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Articolo del Vescovo Prelato dell'Opus Dei pubblicato sulla rivista Scripta Theologica nel volume del I semestre 1996.

LA FORMAZIONE DEL SACERDOTE

NELLA VITA E NEGLI SCRITTI

DI MONSIGNOR ÁLVARO DEL PORTILLO

L’esempio dei Santi Padri ci insegna che la grandezza di un Pastore, la capacità di far germogliare nelle anime il seme vitale e inesauribile della dottrina cristiana, non si misura solo dal numero e dall’importanza dei suoi scritti, ma innanzitutto dalla capacità di far sì che tale dottrina diventi vita in moltissime persone. La teologia — la vera teologia — arricchisce la coscienza dei fedeli e aiuta a destare nelle anime il desiderio di santità personale e di apostolato; è un sapere vitale che, promuovendo nel cristiano, sotto l’impulso dello Spirito Santo, la coscienza dell’identificazione con Cristo, sviluppa contemporaneamente l’impegno all’unione con Dio e l’intensificarsi dello zelo per le anime.

Questa premessa mi sembra necessaria all’introdurre la presente riflessione sulla figura di Mons. Álvaro del Portillo. Infatti l’influsso da lui esercitato nella formazione di tanti sacerdoti non si può apprezzare solo nei suoi scritti — peraltro assai profondi e incisivi —, ma anzitutto attraverso l’esempio di una vita interamente conformata al modello di Cristo, pastore e vescovo delle nostre anime[1], e instancabilmente spesa per il bene dei fedeli.

Nella formazione dei sacerdoti, il primo Vescovo Prelato dell’Opus Dei si distinse per la fedeltà con cui applicò gli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá, nel quadro del progressivo sviluppo dell’Opera e di un sempre più ampio servizio alla Chiesa. Per meglio comprendere la sua attività sarà dunque bene iniziare ripercorrendo sinteticamente i capisaldi di tali insegnamenti del Fondatore.

1. Gli insegnamenti del Beato Josemaría

L’argomento si può svolgere secondo prospettive differenti; affronteremo qui l’analisi dei diversi aspetti della formazione del sacerdote: spirituale, dottrinale, umana e apostolica (o pastorale)[2]. Cercherò di evidenziare i punti che nel Beato Josemaría ricevono un’accentuazione specifica e nuova, nel solco della perenne novità del Vangelo. Mi servirò soprattutto di due lettere sul sacerdozio scritte dal Fondatore ai fedeli dell’Opus Dei: la prima, datata 2 febbraio 1945, fu composta pochi mesi dopo la prima ordinazione di sacerdoti dell’Opera (1944); l’altra risale all’8 agosto 1956.

1. La formazione spirituale è l’aspetto che innerva ed unifica tutti i settori della formazione sacerdotale. Gli insegnamenti del Beato Josemaría sono sempre fondati sulle fonti che riassumono e ripropongono la ricca Tradizione della Chiesa, vale a dire la Scrittura, i Padri e i Dottori, i documenti degli ultimi Pontefici (Pio X, Haerent animo, 4-VIII-1908; Pio XI, Ad catholici sacerdotii, 20-XII-1935; Pio XII, Mediator Dei, 20-XI-1947).

Tre sono gli elementi maggiormente sottolineati nei suoi scritti:

a) considerare la Santa Messa come radice della vita interiore: «Vi ho sempre insegnato (...) che la radice e il centro della vostra vita spirituale è il Santo Sacrificio dell’Altare, nel quale Cristo Sacerdote rinnova il sacrificio del Calvario in adorazione, onore, lode e ringraziamento della Trinità Beatissima» (Lettera, 2-II-1945, n. 11). «Il sacerdozio è la cosa più grande del mondo. Basta pensare solo al miracolo di far venire Gesù tutti i giorni sulla terra. La nostra Madre del Cielo — quanto la dobbiamo amare: più di Lei soltanto Dio!— fece scendere il Signore una sola volta: fiat mihi secundum verbum tuum! (Lc 1, 38).

«Amate la Messa, figli miei: essa è il fine principale della vostra ordinazione; in essa tutto il ministero sacerdotale trova la propria pienezza, il proprio significato, il proprio centro e la propria efficacia» (Lettera, 8-VIII-1956, nn. 17 e 18);

b) scoprire e proclamare la chiamata alla santità — o alla perfezione della carità — di cui è oggetto ogni sacerdote, ed ogni altro fedele, come ribadirà solennemente il Concilio Vaticano II: «Le parole dell’Apostolo ai cristiani di Tessalonica sono chiare: haec est voluntas Dei, santificatio vestra (1 Ts 4, 3), questa è la Volontà di Dio, la vostra santificazione (...). La chiamata di Gesù alla santità è rivolta a tutti: estote ergo vos perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est (Mt 5, 48), siate perfetti, come è perfetto il vostro Padre celeste. E il nostro Padre del Cielo ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli (Rm 8, 29) (...). A tutti noi Dio chiede di nutrire nel cuore gli stessi sentimenti che Cristo portò nel suo (cfr. Fil 2, 5), conformando tutta la nostra vita al programma unico della perfezione cristiana. A tutti noi, sacerdoti e laici, viene offerta la possibilità e viene richiesto allo stesso modo il dovere di essere anime contemplative e di identificarci con Cristo in qualsiasi circostanza, anche in mezzo al mondo» (Lettera, 2-II-1945, n. 6);

c) di conseguenza, la necessità di una spiritualità pienamente secolare, conforme alla vocazione del sacerdote a rimanere nel mondo e ad amare il mondo[3].

2. In secondo luogo, una solida formazione dottrinale: la Chiesa l’ha sempre richiesta ai sacerdoti. Desidero evidenziare due elementi caratteristici nell’insegnamento del Beato Josemaría al riguardo:

a) da una parte, questa preparazione deve attingere un autentico livello universitario ed ammettere il rispetto del legittimo pluralismo in quello che la Chiesa ha lasciato alla libera discussione dei teologi: qui, e nella pietà[4], risiede la garanzia sicura del vero progresso e della perenne attualità della teologia.

A proposito del livello che egli auspicava per gli studi ecclesiastici, ricordava: «Fin da quando preparai i primi sacerdoti dell’Opera, esagerai, per così dire, nella loro formazione filosofica e teologica» (Lettera, 8-VIII-1956, n. 13)[5]. Poiché infatti i sacerdoti dell’Opera sono universitari, la loro formazione doveva necessariamente attingere uno standard adeguato alla loro preparazione culturale: ecco perché egli volle che tutti conseguissero un dottorato ecclesiastico. Insomma, una formazione sufficientemente solida da permettere loro di approfondire debitamente i princìpi e le verità fondamentali e, insieme, di distinguerli dalle semplici opinioni[6];

b) d’altra parte, egli sottolineò la necessità dell’impegno per conservare ed accrescere questa preparazione, tramite una formazione permanente, in fedele sintonia col Magistero vivo della Chiesa[7]: «Se per tutti i miei figli — laici e sacerdoti — ho scritto che la nostra formazione non finisce mai, è logico che applichiate questo buono spirito anche in ciò che è specifico della vostra condizione sacerdotale, con lo studio necessario per esercitare adeguatamente il vostro ministero» (Lettera, 8-VIII-1956, n. 14). Se un buon avvocato, un buon medico, un architetto o un ingegnere coscienzioso non possono abbandonare i libri, tantomeno deve farlo il sacerdote: «Fate in modo di dedicare un po’ di tempo ogni giorno, magari anche solo alcuni minuti, allo studio della scienza ecclesiastica» (ibid., n. 15)[8].

3. In terzo luogo, la formazione umana: il Beato Josemaría insistette sempre sull’importanza di coltivare, insieme alle virtù soprannaturali, le virtù umane, fra le quali è compresa la necessaria cultura profana. Le une e le altre vanno esercitate nella santificazione del lavoro ministeriale (predicazione e catechesi, direzione di anime, amministrazione dei sacramenti), esattamente come i laici le esercitano nell’ambito specifico delle proprie attività. Tutto ciò favorisce il raggiungimento di una forte unità di vita, che dà solidità a tutto l’agire della persona[9].

