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30 settembre - Omelia nella Messa di ringraziamento Cardinal Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma Basilica di San Giovanni in Laterano, Roma, 30-IX-2014

Cari fratelli e sorelle!

Celebriamo la santa Eucaristia per lodare e benedire il Signore per la grazia della beatificazione del vescovo Álvaro del Portillo, prelato dell’Opus Dei, avvenuta sabato scorso a Madrid.

1. Nella prima lettura il profeta Ezechiele, parlando a nome di Dio, ci ha rivelato l’amore premuroso del Signore che prende continuamente l’iniziativa per salvare il suo gregge: «Io stesso — dice il Signore — cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna… Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte»[1]. Dio cerca le sue pecore, soprattutto “le pecore disperse”, le conduce su pascoli erbosi e le fa riposare. È davvero consolante e incoraggiante sapere che il Signore non ci abbandona mai, perché ci ama. Dio ci precede sempre, conosce le nostre necessità, anticipa le nostre richieste e, prima ancora che ci rivolgiamo a Lui per invocare sostegno e protezione, Egli agisce, ci preserva dal male, e crea nuove opportunità di bene. Consapevoli di questo costante amore preveniente del Padre, possiamo con gioia confessare a Lui la nostra gratitudine, con le parole del salmo: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla»[2].

2. Il Vangelo ci ha ricordato che l’amore di Dio verso di noi è andato ben oltre. Gesù, il Figlio di Dio, ha mutato il concetto stesso di pastore, allorché si è autodefinito il “buon pastore”, che non solo guida il gregge e si prende cura di esso, ma dà la vita per il gregge: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore»[3]. Sulla croce Gesù ha dato tutto sé stesso per noi e con la sua risurrezione ci ha comunicato la vita divina con l’effusione dello Spirito Santo, che nel Battesimo ci ha resi figli, partecipi dello stesso destino del Figlio e membri della sua famiglia, la Chiesa. Gesù risorto è la Vita[4] senza fine: in Lui possiamo rivolgerci a Dio, come figli al Padre, e ripetere con san Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»[5].

3. Fratelli e sorelle, con questa certezza di fede è vissuto il beato Álvaro del Portillo. Nato a Madrid nel 1914, all’età di 21 anni (nel 1935) entrò a far parte dell’Opus Dei e ben presto il santo fondatore trovò in lui il collaboratore più valido e fedele. Ordinato sacerdote nel 1944, dal 1946 è vissuto quasi per cinquant’anni a Roma, dove è morto nel 1994. Era tale la stima di san Josemaría Escrivá per don Álvaro che il giorno stesso dell’ordinazione sacerdotale lo scelse come suo confessore. La dedizione alla Chiesa di questo figlio e fratello gli procurò la fiducia della Santa Sede, che gli affidò molteplici incarichi, sia durante il Concilio Vaticano II, sia successivamente in vari dicasteri della Curia Romana. Nel 1975, eletto primo successore di san Josemaría alla guida dell’Opera, si prodigò intensamente per ottenere dalla Chiesa la configurazione canonica più adeguata al carisma fondazionale, individuata nella Prelatura personale, della quale è stato il primo prelato. San Giovanni Paolo II volle elevarlo all’episcopato, e il 6 gennaio 1991 gli conferì l’ordinazione episcopale. Il 23 marzo 1994, poche ore dopo il rientro da un pellegrinaggio in Terra Santa, il Signore lo chiamò a Sé.

