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XII Conferenza delle Arti San Josemaría Escrivá (15-XI-2021)

Lunedì 15 novembre, il Collegio Universitario Moncloa (Madrid) ha ospitato una nuova edizione della Conferenza delle Arti San Josemaría Escrivá, dal titolo San Josemaría e la nobiltà di spirito, con una conferenza di Enrique García-Máiquez, scrittore, critico letterario e poeta. Il giornalista Álvaro Sánchez León lo ha ampiamente intervistato. Qui di seguito riportiamo il suo articolo.                                                      

Enrique García-Máiquez è poeta, critico letterario, scrittore, docente, editorialista e traduttore. Un protagonista e un punto di riferimento della poesia spagnola. Secondo un tweet del Collegio Moncloa, il suo intervento alla XII Conferenza delle Arti San Josemaría Escrivá è stato «ispiratore».

Tema? La nobiltà di spirito nel pensiero e nella vita del fondatore dell’Opus Dei. Approccio? A 360 gradi. Origine della esegesi? «La definizione più raffinata di nobiltà di spirito che conosco è quella che, nella Divina Commedia, Dante mette in bocca a Ulisse per risollevare lo spirito dei compagni: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”» (Inferno XXVI, 118-120).

Stazione di Atocha. Treno in partenza per Cadice entro pochi minuti. Persone che escono e che entrano, che scendono e che salgono, che arrivano e che partono. Valigie, storie, ruote, scale mobili, altoparlanti, gente con la fretta in volto, clima di alta velocità. In questo crocevia si affannano corpi con anime di santi e di malfattori, di signori e di gente volgare. Microeconomia di un messaggio universale in scala, in mezzo a un intreccio di rotte. In un angolo qualunque prendiamo un caffè tranquillo con ponte aereo tra 1902, 1928, 1975 e 2021.

– Dante, san Josemaría, universitari del XXI secolo. Lei cuce una trama in mezzo al mondo e lungo i secoli con il filo della nobiltà.

«La nobiltà di spirito è un ideale eterno che il fondatore dell’Opus Dei ha saputo trasferire intatto e splendido nel nostro tempo».

– Tesi?

«San Josemaría stava al passo con i tempi, era consapevole dei problemi più pressanti del momento; la sua sensibilità gli permise di scoprire nella temperie culturale dell’epoca idee da mettere al servizio del messaggio divino. Capì, per esempio, che l’inurbamento di massa dovuto allo sviluppo della nuova società industriale richiedeva un ideale di nobiltà e di altruismo per indirizzare e nobilitare l’inarrestabile “ribellione delle masse” diagnosticata da Ortega y Gasset. Le sue radici di aragonese, nato all’ombra del castello di Monzón e di Torreciudad, e tante altre circostanze della sua storia e della sua personalità gli consentirono di vedere che Dio gli chiedeva di offrire un ideale di nobiltà, una crociata morale ispirata alla libertà, a tutti coloro che componevano le nuove grandi classi operaia e media degli anni Trenta. La proposta consisteva nella dottrina della chiamata universale alla santità materializzata nell’eroismo del lavoro quotidiano che si fa missione».

– Lei parla quasi di un ideale “cavalleresco”.

«Sì, nei suoi appunti intimi san Josemaría riconosce che ha in mente di istituire nel mondo una sorta di ordine militare. Scrive addirittura che ne faranno parte “cavalieri bianchi” e “dame bianche”, anche se poi, seguendo l’ispirazione divina, decide di non usare denominazioni superflue che potevano risultare fuorvianti. Tuttavia, la prima intuizione rimane dentro, come un seme. Nel nucleo più profondo dell’Opus Dei c’è un ideale cavalleresco. Non si tratta di snobismo né di anacronismo. In quegli anni Eugenio d’Ors lancia l’idea di “cavalleria intellettuale” nel suo Glosario e in Aprendizaje y heroísmo. Non dimentichiamo le proposte di Juan Ramón Jiménez nella conferenza El trabajo gustoso. Sostiene che il lavoro di un giardiniere o di un meccanico può diventare “l’opera più grande”, trasformarsi in poesia, il che, per lui, è come dire santità. In un’altra conferenza propone l’aristocrazia immanente o “all’intemperie”. San Josemaría propose, in consonanza con i migliori intellettuali del suo tempo, quella che potremmo chiamare una “aristocrazia trascendente”, anch’essa “all’intemperie”. In sintesi, esprime la missione affidatagli da Dio mediante le idee più elevate del suo tempo».

