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Omelia nella Solenne Messa pro Sancta Ecclesia, il 7-I-1991, nella Basilica di Sant'Eugenio a Valle Giulia, concelebrata da S.E. Rev. Mons. Alvaro del Portillo con il suo Vicario Generale e con gli altri Vicari della Prelatura convenuti a Roma, in occ

I. Con profonda emozione, e con tutta la devozione di cui ero capace, ho ricevuto ieri, dalle mani del Santo Padre Giovanni Paolo II, l'ordinazione episcopale: una nuova effusione dello Spirito Santo, con la quale Cristo mi ha incorporato nel Collegio dei Vescovi, che succede a quello degli Apostoli[1]. Nell'odierna concelebrazione del Santo Sacrificio, che offriamo per la Santa Chiesa, desidero chiedervi di unirvi alla mia preghiera per la persona e le intenzioni del Romano Pontefice, successore di Pietro, fondamento perpetuo e visibile dell'unità di fede e di comunione[2] nella Chiesa. Uniamoci adesso, in modo particolare, al Santo Padre, nella sua accorata supplica per la pace del mondo, così minacciata in questi giorni.

La data di ieri mi richiama alla memoria un'altra ricorrenza, il cui ricordo è impresso nel mio cuore. Mi riferisco al 28 novembre 1982, giorno in cui il Papa ha eretto l'Opus Dei in Prelatura Personale: tale decisione pontificia segnò il termine del lungo cammino giuridico dell'Opera, che è una pagina della storia della Chiesa scritta dal nostro Fondatore, sostenuto dalla Madonna, con la sua eroica fedeltà alla missione divina ricevuta. Dio volle che il suo Servo non vedesse sulla terra la conclusione di quest'itinerario e dispose che fossero i suoi figli a raccogliere i frutti della sua orazione, del suo sacrificio e del suo incessante lavoro. Adesso, con l'ordinazione episcopale del primo successore di Mons. Escrivá, trova ancora una volta compimento la Sacra Scrittura, che dice: "Dio ha onorato il Padre nei figli"[3].

L'ordinazione episcopale del Prelato significa un gran bene spirituale per la Prelatura dell'Opus Dei, e, nel contempo, un nuovo attestato da parte della Santa Sede sulla sua natura giuridica quale struttura giurisdizionale nella Chiesa. L'episcopato conferisce una nuova grazia sacramentale al Pastore della Prelatura e rafforza sacramentalmente la sua unione con il Papa e con i Vescovi. Vi invito a continuare a pregare ogni giorno per la Gerarchia della Chiesa, amando sinceramente tutti i suoi membri. Inoltre, pur sapendo che non mi manca mai, vi chiedo il sostegno della vostra preghiera, per corrispondere alla grazia divina e imitare l'esempio di Cristo, Buon Pastore delle nostre anime[4], che non solo si prende cura di noi, come abbiamo ascoltato nella prima lettura della Messa[5], ma dà la vita per le sue pecore[6].

Nei quarant'anni che ho avuto il privilegio di trascorrere accanto al nostro Fondatore l'ho visto seguire le orme di Gesù e mettere in pratica l'immagine evangelica del Buon Pastore che dona la vita per il proprio gregge. Lavorando accanto a lui, giorno dopo giorno, ho potuto comprendere che cosa significa spendere la propria esistenza per gli altri, dimenticarsi di se stesso, sacrificarsi senza riserve, rinunciare persino al proprio onore, vincere la stanchezza, santificare il dolore, vivere la povertà, senza perdere mai la gioia e sospinto unicamente dall'amore: un ardente amore per Dio e per tutte le anime. Tutto sembrava poco a nostro Padre, che desiderava dare di più, aiutare di più, servire di più la Santa Chiesa. Perciò, soprattutto negli ultimi mesi di vita, quando presentiva che si avvicinava il momento così atteso di vedere il Signore faccia a faccia, ripeteva: «dal Cielo potrò aiutarvi meglio».

Possiamo ben dire che si sono avverate queste sue parole! Non è vero che sperimentiamo quotidianamente il suo aiuto dal Cielo? Ed è così sollecita ed efficace la sua intercessione, che adesso milioni di persone nel mondo intero recitano la preghiera per la devozione privata, scrivono per comunicare i favori ottenuti e chiedono a Dio la beatificazione e canonizzazione del Venerabile Josemaría Escrivá.

L'assenza fisica di nostro Padre durante la consacrazione episcopale di ieri mi ha ricordato che non volle essere presente neanche quando per la prima volta tre membri dell'Opera, tra cui c'ero anch'io, ricevettero l'ordinazione sacerdotale. Anche nelle successive ordinazioni sacerdotali di figli suoi si comportò allo stesso modo. Quel giorno, il 25 giugno 1944, il nostro Fondatore preferì celebrare la Santa Messa alla stessa ora in cui si sarebbe svolta la cerimonia, pregando per la santità dei suoi figli. Non desiderava ricevere congratulazioni, giacché, come soleva ricordare, «il mio compito è nascondermi e scomparire, affinché brilli soltanto Gesù»[7].

