envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

Lettera del 19 marzo sulla fedeltà a Gesù Cristo e alla vocazione all’Opera secondo gli insegnamenti di san Josemaría

Carissimi, Gesù protegga le mie figlie e i miei figli!

Fedeli, vale la pena!

1. Con questa espressione familiare, che ispirò tanti anni fa una canzone, san Josemaría ci incoraggiava a essere molto fedeli. Ricordo spesso che la cantammo il 23 agosto 1963, durante un corso estivo a Pamplona, in un incontro familiare con nostro Padre. Alcuni di noi notarono che, ascoltandoci cantare queste parole, nostro Padre ripeteva sottovoce “vale la pena, vale la pena”; ci sembrò un’espressione spontanea della sua esperienza viva. Ne era valsa la pena di portare avanti l’Opera: tanto lavoro, tanta sofferenza, tante difficoltà… ma anche tanta gioia. La fedeltà è necessariamente lieta, anche in presenza del dolore; una letizia nel Signore, che è la nostra forza (cfr. Ne 8, 10).

Fedeltà è un concetto ampio, che racchiude diversi significati: “esattezza o diligenza nell’esecuzione di qualcosa”, “copia conforme di un testo”, “compimento scrupoloso di un dovere, di una promessa”, e così via. La fedeltà ha un rilievo tutto particolare nella relazione fra persone, nel suo aspetto umanamente più profondo: l’amore. “La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore”[1]. L’amore autentico è per sé stesso definitivo, è fedele, anche se può venir meno a causa della debolezza umana.

La fedeltà abbraccia tutte le dimensioni della nostra vita, poiché coinvolge la persona tutta intera: intelligenza, volontà, sentimenti, relazioni e memoria. Vorrei che in queste brevi pagine, pensando al centenario della fondazione dell’Opera che si sta avvicinando, ci soffermassimo a meditare solo su alcuni aspetti, guidati soprattutto da testi di san Josemaría.

Fedeltà alla vocazione, fedeltà a Cristo

2. La vocazione cristiana, in qualunque sua espressione, è una chiamata di Dio alla santità. Una chiamata dell’amore di Dio al nostro amore, in un rapporto in cui la fedeltà divina ci precede sempre: Dio è fedele (2 Ts 3, 3; cfr. 1 Cor 1, 9). “La nostra fedeltà non è altro che una risposta alla fedeltà di Dio. Dio che è fedele alla sua parola, che è fedele alla sua promessa”[2].

La fede nella fedeltà divina dà forza alla nostra speranza, nonostante la nostra personale debolezza ci porti a volte a non essere del tutto fedeli nel poco e forse, talvolta, anche nel molto. Ecco allora che la fedeltà consiste nel percorrere, con la grazia di Dio, la strada del figlio prodigo (cfr. Lc 15, 11-32). “La fedeltà a Cristo richiede di rimanere sempre vigili, perché non possiamo confidare nelle nostre povere forze. Dobbiamo lottare continuamente, fino all’ultimo istante del nostro itinerario terreno: è il nostro destino”[3].

Dobbiamo cercare con perseveranza l’unione con il Signore. Questa unione con Gesù la cerchiamo e la troviamo nel lavoro, nella famiglia, in tutto…; soprattutto nell’Eucaristia, nella Penitenza e nella preghiera. E poi, non siamo soli; possiamo contare anche sull’aiuto degli altri, soprattutto nella direzione spirituale personale. Dobbiamo essere grati di poter aprire la nostra anima con sincerità, per ricevere incoraggiamento e consiglio nel cammino di crescita del nostro amore di Dio. Laddove si alimenta il nostro amore, si rafforza la nostra fedeltà: “Innamòrati e non ‘lo’ lascerai”[4].

3. La fedeltà si rivela soprattutto nello sforzo e nella sofferenza. L’esempio di Maria nostra Madre, la Vergine fedele, ci illumina anche in questo: “Perciò può chiamarsi fedeltà solo una coerenza che dura per tutta la lunghezza della vita. Il fiat di Maria nell’Annunciazione ritrova la sua pienezza nel fiat silenzioso ch’essa ripete ai piedi della Croce”[5].

Con l’aiuto di Dio, possiamo essere fedeli, procedere nel cammino di identificazione con Cristo, cosicché i nostri modi di pensare, di voler bene, di vedere le persone e il mondo siano sempre più simili ai suoi, grazie a un continuo cominciare e ricominciare in cui “la consapevolezza della nostra filiazione divina riempie di gioia la nostra conversione”[6]. Si avvererà così nella nostra vita l’esortazione di san Paolo ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2, 5).

