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Conferenza sulla santificazione del lavoro, Collegio Romano di Santa Maria, Roma (17-II-2023

Ricordo che nostro Padre parlava del lavoro come del «cardine della nostra santificazione»[1], attorno al quale gira tutto. Insieme con il lavoro, l’Eucaristia, centro e radice della vita cristiana, e la filiazione divina sono gli elementi che riassumono tutta la nostra spiritualità.

Il lavoro è una realtà santificabile e santificatrice. A parte il suo valore naturale, che riguarda tutti (lo si voglia o meno, la persona umana lavora, e anche quelli che vogliono «riposarsi» molto finiscono per lavorare), con la grazia di Dio significa molto di più, specialmente per noi.

In È Gesù che passa nostro Padre afferma: «Essendo stato assunto da Cristo, il lavoro diventa attività redenta e redentrice: non solo è l’ambito nel quale l’uomo vive, ma mezzo e strada di santità, realtà santificabile e santificatrice»[2]. Sono parole che conosciamo molto bene, perché le avremo meditate e probabilmente anche spiegate nell’attività apostolica. Come tutto ciò che rientra nel nostro dialogo con Dio, sono oggetto di approfondimento, per comprenderle sempre di più e, soprattutto, viverle meglio.

Santificarsi e santificare il lavoro

Da queste parole di san Josemaría si possono trarre diverse conclusioni. Una, evidente e fondamentale, è che non solo ci si può santificare mentre si lavora, ma anche che il lavoro è di per sé stesso santificabile. Sembra una distinzione senza importanza, mentre invece ce l’ha. Non si tratta di aggiungere qualcos’altro alla realtà umana del lavoro: per esempio, dire molte giaculatorie mentre si svolge una certa attività. Dire giaculatorie va benissimo, ma non si tratta di questo. Santificare il lavoro significa santificarmi nell’esercizio della professione, ossia che è l’azione stessa di lavorare a santificarmi.

Non si può definire propriamente santo il risultato del lavoro. Infatti, un tavolo, per quanto l’abbia fabbricato molto bene, in sé stesso non è santo. Invece, può essere santa l’azione di fabbricarlo. Possiamo dire, per analogia, che anche il risultato del lavoro è santificato, nel senso che riceve un valore aggiunto. Tuttavia, la cosa fondamentale è che, per grazia di Dio, è santificabile l’azione umana di lavorare, e ciò fa sì che la persona che la compie si santifichi. Pertanto, coincidono santificare il lavoro e santificarsi nel lavoro.

Santificare gli altri

Il terzo aspetto è santificare gli altri con il lavoro: se, infatti, è una realtà santificata, grazie alla comunione dei santi può avere un’efficacia universale ed essere offerto per intenzioni apostoliche e, pertanto, servire per santificare altre persone.

Santificare il lavoro significa, dunque, santificare l’azione di lavorare, che appartiene alla persona: se si santifica l’azione, si santifica anche la persona. Così, mediante la comunione dei santi, diventa possibile santificare altri. Con il solo fatto di offrire il lavoro, si influisce sulla santificazione degli altri.

Ma qual è la base di tutto? Evidentemente, santificare l’azione di lavorare. Infatti, quando santifico l’azione, santifico me stesso. Questa è la radice degli altri due aspetti: nella misura in cui santifico l’azione di lavorare, mi santifico nel lavoro e posso santificare altri.

Da’ un motivo soprannaturale...

Si vede allora che la cosa fondamentale è santificare l’azione di lavorare. Ma come si santifica una azione? Con l’amore, quando si opera uniti al Signore nella carità. Ciò vale per il lavoro, come pure per ogni azione, quando si fa quel che ci dice nostro Padre in Cammino: «Da’ un motivo soprannaturale alla tua ordinaria occupazione professionale e avrai santificato il lavoro»[3].

Inteso in modo superficiale, potrebbe sembrare qualcosa di estrinseco: pongo un’intenzione e sono a posto, come se l’attività e l’intenzione fossero due cose distinte. Per esempio: «Metto come intenzione la conversione della Cina e, qualunque cosa io faccia, ho santificato il lavoro». Non è così. L’intenzione non è un’aggiunta: deve essere intrinseca. Qual è, dunque, l’intenzione o motivo soprannaturale sufficiente perché il lavoro sia santificato? Farlo per amore di Dio e, inseparabilmente, per amore del prossimo.