– Questo ideale di nobile cavalleria è molto presente in Cammino.

«È vero. In Cammino san Josemaría parla di pensieri nobili, di grandi virtù, di ambizioni elevate... I libri di cavalleria lasciarono una forte impronta nella sua vita, come accadde, curiosamente, anche nella vita di sant’Ignazio di Loyola e in quella di santa Teresa di Gesù. Il fondatore dell’Opus Dei fu un grande ammiratore del Don Chisciotte di Cervantes. Nel suo messaggio e nella sua vita svolgono un ruolo di primo piano l’audacia, la nobiltà, la follia e la brama di avventure presenti nella storia di Alonso Quijano, che vuole essere un cavaliere errante con lo stesso impeto con il quale san Josemaría invita a lottare per la santità. Senza rispetto umano e senza paura del ridicolo».

– Il Don Chisciotteè un libro di cavalleria con una forte vena umoristica.

«L’umorismo e lo spirito della commedia sono irrimediabilmente inerenti alla nobiltà d’animo. Dagli scritti e dal pensiero del fondatore dell’Opus Dei si deduce che non si può pretendere di essere santo in mezzo al mondo, come non si può tentare di essere un cavaliere errante, senza saper ridere di sé stesso e persino dei propri insuccessi. Lo leggiamo al punto 390 di Cammino: «Riditi del ridicolo. – Non ti curare di quel che diranno. Vedi e senti Dio in te stesso e in ciò che ti circonda. – E così finirai per ottenere la santa faccia tosta che ti è necessaria – che paradosso! – per vivere con la delicatezza del gentiluomo cristiano».

– “Gentiluomo cristiano”. Vuol dire che per san Josemaría il passo previo alla santità consiste nell’essere una buona persona e che “essere un gentiluomo cristiano” è il modo migliore per esprimere l’esercizio di virtù propriamente umane che devono precedere il soprannaturale.

«La nobiltà di spirito dei cavalieri e delle dame cristiane presuppone sapienza, eleganza, fortezza, prudenza, carità, decisione, audacia, onestà, coerenza, cuore, onore, coraggio, rispetto della parola data, senso dell’humour... La nobiltà di spirito si può concepire come un insieme di virtù umane che predispone a intraprendere il cammino di santità imitando veramente Gesù Cristo. Parlavamo prima del Don Chisciotte e mi ritornavano alla mente le parole luminose dell’allora cardinal Ratzinger nell’omelia alla Messa di ringraziamento per la beatificazione di Josemaría Escrivá nel 1992. Lo definiva così: “Egli osò essere come un Don Chisciotte di Dio. Forse che non appare donchisciottesco insegnare, nel mondo d’oggi, umiltà, obbedienza, purezza, distacco dai beni, altruismo? La volontà di Dio era per lui la vera ragione, e così era in grado di vedere poco per volta la ragione di ciò che era visibilmente irrazionale”».

– Nell’omelia Ratzinger parla anche della pazzia di amore di Dio che si attribuiva san Josemaría. Diceva: «Ha sempre parlato delle sue “pazzie”: inizi senza mezzi, inizi nell’ambito dell’impossibile. Apparivano pazzie, che doveva osare e che osò. Vengono alla mente le parole del suo grande compatriota spagnolo Miguel De Unamuno: “Solo i pazzi fanno le cose serie; i savi realizzano solo cose insensate”».

«Lo spiega bene Dante: bisogna perseguire la virtù con energia e volontà. La nobiltà di spirito comporta il vivo desiderio di osare, di impegnarsi in imprese che per molta gente senza fede sono una pazzia. Nel 1972 san Josemaría ripropone la metafora con eleganza e con estrema chiarezza in un incontro a Pozoalbero. È, ancora una volta, il dantesco «fatti non foste a viver come bruti» ma per aspirare ai carismi più grandi (cfr. 1 Cor 12, 31), a realizzare grandi progetti, a essere protagonisti di conquiste che riempiano il mondo di santità e di gioia. Tutta la letteratura del ciclo arturiano ci propone metamorfosi: per esempio, quella dello sguattero in eroe; ne troviamo anche nelle favole, come quella del rospo che si trasforma in principe. San Josemaría, però, ci propone una metamorfosi reale per la vita vera: diventare persone migliori che aspirano alla santità».