4. L’incontro e l’unione con Cristo si compiono nella Chiesa, che è visibilmente un Popolo composto da molti popoli; costitutivamente è Corpo di Cristo e operativamente è sacramento: tutta la salvezza viene da Cristo mediante la Chiesa, soprattutto perché la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa.

Il fatto, sempre verificabile, che la Chiesa è formata da uomini e donne deboli, pieni di errori, come noi, non deve diminuire il nostro amore nei suoi confronti. Non dimentichiamoci mai, soprattutto, che “la Chiesa è questo: Cristo presente in mezzo a noi, Dio che viene incontro all’umanità per salvarla, chiamandoci con la sua rivelazione, santificandoci con la sua grazia, sostenendoci con il suo continuo aiuto nelle piccole e grandi battaglie della vita quotidiana”[7].

La fedeltà a Cristo è, pertanto, fedeltà alla Chiesa. Nella Chiesa cerchiamo di vivere e di alimentare l’unione con tutti, in particolare con i vescovi e, in modo speciale, con il Romano Pontefice, principio visibile di unità nella fede e di comunione. Manteniamo sempre viva in ciascuno di noi quell’aspirazione di nostro Padre: “Omnes cum Petro ad Iesum per Mariam!”.

La fedeltà a Cristo e alla Chiesa significa per noi fedeltà alla nostra vocazione all’Opus Dei, vivendo lo spirito che abbiamo ricevuto da san Josemaría, che è stato ed è per davvero nostro Padre nell’Opera. Lo spiegava così in una lettera di molti anni fa per tutti i suoi figli: “Non posso fare a meno di innalzare la mia anima riconoscente al Signore, dal quale ha origine ogni discendenza in cielo e sulla terra (Ef 3, 15), per avermi dato questa paternità spirituale che, con la sua grazia, ho assunto con la piena consapevolezza di stare sulla terra soltanto per darvi compimento. Per questo, vi amo con cuore di padre e di madre”[8]. Essere figlie e figli fedeli di san Josemaría è il nostro cammino vocazionale per essere figlie e figli fedeli di Dio in Cristo.

Ricorderete poi queste parole di nostro Padre: “La chiamata di Dio esige da noi fedeltà intangibile, ferma, verginale, lieta, indiscussa, alla fede, alla purezza e al cammino”[9]. Ora mi soffermo soltanto a sottolineare la gioia. Una fedeltà che è libera corrispondenza alla grazia di Dio, vissuta con gioia e anche con buon umore. Quanto ci aiuta ricordare anche queste sue parole: “Sul versante umano, voglio lasciarvi in eredità l’amore per la libertà e il buon umore”[10].

5. Considerando la fedeltà nell’Opera, come non andare con il pensiero al beato Álvaro? Ricordo che il 19 febbraio del 1974, in un momento in cui don Álvaro era assente, san Josemaría disse di lui: “Vorrei che lo imitaste in molte cose, ma soprattutto nella sua lealtà […]. Ha avuto sempre un sorriso e una fedeltà incomparabili”[11]. Rivolgo spesso lo sguardo alle parole della Scrittura vir fidelis multum laudabitur (Prv 28, 20: “l’uomo leale sarà colmo di benedizioni”), incise sull’architrave di una porta della Villa Vecchia, che immette proprio nella stanza che don Álvaro occupò per molti anni.

Innalzo la mia anima al Signore ringraziando anche per la fedeltà di tante donne e di tanti uomini che ci hanno preceduto nel cammino e ci hanno lasciato una testimonianza preziosa del “vale la pena” che ho evocato all’inizio di queste pagine.

Nostro Padre diceva che ogni persona che si avvicina all’Opera, anche per poco tempo, conserverà sempre il nostro affetto. Si riferiva anche a coloro che sono rimasti per un certo tempo nell’Opera e poi hanno intrapreso altre strade; e a chi, in qualche caso, si fosse sentito ferito chiediamo perdono di tutto cuore.

Fedeltà apostolica

6. La vocazione cristiana alla santità, all’identificazione con Cristo, è sempre e comunque vocazione apostolica: “Non è possibile scindere vita interiore e apostolato, come non è possibile scindere in Cristo la sua condizione di Dio-Uomo e la sua missione di Redentore”[12].