4. Infine, riguardo alla formazione pastorale, mi limiterò a ricordare, fra gli insegnamenti del Beato Josemaría, il fatto che egli riuscì ad armonizzare l’unione e la collaborazione del sacerdote con i laici, accentuando la disposizione di servizio sempre necessaria nel sacerdote: «Ci sono persone che si meravigliano del fatto che il Papa si chiami, ed è un titolo onorifico, servus servorum Dei; dobbiamo chiedere al Signore che i sacerdoti dell’Opus Dei siano sempre i servi dei servi di Dio (...). Considerate costantemente davanti a Dio che avete ricevuto il sacerdozio per una finalità esclusiva: servire i vostri fratelli e tutte le anime» (Lettera, 2-II-1945, n. 17). La seconda delle lettere citate comincia così: «Siete stati ordinati, figli miei sacerdoti, per servire (...). Nell’Opus Dei siamo tutti uguali. C’è solo una differenza pratica: i sacerdoti sono più obbligati degli altri a posare il cuore per terra come un tappeto, affinché gli altri camminino sul morbido. I sacerdoti devono essere saldi, miti, affettuosi, allegri; essi devono servire in particolar modo i figli di Dio nella sua Opera, sempre con serenità ed allegria, in modo da poter dire con i fatti, come Paolo, ai propri fratelli: ego... vinctus Christi Iesu pro vobis (Ef 3, 1); sono come in catene, prigioniero dell’amore di Gesù Cristo... e dell’affetto che ho per voi» (Lettera, 8-VIII-1956, nn. 1 e 7)[10]. Ciò definisce una condizione fondamentale per la stretta collaborazione fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune, fra sacerdoti e laici, entrambi dotati di anima sacerdotale e di mentalità laicale.

Ma si potrebbe accennare ad altri aspetti, intimamente legati a questa realtà e caratteristici dell’esperienza pastorale del Beato Escrivá: una predicazione immediata e semplice, fondata sul Vangelo e frutto dell’orazione personale del sacerdote[11]; la disponibilità ad amministrare il sacramento della Penitenza, sempre in unione col cuore di Cristo che perdona[12]. Il Beato Josemaría diceva che la vita del sacerdote deve avere il proprio centro nella Santa Messa e che «la passione dominante dei sacerdoti dell’Opus Dei deve essere predicare e confessare. Questo è il loro ministero, questa la loro funzione specifica, questa la ragione del loro sacerdozio. Nell’esercizio di tale ministero — ministerium verbi et sacramentorum — debbono dimostrarsi ministri di Dio e servi di tutte le anime» (Lettera, 2-II-1945, n. 25).

2. Attività in favore dei sacerdoti

Per quarant’anni Mons. Álvaro del Portillo fu il collaboratore più stretto del Beato Josemaría e giunse ad identificarsi pienamente con lui e a fare propri i suoi insegnamenti. Posso affermare senza esagerazione che egli fu il suo figlio più fedele, colui nel quale il Fondatore ripose maggiore fiducia. Una fedeltà testimoniata in numerose iniziative, tutte assai rilevanti in forza delle responsabilità che, nel corso della propria vita, egli ebbe ad assumersi nella Chiesa e nell’Opera.

Per quanto concerne il nostro argomento, bisogna ricordare che Mons. del Portillo fu uno dei primi tre fedeli dell’Opus Dei chiamati dal Fondatore al sacerdozio. Con lui, don José María Hernández de Garnica e don José Luis Músquiz, ebbe inizio una lunga catena di sacerdoti che formano oggi il presbiterio della Prelatura.

I primi tre ebbero l’immensa fortuna di venir preparati al sacerdozio direttamente dal Beato Josemaría: egli, infatti, oltre a procurare loro i migliori professori disponibili, si occupò personalmente della loro formazione pastorale. D’altra parte, già dal 1943 il Beato Josemaría aveva affidato a don Álvaro le pratiche dell’approvazione pontificia della Società Sacerdotale della Santa Croce: la prima formula che, nel lungo itinerario giuridico dell’Opus Dei, avrebbe consentito l’incardinazione di sacerdoti propri, provenienti dalle fila dei membri laici. Egli, inoltre, dopo l’ordinazione avvenuta nel 1944, ebbe modo di intervenire, come collaboratore immediato del Fondatore nel governo dell’Opera, nella preparazione delle successive leve di sacerdoti e nell’elaborazione della prassi da seguire nella loro formazione.

È noto l’impegno profuso dal Beato Josemaría a favore dei sacerdoti diocesani: l’attività della Società Sacerdotale della Santa Croce, col suo benefico influsso su migliaia di sacerdoti, ne costituisce una palese testimonianza. Per parecchi anni, prima di trasferirsi a Roma, il Fondatore dell’Opus Dei, su richiesta dei Vescovi della Spagna, si prodigò nella cura spirituale dei sacerdoti diocesani, nella predicazione di corsi di ritiro e nella direzione spirituale. E tanto in Spagna come in Italia molti Vescovi si rivolgevano a lui in cerca di consiglio. Ebbene, posso affermare che anche in questo don Álvaro del Portillo gli offrì un aiuto incondizionato. Egli era tanto amato dai sacerdoti e dai Vescovi, il suo affetto, la sua competenza e la sua disponibilità erano tanto apprezzati che, quando il Fondatore dell’Opera non poteva rispondere di persona alle loro richieste, essi lo pregavano di mandare don Álvaro.

Durante la preparazione del Concilio Vaticano II, Mons. del Portillo fu Presidente della Commissione antipreparatoria de laicis e, quindi, Segretario della Commissione de disciplina cleri et populi christiani, incaricata di elaborare il decreto Presbyterorum Ordinis, del 7-XII-1965. Poté così intervenire, ed in modo assai immediato, nell’elaborazione di questo importante documento, apportando al rinnovamento conciliare un contributo di esperienze che la sua prossimità al Beato Josemaría e l’anticipazione — negli insegnamenti di quest’ultimo — di alcuni punti capitali della dottrina del Concilio[13], rendevano particolarmente valide. Né si può dimenticare che, per diversi anni, lavorò come consultore della Congregazione del Clero, oltre che in altre Congregazioni romane e Commissioni conciliari.

In qualità di primo successore del Beato Josemaría e di primo Vescovo della Prelatura personale dell’Opus Dei ebbe a suo carico un presbiterio del quale, al momento del suo transito al cielo, facevano parte 1496 sacerdoti. E si deve aggiungere che, in quanto Presidente Generale della Società Sacerdotale della Santa Croce, assunse un’altra notevole responsabilità nel campo della formazione permanente del clero, tanto raccomandata dal Concilio. Infatti, tale istituzione è un’associazione indissolubilmente unita alla Prelatura dell’Opus Dei, di cui fanno parte migliaia di sacerdoti diocesani di numerossime diocesi, i quali, restando a tutti gli effetti sottoposti alla giurisdizione del proprio Ordinario, cercano la santità nell’esercizio del ministero sacerdotale secondo lo spirito dell’Opus Dei.

In tutto questo vastissimo compito di formazione dei sacerdoti, don Álvaro proseguì il cammino tracciato dal Fondatore senza allontanarsene neppure minimamente. Questo era il suo maggiore orgoglio. Poco dopo essere stato eletto a succedere al Beato Escrivá, disse: «Potete stare tranquilli, perché tutto quello che so l’ho imparato direttamente da nostro Padre; per conto mio ho imparato solo le materie dell’ingegneria e cose di questo genere...»[14]. Lo seguì con la fedeltà creativa che deriva dall’aver approfondito uno spirito e dal saperlo applicare alle mutevoli situazioni della storia.

3. Segretario della Commissione conciliare per l’elaborazione del decreto Presbyterorum Ordinis

Come ho ricordato, Mons. Álvaro del Portillo fu Segretario della Commissione conciliare che elaborò il decreto Presbyterorum Ordinis, dove vennero fissati i punti di riferimento essenziali per la formazione dei sacerdoti diocesani.

La storia della sua partecipazione ai lavori del Concilio è molto semplice. Ovviamente il Beato Josemaría era stato invitato a partecipare attivamente all’attività conciliare. Tuttavia, le incombenze che ricadevano su di lui in quanto Fondatore di un’istituzione in pieno sviluppo sconsigliavano che lasciasse in secondo piano il governo dell’Opera per gli anni in cui sarebbe durata l’assemblea conciliare. Tuttavia, egli trovò il modo di assicurare la propria presenza ai lavori: al suo posto avrebbe partecipato don Álvaro, allora Segretario Generale dell’Opera. Il card. Ciriaci nominò don Álvaro Segretario di una delle dieci Commissioni conciliari, nomina confermata dal Santo Padre Giovanni XXIII.

