Omelia nella Veglia di preghiera per la pace, ad Assisi (9-I-93).
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo!
1. Questa è l'ora della preghiera.
Poco fa ci siamo riuniti tutti insieme per ascoltare le testimonianze di coloro che hanno fatto da vicino l'esperienza della guerra e delle sue conseguenze. Abbiamo riflettuto in silenzio sulle penose vicissitudini esposte e ci siamo sentiti partecipi delle sofferenze di quelle martoriate popolazioni.
Era il primo scopo di questa Veglia: che quanti in Europa, uomini e donne, sono aperti ai valori religiosi, avvertissero quasi inflitte nella propria carne le ferite della guerra: l'angoscia, la solitudine, l'impotenza, il pianto, il dolore, la morte. Forse anche la disperazione. Ci siamo così convinti ancor più fortemente che questi mali sono qualcosa che pesa sulle nostre spalle, che opprime i nostri cuori. Davanti ad una simile tragedia non si può restare indifferenti; non si può dormire. Dobbiamo, appunto, vegliare e pregare come il Signore Gesù nell'Orto degli Ulivi, quando portava su di sé tutti i nostri peccati sino a sudare sangue (cf. Lc 22, 44). Cristo, infatti, «è in agonia sino alla fine del mondo» (Pascal, Pensées, 736). E noi vogliamo accompagnarlo, questa notte, vegliando e pregando.
2. Questo è il secondo momento della nostra Veglia. Esso si svolge, per noi cristiani, nella Basilica Superiore di San Francesco. I rappresentanti dell'Islam si sono raccolti in un altro luogo di questo Sacro Convento, come pure hanno fatto alcuni rappresentanti dell'Ebraismo, mentre numerosi altri ebrei, che non hanno potuto, per i loro obblighi religiosi, raggiungerci qui ad Assisi, si uniscono anch'essi, pregando nelle loro sinagoghe, alla nostra supplica.
Entrando nella chiesa abbiamo acceso le nostre candele dal cero, posto in luogo eminente quale simbolo della presenza in mezzo a noi di Cristo, «luce del mondo». Questo, infatti, Egli ci ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).
Ma il cero è anche simbolo della luce interiore dello Spirito Santo, di cui sentiamo particolare bisogno in questo momento di preghiera.
Abbiamo ascoltato insieme la parola della Sacra Scrittura. Anche di questa luce è simbolo il cero. La Sacra Scrittura ci illumina, perché in essa e per mezzo di essa parla il Verbo. Anzi, nelle parole dei Profeti, degli Apostoli e degli Evangelisti il Verbo si fa presente. Ci è dato così di meglio comprendere ciò che dobbiamo chiedere al Dio Uno e Trino in questa Veglia di preghiera per la pace; che cosa dobbiamo chiedere in questa notte santa.
3. La chiave di lettura delle parole che abbiamo sentito, e del senso della nostra preghiera, la troviamo nel secondo brano poc'anzi proclamato. L'Apostolo afferma che Cristo è la nostra pace: «Egli —dice San Paolo— è la nostra pace» (Ef 2, 14).
Che cosa significano per noi, in questa notte, le lapidarie parole dell'Apostolo?
Significano anzitutto che non dobbiamo cercare la pace al di fuori di Cristo, e, tanto meno, contro di Lui. Dobbiamo, invece, sforzarci di vivere le parole di Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2, 5).
Ciò suppone la nostra personale conversione, efficacemente espressa dal medesimo Apostolo in questi termini: «Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ognuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Non cerchi ciascuno il proprio interesse, ma anche quello degli altri» (Fil 2, 3_4).
Se Cristo «ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia» (cf. Ef 2, 14); se Lui «ha distrutto in sé l'inimicizia» per «riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo per mezzo della croce» (cf. Ef 2, 16), come può ancora esistere l'inimicizia nel mondo? Come può esistere l'odio? Come è possibile uccidersi a vicenda?
4. Sono queste le domande che in questa notte noi sentiamo di dover porre a tutti, ed anche a noi stessi, davanti alla tragedia della Bosnia Erzegovina, davanti alle tragedie presenti in altre parti d'Europa e del mondo.
A tali domande non vi è altra risposta che quella dell'umile richiesta di perdono ai piedi della Croce sulla quale il Signore è crocifisso; per noi e per tutti. Proprio per questo, la nostra Veglia di preghiera è anche una Veglia di penitenza, di conversione. Non ci sarà pace senza questo ritorno a Gesù Cristo crocifisso nella preghiera, ma anche nella rinuncia alle ambizioni, alla sete di potere, alla volontà di sopraffare gli altri, alla mancanza di rispetto per i diritti altrui.