In ogni epoca – nella nostra lo osserviamo in misura impressionante – c’è nel mondo una sete immensa di Dio, spesso inconsapevole. Si avverano una volta ancora le parole del profeta: “Ecco, verranno giorni – oracolo del Signore Dio – in cui manderò la fame nel paese; non fame di pane né sete di acqua, ma di ascoltare le parole del Signore” (Am 8, 11).

Quante volte avremo meditato la vibrante esortazione di san Josemaría: “Carissimi: Gesù ci sprona. Vuole essere innalzato di nuovo, non sulla Croce, ma nella gloria di tutte le attività umane, per attirare a sé tutte le cose (Gv 12, 32)!”[13].

Quando si sperimentano le difficoltà che la vita cristiana trova in questo mondo (ateismo, indifferenza, relativismo, naturalismo materialistico, edonismo…), viene in mente l’affermazione di san Giovanni: “Non amate il mondo, né le cose del mondo!” (1 Gv 2, 15), che si riferisce a ciò che nel mondo si oppone a Dio e che egli compendia nella triplice concupiscenza (cfr. 1 Gv 2, 16). Ma, allo stesso tempo, il mondo, creato da Dio, è buono: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).

7. Sforziamoci di “amare il mondo appassionatamente”[14], come nostro Padre, perché è il luogo del nostro incontro con Dio e la via che conduce alla vita eterna. Un amore che esclude la mondanità: siamo del mondo, ma non per questo desideriamo essere mondani. Per esempio, viviamo lo spirito e la pratica della povertà, che ci libera da tanti legami e ci fa ascoltare, con atteggiamento positivo, san Paolo che ci assicura: “Tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 22-23). La testimonianza di persone che vivono con sobrietà e austerità è, oggi e sempre, un modo di essere sale e luce in questo mondo che siamo chiamati a trasformare con l’amore di Cristo.

Davanti a questa realtà – “tutto è vostro” –, ci rallegriamo delle gioie degli altri, godiamo di tutte le cose buone che ci circondano e ci sentiamo ingaggiati dalle sfide dei giorni nostri. Allo stesso tempo, siamo colpiti nel profondo dell’anima dall’attuale condizione del mondo, in particolare dalla triste realtà della guerra e da altre situazioni di grande indigenza e di sofferenza che affliggono tantissime persone, soprattutto le più deboli. Ma, ripeto, non soccombiamo al pessimismo; invece, ravviviamo la fede nella vitalità del Vangelo, che “è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rm 1, 16), e la fede nei mezzi: preghiera, mortificazione, Eucaristia!, e lavoro. Così manterremo una visione del mondo ricca di speranza.

La fede è la base della fedeltà. Non è fiducia vana nelle nostre capacità umane ma fede in Dio, che è fondamento della speranza (cfr. Eb 11, 1). “Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme”[15].

Ascoltiamo ancora nostro Padre: «Se sarete fedeli, il Signore, per mano vostra, opererà meraviglie, come frutto della vostra silenziosa e umile abnegazione. Rivivrete quel passo di san Luca: “I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: ‘Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome’ (Lc 10, 17)”»[16].

Fedeltà alla vocazione e vita ordinaria

8. Nella vita di ciascuno possono darsi, di tanto in tanto, circostanze fuori dal comune, ma sappiamo bene che l’unione con il Signore e la nostra missione apostolica, svolta insieme con Lui, si realizzano fondamentalmente nella vita ordinaria: famiglia, professione, amicizie, doveri sociali…: «Essa è il principale luogo del nostro incontro con Dio»[17], ci ricordava don Javier in uno dei suoi primi scritti.

Trovare il Signore nell’intero trascorrere di ogni giornata significa scoprire il valore del poco, delle piccole cose, dei dettagli in cui possiamo continuamente dimostrare l’amore di Dio e del prossimo. Gesù stesso ci ha detto: “Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti” (Lc 16, 10). Una fedeltà nel poco che il Signore premia con la grandezza della sua stessa gioia (cfr. Mt 25, 21).

La nostra esperienza ci dimostra che la fedeltà nel poco non è pochezza; tutt’altro: “La perseveranza nelle piccole cose, per Amore, è eroismo”[18]. È l’amore che conferisce il valore più grande a tutti gli sforzi umani. La fedeltà è fedeltà a un impegno preso per amore, e l’amore di Dio è il senso ultimo della libertà. Questa libertà di spirito dona la capacità di amare ciò che deve essere fatto, anche quando comporta un sacrificio, e allora possiamo sperimentare ciò che Gesù ci assicura: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11, 29-30). Sant’Agostino spiega: “Quando uno ama, le fatiche non sono in alcun modo pesanti […]. Quando si ama, non si fatica, o, se si fatica, questa stessa fatica è amata”[19].

