16 luglio 1933 e pubblicata il 21 gennaio 1966, dopo aver accennato al fatto che l’atteggiamento di un figlio di Dio deve essere quello di affogare il male nella abbondanza di bene, spiegava che «conoscete anche la regola per mettere in pratica questo spirito: la santa intransigenza nei confronti degli errori e la santa transigenza verso le persone che sbagliano»[40]. Con «errori» si riferisce alle opinioni contrarie al magistero ecclesiastico: «La verità è una sola, figli miei, e benché nelle cose umane è difficile sapere da che parte sta ciò che è certo, nelle cose di fede questo non succede». Questo magistero si deve difendere «con l’esempio, con la parola, con i vostri scritti, con tutti i mezzi nobili che sono a vostra disposizione»[41].

San Josemaría descrisse le virtù che debbono accompagnare la santa intransigenza per evitare che si deformi o sia malintesa: «Non desideriamo la distruzione di nessuno. La santa intransigenza non è pura intransigenza, inflessibile e intrattabile, e non è santa se non va di pari passo con la santa transigenza. Vi dirò di più: né l’una né l’altra sono sante se escludono l’esercizio, con le virtù teologali, delle quattro virtù cardinali»[42]. Dopo essersi soffermato sull’importanza della prudenza, della giustizia, della fortezza e della temperanza in questa materia, conclude: «Come vedete, amatissimi figlie e figli, l’armonia tra santa transigenza e santa intransigenza è facile e difficile: facile, perché siamo guidati dalla carità di Cristo e aiutati dalla sua grazia; difficile, perché si oppongono le cattive inclinazioni alimentate dalla nostra meschinità ed è necessario considerare molti fattori, per non dare soluzioni false e frettolose ai problemi»[43].

San Josemaría non riduceva la santa intransigenza alla pratica delle virtù, ma la collegava all’intima realtà del cristiano, alla sua filiazione divina in Cristo. Seguendo gli insegnamenti di san Paolo[44], sottolineava inoltre la stretta relazione tra la condizione di figli di Dio e la libertà: per riferirsi a essa parlava della «libertà della gloria dei figli di Dio»[45]. Questa espressione non solo implica un riferimento spirituale all’ambito della libertà, ma la costituisce come una parte essenziale della persona umana e un valore prioritario per il cristiano[46].

Questa comprensione della libertà delle persone, che va ben oltre la libertà di movimenti o una semplice concezione riduttiva sull’autonomia nelle decisioni, mantiene una particolare validità perché associa libertà e identità. Il dono della filiazione divina configura il cristiano e lo definisce nella sua realtà più intima: non è un aggregato esterno che fortifica la personalità, ma la base costitutiva della sua identità e del suo vincolo al prossimo[47]. La medesima identità personale, la nostra libertà di figli di Dio, è quella che ci permette di coltivare relazioni con le altre persone rispettando le loro posizioni e le loro decisioni, anche quando non le condividiamo. In questo senso, la chiarezza sulla propria posizione non deve essere un fattore di confronto, ma un punto di appoggio per valutare se gli altri accettano le nostre opinioni e noi quelle altrui. Così lo ha spiegato Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti: «Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico»[48].

Perciò la salda coscienza della filiazione divina del cristiano porta a rispettare il prossimo e le opinioni altrui, anche nelle materie dottrinali. Come spiegava san Josemaría sulla base della sua esperienza, «non provo e non ho mai provato avversione per qualcuno; condanno le idee contrarie alla fede o alla morale di Cristo ma, allo stesso tempo, ho il dovere di accogliere con la carità di Cristo tutti quelli che le professano»[49]. In questo senso, l’identità cristiana non si presenta come una realtà identitaria che possa nuocere al pluralismo o ridurlo a un semplice astenersi dal giudicare, ma al contrario lo rafforza nell’aggiungere la carità e il rispetto alla libertà degli altri.

