Lezione sul modo di formare nella direzione spirituale, Lisbona, Portogallo (8-X-2023)
In questa lezione vogliamo ricordare alcune idee che stiamo già cercando di mettere in pratica, anche se, come per tante altre cose, possiamo fare meglio. Naturalmente non è sufficiente ricordare ciò che già sappiamo. Quel che possiamo fare è ricavarne propositi concreti per aiutare meglio i nostri fratelli nella direzione spirituale.
La prima idea da considerare è che la formazione tende a formare Cristo nelle anime. L’obiettivo principale non è recepire delle idee. Naturalmente, è necessario conoscere lo spirito dell’Opera e la figura di nostro Padre, perché siamo una famiglia e la formazione abbraccia molti aspetti. A ogni modo, tutto deve condurre a identificarci con Cristo.
È una chiave fondamentale che non possiamo dimenticare. Non è una bella idea generale, una teoria: è ben più concreta di quanto magari potrebbe sembrare. Quando cerchiamo di aiutare a crescere nelle virtù, quello che cerchiamo è proprio l’identificazione con Gesù Cristo, perfetto Dio e perfetto uomo. Anche noi possiamo unire l’umano e il divino nella nostra quotidianità, vivendo con senso soprannaturale le realtà ordinarie: la famiglia, il lavoro, il riposo, le relazioni di amicizia, ecc.
Possiamo ricordare ciò che diceva nostro Padre a proposito del lavoro di direzione spirituale: «Il modello è Cristo, il modellatore è lo Spirito Santo, mediante la grazia». Se ne possono trarre molte conseguenze pratiche. Che il modellatore sia lo Spirito Santo ci fa concludere immediatamente che, quale che sia il mezzo di formazione (un colloquio fraterno, un circolo da impartire, ecc.), la cosa principale è cercare lumi, perché chi forma è il Paraclito. Logicamente, dobbiamo preparare bene quel che diremo (riflettere, preparare uno schema, consultare le fonti…) ma, prima, durante e dopo, possiamo chiedere aiuto al Signore perché sia Lui ad agire, a modellare. Lo si può fare in molti modi. Per esempio, prima di iniziare una conversazione con qualcuno possiamo pregare così: «Spirito Santo, parla Tu attraverso di me, perché tutta l’efficacia non viene da me ma dalla tua grazia».
Il modello non siamo noi, ma Cristo. Evidentemente, dobbiamo valerci dell’esperienza acquisita nella vita e negli anni trascorsi nell’Opera, ma sarà solo questo, esperienza, perché non siamo noi il referente. Pertanto, non trasmetteremo idee personali. Non vuol dire che non dobbiamo far nostro quello che diciamo, ma che ciò che dobbiamo trasmettere è il Vangelo e lo spirito che Dio ha voluto per l’Opera. È chiaro che poi ognuno lo farà in modo personale, ma premurandosi di evitare qualsiasi personalismo nella trasmissione delle idee. Perciò, dobbiamo saper discernere tra ricorrere alla propria esperienza, che va benissimo per aiutare gli altri, e far passare idee che possono essere del tutto opinabili.
Il fatto di non essere né modelli né modellatori non ci toglie né la responsabilità né il desiderio di aiutare, perché siamo strumenti vivi del Signore. Ecco come dobbiamo inquadrare tutta la formazione: non stiamo trasmettendo qualcosa di nostro, bensì siamo strumenti di Dio.
Nessuno dà ciò che non ha
È normale che, quando diamo un consiglio, ci rendiamo conto che dovremmo seguirlo noi per primi, perché anche noi abbiamo bisogno di migliorare. Vale la pena, infatti, ricordare la scena del Vangelo nella quale il Signore domanda a Pietro per tre volte: «Mi ami?». A ogni risposta affermativa dell’apostolo Gesù replica: «Pasci le mie pecore», che è come se dicesse: «Per poter pascere, orientare e aiutare gli altri, tu hai bisogno, prima di tutto, di amarmi con tutto il tuo cuore».
Ricordo che, durante una tertulia, qualcuno domandò a nostro Padre: «Per noi che siamo direttori o impartiamo mezzi di formazione, qual è la cosa più importante?». Il nostro fondatore rispose: «La cosa più importante per il direttore è il direttore». Quando diamo un consiglio o sviluppiamo un argomento, dobbiamo lottare anche noi su quello stesso punto. Nessuno può dare ciò che non ha, anche se è vero che finiamo per dare più di quello che abbiamo, perché è lo Spirito Santo che modella. Pertanto, la prima cosa è la nostra relazione con Dio.
Per volere di Dio, la nostra vita interiore è il presupposto per poter aiutare gli altri, anche se ci capiterà molto spesso, come la cosa più normale, di dover orientare persone molto migliori di noi, più grandi di età o che da più tempo appartengono all’Opera. Dato che non formiamo grazie alle nostre idee, bensì mediante lo spirito dell’Opera, possiamo aiutare, formare e far crescere tali persone. Le possiamo aiutare proprio perché non stiamo dando del nostro, ma ciò che proviene da Dio, dallo spirito dell’Opera. Non siamo né modelli, né modellatori, ma abbiamo la stupenda responsabilità di essere strumenti del Modellatore e strumenti del Modello.
