Lezione sulla disponibilità e il celibato nell’Opus Dei, Collegio Romano della Santa Croce, Roma (20-I-2024)
Questa lezione consta di due parti, una sulla disponibilità dei numerari e l’altra, a essa collegata, sul celibato. Le idee che emergeranno serviranno sia per la riflessione personale, sia per l’attività di formazione che potete svolgere con i vostri fratelli. Ciascuno veda come le vive, come le applica, come utilizzarle per aiutare gli altri.
A proposito della disponibilità, la prima cosa che possiamo fare è ricordare alcune parole di nostro Padre: «Avendo tutti [nell’Opera] la stessa vocazione divina, i numerari devono offrirsi in olocausto al Signore senza remore e senza restrizioni, cedendogli tutto: il cuore per intero e le loro attività senza alcun limite, i beni, l’onore»[1].
Soffermiamoci sulla prima cosa che dice: «il cuore per intero». La disponibilità del cuore non consiste nell’aprire il cuore a qualsiasi cosa, ma nel farvi spazio per tutte le persone che abbiamo attorno, delle quali prenderci cura. Donare il cuore interamente significa evitare disquisizioni e divisioni, e amare tutti allo stesso modo; considerare il lavoro dell’Opera una espressione del nostro amore per Dio; offrire al Signore tutto ciò che siamo e che abbiamo.
La disponibilità del cuore si manifesta nella disponibilità fattiva, reale, concreta, del nostro tempo. Essere disponibili per le attività che ci vengono affidate. Non è la semplice disponibilità materiale, ma proprio quella del cuore: buona volontà e amore anche quando costa, pronti a tutti i cambiamenti necessari.
Normalmente, nell’Opera ognuno svolge il lavoro nel proprio contesto, santificando le realtà temporali. Tuttavia, come ricordava don Javier in una lettera, a volte «alcuni miei figli e figlie non possono fare a meno di ridurre la loro attività professionale, o persino di metterla da parte completamente, almeno per un po’, per dedicarsi ad aiutare i loro fratelli nella vita spirituale e a dirigere le iniziative apostoliche»[2]. A ciò si deve aggiungere, come pure spiegò don Javier ripetutamente, che il lavoro di direzione delle attività, e lo stesso lavoro di direzione spirituale, che competono essenzialmente ai membri dei consigli locali, si possono definire anch’essi incarichi professionali per la responsabilità e la preparazione che richiedono.
D’altra parte, la disponibilità non è pura passività, «essere disposto a fare quello che mi chiedono»: cambiare centro, incarico apostolico, città, Paese, continente, perché per ora non si può cambiare pianeta… Sì, è anche questo, ma non basta. Ci vogliono spirito d’iniziativa e sollecitudine, mettere il cuore e i nostri talenti al servizio dell’Opera, cioè mettere in gioco ciò che abbiamo e ciò che siamo per poter vivere la nostra vocazione. Infatti, parte della disponibilità consiste nel pensare a come migliorare, che cosa suggerire..., a dimostrazione del fatto che si sente l’Opus Dei come proprio.
Senza altri legami che l’amore
Il cuore, in senso biblico, non fa riferimento solo alla sensibilità, ma a tutta la persona, e più in particolare alla volontà, cioè alla libertà. Un aspetto fondamentale della nostra disponibilità è che deve essere vissuta come libertà, non come privazione. Uno può dire: «Eccomi qui, per fare quello che mi diranno», e poi, quando riceve un nuovo incarico, lo sente come una limitazione della libertà mentre, in realtà, la libertà più grande consiste nel non avere altro legame che l’amore.
Vale per chiunque faccia parte dell’Opera, ma specialmente, in misura più effettiva e più piena, per i numerari: non avere alcun vincolo, né di lavoro, né di centro, né di Paese. Sentirsi slegati da tutto, il che significa libertà, libertà interiore, libertà di spirito.
Logicamente, ciò non significa vivere senza radici, essere persone che fluttuano a mezz’aria. Non avere alcun legame è compatibile con l’essere saldamente radicati a ciò che facciamo, persone con i piedi per terra e immerse nel proprio lavoro, dedite all’incarico e agli impegni che hanno, mettendo in gioco tutte le loro capacità, svolgendoli con passione professionale, come se dovessero consacrarvisi per sempre. In effetti, la libertà non è assenza di limiti esterni, ma essere legati soltanto all’amore di Dio e, di conseguenza, all’amore del prossimo, dell’Opera, delle anime.