C’è una frase della Scolastica, forse non letterale, di san Tommaso d’Aquino, sebbene il concetto sia suo, che recita: Finis est causa causalitatis in omnibus causis[4]. È una frase di grande profondità, anche se può sembrare uno scioglilingua. Afferma che «la finalità è la causa della causalità delle altre cause». Vale a dire che dalla causa finale che io pongo dipendono la causa materiale e quella formale.

Quando il motivo soprannaturale è assunto davvero come causa finale, cioè se, in ultimo termine, mi propongo di amare Dio e di amare e servire gli altri compiendo quell’opera, necessariamente lavoro bene, mi santifico e la santifico. Il risultato sarà, pur nei miei limiti, il migliore possibile. Se uno si propone di amare Dio e di servire gli altri, necessariamente cercherà di lavorare meglio possibile. Di conseguenza, anche il risultato (l’oggetto materiale e formale) sarà il migliore. Perciò, come afferma nostro Padre, tutto dipende dal motivo, che è amare Dio e servire gli altri.

Per quale motivo e a che scopo lavoro?

Questo è un punto nevralgico. Santificare il lavoro è il cardine dello spirito dell’Opera. Ogni tanto devo domandarmi perché sto lavorando: se è per togliermi di torno quel lavoro quanto prima e poter andare a riposarmi, per fare bella figura, per restare appagato... Data la nostra debolezza, si possono mescolare un’infinità di motivi, ma dobbiamo ritornare a quello fondamentale, che è fare le cose per unirci a Dio, per servire Dio e amare gli altri.

La rettitudine d’intenzione è molto importante, perché ci guida in ogni cosa, toglie o aggiunge valore a ciò che facciamo. È ciò che consente di santificare il lavoro persino quando riesce materialmente male. Uno può porre un motivo soprannaturale, profondo, di amore di Dio e di servizio, e poi il lavoro può non riuscire bene, per inabilità o per qualsiasi altro motivo. Però ci si può anche ingannare e dire: «Faccio tutto per amore di Dio» ma poi... vada come vada! Non mi impegno. Se ho posto veramente il motivo soprannaturale, la cosa abituale sarà impegnarsi. Altrimenti possiamo ricrederci, riconoscere di esserci comportati male senza scoraggiarci e tornare a lottare. Grazie a Dio, ci possiamo santificare con attività che riescono male, perché basta il motivo soprannaturale. È tutto!

In una delle sue lettere, nostro Padre dice: «Parte essenziale di quest’opera – la santificazione del lavoro ordinario – che Dio ci ha affidato è la buona realizzazione del lavoro stesso, la perfezione anche umana, il corretto adempimento di tutti gli obblighi professionali e sociali»[5]. Si concentra sul risultato perché è inseparabile da ciò che si è detto. Se la santificazione della professione dipende dal motivo soprannaturale, prendere seriamente il fine di un lavoro porta necessariamente a farlo bene, motivo per cui egli afferma che la perfezione umana è «parte essenziale».

Ogni lavoro onesto

Una conseguenza consolante è che ogni lavoro onesto è importante, perché può essere compiuto per un motivo soprannaturale: l’amore di Dio e il servizio del prossimo. Qualsiasi lavoro – grande o piccolo, importante o meno importante da un punto di vista umano – può essere mezzo e modo per identificarsi con Cristo. Nostro Padre diceva: «Non so se sia più importante il lavoro di un manovale o quello del presidente della Repubblica. Dipende dall’amore di Dio con cui lo fanno»[6]. Sono diversi per le conseguenze che hanno o l’influsso che possono esercitare, ma per ciò che conta per la vita eterna e per il significato che ha per la persona che li compie, può valere molto di più quello di un operaio che quello del presidente della Repubblica.

Il nostro Fondatore era solito ripetere che il motivo soprannaturale che opera la santificazione del lavoro è l’amore: «Non bisogna pertanto dimenticare che tutta la dignità del lavoro è fondata sull’Amore. Il grande privilegio dell’uomo è di poter amare, trascendendo così l’effimero e il transitorio. L’uomo può amare le altre creature, può dire un tu e un io pieni di significato. E può amare Dio, che ci apre le porte del Cielo, ci costituisce membri della sua famiglia, che ci autorizza a dar del tu anche a Lui, a parlargli faccia a faccia»[7]. Queste parole di san Josemaría, che terminano con il riferimento al Cielo, ci aiutano a non dimenticare che la dignità del lavoro è fondata sull’amore e che il lavoro si santifica quando è governato e informato dall’amore di Dio e degli altri.