Il decreto Presbyterorum Ordinis sottolinea l’esigenza della santità nella vita dei sacerdoti, facendola derivare, come per tutti i fedeli, dalla consacrazione battesimale[15]. E precisa che essi debbono cercarla nell’esercizio del proprio ministero sacerdotale: «I presbiteri raggiungeranno la santità nel loro modo proprio se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero e instancabile» (Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 13). Ciò implica, nel caso dei sacerdoti secolari, una spiritualità adeguata, caratterizzata dalla secolarità. Tale elemento specifico, lungi dal rappresentare un impedimento, costituisce il cammino per il raggiungimento della propria santità, come lo è per i laici, i quali debbono santificarsi informando dello spirito di Cristo le strutture secolari, di cui la loro vita è come intessuta. Ma allora, e anche in seguito per diversi anni, questa verità non era ancora evidente e non mancava chi vedeva un’inevitabile contraddizione fra le incombenze del ministero sacerdotale e le esigenze della vita interiore del sacerdote, oggetto di un equilibrio tutt’altro che facile[16].

Non è questo il luogo appropriato per analizzare dettagliatamente l’intervento di Mons. del Portillo in seno alla Commissione conciliare. Mi limiterò a sottolineare due soli spunti, che possono aiutare ad inquadrare la sua azione. Da una parte, la sua prossimità al Fondatore dell’Opus Dei, del quale, per singolare Provvidenza divina, era il collaboratore più stretto. Tutta la vita di don Álvaro era profondamente informata dal carisma concesso dallo Spirito Santo al Beato Josemaría per arricchire la Chiesa o, secondo un’espressione dello stesso Fondatore, per «servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita, entro la specifica vocazione che il Signore ci ha dato»[17].

D’altra parte, provvidenzialmente l’autorità ecclesiastica aveva chiamato don Álvaro a lavorare ad un documento del Concilio relativo ad una materia, come il ministero e della vita dei presbiteri, sulla quale egli aveva tratto tanta luce dagli insegnamenti del Fondatore dell’Opus Dei: in tale aspetto della pastorale, infatti, guidato dal carisma fondazionale, il Beato Josemaría era stato strumento di Dio per promuovere nella Chiesa la santificazione del sacerdote secolare nell’esercizio del ministero sacerdotale. Questa luce non poteva non illuminare il contributo di Mons. Álvaro del Portillo in seno alla Commissione conciliare e farne scaturire, talvolta persino in modo letterale, alcune fibre portanti del progetto del documento. Comunque, l’elemento davvero importante e decisivo non è tanto la provenienza di questi contributi, ma il fatto che essi furono accolti dai Padri conciliari i quali, con l’assistenza del Paraclito, approvarono il decreto Presbyterorum Ordinis. Basti ricordare qui un solo esempio peraltro noto: mi riferisco all’affermazione del decreto, in palese armonia con gli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá, sul ruolo centrale della Santa Messa nella vita del presbitero e nella sua carità pastorale: «Questa carità pastorale scaturisce soprattutto dal sacrificio eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbiterio, cosicché l’anima sacerdotale si studia di rispecchiare in sé ciò che viene realizzato sull’altare» (n. 14b).

In un articolo pubblicato nel supplemento domenicale de L’Osservatore Romano in occasione del primo anniversario della chiusura del Concilio, Mons. Álvaro del Portillo scrisse: «Nel capitolo terzo del decreto, tracciando le linee di una solida spiritualità sacerdotale, il Concilio ha voluto, da una parte, evitare che tale spiritualità potesse confondersi con quella dello stato religioso; e, dall’altra, ha evitato di pronunziarsi in merito a determinate questioni — per esempio, se il presbiterato costituisca la persona in stato di perfezione — che sono state oggetto di pareri contrastanti fra i cultori della teologia ascetica e spirituale. Si è preferito, perciò, esporre il contenuto fondamentale d’una spiritualità evangelica, semplice e forte, capace di guidare tutti i sacerdoti in cura di anime alla perfecta caritas pastoralis, cioè al raggiungimento della perfezione cristiana attraverso l’esercizio del ministero sacerdotale.

»In effetti l’esercizio sollecito e retto delle tre grandi funzioni ministeriali richiede e al contempo stimola e favorisce la santità personale del sacerdote, il quale trova in questa chiara verità il fondamento dell’unità e dell’armonia della propria vita. L’evangelizzazione, la predicazione, è inseparabile dalla serena meditazione della Parola divina. La devota e sentita celebrazione della Santa Messa — di cui viene raccomandata vivamente la quotidianità — guida l’anima del sacerdote ad approfondire vitalmente il senso profondo della propria esistenza: che è sacrificio e comunione, vita pienamente consacrata al Padre e pienamente mandata, donata, comunicata al mondo e agli uomini. La guida della comunità cristiana affidatagli dal Vescovo evoca e sollecita nella coscienza sacerdotale le virtù proprie del buon pastore: la carità senza limiti, fino all’oblìo di se stesso; la fede che illumina, incoraggia a perseverare, a sperare, a non stancarsi mai; l’obbedienza totale e delicata, ma anche intelligente, operativa, responsabile; l’umiltà e la mansuetudine, capaci di armonizzare la comprensione con la fermezza; la perfetta continenza, che rende il cuore libero, interamente disponibile, pronto ad offrirsi in adorazione e a donarsi senza riserve al servizio; la pazienza, che sa soffrire in silenzio e tutto perdonare; la povertà, che è lezione di beatitudine e testimone di speranza»[18].

Dopo la morte del Fondatore dell’Opus Dei, don Álvaro ebbe a dichiarare che Mons. Josemaría Escrivá fu una delle grandi figure che hanno anticipato il Concilio Vaticano II, pur precisando che, da parte sua, il Beato Josemaría non aveva mai pensato di chiedere un tale riconoscimento, peraltro ratificato da eminenti personalità della Chiesa. Ebbene, l’influenza della dottrina del Fondatore dell’Opus Dei è innegabile, fra gli altri, nei testi riguardanti il ministero sacerdotale così come viene delineato dal Concilio. Pur senza addentrarsi in uno studio dettagliato, don Álvaro elenca vari aspetti della dottrina sulla vita e il ministero dei sacerdoti che lo evidenziano: «La necessità per l’ascetica sacerdotale di coltivare anche le virtù umane (PO 3); di essere strumenti di unità fra i fedeli, evitando la tentazione di immeschinire la fede mettendosi al servizio di ideologie o fazioni umane che dividono (PO 6); la possibilità e la convenienza delle associazioni che, rettamente ordinate, aiutano i sacerdoti a cercare la santità nell’esercizio del ministerio (PO 8); l’unità e l’armonia fra la vita interiore e l’attività pastorale cui il sacerdote perviene quando fissa nel santo sacrificio della Messa il “centro e la radice” di tutta la propria esistenza (PO 14); la necessità della meditazione personale, delle confessione frequente e della cura delle pratiche di pietà tradizionali consigliate dalla lunga esperienza della Chiesa (PO 18); la convenienza del fatto che il sacerdote veda chiaramente l’esercizio del ministero — del proprio “lavoro ordinario” — come occasione specifica e mezzo insostituibile per attingere la santità (PO 13), ecc.»[19].

Ora che anche Mons. Álvaro del Portillo ha varcato le soglie dell’eternità desidero a mia volta testimoniare ciò che neppure lui, mentre era in vita, mi avrebbe mai permesso di affermare: nel suo duplice ed inscindibile impegno di servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita e di seguire come figlio fedelissimo l’esempio del Beato Escrivá, egli fu lo strumento scelto dalla Provvidenza perché la ricchezza della dottrina riposta da Dio nell’anima del Fondatore dell’Opus Dei contribuisse, sotto l’azione dello Spirito Santo, ad ispirare documenti conciliari come il Decr. Presbyterorum Ordinis o la Cost. dogm. Lumen gentium.