Poiché siamo tutti soggetti alle debolezze umane finché non moriamo, talvolta può capitarci di considerare come privazione di libertà determinate esigenze, cambiamenti, obblighi. Ciò può diventare una nuova occasione di approfondire l’amore per consolidare la libertà interiore.
Nostro Padre parlava di un gruppo inchiodato sulla croce: «Nostro Signore non vuole una personalità effimera per la sua Opera: ci chiede una personalità immortale, perché vuole che nell’Opus Dei vi sia un gruppo inchiodato sulla Croce: la Santa Croce ci renderà imperituri, sempre muniti del medesimo spirito evangelico, che genererà l’azione apostolica come frutto gustoso della preghiera e della mortificazione»[3]. Non dice chi faccia parte di questo gruppo inchiodato sulla Croce, ma dal contesto si capisce che si tratta dei numerari. In realtà, tutti, in un modo o nell’altro, dobbiamo salire sulla Croce. Qui, però, san Josemaría parla di un modo specifico, speciale, di stare inchiodati sulla Croce: quello dei numerari, che debbono essere sempre disponibili a cambiare lavoro, situazione…; tutte occasioni di condividere la Croce. Quando uniamo volontariamente le cose che ci costano alla Croce del Signore, non ci pesano più anche se continuano a pesare. La contraddizione è solo apparente.
Abbiamo sempre visto nella vita di nostro Padre che, per grazia di Dio, sapeva soffrire molto e, al tempo stesso, essere molto felice. Anche noi possiamo vivere l’abnegazione, sebbene costi, come fonte di gioia.
Quando si parla a una persona della possibilità di entrare nell’Opera come numerario, è importante spiegargli questo aspetto essenziale del cammino. È bene anche ribadire questa idea impartendogli la formazione iniziale, sebbene, al momento, gli possa sembrare una cosa remota.
Naturalmente, i direttori terranno conto delle circostanze delle persone e della loro reale capacità di affrontare un cambiamento. Grazie a Dio, nell’Opera non si comanda come in una caserma, perché la radicalità del dono di sé si esprime in un clima di famiglia oltre che di milizia.
A proposito di questa totale disponibilità, possiamo inoltre ricordare alcune parole di nostro Padre nella sua “terza scampanata”. Sono parole bellissime, anche letterariamente, ma così espressive da eliminare il rischio di fermarsi alla considerazione estetica:
«Devo ringraziare il Signore per la sua grande bontà, perché le mie figlie e i miei figli, in questo quasi mezzo secolo, mi hanno dato tante e tante gioie proprio con la loro ferma adesione alla fede, con la loro vita vigorosamente cristiana e la loro assoluta disponibilità a servire Dio nell’Opera, nell’ambito dei loro doveri di stato, in mezzo al mondo. Giovani e meno giovani sono andati da una parte e dall’altra con la più grande naturalezza, o hanno perseverato fedelmente e senza stancarsi nel medesimo posto. Se è stato necessario, hanno cambiato ambiente, hanno sospeso un lavoro e si sono dedicati a un’attività diversa che interessava di più per motivi apostolici; hanno imparato cose nuove, hanno accettato volentieri di nascondersi e scomparire, lasciando il posto ad altri: salire e scendere.
«È il gioco divino della dedizione, al quale i miei figli hanno acconsentito, consapevoli della loro responsabilità davanti a Dio di portare avanti l’Opera per il bene delle anime. Il Signore si è fatto notare e ha riversato sulla vostra generosità la sua efficacia santificatrice: conversioni, vocazioni, fedeltà alla Chiesa ovunque nel mondo. È così che maturano i frutti soprannaturali di una dedizione incondizionata. Nell’Opera si chiede a tutti, perché dev’essere sempre la cosa ordinaria, normale»[4].
Una paternità senza limiti
Dopo questa prima parte, cominciare a parlare di celibato espone a un rischio: potrebbe dare l’impressione che la disponibilità ne sia la dimensione primaria. Non c’è dubbio che la persona celibe sia molto più disponibile di chi è sposato e ha figli, ma il suo cammino non consiste solo, e neppure principalmente, nel celibato che è, soprattutto, un dono di Dio che conferisce una speciale identificazione con Cristo. Da ciò deriva tutto il resto, anche la disponibilità. I numerari, e per tutto ciò che si riferisce al celibato anche gli aggregati, hanno la funzione di essere testimoni vivi della dedizione a Dio in mezzo al mondo.