Nella direzione spirituale orientiamo mediante consigli, e pertanto non possiamo né dare ordini, né impartire comandi. Poche volte potranno essere consigli imperativi e, comunque, non basati sulla nostra autorità ma su quella del Signore. Per fare un esempio assurdo, data la sua evidenza, possiamo dire a una persona che non le è lecito uccidere. Questo è un consiglio imperativo, non perché lo esprimo io ma perché è un comandamento di Dio. Peraltro, non succederà spesso. In tutti gli altri casi, non si danno consigli imperativi del tipo «si deve fare questo». Si cercherà di spiegare l’opportunità del consiglio e i vantaggi che comporta, magari precisando anche le sue applicazioni pratiche, ma lasciando sempre completa libertà.
Al momento di dare consigli e di aiutare a impostare la lotta interiore, sia nella formazione personale che in quella collettiva, è importante non cadere nella casistica. Così si evita di fomentare il volontarismo nelle persone e le si stimola a fare le cose per amore di Cristo. Non è questione solo di sentimenti, perché talvolta, per non dire spesso, l’amore per Cristo non si esprimerà nell’affetto sensibile, ma piuttosto in una decisione seria della volontà e della libertà, in una profonda convinzione. Così coltiviamo la libertà di spirito come capacità di amare il Signore e gli altri. A questo scopo possiamo collegare anzitutto la nostra vita interiore e poi quella degli altri, quando è nostro compito aiutarli, con una dimensione apostolica di zelo per le anime. In altre parole, far emergere la dimensione apostolica che, grazie alla comunione dei santi, ha qualsiasi nostra lotta, per piccola che sia.
Inoltre, nella formazione possiamo mostrare che non siamo soli e consolare la gente, perché nella vita non mancano le difficoltà. In tal modo seminiamo la pace e la gioia. Nostro Padre diceva che una persona dovrebbe sempre uscire da un colloquio di direzione spirituale più contenta e con più voglia di lottare. Dipende molto da chi l’accompagna spiritualmente, dal modo in cui sa consolare, incoraggiare ed esigere. Esigere non dando un comando, ma mostrando la bellezza per la quale vale la pena lottare.
Far sì che l’anima abbia voglia
San Josemaría ripeteva che «la funzione del direttore spirituale è quella di aiutare a far sì che l’anima desideri – che abbia voglia – di compiere la volontà di Dio». Significa che bisogna cercare di ottenere, mediante la preghiera e il modo di esprimersi, che la persona non si senta semplicemente obbligata, ma faccia davvero suo ciò che il Signore le chiede. È naturale che nella vita ci siano obblighi da compiere, il che non ci impedisce di farlo liberamente. Come? Amando. Si può amare il proprio dovere. Così stiamo amando la nostra vocazione, stiamo amando lo spirito dell’Opera, il che ci fa liberi, perché facciamo tutto non per pura routine o perché ce lo hanno detto, ma per amore di Dio. La libertà, infatti, non consiste nel fare quello che ci pare, senza vincoli e mancando ai nostri doveri, ma nel fare qualcosa perché ci va, liberamente, perché è quello che davvero vogliamo.
È importante sostenere questa libertà, favorire che le persone facciano le cose perché vogliono, anche quando costa o si deve farle a denti stretti. Nostro Padre sosteneva che «non è giusto pensare che sia possibile fare con gioia soltanto il lavoro che ci piace». Metterci amore non significa provare entusiasmo per tutto ciò che facciamo. Si tratta di una realtà soprannaturale, ma anche molto umana. I genitori si sacrificano per i loro figli e lo fanno con gioia, anche quando le cose costano o richiedono un grande impegno. Una realtà, che è già pienezza umana, con la grazia di Dio s’innalza all’ordine soprannaturale.
Inoltre, è naturale che aiutiamo le persone a ricevere bene la direzione spirituale, per quanto sta a loro. Pertanto, dobbiamo favorire la sincerità, tenendo presente che nessuno ha l’obbligo di essere sincero nella direzione spirituale. Si è obbligati a essere sinceri nella confessione dei peccati gravi, ma nella direzione spirituale uno non ha l’obbligo morale di dire qualcosa. Bisogna favorire molto la libertà e, al tempo stesso, la sincerità, perché, altrimenti, la direzione spirituale perde gran parte della sua efficacia e del suo valore.
Come agevolare la sincerità? Anzitutto, si può spiegare il valore e la convenienza di questa virtù nelle attività collettive di formazione. Anche in un colloquio fraterno la si può favorire con qualche domanda fatta con delicatezza, non come se si trattasse di un interrogatorio, cosicché si noti che si desidera aiutare la persona ad aprirsi. Non bisogna mai, torno a sottolineare, dare l’impressione di pretendere che racconti cose, ma aiutarla ad aprirsi. Lo si ottiene soprattutto con l’affetto e con la preghiera. È frequente che si riesca a parlare facilmente di qualsiasi cosa, ma talvolta non è così, o perché il tema è delicato, o perché non ci si sa esaminare. Una domanda ben centrata e discreta può aiutare l’altro a conoscersi meglio. Se uno non parla mai di un tema importante, gli si può domandare: «Come va la tal cosa?». Lo si farà sempre con l’atteggiamento di un fratello che vuole aiutare e non giudicare.
La direzione spirituale è uno strumento molto efficace. Sappiamo tutti per esperienza che abbiamo bisogno di qualcuno con cui sfogarci e che dica le cose. Col passare degli anni, può succedere che sappiamo già come risolvere un determinato problema, eppure serve un altro che faccia un po’ di chiarezza su come affrontarlo. A volte, il semplice fatto di aprirci per far presente qualcosa ci riempie di pace. È un esercizio di umiltà e di fede, perché non confidiamo in noi stessi, ma nell’aiuto che Dio ci dà attraverso un’altra persona.
Romana, n. 77, Luglio-Dicembre 2023, p. 192-195.