Sono queste, infatti, le cause della guerra, come già insegnava l'apostolo Giacomo nella sua lettera: «Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?» (Gc 4, 1).
Cristo è la nostra pace. Quando ci allontaniamo da Lui —nella nostra vita privata, nelle strutture della vita sociale, nei rapporti tra le persone ed i popoli— che altro rimane se non l'odio, l'inimicizia, il conflitto, la crudeltà, la guerra?
Dobbiamo pregare perché il suo «sangue» ci renda «vicini», cioè prossimi gli uni agli altri, giacché da noi stessi sappiamo solo renderci «lontani» (cfr. Ef 2, 13), sappiamo solo voltarci reciprocamente le spalle. «Lasciamoci, dunque, riconciliare con Dio» (cfr. 2 Cor 5, 20), per poterci riconciliare tra noi.
5. I conflitti che sorgono intorno a noi, la fame, le privazioni, gli stenti che affliggono e tormentano tanti esseri umani da un capo all'altro del mondo, sono una sfida per tutti coloro che si professano seguaci di Cristo. Tante sciagure non sono forse il riflesso di quella lotta che oppone il male al bene, che contrappone ad una società basata sull'egoismo e sulla cupidigia la civiltà dell'amore? Cristo ci chiama a non lasciarci vincere dal male, ma a vincere con il bene il male (cf. Rm 12, 21), a costruire una civiltà in cui regni supremo l'amore, e che ponga in primo piano il rispetto dell'«altro».
È mai possibile privare un uomo del diritto alla vita e alla sicurezza perché egli non è uno di noi, perché è l'«altro»? Privare una donna del diritto alla sua integrità e alla sua dignità perché non è una di noi, perché è l'«altro»? E, ancora, privare un bambino del diritto ad un tetto che lo ripari e del diritto a nutrirsi perché è un bambino che sta dalla parte degli «altri»? «Noi», «loro», non siamo forse tutti figli di un solo Dio, suoi figli diletti? Gesù Cristo non è forse venuto nel mondo, «luce» vera, che illumina ogni uomo» (Gv 1, 9), per liberarci dal peccato della divisione e radunarci tutti nell'amore? E quando «l'altro» è schernito, denigrato, disprezzato, maltrattato, quando «l'altro» non ha più giaciglio dove riposare il capo, non ha di che cibarsi o scaldarsi, non è forse Gesù stesso ad essere ancora una volta schernito, denigrato, disprezzato ed offeso? (cf. Mt 25, 31-46).
Chi potrà allentare la morsa crudele del male che ci circonda?
Con le parole di San Paolo possiamo e dobbiamo rispondere: «Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (Rm 7, 25).
6. Cristo che è la pace, la vera pace, quale altra eredità avrebbe potuto lasciarci se non questa stessa pace?
Abbiamo ascoltato le sue parole, a noi ben note. Che in questa Veglia di preghiera esse risuonino con più forza nei nostri cuori, suscitando una risposta più convinta e più generosa.
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). Se guardiamo attorno a noi, nel raccoglimento di questa notte di Assisi, che cosa vediamo? Il Signore Gesù ci ha davvero lasciato la pace? Com'è allora che c'è tanta violenza intorno a noi e in alcuni dei Paesi da cui siamo venuti imperversa addirittura la guerra? Che cosa abbiamo fatto del dono del Signore, della sua preziosa eredità? Non sarà che abbiamo preferito una pace «come la dà il mondo»? Una pace che consiste nel silenzio degli oppressi, nell'impotenza dei vinti, nell'umiliazione di coloro —uomini e popoli— che vedono i loro diritti calpestati?
La pace vera, quella che Gesù ci ha lasciato, poggia sulla giustizia, fiorisce nell'amore e nella riconciliazione. Essa è frutto dello Spirito Santo «che il mondo non può ricevere» (Gv 14, 17). Non insegna, forse, l'Apostolo che «frutto dello Spirito è amore, gioia, pace...» (Gal 5, 22)? «Non v'è pace per gli empi, dice il mio Dio», ci ha ricordato poc'anzi il profeta Isaia (57, 21).
7. «Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14, 26). Lo Spirito ci insegna e ci ricorda, in questa notte, qual è la sorgente della vera pace e dove la si deve cercare. Per questo ci siamo riuniti in questo sacro luogo, sotto lo sguardo e la protezione di San Francesco.
«Signore, fai di me uno strumento della tua pace».