– Il fondatore dell’Opus Dei trae spunto dalla vita del protagonista del Don Chisciottee di Sancho Panza per parlare di vita interiore. Però dissente da Tartarino di Tarascona. Infatti lo addita come esempio negativo in un brano della sua omelia Grandezza della vita quotidianain Amici di Dio: «Pensando a quelli di voi che, mentre gli anni passano, ancora sognano – sogni vani, puerili, come quelli di Tartarino di Tarascona – di dar la caccia ai leoni nei corridoi di casa, dove al massimo si può trovare un topolino o poco altro; pensando a costoro, ripeto, vi ricordo che la grandezza consiste nel sostenere in modo divino il compimento fedele dei doveri abituali di ogni giorno, le lotte quotidiane che riempiono di gioia il Signore e che soltanto Lui e ciascuno di noi conosciamo».

«Il fatto è che Tartarino di Tarascona sovrabbonda di infantilismo e di idealismo, ma difetta di nobiltà di spirito. Se manca il desiderio di andarsene per il mondo a realizzare i propri sogni, non c’è nobiltà che tenga. “Lingua senza mani, come osi parlare?”, intima un personaggio del Cantare del mio Cid, un libro che pure è stato importante per san Josemaría. Tartarino non sarebbe piaciuto neppure a Confucio, che diceva: «Un gentiluomo si vergogna se le sue parole sono migliori dei suoi atti».

– Infatti il realismo e la nobiltà di spirito sono in sintonia.

«Esatto. La nobiltà ci invita a perseguire l’ideale per metterlo in Opera».

– Nella predicazione, negli scritti e nei suoi incontri con la gente san Josemaría assimila spesso il servizio a Dio e agli altri a un’avventura.

«Predicava l’avventura di farsi santi, di quelli che stanno sugli altari, cosa che non ha nulla da invidiare alle imprese dei cavalieri della tavola rotonda. E di conquistare pacificamente il mondo per mettere Cristo al vertice di tutte le attività. Nientemeno! Non è vero che ascoltando queste proposte si sente in petto galoppare un cavallo?».

– Nella sua analisi della nobiltà, lei parla anche dell’importanza della “nobiltà di sangue” nella vita di san Josemaría.

«L’hidalgo è, per definizione, il figlio di qualcosa, di qualcuno. Boezio precisa: di Qualcuno. Nella Consolazione della filosofia ha scritto che, se guardiamo alle origini, tutti siamo figli di Dio e non possiamo avere origine più nobile. Nel messaggio di san Josemaría tale origine sta nella filiazione divina, che alimenta tutto il suo spirito. Inoltre, il fondatore dell’Opus Dei è molto legato alle proprie origini familiari: le virtù dei suoi genitori, la difesa dei suoi cognomi... Personalmente mi commuove l’amore per la genealogia, così presente anche nella vita di Cristo, come ci mostrano i Vangeli, due dei quali iniziano con l’albero genealogico di Gesù».

– San Josemaría trova in Cristo anche il paradigma di cavaliere cristiano.

«Continuamente. Nel suo Diario della felicità, Nicolae Steinhardt spiega che Cristo è “il modello del gentleman”. È logico: è perfetto uomo. Steinhardt ammira la sua eleganza, il suo affetto per tutti, la cura che ha dei particolari, il suo coraggio, ecc. Questo è il tono che pervade gli insegnamenti di san Josemaría. Cristo, che nasce in una mangiatoia e non tiene conto del denaro, si sente biblicamente orgoglioso di appartenere alla casa di Davide. Cristo, elegante, saggio, prudente, coraggioso, forte, affettuoso, nobile. Il filosofo Rémi Brague intitolò una sua memorabile conferenza su Dio Padre “God as a gentleman”».

– Parlare di cavalleria può suonare elitario.

«Assolutamente, ma non lo è! Uno dei maggiori problemi del mondo d’oggi è l’imposizione di un egualitarismo che trova la sua soddisfazione solo nel collocare tutti al livello più basso. L’accusa di voler creare una élite viene meno quando ci si rende conto che parlare di cavalleria cristiana manifesta un altissimo ideale: la nobiltà è per tutti, nessuno escluso, perché tutti siamo chiamati a essere santi. Poche cose sono meno elitarie e rivelano la più grande sensibilità sociale che offrire alla gente, a chiunque, la più alta dignità».