La sua condotta fu per noi esempio di un'esistenza vissuta al cospetto di Dio, di rettitudine di intenzione, di identificazione con la vita nascosta di Cristo, di umiltà e di magnanimità, la grandezza d'animo di chi non ambisce nessun onore terreno ma solo la gloria di Dio: Deo omnis gloria, a Dio tutta la gloria, esclusivamente a Lui, per servire la Chiesa universale e le Chiese locali.

"Nascondersi e scomparire" non vuol dire celare la nostra condizione di cristiani o mimetizzarci nell'ambiente paganizzato che spesso influisce sulle relazioni sociali, sul lavoro professionale o sui momenti di svago. Ciò significherebbe voler nascondere Cristo, vergognarsi di Cristo!

"Nascondersi e scomparire" significa, invece, calpestare la propria vanità, il proprio egoismo, la superbia della vita, dice San Giovanni[8], perché «brilli soltanto Gesù». E' Lui la luce che risplende nelle tenebre[9] e noi, quali figli di Dio in Cristo[10], siamo la luce del mondo[11]. Ognuno dev'essere un altro Cristo, anzi lo stesso Cristo, come ripeteva energicamente il nostro Fondatore. Ognuno di noi deve riflettere nella propria condotta la luce di Dio, perché —come ci chiede il Signore— gli uomini vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli[12]. Oggi, dinanzi al dilagare del materialismo pratico, noi cristiani dobbiamo testimoniare a parole e con i fatti che in Cristo si trova l'unico Valore assoluto e definitivo.

II. Poche settimane fa, nello scegliere il motto per lo stemma episcopale, ho pensato subito ad una giaculatoria che Mons. Escrivá ripeté e scrisse innumerevoli volte: «Regnare Christum volumus!», vogliamo che Cristo regni, in tutte le anime, a cominciare dalla nostra, e nella società intera. Queste parole fanno eco all'esclamazione di San Paolo, oportet illum regnare! —è necessario che Lui regni!—[13], e alla richiesta insegnataci da Gesù nel Padre Nostro: adveniat regnum tuum[14], venga il tuo regno, il regno di giustizia, di amore e di pace[15] che il Signore desidera instaurare sulla terra.

Questo motto —Regnare Christum volumus! — rispecchia il più vivo anelito del nostro Fondatore ed anche, inequivocabilmente, la ragione d'essere dell'Opus Dei. La Chiesa è il Regno di Cristo che si va realizzando lungo la storia e solo alla fine dei tempi raggiungerà la pienezza. Perciò, nel ripetere "vogliamo che Cristo regni!", stiamo ribadendo il desiderio, la volontà decisa e fattiva di contribuire all'edificazione della Chiesa sulla solida roccia di Pietro[16], con lo spirito e i mezzi voluti da Dio per i membri dell'Opus Dei.

Lo spirito dell'Opera ci chiama a cercare la santità e ad esercitare l'apostolato in mezzo al mondo, nel lavoro professionale e nelle relazioni familiari e sociali, impegnandoci, tra l'altro, a costruire una società giusta, degna della persona umana e della sua libertà. I mezzi che adoperiamo sono, innanzitutto, la preghiera e i sacramenti: una solida vita interiore fondata sulla filiazione divina e sostenuta da una costante e accurata formazione spirituale e dottrinale.

Vi ricordo con le parole di nostro Padre: «Se vogliamo che Cristo regni, dobbiamo essere coerenti: donargli per prima cosa il cuore. Altrimenti, parlare del regno di Cristo sarebbe suono vano, senza sostanza cristiana, manifestazione esteriore di una fede inesistente»[17].

Tale coerenza o unità di vita richiede —insisto— che Cristo regni effettivamente nella nostra anima e che ci sforziamo per sradicare ogni asservimento agli idoli terreni: l'idolo del benessere, della vanità, della sensualità o della ricchezza. Esaminiamo sinceramente la nostra coscienza! Ricorriamo con frequenza alla Confessione sacramentale per allontanare sempre più da noi queste passioni che ci schiavizzano e per crescere nella libertà dei figli di Dio! Nessuno può servire a due padroni![18], ci ammonisce Cristo, affinché scacciamo la tentazione del compromesso ed amiamo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze l'unico Dio vero, fonte dell'autentica felicità sulla terra e, poi, nel Cielo. Chiediamoci: stiamo praticando un vibrante apostolato della Confessione, che sarà sempre necessario, con tutti i nostri amici e conoscenti?