«Signore, donaci la pace», donala a tutti, come noi già ce la siamo scambiata e di nuovo ce la scambiamo gli uni con gli altri in questa celebrazione liturgica.
Che essa si riversi, questa notte, sull'Europa e sul mondo dal costato aperto di Cristo. Nel messaggio natalizio del 1990, ascoltato poc'anzi, non ci diceva forse il compianto Patriarca Dimitrios I: «Questa pace non è una idea o un motto; è una realtà che deriva dall'estrema umiltà, la "kenosi" e l'autosacrificio del Figlio di Dio»?
Di fronte a quel mistero di sofferenza e di morte che sono le guerre, la nostra Veglia di preghiera vuol essere non una risposta isolata, fugace, momentanea, bensì la rinnovata assunzione dell'eredità che Cristo ci ha lasciato. Non ci ha forse donato la pace quando si è avviato verso la croce e quando è tornato a noi risorto (cf. Gv 20, 19)?
La pace in terra è un compito nostro, degli uomini e delle donne «di buona volontà». È un compito in particolare dei cristiani. Ne siamo responsabili davanti al mondo e nel mondo, che resta privo della pace vera, se Gesù Cristo non gliela dona mediante i suoi «strumenti di pace», mediante i «costruttori di pace» (cf. Mt 5, 9). Diceva Paolo VI nel brano testè letto: «È nostra missione lanciare la parola "pace" in mezzo agli uomini in lotta fra loro. È nostra missione ricordare agli uomini che sono fratelli. È nostra missione insegnare agli uomini ad amarsi, a riconciliarsi, a educarsi alla pace».
8. Qui convenuti questa sera, siamo chiamati a riflettere su quale sia il contributo che ciascuno di noi, ciascuna delle nostre Chiese, è chiamata ad offrire a servizio della pace.
Ve n'è uno, tuttavia, che è certamente comune a tutti noi, e questo è la preghiera. Perciò il Vescovo di Roma, insieme con i Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa, ha voluto invitare i suoi Fratelli e Sorelle nella fede, e i Capi delle altre Chiese e Comunità cristiane, nonché gli Ebrei e i Musulmani, a venire ad Assisi per pregare per la pace. Ed ha anche invitato le Chiese particolari di Europa a fare altrettanto. Nel corso di questa Veglia l'Europa leverà in tutte le sue lingue un'accorata implorazione al Dio della pace, perché conceda finalmente questo essenziale bene a tanti suoi popoli, tuttora dilaniati dal flagello della guerra.
Assumere l'eredità di Cristo in questo campo significa anzitutto pregare per la pace. Significa anche dare comune testimonianza dell'eredità ricevuta, della nostra responsabilità nei suoi confronti e del nostro impegno costante in favore della pace.
A questo contributo primario s'affianca poi l'impegno in favore della giustizia: «In luogo eccelso e santo io dimoro —dice il Signore per bocca di Isaia— ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi» (57, 15). In questa notte vogliamo tutti rinnovare il nostro impegno in favore degli ultimi, di coloro che sono vittime delle guerre, il cui grido silenzioso penetra i cieli.
9. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace mi sono soffermato quest'anno sul rapporto tra povertà e pace. I poveri sono il triste corteo che accompagna i conflitti ma sono le ingiustizie commesse contro di essi che provocano e alimentano i conflitti. Il rispetto per le persone e per i popoli è la via sicura per la pace.
Ciascuno di noi è chiamato a seguirla. Ogni passo, anche piccolo, su questa strada benedetta ci porta più vicino alla concordia e alla pace: proclamare i diritti di tutti e di ciascuno; affermare la dignità di ogni uomo e donna, qualunque ne sia l'etnia, il colore della pelle, la professione religiosa, denunciare i soprusi..., ecco alcuni dei passi che, questa notte, vogliamo di nuovo impegnarci a fare, in quanto eredi della pace di Gesù.
Cristo è la nostra pace. Egli ce l'ha conquistata sulla Croce ed anche in questa notte santa ce la dona, affinché noi, mediante la grazia dello Spirito Santo, con la parola e con l'azione, con l'atteggiamento di ogni ora e di ogni giorno, la trasmettiamo al mondo che non ha pace.
Dice Isaia (57, 19): «Io pongo sulle labbra: "Pace, pace ai lontani e ai vicini", dice il Signore, "io li guarirò"».
Che il Signore ponga, questa notte, sulle nostre labbra la parola pace, per guarirci tutti.
Amen!
Romana, n. 16, Gennaio-Giugno 1993, p. 10-14.