9. Sappiamo bene che trovare Dio, amare Dio, è inseparabile dall’amare e dal servire gli altri; che i due comandamenti della carità sono inseparabili. Con l’amore fraterno, che è segno certo di vita soprannaturale, costruiamo la nostra fedeltà e rendiamo più lieta la fedeltà degli altri: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (1 Gv 3, 14). Con che forza san Josemaría ci invita a vivere la fraternità: “Cuore, figli miei, mettete cuore nel servirvi gli uni gli altri. Quando l’affetto è mediato dal Sacratissimo Cuore di Gesù e dal Dolcissimo Cuore di Maria, si esercita la carità fraterna in tutta la sua forza umana e divina. Incoraggia a portare il peso, alleggerisce il carico, assicura la gioia nella lotta. Non è una cosa appiccicosa, ma al contrario rafforza le ali dell’anima per librarsi più in alto; la carità fraterna, che non cerca il proprio interesse, permette di prendere il volo per lodare il Signore sacrificandosi volentieri”[20].

Dato il posto che ha il lavoro nella nostra vita quotidiana, potremmo considerare, anche in un esame di coscienza, le tante sfaccettature del “santificare il lavoro, santificarsi nel lavoro, santificare con il lavoro”[21]. Ora vorrei invitarvi a meditare su come possiamo trasformare meglio il lavoro in preghiera, che non è solo questione di fare qualche pia devozione mentre lavoriamo. Nostro Padre ce lo ha spiegato in tanti modi. Rileggiamo queste sue parole: “Fate dunque il vostro lavoro con la consapevolezza che Dio lo sta guardando: laborem manuum mearum respexit Deus (Gen 31, 42). Il nostro lavoro, quindi, deve essere santo e degno di Lui: non solo completato fino all’ultimo dettaglio, ma svolto con rettitudine, probità, onestà, lealtà, giustizia. In questo modo il vostro lavoro professionale non sarà solo buono e santo ma, in quanto tale, sarà anche preghiera”[22].

Spesso nel lavoro facciamo esperienza anche dei nostri limiti e dei nostri difetti; se però, nonostante tutto, facciamo uno sforzo per sapere che “Dio ci guarda, sentiremo risuonare per noi le parole di san Paolo: “La vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Cor 15, 58), che nostro Padre riassumeva così: “Nulla va perduto”.

Ciò che è permanente e ciò che può cambiare nella vita dell’Opera

10. La fedeltà alla propria vocazione nell’Opera ha un rapporto necessario con la fedeltà istituzionale, cioè con la permanenza dell’Opera come istituzione, nella fedeltà al volere di Dio su di essa così come lo ha tramandato il fondatore.

Nel 2016 don Javier ci ricordava queste parole di san Josemaría: “Come l’identità della persona rimane la stessa attraverso le varie tappe della crescita: infanzia, adolescenza, maturità...; così c’è, nel nostro sviluppo, un’evoluzione: altrimenti saremmo un cadavere. Il nucleo, l’essenza, lo spirito, rimangono immutati, ma evolvono i modi di dire e di fare, sempre vecchi e nuovi, sempre santi”[23].

Commentando questo testo, ho considerato allora che è soprattutto nell’apostolato personale, che nell’Opera è il più importante, e in quello che consiste nell’orientare cristianamente professioni, istituzioni e strutture umane, che cerchiamo di avere iniziativa e creatività, per far nascere un rapporto di amicizia sincera con tante persone e portare alla società la luce del Vangelo. Questa stessa iniziativa e questa stessa creatività ci spingono inoltre a individuare nuove attività apostoliche nel mare senza sponde che lo spirito dell’Opera ci mette davanti.

11. Questa creatività si può intendere come una declinazione di ciò che talvolta si definisce fedeltà dinamica, o anche fedeltà creativa. Una fedeltà che esclude tanto una superficiale smania di cambiamento quanto un atteggiamento aprioristicamente contrario a tutto ciò che è o appare come una certa novità. “La nostra vocazione ci colloca all’origine stessa dei sani cambiamenti che avvengono nella società e ci consente di far nostri i progressi di qualsiasi epoca”[24]. Pertanto, dobbiamo comprendere e condividere le aspettative dell’epoca in cui viviamo e, allo stesso tempo, cercare di non adattarci a qualsiasi moda o consuetudine, per quanto attuale e diffusa possa essere, se è contraria allo spirito che Dio ci ha trasmesso attraverso il nostro fondatore, comprese quelle che sono inadeguate allo stile umano e al clima di famiglia dell’Opera. Proprio per questo “non ci sarà mai bisogno di adattarsi al mondo perché siamo del mondo. Non dovremo rincorrere il progresso umano, perché siamo noi, figli miei, siete voi assieme agli altri uomini che vivono nel mondo a forgiare il progresso con il vostro lavoro ordinario[25].