– Anche l’eleganza è nobiltà.

«Si può dire che senza eleganza non c’è nobiltà, e dare di questa affermazione una lettura trascendente. Sono d’accordo con Josep Pla quando sostiene che “la suprema eleganza è la carità”. Accogliere gli altri con autentico affetto è il culmine delle buone maniere».

– C’è un nesso tra nobiltà e poesia nella vita di san Josemaría?

«Il nesso tra poesia, vita ordinaria e spirito cavalleresco lo stabilisce lui stesso nella frase così eloquente di È Gesù che passa: “Il miracolo che il Signore vi chiede è la perseveranza nella vostra vocazione cristiana e divina e la santificazione del lavoro di ogni giorno: il miracolo di trasformare la prosa quotidiana in versi epici, in virtù dell’amore con cui svolgete la vostra occupazione abituale”».

– Onore è un’altra accezione di nobiltà presente negli scritti e nella predicazione di san Josemaría.

«Come nella sua vita! Il fondatore dell’Opus Dei non si vergogna di parlare di onore, di aspirarvi o di volerlo conservare, il che ci riporta ancora una volta alle figure del cavaliere o della dama cristiani. Karl Vossler, con la propensione così tedesca per il tecnicismo, vede nell’onore “una istanza intermedia che agisce da interfaccia tra la santità e le norme del mondo”. Anche san Josemaría lo vede come “mediazione trasformativa”, che muta un obbligo di coscienza – “noblesse oblige” – in slancio di santità. Nella vita del fondatore dell’Opus Dei ci fu un momento che a me sembra fondamentale. All’inizio degli anni Quaranta, quando si fecero più duri gli attacchi contro di lui e contro l’Opera anche e soprattutto da parte di gente di Chiesa, successe ciò che racconta in prima persona: “Venne un momento in cui, una notte, dovetti andare davanti al Tabernacolo [...] e dire: ‘Signore, se non hai bisogno del mio onore, io che me ne faccio?’. E mi costava, perché sono molto superbo, e mi cadevano certi lacrimoni… Da allora non mi importa più di nulla!”. In un suo saggio, che cito a memoria, Montaigne spiega che “nessuno è persona d’onore se non sa rinunciare al proprio onore per una causa superiore”. San Josemaría compie alla lettera anche questo requisito decisivo».

– Quanta nobiltà di spirito racchiude l’insegnamento di san Josemaría di “amare il mondo appassionatamente”?

«Molta. La differenza tra amare il mondo appassionatamente ed essere mondani si manifesta esattamente nell’agire virtuoso di uno spirito nobile che si impegna a migliorare il mondo piuttosto che farsi condizionare dal mondo. Chi non sa esercitare la mediazione trasformante, come la chiama Vossler, del cavaliere errante che si batte contro ogni ingiustizia e ogni disordine, o è mondano o rinuncia al mondo. Il gentiluomo cristiano né si arrende né si ritira».

– Come proporre l’ideale cavalleresco nel XXI secolo?

«Una persona così poco snob come Camus diceva che “questo mondo si agita tanto, come un verme sezionato, perché ha perduto la testa. Cerca i suoi aristocratici”. San Josemaría, nel punto 301 di Cammino, espone un’idea analoga: “Un segreto. – Un segreto a gran voce: queste crisi mondiali sono crisi di santi”. Un’altra convergenza impressionante: Camus, intellettuale impegnato, poteva concepire solo due aristocrazie, “quella dell’intelligenza e quella del lavoro”, con la specificazione che devono stare insieme: “L’intelligenza da sola non è aristocrazia. Come non lo è il lavoro da solo”. Non dobbiamo rinunciare al vibrante richiamo alla nobiltà di spirito che ci propone san Josemaría. L’impresa del servizio di Dio ci nobilita quando ci sforziamo di migliorare il mondo con l’intelligenza e con il lavoro. Don Chisciotte diceva: “Ben potranno gli incantatori togliermi la buona ventura, ma il valore e il coraggio sarà impossibile”. Non potranno toglierli neppure a noi».

Romana, n. 73, Luglio-Dicembre 2021, p. 214-219.

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