In questo contesto è bello ed entusiasmante considerare anche che non lavoriamo da soli, perché il Signore è con noi. L’amore è unitivo e ci unisce a un Dio che, mediante la grazia, è già presente nella nostra vita. Non solo offriamo a Dio il nostro lavoro, ma Dio lavora per mezzo nostro, siamo suoi strumenti quando lavoriamo. Nella misura in cui lo santifichiamo, è lavoro di Dio. Ecco perché a nostro Padre piaceva parlare dell’Opus Dei come operatio Dei. Tutto quello che facciamo è lavoro di Dio, perché Lui lo fa attraverso di noi, siamo strumenti nelle sue mani.

Possiamo essere molto tranquilli quando vediamo che le cose ci riescono male, che ci dimentichiamo di offrire il lavoro che stiamo facendo, perché conosciamo questa dottrina stupenda. Non riusciamo a viverla pienamente, ma non importa, dobbiamo lottare senza scoraggiarci. Nunc coepi!, Adesso comincio, e mai da solo. Il mio lavoro è lavoro di Dio.

Servizio e cooperazione

Un altro aspetto rilevante di questa dottrina balza alla luce quando consideriamo che il complesso del lavoro umano è servizio. È il caso di ricordare che sovente, per non dire sempre, in modo più o meno evidente, il nostro lavoro dipende da quello di altre persone e viceversa. Sono concatenati.

Pertanto è importante agevolare il lavoro altrui quando dipende dal nostro, come capita spesso. Quando si fa parte di un gruppo è evidente, ma anche nella vita ordinaria, per esempio, dalla puntualità con cui portiamo a termine un incarico consegue che altri possano compiere puntualmente il loro. C’è tutta una serie di connessioni tra le persone che non possiamo ignorare, pensando: «Io vado per la mia strada e crolli pure il mondo».

Lavorare bene è anche riflettere su come il nostro lavoro influisce su quello degli altri, e dunque agevolare o, almeno, non intralciare quello degli altri, accumulando ritardi o facendolo male. Per santificare il lavoro dobbiamo pensare a come facilitiamo quello delle persone che abbiamo accanto.

Un’altra dimensione è la santificazione delle relazioni interpersonali, che fanno parte della professione. È importante agevolare il lavoro, ma anche renderlo piacevole, curare lo spirito di servizio, venire incontro a chi non ci arriva senza farlo pesare. Nostro Padre ce l’ha raccomandato: quando ci accorgiamo che una persona non riesce a terminare il suo lavoro, la aiutiamo senza che, per quanto possibile, se ne renda conto. La fraternità fa parte della santificazione del lavoro, perché tutti gli aspetti della vita umana sono interconnessi.

In ragione dell’unità di vita, il lavoro è cardine ed è essenziale nella nostra vita. Desidero citare un passaggio della Istruzione sullo spirito soprannaturale dell’Opera, nel quale nostro Padre parla di lavoro e unità di vita: «Unire il lavoro professionale alla lotta ascetica e alla contemplazione – cosa che può sembrare impossibile, ma che è necessaria, per contribuire a riconciliare il mondo con Dio – e trasformare il lavoro ordinario in strumento di santificazione personale e di apostolato. Non è questo un ideale nobile e grande per il quale vale la pena dare la vita?»[8]. Nasce qui il concetto dell’unità di vita, che consiste nell’unire il lavoro alla lotta ascetica e alla contemplazione, per contribuire a riconciliare il mondo con Dio e trasformare il lavoro ordinario in strumento di santificazione personale e di apostolato.

[1] San Josemaría, Amici di Dio, n. 81.

[2] Id.,È Gesù che passa, n. 47.

[3] Id.,Cammino, 359.

[4] Cfr. San Tommaso d’Aquino, De principiis naturæ, cap. 4.

[5] San Josemaría, Lettera 31-V-1954, n. 18.

[6] Id., Note della predicazione, 6-II-1967, in Obras IV-1967, pp. 20-21 (AGP, Biblioteca, P03).

[7] Id.,È Gesù che passa, n. 48.

[8] San Josemaría, Istruzione, 19-III-1934, n. 33.

Romana, n. 76, Gennaio-Giugno 1, p. 65-69.

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