Omelia nella Santa Messa di ringraziamento, celebrata il 28 novembre 1987 nella Chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace, nel 5º anniversario dell'annuncio ufficiale dell'erezione dell'Opus Dei in Prelatura personale.
Cantate e inneggiate al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo grazie sempre e per ogni cosa a Dio Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo[1].
Oggi è per noi una giornata di ringraziamento, perché celebriamo il quinto anniversario del giorno in cui il Santo Padre Giovanni Paolo II rese pubblica la sua decisione di erigere l'Opus Dei in Prelatura personale. Dal punto di vista giuridico, il processo di erezione canonica fu completato il 19 marzo 1983, quando il Delegato del Papa, Mons. Romolo Carboni, allora Nunzio della Santa Sede in Italia, diede esecuzione alla Costituzione Apostolica Ut sit, datata 28 novembre 1982, nel corso di una solenne cerimonia liturgica celebrata nella Basilica di Sant'Eugenio.
E' passato dunque un lustro dal compimento di un progetto ardentemente desiderato dal nostro amatissimo Fondatore, un progetto che fu oggetto della sua speciale preghiera, dei suoi sacrifici e delle sue cure di Padre e Pastore per moltissimi anni. Il Signore non volle che in vita egli lo vedesse fatto realtà, ma ci immaginiamo la sua gioia in Cielo al vederlo compiuto. Finalmente era aperta la strada appropriata per l'Opus Dei sulla terra, mediante una formula giuridica perfettamente adeguata al carisma posto da Dio nell'anima del nostro Fondatore, il 2 ottobre 1928. La Santa Sede riconosceva solennemente, per bocca del Vicario di Cristo, ciò che il nostro amatissimo Padre aveva sempre affermato: l'Opus Dei è una porzione del Popolo di Dio pellegrino sulla terra, formata da uomini e donne, da sani e infermi —da persone appartenenti a tutti gli strati sociali, in intima e stretta unità di spirito, di fine, di regime e di formazione[2] -, che non solo rispetta, ma promuove e difende le caratteristiche proprie e personalissime di ciascuno.
Deo gratias! E' questo un giorno adattissimo per elevare il nostro cuore a Dio e ringraziarlo. E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, lodarti e ringraziarti sempre per i tuoi benefici, Dio onnipotente ed eterno[3]. E' così logico, umanamente e divinamente logico, ringraziare! Dice un antico adagio che l'esser grati è proprio dei ben nati, e noi siamo nati da Dio alla vita della Chiesa, con una vocazione di servizio a tutte le anime, secondo lo spirito specifico trasmessoci dal nostro Fondatore.
Nel prefazio della Messa di oggi dichiariamo che, ringraziando Dio, non lo innalziamo né aumentiamo di un apice la sua gloria: te non augent nostra praeconia, sed nobis proficiunt ad salutem[4]. Nel ringraziare Dio per Christum Dominum nostrum, per Cristo nostro Signore, siamo noi ad arricchirci, e la fede, la speranza e l'amore si accrescono nella nostra anima.
E come ringrazieremo? Ce ne suggerisce il modo Sant'Agostino, in un testo dell'odierna liturgia delle ore. Fintanto che camminiamo sulla terra, ci dice il Santo Vescovo d'Ippona, "cantiamo per riposare dalla fatica del lavoro, non per godere il riposo. Canta come sono soliti fare i viandanti: canta e cammina! Non amare la pigrizia, quando canti per consolarti dello sforzo! Canta e cammina! E che significa camminare? Progredire costantemente nel bene"[5].