4. La formazione sacerdotale negli scritti di Mons. del Portillo

Non sono pochi gli scritti in cui il Vescovo Prelato dell’Opus Dei riversò l’esperienza accumulata nella propria attività nel settore della formazione dei presbiteri[20]. Mi limiterò a riprendere alcune sue riflessioni relative alle dimensioni già citate della formazione sacerdotale: umana, spirituale, dottrinale e pastorale. Queste sue parole possono servirci ad inquadrare la trattazione: il punto di partenza per la comprensione della figura del sacerdote, uomo-ministro di Cristo, «è dato dal disegno divino sugli uomini. Dio, dopo aver creato l’uomo, gli si rivelò gradualmente in vari modi finché, giunta la pienezza dei tempi, portò a compimento l’incarnazione di Cristo, il Verbo divino inviato dal Padre per farci conoscere tutto quello che il Signore volle comunicarci e per renderci partecipi della stessa vita divina. Questo rapporto — questo progressivo avvicinamento di Dio all’uomo, questa gratuita apertura dell’intimità divina all’uomo — caratterizza in modo specifico e singolare la religione proclamata da Cristo e la distingue radicalmente da ogni altra: il cristianesimo, infatti, non è una ricerca di Dio da parte dell’uomo, bensì un abbassamento della vita divina fino al livello umano (...). La religione cristiana è dunque un’irruzione di Dio nella vita dell’uomo»[21].

1. Iniziamo, con poche pennellate, dalla formazione spirituale. Rivolgendosi ai sacerdoti diocesani della Società Sacerdotale della Santa Croce, scrisse: «Siete nell’Opera perché avete risposto a una chiamata divina ed il Signore vi concede le grazie necessarie a rispondere pienamente. Nella vostra vita avete seguito dapprima la chiamata al sacerdozio e poi avete scoperto la vocazione all’Opera, che ha corroborato la prima chiamata e vi ha indicato il cammino ed i mezzi (...) voluti da Dio affinché diventiate sacerdoti eroicamente santi»[22].

Nel discorso di chiusura dell’XI Simposio Internazionale di Teologia, sopra citato, dopo aver evidenziato l’eroismo della vita d’orazione e di penitenza del Beato Josemaría, ne tratteggiò così lo spessore della carità pastorale: «Anche su questo aspetto non posso fare a meno di rievocare la figura amabilissima del nostro Fondatore. Per la sua instancabile dedizione al ministero non furono mai scusa la fatica, la malattia o l’avversità delle circostanze. Questa carità pastorale, che porta a un prodigarsi senza condizioni al servizio delle anime (cfr. 2 Cor 12, 15) permea necessariamente, con speciali sfumature, la fraternità sacerdotale, che è elemento integrante della comunione, intesa come unità affettiva ed effettiva che deriva dalla comune partecipazione ai medesimi beni. Una fraternità sacerdotale che non confonde l’unità con l’uniformità, che rispetta la legittima libertà di tutti, anche nel vasto campo della spiritualità sacerdotale»[23].

2. Anche nella formazione dottrinale egli si adoperò per aiutare a vivere dentro l’Opera e a diffondere nella misura del possibile quanto aveva appreso dal Beato Josemaría: serietà e profondità negli studi della teologia e della filosofia (con l’impegno di mantenersi sempre aggiornati) e lealtà al Magistero.

Un ricordo, fra i tanti, esprime la sua concezione viva della continuità come sforzo per trarre dal cuore del messaggio ricevuto le conseguenze dettate dalle urgenze e dalla sensibilità dei tempi. In un Congresso internazionale di Teologia svoltosi a Roma, egli descrisse così la fedeltà al Magistero: «La certezza offertaci dal Magistero non può tuttavia esimerci dalla riflessione personale, teologica e filosofica, allo scopo di mostrare agli uomini del nostro tempo la ragionevolezza, l’intellegibilità e la profonda umanità delle esigenze etiche del cristianesimo»[24].

3. Riguardo alla formazione umana del sacerdote riproporrò alcuni paragrafi d’un articolo pubblicato nel 1955, alcuni anni prima del Concilio. C’è, scrisse, «un tema specifico che potrebbe sembrare secondario, e va invece ricordato sempre (purché non ne venga esagerata l’importanza): il tema dell’educazione dell’uomo nella formazione del sacerdote secolare. Ci occupiamo dunque di quella caratteristica che la formazione sacerdotale ha in comune con l’educazione di qualsiasi cristiano: la perfectio hominis ut homo (...); la preparazione del sacerdote in quanto uomo che deve lavorare in mezzo ai suoi simili. Tale formazione comprende (...) tutte le virtù umane che si inquadrano direttamente o indirettamente nelle quattro virtù cardinali, e inoltre il bagaglio di cultura extra ecclesiastica indispensabile al sacerdote per svolgere facilmente — presupponendo sempre la grazia — il proprio apostolato (...). Mons. Josemaría Escrivá ha scritto in Cammino, un’opera che tanto ha contribuito alla formazione di persone dei più diversi paesi, condizioni sociali e mentalità: “Non crediamo che serva a qualcosa la nostra apparente virtù di santi se non va unita alle comuni virtù di cristiani. — Sarebbe come adornare di splendidi gioielli la biancheria intima” (n. 409)»[25].

4. E, per la formazione pastorale, in un’intervista pubblicata nel 1966 a proposito del decreto Presbyterorum Ordinis, si soffermò in particolare su due qualità indispensabili: la semplicità e l’impegno a condurre le anime a Dio: «È però evidente, in ogni caso, che l’uomo comune (l’universitario, l’impiegato, il contadino) è disposto ad ascoltare il sacerdote solo se questi sa rivolgersi a lui con un rapporto umano schietto (direi di “uomo alla mano”) e al contempo con un sincero e profondo senso soprannaturale (da uomo di Dio). Schiettezza di rapporto umano — la eximia humanitas necessaria per la conversatio cum hominibus, come dice il decreto, significa in primo luogo l’esercizio di una serie di qualità o virtù naturali fondamentali (sincerità, lealtà, amore per la giusta libertà e l’autonomia dei laici nelle questioni temporali, ecc.). Inoltre significa capacità di stimare debitamente tutte le realtà umane nobili: il lavoro (come Cristo a Nazaret), l’amicizia (come Cristo a Betania) e così via». E senso soprannaturale «perché gli uomini di oggi — è uno dei grandi valori morali e culturali della nostra epoca — amano appassionatamente l’autenticità dei comportamenti e la sincerità delle persone, e respingono tutto ciò che sa di falso, di finto, di posticcio o di irresponsabile: e un contegno “naturalista”, in un sacerdote, sarebbe tutto ciò ad un tempo. Soprattutto, però gli uomini vogliono e si attendono — anche se molte volte non sanno o non si rendono conto di aspettarselo — che il sacerdote, con la testimonianza della sua vita e della sua parola, parli loro di Dio. Se il sacerdote non lo fa, se non li cerca per questa ragione, se non li aiuta ad ascoltare, a scoprire o a comprendere rettamente la dimensione religiosa della vita, in tal caso il sacerdote li defrauda (...); esigono che si parli loro in modo ben determinato — positivo, vitale, aderente ai loro problemi spirituali e umani concreti, fiducioso e pieno di quell’ottimismo cristiano che si dice “spirito pasquale” —, però vogliono e aspettano che si parli loro di Dio e che se ne parli apertamente, perché ci sono già fin troppe cose nella vita sociale che lo nascondono. Si rendono conto che “manca loro Dio”»[26].

5. Formazione dei sacerdoti della Prelatura

È impossibile elencare tutto quello che don Álvaro fece per la formazione dei sacerdoti dell’Opus Dei, per ognuno di essi, nel corso dei quarant’anni vissuti accanto al Fondatore e dei diciannove durante i quali fu il suo primo successore. Li portava tutti nel cuore, uno ad uno, e dimostrava loro la propria carità pastorale in mille modi: mi riferisco sia agli alunni del Seminario Internazionale della Prelatura sia ai sacerdoti che, per vari motivi, passavano per Roma sia a quelli che incontrava in occasione dei numerosi viaggi pastorali del Prelato nelle diverse nazioni.

Fornirò alcuni dati. A lui è dovuta la Ratio Institutionalis Sacerdotalis[27], che, una volta eretta la Prelatura dell’Opus Dei, elaborò per i membri numerari e aggregati in preparazione immediata per il sacerdozio; a lui risale anche la Ratio Institutionis[28], per i paralleli studi filosofici e teologici per tutti i numerari e per le numerarie, nonché, adattata alle loro condizioni di disponibilità di tempo e di cultura, per le aggregate e gli aggregati, le soprannumerarie ed i soprannumerari.