La carità cristiana è una manifestazione della filiazione divina. Questa aspirazione e questo impegno non sono qualcosa di esclusivo di un gruppo di persone, e nessuno può considerarsi in uno status superior per cercare di viverlo, come se fosse una luce speciale e non parte essenziale del messaggio cristiano al quale tutti gli uomini sono chiamati. Le stesse situazioni di confronto o le critiche che si possono ricevere non debbono essere viste come una scusa per disprezzare il prossimo che le emette o giustificare pensieri negativi o pieni di rancore. Spesso dietro questi disaccordi c’è più una mancanza di comunicazione, di formazione e di comprensione che un reale malanimo, per cui l’atteggiamento cristiano è il perdono e un attento ascolto. La carità ci deve indurre sempre ad allargare il cuore: «Le azioni derivano da un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti»[50].

4. Pluralismo e relativismo oggi

Dopo questo breve ripasso di alcuni insegnamenti di san Josemaría, è possibile comprendere con maggiore chiarezza il suo pensiero in materia: la vocazione laicale alla santità propria di chi sa di essere chiamato a essere figlio di Dio significa immergersi nelle questioni del mondo, rispettando le diverse opinioni sul piano temporale e difendendo la libertà personale e quella altrui. Questa posizione non cerca di mettersi da parte tranquillamente – di «mettersi al balcone», come direbbe Papa Francesco[51], guardando da una certa altezza quello che succede per la strada –, ma di potenziare le attività dei fedeli laici, che aggiungeranno alla luce della fede la ricchezza delle diverse posizioni concordate con altri su tanti argomenti opinabili. Naturalmente questa comprensione non è qualcosa di esteriore per un cristiano, un modo di comportarsi in certe occasioni e ancor meno una strategia per avvicinare aderenti: è parte essenziale della chiamata universale alla santità comune a ogni battezzato, parte della sua identità cattolica come figlio di Dio. Il fondamento di questa dottrina sta, dunque, nella secolarità che è propria dei fedeli laici e nella filiazione divina alla quale sono chiamati tutti i cristiani.

Le circostanze politiche e culturali del mondo hanno subito un’evoluzione nel quasi mezzo secolo che è trascorso dalla morte di san Josemaría. La fine del secondo millennio è stata caratterizzata da vari fenomeni politici e tecnologici – la fine della cosiddetta ‘guerra fredda’, il rafforzamento della Unione Europea e la creazione dell’euro, l’irruzione di internet e il mondo digitale, ecc. – che facevano intravedere un futuro più globalizzato e, in un certo senso, unito e fraterno[52]. Però questa maggiore globalizzazione e comunicazione internazionale potrebbe avere anche ripercussioni negative nella società, come avvertiva san Giovanni Paolo II agli inizi del nuovo millennio: «Ciò che sta accadendo è che i cambiamenti nella tecnologia e nei rapporti di lavoro si muovono troppo velocemente perché la cultura sia in grado di rispondere»[53].

In termini generali, questo panorama in Occidente si è incrinato dopo l’attentato alle Torri Gemelle nel 2001 e i nuovi contrasti ai quali ha dato luogo. Negli anni successivi in diversi Paesi europei e americani sono sorti nuovamente movimenti nazionalisti e populisti, che in molti casi hanno comportato crisi sociali, consistenti flussi migratori e una crescente esasperazione politica. In vari Paesi la società è passata da una relativa omogeneità culturale a una convivenza – non priva di tensioni – di differenti concezioni antropologiche e di difesa di una identità. A questo già complesso scenario si è aggiunta la pandemia del 2020 – che con le sue ripercussioni ha scosso buona parte del pianeta –, la guerra tra Russia e Ucraina, e più recentemente il conflitto in Terrasanta. La Chiesa è stata sempre presente in queste difficoltà, e con particolare impegno Papa Francesco, che in numerosi interventi ha sollecitato a dirigere gli sforzi verso l’assistenza dei più bisognosi, i primi a essere danneggiati da queste tensioni internazionali o interne di ogni Paese e del pianeta stesso[54].

