Omelia nella festività di san Josemaría, basilica di Sant’Eugenio, Roma (26-VI-2021)
In questa nuova festa di san Josemaría, anniversario del suo transito al Cielo, prima di tutto ringraziamo Iddio che in queste circostanze ci permette di celebrarla con una certa normalità. Esattamente un anno fa, solamente poche persone poterono partecipare alla celebrazione che si tenne a Santa Maria della Pace, e che fu offerta per i defunti della pandemia. Anche oggi preghiamo nuovamente per tutti i defunti e i malati, assieme alle loro famiglie, e ricorriamo all’intercessione di san Josemaría affinché li protegga dal Cielo.
Nella prima lettura abbiamo ascoltato il racconto della creazione dell’uomo. Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo, e poi creò il mondo per lui e per tutta la sua discendenza ut operaretur, affinché lo lavorasse e lo custodisse. San Josemaría faceva notare che il lavoro è una missione “che Dio ci affida sulla terra, (...) facendoci partecipi del suo potere creatore, affinché possiamo guadagnare il nostro sostentamento e, nello stesso tempo, raccogliere frutti per la vita eterna”[1].
Gesù stesso passò la maggior parte della sua vita terrena lavorando in bottega assieme a Giuseppe. Tant’è vero che quando iniziò la vita pubblica la gente del luogo lo conosceva per il suo mestiere: «Non è costui l’artigiano, il figlio di Maria?»[2]. Il suo lavoro non destava nessuna sorpresa, come sarebbe successo in seguito, con i miracoli e la sua predicazione. Le sue giornate nella bottega di lavoro ci fanno capire che la santità si costruisce anche lì: fra gli attrezzi di lavoro, nel desiderio di servire e di preoccuparci di chi ci sta accanto, in mezzo alle gioie e alle stanchezze che, in un modo o nell’altro, non mancano mai.
Affrontare il lavoro in questo modo ci aiuta a considerarlo non soltanto come una realtà meramente materiale, ma come una risposta alla vocazione che Dio ha dato a ognuno e che abbraccia tutta la nostra esistenza. Come afferma Papa Francesco, nel lavoro “si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri”[3].
Nella seconda lettura, san Paolo parla dello spirito che deve permeare il nostro rapporto con Dio: «Non avete ricevuto uno spirito da schiavi, (…) ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”»[4].
Proprio la consapevolezza della nostra filiazione divina ci permette di vivere senza paure: “Non ho paura di niente e di nessuno: nemmeno di Dio, che è mio Padre”, diceva san Josemaría. Tale realtà ci porta ad affrontare tutte le difficoltà con serenità e senza scoraggiamenti, specialmente davanti ai limiti e agli errori propri e altrui, perché con la grazia divina abbiamo sempre la luce e la forza per trasformarle in cammino di santità. Con la fiducia filiale in Dio, possiamo abbandonarci nelle sue braccia, senza fidarci soltanto delle nostre forze.
Questo abbandono filiale fu il fondamento della vita spirituale di san Josemaría. Spontaneamente si considerava un bambino che balbetta, e non faceva altro che cominciare e ricominciare ogni giorno. Tale intimità con suo Padre Dio traspariva specialmente nell’orazione.
Nel Vangelo, poi, abbiamo ascoltato l’invito rivolto da Gesù agli Apostoli “a prendere il largo”. Dopo quelle parole vediamo una certa riluttanza di Simon Pietro, frutto del fallimento del lavoro appena concluso: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla». E tuttavia replica immediatamente: «Ma sulla tua parola getterò le reti»[5]. Non conosceva ancora bene Gesù, ma ciò non gli impedì di fidarsi di lui e di diffidare delle proprie forze, senza pensare a ciò che umanamente sarebbe stato più sensato. Il risultato cancellò ogni dubbio: «Presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano»[6].
Anche oggi Gesù ci chiama a lanciarci in un apostolato che non ammette timori, perché sappiamo che Lui, il Signore, guida la nostra barca. Anche in questa congiuntura segnata dalla pandemia, abbiamo trovato difficoltà che hanno limitato l’azione apostolica. Limitato sì, ma non fermato, perché per il cristiano tutto è apostolato, come abbiamo imparato da san Josemaría.
Di fatto, in questi lunghi mesi sono state intraprese con passione, creatività e costanza tante iniziative apostoliche. In tali momenti in cui il mondo ha uno speciale bisogno di Dio, dobbiamo impegnarci a far capire intorno a noi, con una sincera amicizia, che cosa vuol dire vivere accanto a Gesù. Il Signore farà in modo che l’efficacia del nostro lavoro sia grande come la pesca miracolosa.
Ricorriamo all’intercessione materna della Santissima Vergine Maria, con la semplicità e la sicurezza che aveva san Josemaría. In una occasione si confidò con un gruppo di suoi figli. Diceva: “Di solito mi abbandono, cerco di farmi piccolo e di mettermi nelle braccia della Madonna”[7]. Così sia anche per noi.
[1] San Josemaría, Amici di Dio, n. 57.
[2] Mc 6, 3.
[3] Papa Francesco, Lett. enc. Laudato si’, n. 127.
[4] Rm 8, 15.
[5] Lc 5, 5.
[6] Lc 5, 6.
[7] San Josemaría, Appunti della predicazione, 20-XII-1974.
Romana, n. 72, Gennaio-Giugno 2021, p. 56-57.