La coerenza, la sincera ricerca della santità personale, sono assolutamente necessarie per non falsare il regno di Cristo. Mons. Escrivá ci rammenta che «se lasciamo che Cristo regni nella nostra anima, non saremo mai dei dominatori, ma servitori di tutti gli uomini»[19]. Come ha scritto il Santo Padre Giovanni Paolo II, servire significa per noi cristiani regnare[20], sull'esempio di Gesù, che non è venuto per essere servito, ma per servire[21].

Questo è anche l'unico anelito dell'Opera e di ciascuno dei suoi membri: servire. Proprio perché vogliamo che Cristo regni, desideriamo servire la Chiesa dovunque ci troviamo. Il nostro Fondatore lo affermò recisamente: «Se l'Opera non serve la Chiesa, non serve a nulla: per questo è nata, per questo l'ha voluta Dio!»[22].

III. Il Regno dei Cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio[23]. Voi tutti ricorderete questa parabola evangelica. Il re prepara un banchetto e manda i suoi servi a invitare i commensali: Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze[24]. Ecco come si comportano coloro che vogliono servire il Regno di Dio: invitano altri al banchetto, cioè a partecipare alla Mensa del Signore, alla Sacra Eucaristia.

L'insegnamento è chiaro. Se desideriamo sinceramente che Cristo regni, dobbiamo agire come i servi della parabola: invitare gli altri ad avvicinarsi a Dio. Dobbiamo vedere in coloro che ci stanno accanto anime che sono chiamate dal Signore. Dovunque, nel lavoro professionale, in famiglia o nella vita sociale, dobbiamo essere strumenti di Cristo perché molti lo conoscano e lo amino. Dobbiamo chiamarli e insistere con l'esempio, con la parola, con l'amicizia sincera: non possiamo abbandonarli! "Se vi dirigete verso Dio, cercate di non andare a Lui da soli", scrive San Gregorio[25]. Tutti noi abbiamo ricevuto la missione divina: Andate ai crocicchi delle strade. Tutti i cristiani sono, devono essere, apostoli.

Fra poco si rinnoverà sacramentalmente l'immolazione di Cristo sulla Croce, che si offre al Padre con l'opera dello Spirito Santo[26], per la salvezza degli uomini. Riuniti attorno all'altare, desidero ricordarvi una frase di Gesù che il Signore fece comprendere in modo nuovo a nostro Padre: Et ego si exaltatus fuero a terra omnia traham ad meipsum, quando sarò innalzato sulla terra attrarrò tutto a me[27]. Il vessillo regale di Cristo è la Croce, che vogliamo issare sulla vetta di ogni attività umana: grazie alla nostra fedeltà di cristiani il Regno di Dio sarà una realtà su tutta la terra.

Mi piace concludere con un'altra giaculatoria di nostro Padre: Omnes cum Petro ad Iesum per Mariam! Uniti al Papa, andiamo tutti a Gesù per mezzo di Maria. Amate sempre più il Vicario di Cristo e fatelo amare! Oggi vogliamo riaffermare con nuova forza la nostra unione con il Romano Pontefice e il nostro amore alla Madonna. A Lei, nostra Madre, chiediamo con fiducia filiale di conservare sicuro il nostro cammino: Cor Mariae Dulcissimum, iter serva tutum! Amen.

[1] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. Lumen Gentium, n. 21.

[2] Ivi, n. 18.

[3] Sir 3, 3.

[4] Cfr. Gv 10, 11; 1 Pt, 2, 25.

[5] Cfr. Ez, 34, 11.15-16.

[6] Gv 10, 11.

[7] Josemaría Escrivá, Lettera, 28-I-1975.

[8] 1 Gv 2, 16.

[9] Gv 1, 5.

[10] Cfr. Ef 1, 4-5 (seconda lettura).

[11] Mt 5, 14.

[12] Mt 5, 16.

[13] 1 Cor 15, 25.

[14] Mt 6, 10.

[15] Prefazio della Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell'Universo.

[16] Cfr. Mt 13, 18-19 (Vangelo della Messa).

[17] Josemaría Escrivá, E' Gesù che passa, Ares, Milano 1982, quarta edizione, n. 181.

[18] Mt 6, 24.

[19] Josemaría Escrivá, E' Gesù che passa, Ares, Milano 1982, quarta edizione, n. 182.

[20] Cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Redemptor hominis, n. 21.

[21] Mt 20, 28.

[22] Josemaría Escrivá, Istruzione, 31-V-1936, nota 6.

[23] Mt 22, 2.

[24] Mt 22, 9.

[25] San Gregorio Magno, Homiliae in Evangelia, 6, 6: PL 76, 1098.

[26] Cfr. Eb 9, 14.

[27] Gv 12, 32.

Romana, n. 12, Gennaio-Giugno 1991, p. 129-132.

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