La disgregazione sociale ha fatto passi avanti, così come alcune ideologie che hanno messo in discussione le basi della cultura contemporanea. Non si tratta soltanto di un preciso movimento reazionario, ma di una critica alle basi dottrinali che avevano permesso l’edificazione degli Stati nazionali durante il secolo XIX e della democrazia rappresentativa nell’ambito del modello liberale[55]. Come ha suggerito Patrick Deneen, il liberalismo, «che aspirava a promuovere una maggiore uguaglianza, a difendere una multiforme costellazione di differenti culture e credenze, a proteggere la dignità umana e, naturalmente, a diffondere la libertà», ha fallito nelle sue intenzioni, perché la sua instaurazione «genera in pratica una disuguaglianza gigantesca, promuove l’uniformità e l’omogeneità, spinge alla degradazione materiale e spirituale, ed elimina la libertà»[56]. Effettivamente, malgrado lo sviluppo scientifico e tecnologico raggiunto, i progressi fatti dalla democrazia rappresentativa in molti Paesi non hanno dato come frutto una maggiore coesione tra i cittadini.

La libertà di opinione e il pluralismo non assicurano da soli il rispetto reciproco nella società. Manfred Svensson mette in guardia da una armonizzazione frettolosa quando identifichiamo una comunità democratica con una comunità pluralista, e conclude che «il compito della politica non è, dunque, una semplice affermazione della diversità, ma la sua conduzione e articolazione con altri beni»[57]. Fra questi beni si può anche considerare la valorizzazione degli aspetti che contrassegnano la stessa identità comunitaria, che non si possono scindere dalle sue origini e dalla sua storia[58]. Una persona o una società che non sappia riscattare la parte positiva del suo passato e del suo presente personale, rimane vulnerabile nei confronti dei movimenti ideologici e delle mode passeggere, perdendo o almeno indebolendo la propria capacità di libertà[59].

Questo relativismo, che a prima vista potrebbe sembrare anodino, ha finito per dominare buona parte del pensiero occidentale e instaurare l’esigenza di non difendere posizioni proprie: in fin dei conti di non avere una identità o almeno di nasconderla nell’ambito del privato per un malinteso rispetto della libertà degli altri[60]. Il cardinale Ratzinger, nella sua ultima omelia prima di essere eletto Sommo Pontefice, denunciò con forza le conseguenze di questa nuova dottrina: «Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie»[61]. La mancanza di principi, poi, influisce negativamente sulla società: «La moderna perdita di credenze, che riguarda non solo Dio o l’aldilà, ma anche la stessa realtà, fa sì che la vita umana diventi qualcosa di assolutamente effimero»[62].

Perciò, benché si potrebbe concludere che il relativismo imperante dovrebbe favorire il dialogo umano, nel difendere le diverse identità culturali ed evitare le posizioni perentorie, e dunque le occasioni di confronto, la realtà è stata ben diversa. In un mondo che alcuni intellettuali hanno qualificato liquido[63], il senso di appartenenza a una comunità si diluisce a beneficio dell’individualismo, teso alla difesa delle proprie percezioni e delle proprie conoscenze. Ecco perché «il pluralismo richiede non solo che si distinguano alcuni tipi di diversità, ma anche che la pluralità si coordini con altri beni della vita in comune. La società pluralista non solo deve essere pluralista, ma anche, e anzitutto, una società»[64].

In questo mondo contemporaneo, fragile e pieno di crepe, gli insegnamenti che rafforzano l’accordo sociale sono preziosi. Anche se le idee manifestate da san Josemaría bisogna valutarle senza ignorare il tempo trascorso e il cambiamento delle circostanze, oggi possono dare luci importanti, giacché oltretutto gli toccò di vivere in un’epoca di cambiamenti e di problematiche. La vocazione comune ai fedeli laici e la filiazione divina come fondamento della sua identità comportano il rispetto del prossimo e della sua diversità, senza rinunciare alle proprie idee e alle proprie credenze. Lo stimolo del dialogo, dell’amicizia, della conoscenza reciproca e del servizio è la base di un sano pluralismo, oggi tanto necessario. In questa comunicazione reciproca e libera c’è una forza che si riversa nella società e la stimola positivamente.

5. Considerazioni finali

Gli insegnamenti di san Josemaría sul pluralismo sociale continuano a essere in vigore alla luce della realtà presente. È possibile andare a fondo in essi per trovare applicazioni concrete nel nostro mondo di oggi, per rinnovare le modalità di intendersi e dialogare, per alimentare la speranza che sia possibile una maggiore comprensione sociale. Tutti i cristiani – anche grazie alle luci che apportano la fede e la carità – possono essere di aiuto con protagonismo e creatività nelle comunità sociali nelle quali sono destinati a vivere e a partecipare.

