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“Il lavoro del futuro: dignità e incontro”, quotidiano La Nación, Argentina (1-V-2021)

Il 1° maggio si celebra la Giornata mondiale del lavoro. Il lavoro umano coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni: intelletto, volontà, affetti, aspirazioni. «È la prima vocazione dell’uomo: lavorare. E questo gli dà dignità»[1]. Oggi, in coincidenza con la Giornata mondiale del lavoro, molti di noi ricordano san Giuseppe artigiano.

La pandemia continua a imperversare su milioni di uomini e donne: posti di lavoro persi e aumento della precarietà. Queste due ferite, disoccupazione e precarietà, ci interrogano sul lavoro del futuro.

In tanti luoghi la crisi sanitaria ha trasformato il lavoro da presenziale a telelavoro presso il proprio domicilio, con aspetti positivi e negativi. Nel telelavoro sperimentiamo i meriti della tecnologia e i suoi limiti. Se da un lato si sono fatti passi avanti nell’efficienza e sono stati superati ostacoli che sembravano insormontabili, nello stesso tempo constatiamo che la persona umana ha bisogno di relazioni reali, non virtuali, per condividere quello che ognuno ha nel proprio cuore.

Il tempo trascorso dall’inizio della pandemia ci conferma inoltre che la crisi è trasversale, che colpisce tutta l’umanità, e che il lavoro dovrebbe essere la risorsa principale per un futuro migliore. Conservare e creare posti di lavoro, con la creatività di chi cerca il bene degli altri, probabilmente è oggi un imperativo della carità.

Di fronte a tante relazioni in crisi, il lavoro ci dà una possibilità di risanarle grazie a un’altra delle sue dimensioni: la capacità di accoglienza e di apertura agli altri. Alla confluenza tra rottura dei legami e accoglienza rinasce la nostalgia della trascendenza, dell’andare al di là di sé stessi, il desiderio di sostenere gli altri e di essere sostenuti, di aiutare e di essere aiutati, prime conseguenze del riconoscimento della vulnerabilità. Un lavoro nel quale ci sia posto per la dignità e per l’incontro diventa un dialogo con sé stessi e con gli altri. Presenta una finalità condivisa, risveglia correnti d’intesa, aiuta a pronunciare il “noi”, per superare le divisioni, e promuove la reciproca conoscenza; arricchisce mediante lo scambio delle competenze e la partecipazione ai processi creativi.

Il lavoro si rivela come il “luogo” in cui tutti possono apportare qualcosa, e non solo come attività economica. La comune vocazione degli uomini e delle donne al lavoro ci fa convergere nel compito di “ricreare” il mondo e le sue relazioni. Perciò, quando il lavoro perde in qualche modo la sua dignità, la persona subisce una distorsione del suo essere più intimo.

Nella ricerca di soluzioni nuove non c’è risorsa più efficace dell’amore del prossimo, che spinge la creatività a progettarle in modo condiviso. Non c’è un unico percorso, ma tutti devono ispirarsi al servizio, elemento fondante del bene comune. In ogni caso, la dignità del lavoro è basata sull’amore. «Il grande privilegio dell’uomo è di poter amare, trascendendo così l’effimero e il transitorio. L’uomo può amare le altre creature, può dire un tu e un io pieni di significato. E può amare Dio, che ci apre le porte del Cielo, ci costituisce membri della sua famiglia, ci autorizza a dar del tu anche a Lui, a parlargli faccia a faccia. L’uomo, pertanto, non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore»[2].

[1] Papa Francesco, Omelia 1-V-2020.

[2] San Josemaría Escrivá, Omelia 19-III-1963, in È Gesù che passa, n. 48.

Romana, n. 72, Gennaio-Giugno 2021, p. 58-59.

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