La sua dedizione nella formazione di coloro che ogni anno accedevano al sacerdozio era notevole, come testimoniano le lettere in cui condensò per loro le proprie raccomandazioni dal 1976 al 1991, anno nel quale — ricevuta dal Santo Padre l’ordinazione episcopale — cominciò a conferire personalmente l’Ordine Sacro ai sacerdoti della Prelatura. E, affinché la loro fedeltà poggiasse su un fondamento sicuro, chiedeva sempre con intensità la preghiera di tutti i fedeli della Prelatura per coloro che si apprestavano a ricevere l’ordinazione sacerdotale. Così per esempio, nel 1986: «Non voglio chiudere questa lettera senza prima chiedervi di pregare per i vostri fratelli che saranno ordinati a Torreciudad il prossimo 15 agosto. Supplicate la Madonna, affinché siano quei sacerdoti santi, allegri, dotti e sportivi che nostro Padre voleva per l’Opera e pregate anche per tutti i sacerdoti della Chiesa, dal Romano Pontefice fino all’ultimo appena ordinato»[29].

Infine bisognerebbe ricordare i suoi insegnamenti sul sacerdozio nelle lettere che scrisse in anniversari importanti dell’Opera o in altre circostanze di rilievo. Per esempio, quella indirizzata alle sue figlie e ai suoi figli il 9 gennaio 1993, 50º anniversario della fondazione della Società Sacerdotale della Santa Croce. Ne trascrivo solo alcuni paragrafi: «I laici non cercano una santità minore di quella dei sacerdoti, perché tutti i cristiani debbono identificarsi pienamente con Cristo, ciascuno nel proprio stato e nella propria situazione personale. Tuttavia, al contempo, si può affermare che su di noi sacerdoti ricade una speciale responsabilità, perché dobbiamo mostrare la nostra identificazione col Signore per una nuova ragione (cfr. Presbyterorum Ordinis, n. 12): in virtù cioè della funzione che svolgiamo, la quale è santa in se stessa. Per questo, nostro Padre, che predicò sin dal 1928 la chiamata universale alla santità, precisò nei suoi Appunti intimi: “I sacerdoti: con quanta chiarezza di luce nuova il Signore mi ha fatto sentire la necessità a s s o l u t a che siano santi!” (Appunti intimi, 26-III-1932, n. 672). Siete ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele (1 Cor 4, 1-2). Ecco, figli miei sacerdoti, quello che Dio e la Chiesa si aspettano da noi e che hanno diritto di trovare in noi le anime: fedeltà, santità (...). Coltiviamo, quindi, quotidianamente la virtù dell’umiltà e così saremo buoni strumenti nelle mani di Dio. Non dimenticate che la grandezza del sacerdozio si edifica “sul fondamento della nostra debolezza: quoniam et ipse circumdatus est infirmitate (Eb 5, 2), perché anche il sacerdote è circondato di miserie” (Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 8-VIII-1956, n. 1): non siamo superiori a nessuno; piuttosto, dobbiamo metterci sotto agli altri, perché il nostro compito specifico consiste nel servire tutte le anime: Io sto in mezzo a voi come colui che serve, dice il Signore (Lc 22, 27)»[30].

6. Attività promosse per la formazione del clero

Nel suo anelito di promuovere la formazione umana, dottrinale e ascetica dei sacerdoti e dei candidati al sacerdozio, il Beato Josemaría Escrivá creò nell’Università di Navarra una Facoltà di Diritto Canonico (1959) ed una di Teologia (1969), con indubbio arricchimento anche delle altre facoltà. Egli aveva sempre chiesto ai suoi figli (sacerdoti e laici) di compiere gli studi ecclesiastici almeno allo stesso livello di serietà scientifica con cui avevano affrontato gli studi civili. Mons. del Portillo, dando seguito a quest’ispirazione, istituì a Navarra la Facoltà Ecclesiastica di Filosofia ed ampliò quella di Teologia con l’istituzione del Primo Ciclo.

a) Il Pontificio Ateneo della Santa Croce

Il Beato Josemaría vedeva le Facoltà di studi ecclesiastici dell’Università di Navarra come il primo passo di un percorso che gli stava molto a cuore e che sarebbe dovuto sfociare nella creazione, al momento opportuno, di un analogo Centro a Roma, dove, unitamente ad un alto standard formativo e ad un’ampia e profonda attività di ricerca scientifica, agli studenti venisse assicurata la possibilità di “romanizzarsi”, per così meglio servire la Chiesa universale e tutte le diocesi. Don Álvaro del Portillo fece di tutto perché i desideri del Fondatore divenissero realtà e, appena possibile, decise di intraprendere questa grande impresa. Come il Fondatore, anch’egli la riteneva uno specifico servizio alla Chiesa e questo pensiero lo aiutò a superare le difficoltà legate alla disponibilità delle persone e al reperimento dei mezzi economici. E non si accontentò che le Facoltà garantissero un alto livello scientifico (almeno parallelo a quello delle migliori università civili) e la piena fedeltà al Magistero, ma volle anche che venissero istituiti collegi ecclesiastici e convitti che assicurassero la formazione umana, spirituale e apostolico-pastorale dei sacerdoti e dei candidati al sacerdozio.

Ottenute le relative approvazioni, Mons. del Portillo dette inizio alle attività nell’anno accademico 1984-1985. Con decreto del 9 gennaio 1990, la Congregazione per l’Educazione Cattolica, in conformità con le facoltà conferitele dal Romano Pontefice, eresse formalmente l’Ateneo Romano della Santa Croce e lo affidò alla Prelatura della Santa Croce e Opus Dei, nominandone Gran Cancelliere il Prelato. Il 26 giugno 1995 il Santo Padre lo elevò al rango “Pontificio”: il “Pontificio Ateneo della Santa Croce”. Attualmente vi studiano più di 600 sacerdoti o candidati al sacerdozio, oltre ad alcuni laici, e il corpo docente è costituito da più di 120 professori.

Il 28 ottobre 1992, nel discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico 1992-1993, l’ultimo che pronunziò in tale ricorrenza, S.E. Mons. del Portillo rivolse a professori ed alunni le seguenti parole, espressive dello stile che egli aveva saputo imprimere nel Centro: «Come ci ricorda il Santo Padre nell’ultima esortazione post-sinodale: “È la stessa situazione contemporanea ad esigere sempre più dei maestri che siano veramente all’altezza della complessità dei tempi e siano in grado di affrontare, con competenza, con chiarezza e profondità di argomentazioni, le domande di senso degli uomini d’oggi, alle quali solo il Vangelo di Gesù Cristo dà la piena e definitiva risposta” (Pastores dabo vobis, n. 56). E l’impegno di seguire e proclamare Cristo possiede tanti risvolti concreti nello studio e nell’insegnamento delle scienze sacre: esso deve muovere a cercare senza sosta la Verità — con sempre maggiore profondità — e ad agire in modo da condurre questa ricerca nello spirito suggerito dall’Apostolo del veritatem facientes in caritate (Ef 4, 16), così che ogni passo nel tragitto verso la Verità sia veramente occasione per servire con gioia e semplicità la Chiesa, il Romano Pontefice e tutte le anime (cfr. Preghiera al Beato Josemaría); ben consci che la verità della fede e la testimonianza della carità sono inscindibili, perché confluiscono nell’unità di vita segno dell’autentico progresso spirituale (cfr. Christifideles laici, n. 59)»[31].

b) I Collegi Ecclesiastici Internazionali “Bidasoa” (Pamplona) e “Sedes Sapientiæ” (Roma)

Lo zelo pastorale di Mons. Álvaro del Portillo, sulla scia dell’esempio del Fondatore dell’Opus Dei, non mirava solo all’adeguata preparazione degli studenti nella Filosofia, nella Teologia e nel Diritto Canonico, ma anche alla loro formazione in tutti gli aspetti della vita sacerdotale. Per questo sin dall’inizio sia a Pamplona che a Roma vennero creati Convitti o Residenze per gli studenti.