Canta et ambula! Cantare vuol dire trasformare l'intera nostra esistenza in un inno di lode a Dio, mediante l'unità di vita. Il Signore ci ha dato questa meravigliosa possibilità, benedicendoci con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto[6]. Dio ha chiamato ciascuno di noi, non in modo generico, ma personalmente, per nome. Tu stesso l'hai detto, Signore: vocavi te nomine tuo: meus es tu![7], ci hai chiamato con tanto affetto, come Padre e come Signore. Come Padre, usando —quanto piaceva al nostro amatissimo Fondatore ricordarlo!— il nomignolo familiare, come fa un padre quando si rivolge a un figlio piccolo; come Signore, dicendoci imperiosamente: meus es tu! E noi ti abbiamo risposto: ecce ego quia vocasti me![8], eccoci, perché ci hai chiamato. Da allora in poi, con impegno ogni giorno rinnovato, cerchiamo di trasformare la nostra esistenza, con la grazia divina, in un inno di lode a Dio. La nostra vita si fonde in una sinfonia soprannaturale senza dissonanze, pienamente unitaria e armoniosa, perché riconosciamo di essere del Signore e vogliamo fare tutto per Lui, per la sua gloria, nel miglior modo possibile. Ecco che cosa significa per noi cantare.
Ma la gratitudine si dimostra anche con opere, non solo con parole. Per questo ci sforziamo, con la grazia di Dio, di rispondere quotidianamente con generosità alla nostra vocazione divina, avanzando lungo il sentiero aperto per noi dal Signore. "Ci sono alcuni che, come insegna l'Apostolo, avanzano sulla strada del male. Tu, se vai avanti —continua Sant'Agostino—, stai camminando. Ma progredisci nel bene, nella retta fede, nei buoni costumi. Canta e cammina!"[9].
Canta et ambula! Nostro Padre ha sempre messo in pratica questo consiglio, nel corso della sua vita. Dall'angolo appartato dove lavorava, governando l'Opus Dei, al servizio di tutta la Chiesa, o viaggiando per le strade d'Europa e del mondo in estenuanti viaggi apostolici, ovunque si trovasse cantava e camminava: dava continuamente gloria al Signore e gettava la semente del suo amor di Dio —come il seminatore che sparge il buon grano— perché attecchisse nel cuore degli uomini.
Così dobbiamo comportarci noi, figli miei: da apostoli di Cristo, in ogni circostanza. Oltre a rendere grazie a Dio con le nostre labbra, dobbiamo dimostrare la nostra gratitudine con la lotta quotidiana per vincere tutto ciò che ci può allontanare dal Signore, con l'esempio della nostra condotta cristiana, con la parola ardente che spinge le anime a seguire Cristo. Le debolezze e le cattive inclinazioni, comune eredità del peccato originale, continueranno a esistere, perché Dio lo permette ad proelium, affinché lottiamo e vinciamo, con il suo aiuto. Et ne nos inducas in tentationem[10], diciamo nel Padre nostro, e il Signore ci concede grazia sufficiente per sopportare con disinvoltura la malattia, per non lasciarci abbattere dalle contrarietà o dalle sconfitte, per apporre l'ultima pietra al lavoro... In una parola, per vincere ogni difficoltà.
Figli miei, insisto: le opere sono amore e non i bei ragionamenti. Canta et ambula! Avanti, sforzandoci di incarnare la vita di un buon figlio di Dio, di essere figli fedeli del nostro Fondatore. Egli ci presiede dal luogo sotto di noi, dove riposano le sue spoglie mortali, e dal Cielo, dove gode della felicità eterna, per la bontà di Dio, insieme con la Madonna, gli Angeli e i Santi, circondato da centinaia e centinaia di figlie e figli suoi, che sono parte della sua corona di gloria, perché figli del suo spirito. Da lassù, con la sua potente intercessione, il nostro Fondatore ottiene per noi da Dio nostro Padre forza rinnovata per andare sempre innanzi, per avanzare cantando, senza mai arretrare sulla strada che abbiamo intrapreso: e così arriverà il giorno in cui potremo chiamarci vincitori.
Canta et ambula! E' vero che molte volte, nella nostra povera vita, il canto risulta stonato, perché —nonostante la nostra buona volontà— ci sbagliamo... Tuttavia, corretti i nostri errori e nonostante tutto, il Signore attende la nostra canzone.