4. Il novello beato credeva profondamente e intensamente che Dio, in Gesù, ci ama, ci dà la vita, ci introduce nella sua famiglia, la Chiesa, si prende cura di noi e ci guida con affetto paterno per farci raggiungere il nostro vero bene. E lui si è innamorato di Cristo, si è lasciato amare da Lui, ha aperto il suo cuore e si è abbandonato totalmente al Signore. Così è vissuto e per questo ideale ha speso la sua vita sacerdotale, insegnando che il nostro atteggiamento intimo non può essere altro che quello di chi, in ogni momento della vita, nelle piccole vicende quotidiane come in quelle più impegnative e dolorose, cerca di scoprire qual è la volontà di Dio e si sforza generosamente di assecondarla. In questo consiste la vocazione cristiana, che è vocazione alla santità a cui tutti siamo chiamati; una santità accessibile a tutti, da vivere nell’ordinarietà della vita quotidiana. Chi lo ha conosciuto ha testimoniato che egli “trasmetteva l’urgenza dell’amore di Dio. Metteva delicatamente ciascuno davanti alla propria responsabilità di amare Dio e le anime”.

Egli condivideva pienamente il carisma che il Signore aveva donato a san Josemaría e lavorò senza risparmio — con “audacia apostolica”, come soleva invitare a fare il santo fondatore — perché tutti trovassero Dio e rispondessero alla propria vocazione. Nel matrimonio e nella famiglia, come nel sacerdozio o in altre possibili forme di vita cristiana, il progetto di Dio ci svela quale sia la sua volontà per il nostro vero bene, e con la sua grazia a esso ci chiama a prestare attenzione, ascoltando le ispirazioni dello Spirito Santo e mettendole in pratica con generosità. L’abbandono alla volontà amorevole di Dio è la fonte della gioia di cui deve essere intrisa la vita di ogni cristiano.

In riferimento al progetto che Dio ha per ciascuno di noi, in una delle sue lettere pastorali il novello beato scriveva: questo progetto «ha assunto la nostra esistenza con un carattere di totalità e di esclusività: non ci sono — non vi possono essere — altre finalità nella nostra volontà, altre aspirazioni nei nostri cuori, altri pensieri nella nostra intelligenza che non siano pienamente sottomessi al disegno misericordioso che Dio ci ha mostrato»[6].

5. Nella seconda lettura san Paolo, parlando di sé, dichiara di essere ministro della Chiesa «secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento… il mistero nascosto da secoli e da generazioni»[7].

Gesù è l’unico Pastore, ma nella storia egli compie la sua opera servendosi di noi uomini come suoi strumenti e operatori di bene. Nella molteplicità dei doni e dei carismi, è certamente di rilievo il ministero di coloro che, avendo ricevuto la grazia del sacerdozio ministeriale, agiscono in persona di Cristo per essere dispensatori della Parola mediante l’opera di evangelizzazione, dispensatori della grazia dei sacramenti e sono guide pastorali nel cammino verso la salvezza.

Il beato Álvaro del Portillo esercitò il sacerdozio, e poi l’episcopato, nella luce di una piena “paternità spirituale”. Con la sua umiltà, delicata e attenta, cercava di comprendere sempre i bisogni e le attese delle persone, facendosi vicino a tutti con amor di padre. Per lui il ministero era esercizio di paternità, e la paternità si esprimeva nel ministero. Ecco perché incoraggiava sempre a spendersi generosamente nell’apostolato. Egli diceva: “Sono molte le persone che ci vivono attorno senza conoscere Cristo. Stanno aspettando che ci occupiamo di loro”. La sua carità pastorale si esprimeva anche facendosi instancabile promotore di attività sociali, di opere di misericordia, di ospedali, di istituti scolastici, di università, diffusi in tutto il mondo.

Di fronte all’avanzare della secolarizzazione, egli sollecitava i membri dell’Opera, particolarmente i laici, ad animare cristianamente con la luce del Vangelo tutti gli ambienti di vita. “Non ci sia — egli diceva — alcuna sfera della società civile che resti preclusa alla luce di Cristo. Recuperate questo mondo che sfugge per restituirlo a Dio”.

Lo scopo era la convinzione profonda che Cristo «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità»[8]. Per questo, tutti i membri della Chiesa siamo chiamati a cooperare alla missione. Lo ha ripetuto con forza il Santo Padre Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo-missionario (cfr. Mt 28, 19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione»[9]. «Partecipare a un compito così grande — ha scritto il beato Álvaro del Portillo — comporta, da una parte, una specialissima responsabilità, di cui tutti dovremo rendere conto a Dio; dall’altra, è un grandissimo onore che ci elargisce la Trinità Beatissima e un segno non meritato da noi dell’affetto e della fiducia del Signore verso i suoi figli»[10].