Il fatto che l’ambito culturale nel quale san Josemaría diffuse i suoi insegnamenti intorno al pluralismo e alla libertà fosse costituito da un ambiente antropologico più unitario non diminuisce l’interesse per i suoi contenuti. Al contrario, queste stesse idee illuminano il nostro presente e confermano quanto sia importante rafforzare la propria identità cristiana – nei suoi aspetti di fondo come la filiazione divina e pratici come l’esercizio delle virtù che favoriscono la sana convivenza sociale – per dare impulso al dialogo e all’amicizia di cittadini.

In linea con san Josemaría, e a dimostrazione della sua attualità, mons. Fernando Ocáriz ha ricordato negli ultimi anni l’importanza del rispetto delle diverse posizioni degli altri. Già nella sua prima lettera come prelato dell’Opus Dei ha dedicato alcuni passi a questo punto: «È necessario farsi carico della validità delle diverse posizioni, dialogare con altre persone, imparando da tutti»[65]. E in una lettera successiva, dedicata all’amicizia, raccomandava: «Certe maniere di esprimersi possono turbare o rendere difficile la creazione di un ambiente di amicizia. Per esempio, essere troppo categorico nell’esprimere la propria opinione, dare l’impressione che le proprie soluzioni siano quelle definitive o non interessarsi attivamente a ciò che dicono gli altri, sono modi di agire che favoriscono la chiusura in sé stessi. A volte questi comportamenti rivelano l’incapacità di distinguere l’opinabile da ciò che non lo è, oppure la difficoltà a relativizzare temi le cui soluzioni non sono necessariamente univoche»[66].

Come si è detto all’inizio, questo studio non si propone di esaurire il tema del pluralismo negli insegnamenti di san Josemaría. Questi hanno ancora oggi piena attualità e costituiscono uno stimolo per guardare con ottimismo al futuro. Proprio per questo, può essere conveniente continuare ad approfondire ciò che ha scritto, ciò che ha detto, e pensare alle conseguenze concrete che se ne possono ricavare. Aspetti come la relazione tra identità cristiana e libertà, la secolarità e il protagonismo dei laici nella edificazione della società, il rispetto verso il prossimo in un ambiente culturale senza una visione antropologica unitaria, la comprensione delle diverse difficoltà che segnano ogni generazione, le virtù umane e soprannaturali che influiscono nella convivenza sociale, e tanti altri temi appena abbozzati si possono sviluppare se vogliamo dedicare a essi più tempo.

[1] Quando questo articolo è stato scritto erano state pubblicate le edizioni critiche di nove lettere di san Josemaría, quelle numerate dall’1 all’8 in due volumi e la numero 29 in un articolo accademico: cfr. JosemaríaEscrivá, Cartas, vol. I e II, Madrid, Rialp, Edizione critica di Luis Cano, 2020 e 2022, e Luis Cano, “La Carta n. 29 de san Josemaría Escrivá sobre la obra de San Gabriel”, in Studia et Documenta 17, 2023, pp. 279-351.

[2] Cfr., per esempio, Andrés Vázquez de Prada, El fundador del Opus Dei, vol. I-III, Madrid, Rialp, rispettivamente 1997, 2002 e 2003, e José Luis González Gullón - John F. Coverdale, Historia del Opus Dei, Madrid, Rialp, 2021.

[3] Lo stesso si può dire dei suoi insegnamenti, delle sue decisioni concrete e dei relativi risultati. Tra le diverse tendenze storiografiche degli ultimi decenni sono state messe in discussione le relazioni tra presente e passato, e la stessa capacità di conoscere il passato con una certa obiettività rispetto alla valutazione che lo storiografo può fare sulla base delle conoscenze della sua stessa epoca. Per maggiori informazioni al riguardo, cfr. Jaume Aurell, La escritura de la memoria. De los positivismos a los postmodernismos, Valencia, Universitat de València, 2005, pp. 113-147.

[4] Ricardo Yepes S. - Javier Aranguren E., Fundamentos de Antropología, Pamplona, EUNSA, 4ª edizione, 1999, 68.