Cantiamo dunque, e continuiamo ad avanzare, facendo molto apostolato!
Molti oggi fuggono impauriti di fronte al Dio della misericordia e dell'amore, della pace e del perdono. Moltissimi si allontanano da Lui, in tutti gli ambienti della società. Noi, come tanti altri cristiani che in seno alla Chiesa lavorano per Cristo, dobbiamo costruire —come mi piace ripetere quest'idea!— una specie di diga che trattenga gli uomini nella loro folle fuga da Dio, per trasformarli poi in apostoli che a loro volta contribuiscano a far sì che le anime ritornino a Dio. E che cosa siamo noi? Un pizzico di sale, un po' di lievito impastato nella massa dell'umanità[11]. Ma sale e lievito, con la grazia di Dio e la nostra risposta fedele, restituiranno il sapore divino a quanti erano diventati insipidi, faranno fermentare la farina, fino a trasformarla in buon pane. Canta et ambula! Avanti, rendendo grazie a Dio.
La lettura del Vangelo ha proposto ai nostri occhi la scena meravigliosa, incantevole, della Visitazione di Maria a sua cugina Elisabetta. Abbiamo ascoltato la reazione di Santa Elisabetta, nel rendersi conto che era la Madre di Dio a renderle visita: innanzitutto ella loda la Madonna: Benedicta tu inter mulieres[12], benedetta tu fra le donne. Si suole lodare chi accorda una grazia. In questo caso, è Maria a concedere a sua cugina il regalo della sua visita. Poi, Elisabetta riconosce che si tratta di una grazia grandissima: a che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo[13]. Giovanni Battista fu precursore fin dal seno di sua madre, e fin d'allora, prima di nascere, annunziò la presenza di Dio.
E quale fu la risposta della Madonna? Lodare Dio, che le aveva concesso la grazia di essere Madre di Gesù: magnificat anima mea Dominum![14]; l'anima mia glorifica il Signore. E, subito, riconoscere la propria piccolezza: quia respexit humilitatem ancillae suae[15], perché ha posato gli occhi sulla bassezza della sua serva. A parlare così era la Regina del mondo, la Regina del Cielo, perché il Signore era innamorato di Lei: Figlia prediletta di Dio Padre, Madre di Dio Figlio, Sposa di Dio Spirito Santo. Maria ci insegna, innanzitutto, a ringraziare; e poi, a riconoscere il beneficio ricevuto, perché, conoscendone la grandezza, sappiamo maggiormente apprezzarlo, tenendo in più alta considerazione l'amore dimostratoci dal Signore.
Figli miei, andiamo avanti, con garbo soprannaturale, anche se a volte sembrasse faticoso. La fortezza di Dio è con noi, abbiamo la consolazione, l'aiuto e la benedizione di Colei che è Spes nostra, nostra Speranza. Protegga Ella tutti noi e ci aiuti a essere uomini per bene, cioè persone riconoscenti, che non si tirano indietro di fronte alle difficoltà, che si comportano in ogni circostanza da buoni figli del buon Padre che il Signore ha voluto darci sulla terra.
[1] Messa di ringraziamento, Antifona d'ingresso (Ef 5, 19-20).
[2] Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. apost. Ut sit, 28-XI-1982, proemio.
[3] Messale Romano, Prefazio comune, IV.
[4] Ibid.
[5] Sant'Agostino, Sermo 256.
[6] Messa di ringraziamento, L. II (Ef 1, 3-4).
[7] Is 43, 1.
[8] 1 Sam 3, 4.
[9] Sant'Agostino, Sermo 256.
[10] Mt 6, 13.
[11] Cfr. Mt 5, 13; 13, 33.
[12] Messa di ringraziamento, Vang. (Lc 1, 42).
[13] Ibid., 43.
[14] Ibid., 46.
[15] Ibid., 48.
Romana, n. 5, Luglio-Dicembre 1987, p. 232-235.