Il 14 luglio 1988 a Pamplona venne eretto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica il Collegio Ecclesiastico Internazionale “Bidasoa”. Il decreto di erezione lo definisce come «un particolare Collegio Ecclesiastico Internazionale, che risponde pienamente al concetto di seminario, nel quale, sotto la direzione di sacerdoti dell’Opus Dei, gli alunni del clero diocesano potranno ricevere una formazione umana, spirituale e pastorale secondo le norme stabilite dalla Chiesa»[32]. Dotato di un nucleo di oltre 150 seminaristi provenienti da diverse nazioni d’Europa, America, Africa e Asia, esso contribuisce a risolvere l’urgente necessità di sacerdoti in grado di unire una solida preparazione intellettuale, spirituale ed apostolica, in piena fedeltà alle direttive del Romano Pontefice e del Collegio Episcopale, con l’esperienza viva dell’universalità della Chiesa ed il contatto con il mondo culturale universitario contemporaneo. Sacerdoti, quindi, in condizione di prestare nell’evangelizzazione un servizio adeguato alle esigenze di questo tempo, nel quale dinanzi alla Chiesa si dischiudono i vasti orizzonti apostolici del terzo millennio.

Pochi anni dopo, il 9 gennaio 1991, su richiesta di Mons. Álvaro del Portillo, la Congregazione per l’Educazione Cattolica eresse a Roma il Collegio Ecclesiastico Internazionale “Sedes Sapientiae”, dotato di caratteristiche analoghe, anch’esso destinato a candidati al sacerdozio provenienti da diocesi di tutto il mondo e che svolgono gli studi presso il Pontificio Ateneo della Santa Croce. Sotto la spinta di Mons. del Portillo, l’Ateneo ha inoltre istituito alcune residenze per i sacerdoti che si recano a Roma per frequentare i corsi della Licenza e del Dottorato nell’Ateneo: esse offrono un’adeguata assistenza spirituale e l’arricchimento della formazione umana e apostolica. Si contano dunque già a migliaia i presbiteri che devono allo zelo sacerdotale di don Álvaro del Portillo questa specifica e diligente assistenza.

7. La Società Sacerdotale della Santa Croce e la formazione permanente del clero

Don Álvaro del Portillo fu anche lo strumento scelto da Dio per condurre l’Opus Dei alla configurazione giuridica auspicata dal Beato Josemaría e pienamente conforme al carisma fondazionale.

Oltre ad altri benefici, questa veste giuridica permette di delimitare con maggiore precisione, e rendere quindi più chiaro a tutti, quello che fin dal principio era stato l’intendimento del Fondatore, e la prassi da lui seguita, nei confronti dei sacerdoti diocesani desiderosi di raggiungere la santità secondo lo spirito dell’Opus Dei. Mons. del Portillo lo dichiarò, sottolineando come la nuova forma giuridica «conferma che questi sacerdoti non cambieranno la propria situazione giuridica né avranno Superiori nella Prelatura: si compirà così quel desiderio del nostro Fondatore secondo il quale, grazie a questa chiamata alla Società Sacerdotale della Santa Croce, che si unisce alla loro vocazione sacerdotale, essi si sentiranno sempre di più sacerdoti del loro Vescovo, più dediti alla loro diocesi, più fratelli dei loro confratelli sacerdoti, più amanti del Seminario e delle opere diocesane e sempre più al servizio delle anime»[33].

In effetti questa configurazione giuridica evidenzia che la Prelatura dell’Opus Dei è un’istituzione appartenente alla struttura gerarchica della Chiesa, il cui presbiterio è costituito esclusivamente dai sacerdoti che provengono dalle fila dei fedeli laici dell’Opera; invece, la Società Sacerdotale della Santa Croce è un’associazione di sacerdoti e diaconi del clero secolare, il cui vincolo è di carattere associativo, in conformità con le direttive del Concilio Vaticano II che aveva raccomandato la creazione e lo sviluppo di tali associazioni[34]. Gli uni e gli altri, seppur entro una configurazione giuridica differente, vivono il medesimo ed unico impegno vocazionale: la chiamata a santificarsi nel ministero sacerdotale secondo lo spirito dell’Opus Dei.

Mons. del Portillo sin dal primo momento stimolò lo sviluppo della Società Sacerdotale della Santa Croce, convinto della sua efficacia e della crescente necessità di sacerdoti santi. Nel discorso di chiusura dell’XI Simposio Internazionale di Teologia dell’Università di Navarra, dedicato alla formazione permanente del clero[35], dopo aver accennato alla complessa situazione attuale, responsabile del disorientamento di non pochi sacerdoti[36], proseguì: «Se la nuova evangelizzazione, come la prima, come ogni evangelizzazione nella storia, e come ogni attività veramente soprannaturale, è impossibile per le nostre forze umane — le forze di ciascuno e quelle di tutti insieme nella Chiesa —, è tuttavia possibile per Dio, è possibile per Cristo: per ciò stesso, risulta possibile per noi, per tutti e per ciascuno, nella misura in cui tutti e ciascuno siamo — ritengo necessaria questa insistenza, che sarà sempre attuale — “non solo alter Christus, ma ipse Christus, lo stesso Cristo” (Beato Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, n. 104) (...). Pertanto, oggi come ieri, di fronte alle sfide di ogni epoca, la domanda: “Di che tipo di sacerdoti la Chiesa e il mondo hanno oggi bisogno?”, ha una risposta che incomincia necessariamente così: “La Chiesa e il mondo hanno bisogno di sacerdoti santi”, cioè di sacerdoti che, consapevoli della propria limitatezza e miseria, si sforzino con decisione di percorrere i cammini della santità, della perfezione della carità, dell’identificazione con Cristo, in fedele corrispondenza alla grazia divina. Non è una risposta nuova; ma è una risposta sempre attuale, sempre necessaria, sempre decisiva. Il Concilio Vaticano II lo ha affermato a chiare lettere»[37]. La fonte cui il testo rimanda è il n. 12 del decreto Presbyterorum Ordinis, sopra riportato, sullo speciale obbligo dei sacerdoti di cercare la santità, la perfezione della carità, a tutti richiesta[38].

In definitiva, tutto il segreto della formazione permanente del sacerdote getta qui le proprie radici: nella cura di alimentare continuamente desideri efficaci di santità nell’esercizio del ministero; nel costante impegno di mantenere e rinvigorire la vita interiore con i mezzi tradizionali nella Chiesa: innanzitutto la Santa Messa e quindi l’orazione e lo spirito di penitenza (impossibile da conservare senza la confessione frequente), la lettura spirituale, l’esame di coscienza, la direzione spirituale, ecc.; nell’assiduità dello studio, che mantiene viva la dottrina perenne della salvezza e nel seguire con fedeltà gli insegnamenti, costantemente rinnovati, del Magistero vivo della Chiesa... In una parola, nel continuo sviluppo della carità pastorale, nella quale si riassume la santità cercata e vissuta nell’esercizio del ministero: «Anima e forma della formazione permanente del sacerdote è la carità pastorale: lo Spirito Santo, che infonde la carità pastorale, introduce a accompagna il sacerdote a conoscere sempre più profondamente il mistero di Cristo che è insondabile nella sua ricchezza (cfr. Ef 3, 14) e, di riflesso, a conoscere il mistero del sacerdozio cristiano. La stessa carità pastorale spinge il sacerdote a conoscere sempre più le attese, i bisogni, i problemi, le sensibilità dei destinatari del suo ministero (...). A tutto questo tende la formazione permanente intesa come cosciente e libera proposta ad accogliere il dinamismo della carità pastorale e l’azione dello Spirito Santo, che ne è la sorgente prima e l’alimento continuo (...); esigenza intrinseca al dono e al ministero sacramentale ricevuto, essa si rivela necessaria in ogni tempo. Oggi però risulta essere particolarmente urgente, non solo per il rapido mutarsi delle condizioni sociali e culturali degli uomini e dei popoli entro cui si svolge il ministero presbiterale, ma anche per quella “nuova evangelizzazione” che costituisce il compito essenziale e indilazionabile della Chiesa alla fine secondo millennio»[39].

La formazione del sacerdote è di per sé permanente, «perché, nei suoi molteplici aspetti, tende — deve tendere — a formare in lui Cristo (cfr. Gal 4, 19), realizzando questa identificazione come compito in risposta a ciò che essa ha come dono sacramentale ricevuto. Un compito che implica, prima ancora di un’incessante attività pastorale, e come condizione della sua efficacia, un’intensa vita di preghiera e di penitenza, una sincera direzione spirituale della propria anima, un ricorso al sacramento della Penitenza vissuto con periodicità e con estrema delicatezza, e tutta l’esistenza radicata, centrata e unificata nel Sacrificio eucaristico.