[5] San Giovanni Paolo II ha trattato dettagliatamente il valore di ogni persona umana nell’enciclica Evangelium vitae, del 25-III-1995, nn. 1-28. Papa Francesco, in occasione dei 25 anni della pubblicazione di questa enciclica, ha dato le seguenti indicazioni: «Cari fratelli e sorelle, ogni vita umana, unica e irripetibile, vale per sé stessa, costituisce un valore inestimabile. Questo va annunciato sempre nuovamente, con il coraggio della parola e il coraggio delle azioni. Questo chiama alla solidarietà e all’amore fraterno per la grande famiglia umana e per ciascuno dei suoi membri», Udienza generale, 25-III-2020.

[6] Real Academia Española, Diccionario de la lengua española, Madrid, 23ª ed. (versione 23.7 in linea), 2014. Accessibile in: https://dle.rae.es (data di consultazione: 23-03-2024).

[7] Il tema è stato trattato recentemente in Manfred Svensson, Pluralismo. Una alternativa a las políticas de identidad, Santiago del Cile, IES, 2022. Nella sua opera l’autore mette in guardia dalla complessità del pluralismo identitario, specialmente nelle pp. 15-36 e 75-130.

[8] «Tra tolleranza e pluralismo c’è effettivamente un legame strettissimo, ma neppure qui dobbiamo partire accettando una identificazione completa. Non si identificano per il semplice fatto che la tolleranza è un tipo specifico di risposta a un tipo specifico di differenza. Non è per la pluralità, per una vaga esistenza di ciò che è differente, che abbiamo bisogno di tolleranza, ma perché esistono differenze che risvegliano in noi alcune obiezioni», M. Svensson,Pluralismo. Una alternativa…, pp. 157-158.

[9] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1777.

[10] «In alcune correnti del pensiero moderno si è giunti a esaltare la libertà al punto da farne un assoluto, che sarebbe la sorgente dei valori. In questa direzione si muovono le dottrine che perdono il senso della trascendenza o quelle che sono esplicitamente atee. […] Abbandonata l’idea di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell’intelligenza della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza dell’individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene e del male e agire di conseguenza», San Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 6-VIII-1993, n. 32.

[11] Per una visione generale dell’argomento, vedere R. Yepes - J.Aranguren, Fundamentos de Antropología…, pp. 132-136.

[12] «Per questo l’uomo ha bisogno di essere illuminato dalla Rivelazione di Dio, non solamente su ciò che supera la sua comprensione, ma anche sulle verità religiose e morali che, di per sé, non sono inaccessibili alla ragione, affinché nella presente condizione del genere umano possano essere conosciute da tutti senza difficoltà, con ferma certezza e senza mescolanza d’errore», Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 38. Si vedano anche i numeri da 2032 a 2051 dello stesso Catechismo.

[13] «Il compito pastorale del Magistero è quindi ordinato a vigilare affinché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera. Per compiere questo servizio, Cristo ha dotato i pastori del carisma dell’infallibilità in materia di fede e di costumi», Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 890.

[14] «L’iniziativa dei cristiani laici è particolarmente necessaria quando si tratta di scoprire, di ideare mezzi per permeare delle esigenze della dottrina e della vita cristiana le realtà sociali, politiche ed economiche», Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 899.

[15] Per esempio, come risaputo, mons. Escrivá durante la guerra civile spagnola visse sulla propria carne le conseguenze delle ideologie contrarie alla libertà religiosa. Cfr. José Luis González Gullón, Escondidos. El Opus Dei en la zona repubblicana durante la guerra civil española (1936-1939), Madrid, Rialp, 2018, pp. 23-77, 113-133, 157-193, 289-367.

[16] José Luis Illanes (a cura di), Conversaciones con monseñor Escrivá de Balaguer, edición crítico-histórica, Madrid, Rialp, 2012, p. 248. La relazione storica fra lo Stato e la Chiesa in Spagna ha caratteristiche proprie che la differenziano da altre nazioni europee come Francia, Inghilterra o Germania, e a maggior ragione da Paesi ubicati in altri continenti. Anche nel XX secolo si manifestò in Spagna questa anomalia, per esempio nella componente religiosa, che determinò la guerra civile. In questo senso, il riferimento di san Josemaría a «nessun altro posto» non si basa sull’ignorare queste differenze ma nel carattere universale dello spirito dell’Opus Dei applicabile a differenti circostanze sociali e culturali.

