Il 2 ottobre 1993, sessantacinquesimo anniversario della fondazione dell’Opus Dei, la Radio Vaticana ha emesso un’intervista con S.E.R. Mons. Alvaro del Portillo. Riportiamo il testo dell’intervista.
D. —Eccellenza, l’Opus Dei è stata definita un lievito perché i suoi aderenti, quasi tutti laici, dall’interno della società e in molti campi dell’attività umana, ricordano ai cristiani —con la testimonianza della loro vita— la chiamata universale alla santità. È così?
R. —Sì, è così. Sessantacinque anni fa, il 2 ottobre 1928, mentre pregava intensamente, il Beato Josemaría Escrivá comprese ciò che il Signore gli chiedeva. Vide una moltitudine di persone, di tutte le condizioni, proiettate alla ricerca della santità in mezzo al mondo, nel lavoro professionale e in tutte le attività oneste degli uomini. Da quel giorno in avanti, il Beato Josemaría dedicò tutta la propria vita, tutte le proprie energie, al compimento di questa missione ricevuta da Dio. Destò in migliaia di uomini e donne la coscienza della vocazione divina del cristiano: ricordò loro la realtà ineffabile della vicinanza di Dio ad ogni uomo. Dio non sta lontano, lassù, “dove brillano le stelle”, bensì accanto a noi, in attesa del nostro amore. Nel lavoro quotidiano, nella famiglia, nelle situazioni normali di ogni giorno possiamo trovare Dio e raggiungere la santità. Ecco l’ideale che l’Opus Dei si propone di raggiungere: santificare tutte le attività umane ed informare dello spirito di Cristo la società intera, ciascuno operando nel luogo che la vita gli ha assegnato, senza formare un gruppo: come il sale, come il lievito. Per riuscirci è necessaria un’intensa vita di preghiera ed una profonda formazione cristiana, fedele al Magistero della Chiesa. Questo è ciò che la Prelatura dell’Opus Dei offre ai propri membri e ad un gran numero di persone nel mondo intero.
D. —Perché nell’Opus Dei vi sono così pochi sacerdoti, in rapporto al numero dei membri laici? Forse perché l’apostolato principale della Prelatura è quello che svolgono i suoi aderenti negli ambienti di lavoro, in famiglia, nei rapporti sociali?
R. —Sì, questo è l’apostolato principale della Prelatura: quello appunto svolto dai fedeli laici nel loro ambiente. I sacerdoti della Prelatura sono pochi in rapporto al numero dei membri laici, come avviene del resto nella Chiesa in genere. L’Opus Dei non è altro se non una “piccola parte della Chiesa”, come amava dire il nostro Fondatore, e riflette in sé la struttura della Chiesa, la quale è composta da cristiani comuni e da sacerdoti: da un lato, dunque, uomini e donne chiamati a santificarsi nelle situazioni normali della vita; dall’altro, ed in numero notevolmente inferiore, sacerdoti dediti a servire i fratelli mediante il ministero della parola ed i Sacramenti. Questa unione di un Prelato, un clero ed un insieme di fedeli, unione dalla quale è costituita la Prelatura personale dell’Opus Dei, è orientata a promuovere —come dicevo prima e come Lei ha accennato nella domanda— la vita cristiana in mezzo al mondo. Perciò sacerdoti e laici, nell’Opus Dei, formano una profonda unità. Ma mi lasci aggiungere che tutto ciò, in radice, presuppone l’azione della grazia, senza la quale non può esistere il cristianesimo.
D. —Qual è la posizione dell’Opus Dei verso le missioni tra i non cristiani?
R. —I membri dell’Opus Dei sono cristiani comuni, che condividono con i propri concittadini aspirazioni e problemi: specialmente l’anelito di edificare una società più giusta e degna dell’uomo. Il loro lavoro e i rapporti sociali li mettono a contatto con le persone più diverse, cattolici e non cattolici. L’ambito della loro missione è quindi questo: l’ufficio, l’industria, la catena di montaggio, il focolare domestico. In qualunque lavoro onesto e in qualsiasi Paese: quelli in cui la fede cristiana gode di ampia diffusione e quelli che possono considerarsi come “terra di missione”. Dovunque si trovino, i membri dell’Opus Dei nutrono la consapevolezza di essere chiamati ad una missione apostolica, che differisce da quella ammirevolmente svolta dai missionari. Il compito a cui sono chiamati è appunto la missione propria dei laici: cioè testimoniare la fede in mezzo al mondo e trasmetterla ai propri colleghi di lavoro mediante la parola e l’esempio, rispettando con estrema delicatezza la libertà delle coscienze. L’esperienza di questi 65 anni ci dice che innumerevoli persone, spesso non cattoliche o addirittura non cristiane, si sono avvicinate alla Chiesa, attratte dall’integrità di vita, dalla lealtà, dalla gioia, dalla competenza professionale di un cristiano che lavorava accanto a loro.
Romana, n. 17, Luglio-Dicembre 1993, p. 239-241.