»Una nuova evangelizzazione, sì, ma con la chiara coscienza che — con parole di Mons. Escrivá — “nella vita spirituale non c’è nulla da inventare; occorre soltanto lottare per identificarsi con Cristo, per essere altri Cristi — ipse Christus —, per innamorarsi e vivere di Cristo, che è lo stesso ieri, oggi, e sempre: Iesus Christus heri et hodie, ipse et in saecula (Eb 13,8)»[40].

Non voglio terminare senza ricordare con gratitudine quanto Mons. Álvaro del Portillo fece per incoraggiare e sviluppare la formazione permanente del clero attraverso la Società Sacerdotale della Santa Croce della quale, in quanto Prelato dell’Opus Dei, era Presidente. Desidero farlo con le parole di un sacerdote diocesano della Società Sacerdotale della Santa Croce, successivamente consacrato Vescovo: «Credo che sia una grazia divina grandissima per un sacerdote secolare diocesano appartenere alla Società Sacerdotale della Santa Croce (...): lo penso in quanto sacerdote e in quanto Vescovo. Significa assicurarsi l’adeguata assistenza umana e soprannaturale, qualsiasi cosa succeda, nelle peripezie dell’attività sacerdotale; significa impegnarsi a percorrere una strada di preghiera e santità; significa avere a disposizione il consiglio opportuno e fraterno nei meandri della vita; significa godere di uno spirito di famiglia che offre gioia, pace ed efficacia»[41]. Vuol dire sperimentare, in tutti gli ambiti della vita sacerdotale ma soprattutto nell’esercizio della carità pastorale, quell’aiuto — niente spinge tanto ad amare e a donare se stessi come il sapersi amato — che tanti fra noi hanno ricevuto dall’immensa paternità spirituale del Beato Josemaría, ereditata ed eroicamente vissuta da Mons. del Portillo, suo primo Successore e Vescovo Prelato dell’Opus Dei.

+ Mons. Javier Echevarría

Vescovo Prelato dell’Opus Dei

[1] Cfr. 1 Pt 2, 25.

[2] Nell’Esortazione ap. Pastores dabo vobis, Giovanni Paolo II specifica proprio questi aspetti della formazione al sacerdozio: formazione umana (nn. 43-44), spirituale (nn. 45-50), intellettuale (nn. 51-56) e pastorale (nn. 57-59).

[3] «In questo modo, molto uniti a Gesù nell’Eucaristia, raggiungeremo una continua presenza di Dio, nelle occupazioni ordinarie specifiche della situazione di ciascuno in questo peregrinare terreno, cercando il Signore in ogni tempo e in tutte le cose. Nutrendo nella nostra anima gli stessi sentimenti di Cristo sulla Croce, riusciremo a fare di tutta la nostra vita un atto di riparazione incessante, un’assidua supplica ed un sacrificio perenne per tutta l’umanità, perché il Signore vi darà l’istinto soprannaturale di purificare tutte le azioni, elevarle all’ordine della grazia e trasformarle in strumenti di apostolato. Solo così saremo anime contemplative in mezzo al mondo, come la nostra vocazione richiede, ed arriveremo a essere anime veramente sacerdotali, facendo di tutto ciò che è nostro una continua lode a Dio» (Lettera, 2-II-1945, n. 11). Si noti che quest’appello è rivolto allo stesso modo a sacerdoti e laici.

[4] «Siate devoti come bambini, sinceramente devoti, coltivate una profonda devozione alla Santissima Vergine: così avrete assicurata in buona parte la rettitudine della vostra dottrina. Bonus homo de bono thesauro profert bona, et malus homo de malo thesauro profert mala (Mt 12, 35): dal fondo — dal buon tesoro — di un cuore innamorato di Dio, provengono parole di luce. La pietà è utile a tutto (1 Tim 4, 8)» (Lettera, 8-VIII-1956, n.16).

[5] Ed ecco le ragioni che elencava a motivare tale premura: «Perché avevo sempre preteso dai miei figli la migliore formazione e la formazione religiosa non poteva essere da meno»; e poi perché, essendo gravemente malato, pensava di poter morire «da un momento all’altro» e «desidero ardentemente salvare la mia anima» (cfr. Lettera, 8-VIII-1956, n. 13).

[6] Nell’Opus Dei «la diversità, in tutte le questioni temporali ed in quelle teologiche legittimamente opinabili, è chiara dimostrazione di buono spirito» (Lettera, 2-II-1945, n. 18).

[7] «Dovete essere uomini dalla dottrina sicura, scrupolosamente fedeli al Magistero della Santa Sede, molto romani!» (Lettera, 8-VIII-1956, n. 16).

[8] «È necessario che i sacerdoti dell’Opus Dei amino lo studio e che dedichino tutti i giorni un po’ di tempo ad approfondire la conoscenza della scienza sacra» (Lettera, 2-II-1945, n. 33).

[9] «Unire il lavoro professionale alla lotta ascetica e alla contemplazione — cosa che può sembrare impossibile e che invece è necessaria per contribuire a riconciliare il mondo a Dio — e trasformare il lavoro ordinario in strumento di santificazione personale e di apostolato. Non è questo un ideale alto e grande, per il quale vale la pena dare la vita?» (J. Escrivá, Istruzione, 19-III-1934, n. 33). Mons. del Portillo commenta: «Nostro Padre ha parlato e ha scritto molto sull’unità di vita: e la Santa Sede, nel decreto di approvazione dell’Opera del 16-VI-1950, riprende qualcosa di quello che il Padre scrisse e conferma la descrizione dell’unità di vita tracciata dal nostro Fondatore nel De spiritu: il duplice aspetto dell’Opera, asceticus et apostolicus, ita sibi adaequate respondet, ac cum charactere saeculari Operis Dei intrinsice et harmonice fusus ac compenetratus est, ut solidam ac simplicem vitae unitatem necessario secum ferre ac inducere semper videatur. Huic forti vitae unitati, respondet spontanea magnanimitas, perpetuo renovata, in omnibus patens omnibusque manifesta (Decreto di approvazione, p. 25; cfr. De spiritu, nn. 5 e 6)» (nota 52 all’Istruzione dell’8-XII-1941).

[10] Le citazioni in proposito sono innumerevoli: «Figli miei sacerdoti, siate sempre disposti a servire con spirito sportivo, con la vostra anima sacerdotale e con la vostra mentalità laicale. Dovete essere allegri, dotti, sacrificati, santi, dimentichi di voi stessi: nel nostro lavoro nessuno ha tempo di pensare a se stesso, di inseguire preoccupazioni personali: dobbiamo occuparci solamente della gloria di Dio e del bene delle anime» (Lettera, 8-VIII-1956, n. 8).

[11] Egli dava ai sacerdoti dell’Opus Dei questo consiglio per la predicazione: «Il sacerdote che detta la meditazione deve tenere presente che in quel momento fa la propria orazione personale, condensando in parole, come sono solito dire, l’orazione di tutti, aiutando gli altri a parlare con Dio — sennò, si perde tempo —, offrendo luce, suscitando gli affetti, facilitando il dialogo divino e, insieme al dialogo, i propositi» (Lettera, 8-VIII-1956, n. 27).

[12] «L’amministrazione del sacramento della Penitenza deve essere per voi passione dominante ed esercizio gioioso. Espressione di questo desiderio santo sarà lo spirito di sacrificio con cui farete in modo di destinare tutti i giorni alcune ore al confessionale, con molta carità, per ascoltare, per consigliare, per perdonare, esercitando la vostra missione di giudice, di maestro, di pastore, di padre (...): quando assistete le anime nel santo sacramento della Penitenza, ricordatevi di quel passo del Vangelo quando il Signore, alla domanda su quante volte bisogna perdonare, risponde: Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18, 22)» (Lettera, 8-VIII-1956, n. 30).