[17] Per altre informazioni su questa situazione e sui rapporti con l’Opus Dei, cfr. J. L. González Gullón - J. F. Coverdale, Historia del Opus Dei…, pp. 375-387. I quattro ministri erano Gregorio López Bravo (1962-1973), Laureano López-Rodó (1965-1974), Juan José Espinosa (1965-1969) e Faustino García Moncó (1965-1969).

[18] J. L. Illanes, Conversaciones con…, pp. 248-249.

[19] San Josemaría, Carta 2, citata in A. Vázquez de Prada, El fundador del…, vol. I, p. 300. Il testo completo di questa lettera si trova in San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1, Ares, Milano, 2021, pp. 45-68.

[20] San Josemaría Escrivá, Camino, Santiago, Ediciones Proa, identica alla prima edizione del 1939, 1989, pp. 227 e 155.

[21] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 2…, p. 205. Il testo corrisponde al punto 18b della Lettera n. 8. Il corsivo è nell’originale.

[22] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 2…, p. 210. Il testo corrisponde al punto 26b della Lettera n. 8.

[23] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 2…, p. 218. Il testo corrisponde al punto 38c della Lettera n. 8.

[24] Cfr. J. L. González Gullón - J. F. Coverdale, Historia del Opus Dei…, p. 356.

[25] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1…, p. 176. Il testo corrisponde al punto 43c della Lettera n. 3, datata 9 gennaio 1932 e pubblicata per la prima volta il 21 gennaio 1966. Naturalmente questa asserzione non vuol dire ignorare le implicazioni della fede nei diversi aspetti della vita ordinaria dei fedeli.

[26] San Josemaría Escrivá, Cammino, n. 603.

[27] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 2, p. 117. Il testo corrisponde al punto 66a della Lettera n. 6. La lettera è datata 1940, ma è stata pubblicata nel 1963 e tratta le caratteristiche della chiamata all’Opus Dei.

[28] E conclude con un grande senso pedagogico: «Se abbiamo idee diverse e lui mi convince, accetterò la sua opinione; se lo convinco io, la penserà come me; se nessuno dei due convince l’altro, potremo sempre rispettarci, trattarci con benevolenza, convivere pacificamente». I due testi si trovano in San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 2, p. 119. Corrispondono ai punti 68b e 68c della Lettera n. 6.

[29] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 2, p. 119. Le due citazioni corrispondono al punto 69a della Lettera n. 6. Subito dopo, nel punto 69b, fa un esempio molto eloquente: «Non v’è dubbio che a volte si crede di essere completamente nel giusto mentre si ha ragione solo parzialmente, in modo relativo. Un oggetto che per gli uni è concavo, per gli altri è convesso: dipende solo dal punto di vista. È giusto, quindi, studiare con calma, a mente fredda, le ragioni degli altri e prendere in considerazione i processi mentali di chi ci contraddice».

[30] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 2, pp. 120-121. Le citazioni corrispondono ai punti 70a, 70c e 71a della Lettera n. 6. Per una immagine più ampia sull’amicizia in san Josemaría, cfr. Lourdes Flamarique, “Amistad”, in José Luis Illanes (a cura di), Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer, Burgos, Editorial Monte Carmelo, 2013, pp. 99-105.

[31] San Josemaría Escrivá, Cammino, n. 947.

[32] L. Cano, “La Carta n. 29...”, punto 21a, p. 308.

[33] «Occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona anche quando è macchiato da false o meno accurate nozioni religiose. Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori, perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque» (Cost. ap. Gaudium et Spes, n. 28).

[34] «L’uomo giustamente apprezza la libertà e con passione la cerca: giustamente vuole, e deve, formare e guidare di sua libera iniziativa la sua vita personale e sociale, assumendosene personalmente la responsabilità» (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 135).

[35] «Le persone possono sviluppare alcuni atteggiamenti che presentano come valori morali: fortezza, sobrietà, laboriosità e altre virtù. Ma per orientare adeguatamente gli atti delle varie virtù morali, bisogna considerare anche in quale misura essi realizzino un dinamismo di apertura e di unione verso altre persone», Papa Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti, n. 91.