Il celibato non è una limitazione della condizione umana. Per convincersene basta guardare Gesù: se qualcuno incarna l’umanità perfetta, è lui. Se lui è la pienezza dell’uomo, non si può dire che il matrimonio sia una condizione indispensabile per conseguirla. Purtuttavia, per chi ce l’ha, cioè per la maggior parte delle persone, la vocazione matrimoniale è un autentico cammino di santificazione e di pienezza.
Ecco perché nell’apostolato non ci si deve perdere in paragoni inutili. Quello che importa è che cosa vuole Dio da ogni persona. Non possiamo incorrere nell’errore di metterci a calcolare che cosa abbia maggiore o minor dignità. La domanda fondamentale, invece, è la seguente: che cosa vuole Dio da me? Perché ciò che Dio vuole da ognuno sarà ciò che lo farà felice e lo condurrà alla sua pienezza. Inoltre – uscendo un po’ dal tema del celibato –, nessuno pensi che il matrimonio sia più facile del celibato. Anche se, all’inizio, il celibato richiede una rinuncia maggiore, ovvia ed evidente, il matrimonio comporta un sacrificio, una dedizione e una serie di difficoltà che possono essere molto superiori a quelli della vita di un celibe. Proprio per questo non è il caso di fare paragoni: il meglio è sempre ciò che Dio chiede a ciascuno.
Per i numerari e gli aggregati il celibato ha una dimensione di disponibilità che, tuttavia, non è puramente fattuale, di tempo, ma dev’essere configurata dalla paternità spirituale: il celibato comporta una maggiore capacità di dedicarsi a una famiglia più ampia. Nell’Opera abbiamo una famiglia immensa, e il celibe contribuisce a creare l’indispensabile clima di famiglia. Vivere pienamente il senso del celibato secondo lo spirito dell’Opera non comporta una diminuzione ma un accrescimento della paternità. Per questo motivo, tutti i numerari, siano o meno membri di un consiglio locale, hanno la funzione di prendersi cura delle persone dell’Opus Dei.
Non dobbiamo meravigliarci se talvolta nascono nel cuore (non solo nella carne) le tentazioni. In un momento o nell’altro succede a tutti, ed è normale. Sicché non sarebbe logico dare adito a dubbi per il fatto di provare, qualche volta, l’attrazione naturale per una donna. Quando si condivide un ambiente professionale con colleghe di lavoro, bisogna essere prudenti e custodire i sensi, perché l’attrazione per le donne non scompare. È una lotta di segno positivo, che comporta – è vero – di chiudere il cuore a una certa prospettiva, ma poi di spalancarlo al mondo intero dalla prospettiva dell’amore di Cristo. Non rinunciamo a una vita innamorata e a tutto ciò che comporta: affetti, desideri, passione, creatività, abnegazione… Chi è celibe rivolge tutte le energie della persona innamorata a Dio e alle persone e alle attività concrete che ci sono affidate nell’Opera.
Possiamo pensare a un punto di Cammino: «Come va questo cuore? – Non t’inquietare: anche i santi – che erano esseri ben costituiti e normali, come te e come me – sentivano queste “naturali” inclinazioni. E se non le avessero sentite, la loro reazione “soprannaturale” di custodire il cuore – anima e corpo – per Iddio, invece di dedicarlo a una creatura, avrebbe avuto poco merito.
«Perciò, visto il cammino, credo che la fragilità del cuore non debba essere un ostacolo per un’anima decisa e “bene innamorata”»[5].
La custodia del cuore comporta custodia dei sensi, prudenza, perseveranza e lotta, ma una lotta per amore, per accrescere l’amicizia con Dio, con la sua grazia. Richiede sincerità con noi stessi, e nella direzione spirituale per farci aiutare. Occorre anche valorizzare la disponibilità che deriva dal celibato. Soprattutto, non deve mancare la gioia, un bene molto necessario per essere fedeli: nell’amore disinteressato del prossimo troveremo assai spesso una profonda felicità, che ci permetterà di avere un cuore sempre più simile a quello di Gesù.
[1] San Josemaría, Istruzione per l’opera di san Gabriele, n. 113.
[2] Javier Echevarría, Lettera pastorale, 28-XI-1995, n. 16.
[3] San Josemaría, Istruzione sullo spirito soprannaturale dell’Opera, n. 28.
[4] San Josemaría, Lettera 14-II-1974, n. 5.
[5] San Josemaría, Cammino, n. 164.
Romana, n. 78, Gennaio-Giugno 2024, p. 74-78.