Per i laici, in particolare, “ciò deve realizzarsi nell’adempimento del lavoro professionale e dei doveri ordinari vissuti eroicamente, con una visione soprannaturale, per santificare sé stessi e le realtà temporali con cui ognuno si trova in contatto ogni giorno”[11]. L’orizzonte di quest’apostolato è sconfinato: inizia dalla propria famiglia — Chiesa domestica[12] —, da costruire giorno dopo giorno. Si estende, poi, agli amici e ai colleghi di lavoro, a quelli che incontriamo occasionalmente, fino a sentirci responsabili del bene comune della società. Tutto ciò senza distinzioni, perché il Signore ama tutti e non esclude nessuno dallo zelo apostolico che si deve manifestare in ogni istante della vita.

6. Della vita pastorale del novello beato vorrei ricordare, in particolare, il suo ministero verso la santa Eucaristia e il sacramento della Penitenza.

In primo luogo l’Eucaristia, il memoriale della morte e della risurrezione del Signore, che rende presente e attualizza, attraverso i segni sacramentali, la realtà del sacrificio della croce, posto una volta per tutte al vertice della storia umana. Il Concilio Vaticano II ha esortato i cristiani a fare in modo, nelle forme possibili, che la santa Messa sia ogni giorno «il centro e la radice di tutta la nostra vita»[13]. Il beato Álvaro ne era profondamente convinto, tanto che alcune volte faceva il suo ringraziamento alla Messa ad alta voce, con semplicità e devozione, allo scopo di coinvolgere i fedeli nell’amore per Gesù Eucaristia e per aiutarli a parlare con Dio.

Con altrettanto zelo egli celebrava il sacramento della Confessione, «il sacramento della gioia», come amava definirlo san Josemaría Escrivá. Il beato Álvaro diceva che ogni volta che lo riceviamo, sinceramente pentiti dei nostri peccati, ci buttiamo fiduciosi nelle braccia aperte di Dio nostro Padre, che ci accoglie amorevolmente, ci perdona e ci assicura l’aiuto della grazia per riprendere o proseguire il nostro cammino uniti a Lui. Il beato si avvicinava ogni settimana con grande fede a questo sacramento, dando un esempio di umiltà e fiducia nell’amore di Dio, e incoraggiava ad accostarsi spesso alla confessione per sentire la tenerezza di Dio.

7. Cari fratelli e sorelle, l’esempio dei santi ci incoraggi a percorrere anche noi con audacia e fedeltà la strada della santità. Preghiamo il beato Álvaro e la Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, di accompagnarci nel nostro cammino di figli di Dio, docili alla Sua volontà, per vivere in pienezza la nostra vocazione e per testimoniarla ogni giorno. Amen.

[1] Ez 34, 11; 15-16.

[2] Sal 23 (22), 1b.

[3] Gv 10, 11.

[4] Cfr. Gv 14, 6.

[5] Gal 2, 20.

[6] BEATO ÁLVARO DEL PORTILLO, Lettera pastorale, 1 dicembre 1987, in Lettere pastorali, vol. I, p. 362.

[7] Col 1, 25-26.

[8] 1 Tm 2, 4.

[9] PAPA FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24-XI-2013, n. 120.

[10] BEATO ÁLVARO DEL PORTILLO, Lettera pastorale dell’1-XI-1988, in Orar como sal y como luz (a cura di J. A. LOARTE), Barcellona 2013, pp. 210-211.

[11] GABRIELE DELLA BALDA, Álvaro del Portillo — Il Prelato del sorriso che guidò l’Opus Dei, p. 8

[12] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 11 b.

[13] CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 14 b.

Romana, n. 59, Luglio-Dicembre 2014, p. 246-250.

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