[36] L. Cano, “La Carta n. 29...”, punto 10c, p. 297.

[37] Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 149.

[38] Nella stessa Lettera n. 29 scrisse: «Come tra i primi seguaci di Cristo, nei nostri soprannumerari è presente tutta la società attuale, e lo sarà quella di sempre: intellettuali e uomini d’affari, professionisti e artigiani, imprenditori e operai, uomini della diplomazia, del commercio, delle campagne, delle finanze e delle lettere, giornalisti, uomini del teatro, del cinema e del circo, sportivi. Giovani e vecchi. Sani e malati. Una organizzazione disorganizzata, come la vita stessa, meravigliosa; specializzazione vera e autentica dell’apostolato, perché tutte le vocazioni umane – limpide, degne – diventano apostoliche, divine», L. Cano, “La Carta n. 29…”, p. 298. Il testo corrisponde al punto 11b.

[39] Nel punto 10e della Lettera n. 4 ha indicato al riguardo: «Con le opportune cautele, non dobbiamo respingere nessuno, perché abbiamo gli strumenti spirituali, ascetici e intellettuali sufficienti per non farci guastare. Un figlio di Dio nella sua Opera non deve lasciarsi influenzare dall’ambiente, ma deve essere lui a portare alle persone che gli stanno attorno il proprio ambiente, quello di Gesù Signore nostro, che conviveva con i peccatori e li frequentava», San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1…, n. 10e, p. 247.

[40] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1, pp. 240-241. La citazione corrisponde al punto 6d.

[41] E continua: «Al tempo stesso, per amore della libertà di tutti, rispetterete il parere degli altri su tutto ciò che è opinabile o discende da una scuola di pensiero, perché su tali questioni e su qualunque altra materia temporale l’Opera non avrà mai un’opinione collettiva, a meno che la Chiesa la proponga autorevolmente a tutti i fedeli», San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1, p. 243. La citazione corrisponde al punto 8d.

[42] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1…, p. 244. La citazione corrisponde al punto 8g.

[43] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1…, p. 246. La citazione corrisponde al punto 10a.

[44] «La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 20-21).

[45] «Lo vedete? La libertà acquista il suo autentico significato quando viene esercitata al servizio della verità che redime, quando è spesa alla ricerca dell’Amore infinito di Dio, che ci scioglie da ogni schiavitù. Cresce in me di giorno in giorno l’impulso di proclamare a gran voce l’insondabile ricchezza del cristiano: la libertà della gloria dei figli di Dio!»,San Josemaría Escrivá, “La libertà, dono di Dio” in Amici di Dio, n. 27.

[46] Per un’analisi più dettagliata della libertà in san Josemaría, cfr. Cornelio Fabro, “El primado existencial de la libertad”, in Scripta Theologica 13 (1981/2-3), pp. 323-337, ed Ernst Burkhart - JavierLópez, Vida cotidiana y santidad en San Josemaría. Estudio de teología spiritual, vol. II, Madrid, Rialp, 2011, pp. 161-283.

[47] Ciò non vuol dire che questa identificazione si ottenga pienamente grazie al battesimo, ma che è un cammino da percorrere accogliendo la grazia di Dio e sforzandosi di maturarla nella propria vita. «Chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma dandogli la capacità di seguire l’esempio di Cristo. Lo rende capace di agire rettamente e di compiere il bene. Nell’unione con il suo Salvatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, la santità. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria del cielo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1709).

[48] Papa Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti, n. 143.

[49] San Josemaría Escrivá, Lettere vol. 1, p. 265. La citazione corrisponde al punto 24d.

[50] Papa Francesco, Lett. enc. Fratelli tutti, n. 94.

[51] Papa Francesco ha utilizzato questo termine agli inizi del suo pontificato, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, nel 2013: «Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non “guardate dal balcone” la vita, mettetevi in essa, Gesù non è rimasto al balcone, si è dato da fare; non “guardate dal balcone” la vita, ma immergetevi in essa come ha fatto Gesù», Papa Francesco, Veglia di preghiera con i giovani, Rio de Janeiro, 27-VII-2013.

[52] Si tratta di una affermazione generica, perché in realtà all’epoca vi furono diversi grandi conflitti che avrebbero potuto vanificare questa speranza, come le guerre in Irak, nell’ex Jugoslavia, in Ruanda e nel Congo, in Afghanistan, ecc.