È bene anche tener presente che, circa le decisioni che valgono per tutta l’Opera (per esempio quelle che riguardano le attività di formazione spirituale: circoli, meditazioni, ritiri, ecc.), è logico che il discernimento dell’opportunità di eventuali cambiamenti sia in ultima istanza di competenza del Padre con il Consiglio Generale e l’Assessorato Centrale. D’altra parte, non tutti i cambiamenti a questo livello sono irrilevanti in rapporto allo spirito dell’Opera, e perciò devono essere studiati con prudenza. Da parte vostra, non esitate a proporre progetti apostolici a coloro che dirigono l’attività dell’Opera, con spirito di iniziativa e insieme di unità – senza smettere di remare assieme –, con il desiderio di portare la gioia del Vangelo a tante persone. Siate comunque certi che “non siamo da soli a fare l’Opera, né contiamo solo sulle nostre povere forze, ma sulla forza e sulla potenza del Signore”[26].

12. Con la fedeltà di ognuno di noi e con la responsabilità di tutti nel conservare la fedeltà istituzionale, nonostante i nostri limiti, sostenuti dalla grazia di Dio potremo costruire, attraverso le alterne vicende storiche, la continuità dell’Opera nella fedeltà alla sua origine. Si tratta della continuità essenziale tra passato, presente e futuro, propria di una realtà viva. Nel 2015 don Javier ci incoraggiava a chiedere a san Josemaría che l’Opera arrivasse al 2 ottobre 2028 con la stessa forza e freschezza di spirito che aveva nostro Padre il 2 ottobre 1928.

Potrà compiersi così, per la misericordia di Dio, ciò che vide san Josemaría: “Vedo l’Opera proiettata nei secoli, sempre giovane, vivace, bella e feconda, a difendere la pace di Cristo perché ne goda il mondo intero. Contribuiremo a far sì che nella società siano riconosciuti i diritti della persona umana, della famiglia, della Chiesa. Il nostro lavoro farà scemare gli odi fratricidi e la diffidenza tra i popoli. Le mie figlie e i miei figli, fortes in fide (1 Pt 5, 9), saldi nella fede, sapranno ungere tutte le ferite con l’olio della carità di Cristo, che è un balsamo soavissimo”[27].

Roma, 19 marzo 2022

[1] Benedetto XVI, Discorso, 12-V-2010.

[2] Papa Francesco, Omelia, 15-IV-2020.

[3] San Josemaría, Lettera 28-III-1973, n. 9.

[4] San Josemaría, Cammino, n. 999.

[5] San Giovanni Paolo II, Omelia, 26-I-1979.

[6] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 64.

[7] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 131.

[8] San Josemaría, Lettera 6-V-1945, n. 23.

[9] San Josemaría, Lettera24-III-1931, n. 43.

[10] San Josemaría, Lettera 31-V-1954, n. 22.

[11] San Josemaría, Note di una riunione familiare, 19-III-1974.

[12] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 122.

[13] San Josemaría, Istruzione, 1-IV-1934, n. 1.

[14] San Josemaría, Colloqui, n. 118.

[15] Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, n. 31.

[16] San Josemaría, Lettera 24-III-1930, n. 23.

[17] Mons. Javier Echevarría, Lettera pastorale, 28-XI-1995, n. 16.

[18] San Josemaría, Cammino, n. 813.

[19] Sant’Agostino, De bono viduitatis, 21, 26.

[20] San Josemaría, Lettera 14-II-1974, n. 23.

[21] Cfr. San Josemaría, Colloqui, n. 55.

[22] San Josemaría, Lettera 15-X-1948, n. 26.

[23] San Josemaría, Lettera 29-IX-1957, n. 56.

[24] San Josemaría, Lettera 14-II-1950, n. 21.

[25] San Josemaría, Lettera 9-I-1932, n. 92.

[26] Mons. Javier Echevarría, Lettera pastorale, 28-XI-1995, n. 11.

[27] San Josemaría, Lettera 16-VII-1933, n. 26.

Romana, n. 74, Gennaio-Giugno 2022, p. 66-73.

Invia ad un amico