[13] È affermazione ormai comune che il Fondatore dell’Opus Dei sia stato un pioniere della proclamazione dell’insegnamento evangelico relativo alla chiamata universale alla santità. Nel decreto di introduzione della Causa di canonizzazione, ad esempio, si legge: «Per aver proclamato la vocazione universale alla santità, fin da quando fondò l’Opus Dei nel 1928, Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer è stato unanimemente riconosciuto come un precursore del Concilio proprio in ciò che costituisce il nucleo fondamentale del suo Magistero, tanto fecondo per la vita della Chiesa» (Decreto di Introduzione della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer, Roma, 19-II-1981, n. 2). E il decreto pontificio sull’eroicità delle virtù lo qualifica come un “araldo della santità”, «non solo per la fecondità dell’esempio che ha offerto con la propria vita, ma anche per la forza singolare con cui, ponendosi in coincidenza profetica con il Concilio Vaticano II, fin dagli inizi del suo ministero cercò di rivolgere a tutti i cristiani l’appello evangelico: “A tutti, senza eccezione, il Signore ha detto: Siate perfetti, com’è perfetto il Padre mio che è nei cieli” (Cammino, n. 291, 33ª ed., Ares, Milano 1996)» (Decreto della Congregazione per le Cause dei Santi sulle virtù eroiche del Servo di Dio Josemaría Escrivá de Balaguer, Fondatore dell’Opus Dei, Roma, 9-IV-1990).

[14] Per quanto riguarda gli studi civili, era dottore in Ingegneria ed in Filosofia; inoltre era dottore in Teologia e in Diritto Canonico.

[15] «Con il sacramento dell’ordine i presbiteri si configurano a Cristo sacerdote come tutti i ministri del capo, allo scopo di far crescere ed edificare tutto il suo corpo che è la Chiesa, in qualità di cooperatori dell’ordine episcopale. Già fin dalla consacrazione del battesimo, essi, come tutti i fedeli, hanno ricevuto il segno e il dono di una vocazione e di una grazia così grande che, pur nell’umana debolezza (cfr 2 Cor 12, 9), possono e devono tendere alla perfezione, secondo quanto ha detto il Signore: Siate perfetti così come il Padre vostro celeste è perfetto (Mt 5, 48). Ma i sacerdoti sono obbligati in modo speciale a tendere a questa perfezione, poiché essi, avendo ricevuto una nuova consacrazione a Dio mediante l’ordinazione, sono elevati alla condizione di strumenti vivi di Cristo eterno sacerdote, per proseguire nel tempo la sua mirabile opera, che ha reintegrato con divina efficacia l’intero genere umano (...). Questo sacrosanto Concilio esorta vivamente tutti i sacerdoti ad impiegare i mezzi efficaci che la Chiesa ha raccomandato (cfr. fra altri: S. Pio X, Esort. Haerent animo, 4-VIII-1908; Pio XI, Enc. Ad catholici sacerdotii, 20-XII-1935; Pio XII, Esort. ap. Menti nostrae, 23-IX-1950; Giovanni XXIII, Enc. Sacerdotii Nostri primordia, 1-VIII-1959) in modo da tendere a quella santità sempre maggiore che consentirà loro di divenire strumenti ogni giorno più validi al servizio di tutto il popolo di Dio» (Presbyterorum Ordinis, n. 12).

[16] Cfr. J. FRISQUÉ, Le Décret «Presbyterorum Ordinis». Histoire et commentaire, in AA.VV. Vatican II. Les Prêtres. Formation, ministére et vie, Paris 1968, in particolare pp. 163 ss.

[17] Lettera, 31-V.1943, n. 1.

[18] A. DEL PORTILLO, Consacrazione & missione del sacerdote, 2ª ed., Ares Milano, 1990, pp. 43-45 (la versione originale fu pubblicata con il titolo La nuova missione del clero in «L’Osservatore della Domenica», Città del Vaticano 1966, numero speciale dedicato al Concilio Vaticano II, pp. 106-107).

[19] Cfr. A. DEL PORTILLO, Testigo de amor a la Iglesia, in “Palabra”, giugno 1976; ripreso in A. DEL PORTILLO, Una vida para Dios. Reflexiones en torno a la figura de Josemaría Escrivá de Balaguer, Rialp, Madrid 1992, pp. 69-87. La citazione è a p. 84.

[20] Ricordiamo soprattutto Consacrazione & missione del sacerdote, 2ª ed. ampliata, Ares, Milano 1990 (1ª ed., 1971); Una vida para Dios. Reflexiones en torno a la figura de Josemaría Escrivá de Balaguer, Madrid, Rialp 1992. Numerosi sono gli altri scritti e le lettere destinate alla formazione dei suoi figli sacerdoti: cfr. infra.

[21] A. DEL PORTILLO, Consacrazione & missione, 1990, p. 73.

[22] A. DEL PORTILLO, Lettera, 9-I-1993, n. 37.

[23] A. DEL PORTILLO, Consacrazione & missione, pp. 118-119.

[24] A. DEL PORTILLO, Magistero della Chiesa e Teologia morale, in Persona, Verità e Morale, “Atti del Congresso Internazionale di Teologia Morale, Roma 1986”, Città Nuova Editrice, Roma 1988, p. 23 e in «Romana» II (1986), pp. 95-98 (la citazione si trova a p. 98).

[25] A. DEL PORTILLO, Consacrazione & missione, pp. 11-15.

[26] Ibid., pp. 133-135.

[27] Approvata con decreto della Congregazione per l’Educazione Cattolica del 14-II-1989 e promulgata con decreto del Prelato del 24-II-1989.

[28] Approvata con decreto del Prelato del 24-II-1989.

[29] A. DEL PORTILLO, Lettera, 1-VIII-1986.

[30] A. DEL PORTILLO, Lettera, 9-I-1993, nn.22-23.

[31] “Romana” VIII (1992), pp. 254-256.

[32] Decreto della Congregazione Pro Institutione Catholica, 14-VII-1988.

[33] A. DEL PORTILLO, Lettera, 8-XII-1981, n. 14, in occasione della comunicazione ufficiale da parte della Santa Sede della volontà di erigere l’Opus Dei in Prelatura personale. Pubblicata in Rendere amabile la verità. Raccolta di scritti di Mons. Álvaro del Portillo, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1995, pp. 40-47. La citazione si trova a p. 46.

[34] «Vanno anche tenute in grande considerazione e diligentemente incoraggiate le associazioni che, in base a statuti riconosciuti dall’autorità ecclesiastica competente, favoriscano — grazie a un modo di vita convenientemente ordinato e approvato e all’aiuto fraterno — la crescita nella santità dei sacerdoti nell’esercizio del loro ministero» (Presbyterorum ordinis, n. 8c).

[35] A. DEL PORTILLO, Sacerdoti per una nuova evangelizzazione, in Consacrazione & missione, pp. 101-126.

[36] Il passo che vorrei citare qui prende le mosse dalla necessità di contemplare il mondo «”con gli occhi di Cristo stesso”, come ha scritto Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica (Redemptor hominis, n. 18). Così nel chiaroscuro dei fenomeni mutevoli, che in molti casi la rendono irriconoscibile, si scopre anche oggi l’inquietudine dell’anima umana — che anela a Dio e ne sente nostalgia — espressa da Sant’Agostino nel celebre esordio delle Confessioni: “Ci hai fatto, o Signore, per te ed è inquieto il nostro cuore finché non riposa in te” (Conf. I, c. 1, 1). La dinamica accelerata che a grandi linee caratterizza la nostra epoca è come plasmata dall’inquietudine di tanti cuori che camminano in continua irrequietezza, senza riuscire a scorgere un nord chiaro per la propria esistenza né un senso per la storia umana. Ebbene, proprio qui, in mezzo a questa inquietudine, si deve proclamare a viva voce che Colui che cercano è Cristo, e ciò che ignorano e a cui anelano è l’amore paterno di Dio, che viene offerto, a tutti e a ciascuno, in Cristo e nella Chiesa» (A. DEL PORTILLO, Consacrazione & missione, pp. 104-105).

[37] A. DEL PORTILLO, ibid., pp. 109-111.

[38] Cfr. supra nota 15.

[39] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, n. 70.

[40] A. DEL PORTILLO, Consacrazione & missione, pp. 125-126.

[41] Testimonianza di S.E. Mons. Enrique Pélach, Vescovo emerito di Abancay, citata con molte altre analoghe in: LUCAS F. MATEO SECO — RAFAEL RODRÍGUEZ-OCAÑA, Sacerdotes en el Opus Dei, Eunsa, Pamplona 1994, p. 210.

Romana, n. 23, Luglio-Dicembre 1996, p. 200-218.

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