[53] San Giovanni Paolo II, Discorso all’Accademia Pontificia di Scienze Sociali, 27-IV-2001, n. 3. La citazione continua sviluppando il punto: «Le tutele culturali, legali e sociali, che sono il risultato degli sforzi volti alla difesa del bene comune, sono di importanza vitale per far sì che gli individui e i gruppi intermedi mantengano la propria centralità. Tuttavia la globalizzazione spesso rischia di distruggere queste strutture edificate con tanta cura, pretendendo l’adozione di nuovi stili di lavoro, di vita e di organizzazione delle comunità».

[54] In questa materia si distinguono le Lettere encicliche Laudato si’, del 24-V-2015, e Fratelli tutti, del 3-X-2020.

[55] La relazione tra la costituzione dello Stato-Nazione e la generazione di una uniformità culturale civile è stata trattata da diversi autori; per esempio, Bernard Marquardt, Historia Universal del Estado, vol. III, El Estado de la doble revolución ilustrada e industrial (1776-2008), Bogotà, Colombia, Universidad Nacional de Colombia - La Carreta, 2009, pp. 23-112.

[56] Patrick J. Deneen,¿Por qué ha fracasado el liberalismo?, Madrid, Rialp, trad. di David Cerdá, 2018, p. 25. Deneen mantiene uno sguardo particolare sul liberalismo, in quanto sostiene che l’ampio sviluppo raggiunto da questa corrente ha comportato la sua usura e la sua fine. Anche se la sua tesi ha alcuni aspetti discutibili, sembra chiaro che in questi anni sono stati messi in discussione alcuni presupposti liberali e le loro conseguenze sulla società.

[57] M. Svensson, Pluralismo. Una alternativa a la politicas de identidad, p. 132.

[58] Questa premessa è stata sviluppata e spiegata in varie occasioni da Papa Francesco; per esempio: «Abituarsi a rileggere la propria vita educa lo sguardo, lo affina, consente di notare i piccoli miracoli che il buon Dio compie per noi ogni giorno. Quando ci facciamo caso, notiamo altre direzioni possibili che rafforzano il gusto interiore, la pace e la creatività. Soprattutto ci rende più liberi dagli stereotipi tossici. Saggiamente è stato detto che l’uomo che non conosce il proprio passato è condannato a ripeterlo»,Papa Francesco, Udienza generale, 19-X-2022.

[59] Per questo è importante riflettere abitualmente sui fondamenti della nostra identità, rafforzarli interiormente e consolidare la libertà personale in essi; così si evita che di fronte a situazioni inaspettate abbiamo una reazione superficiale o che notiamo una contrapposizione fra la nostra identità e la nostra libertà dove non c’è.

[60] Per altre informazioni generali sul tema, cfr. R.L. Arrington,Rationalism, Realism, and Relativism, Cornell, Londra, University Press, 1989; e Rémi Brague, El reino del hombre: génesis y fracaso del proyecto moderno, Madrid, Ediciones Encuentro, 2016. Il relativismo è arrivato a invischiare la stessa teologia e il suo frutto è stato la “teologia pluralista”. Per un esame critico di questa posizione, si veda José Morales, El valor distinto de las religiones, Madrid, Rialp, 2003.

[61] J. Ratzinger, Omelia nella MessaPro eligendo Pontifice, 18-IV-2005.

[62] La citazione continua: «Mai è stata tanto effimera come ora. E non solo essa è effimera, ma lo è anche il mondo in quanto tale. Niente è costante e durevole. In questa mancanza di Essere nascono il nervosismo e la inquietudine», Byung-Chul Han, La sociedad del cansancio, Madrid, Herder, 2016, p. 46.

[63] Cfr. Zygmunt Bauman, Modernidad liquida, México, Fondo de Cultura Económica, 2003.

[64] M. Svensson, Pluralismo. Una alternativa…, p. 131.

[65] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera, 14-II-2017, n. 17.

[66] Mons. Fernando Ocáriz, Lettera, 1-XI-2019, n. 9.

Romana, n. 78, Gennaio-Giugno 2024, p. 143-155.

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