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Il 2-X-1988, in occasione del 60º anniversario della fondazione dell'Opus Dei, Mons. Alvaro del Portillo ha pronunziato nella Basilica di Sant'Eugenio a Valle Giulia la seguente omelia.

Cari fratelli e sorelle, care figlie e figli dell'Opus Dei,

sessanta anni fa, il 2 ottobre 1928, giorno che la Chiesa dedica alla festa degli Angeli Custodi, un giovane sacerdote allora ventiseienne, l'amatissimo Fondatore dell'Opus Dei, raccolto in preghiera, ricevette da Dio con chiara luce la risposta ai suoi numerosi, incessanti appelli che duravano da circa dieci anni: Domine, ut videam!, Signore, fa' che io veda! Ed egli "vide" ciò che il Signore voleva da lui.

Questa divina volontà fu così esplicita e priva di ombre che lo stesso Servo di Dio, Mons. Josemaría Escrivá, resistette lungamente a farsi chiamare fondatore e cominciò a parlare e a scrivere di "questa Opera di Dio", essendo per lui evidente e certo che non si trattava dell'opera di un uomo. Si ritenne sempre uno strumento "inetto e sordo" —così diceva e scriveva—, anche quando la sua dedizione al compito affidatogli raggiunse gradi veramente eroici e le prove riservategli dalla Provvidenza apparivano insormontabili e certamente superiori a qualsiasi forza umana.

Dimostrazione di questo suo spirito di servizio a Dio e alla Chiesa fu l'inizio di un lavoro abnegato, duro, generoso, negli ospedali di Madrid e nei rioni periferici della città dove assisteva malati, confessava bambini e moribondi, e spendeva i suoi anni giovanili correndo da una parte all'altra di questa capitale per aiutare ogni sorta di bisognosi e servire persone di tutti gli àmbiti sociali.

Gli insegnamenti che Mons. Escrivá ci ha lasciato con la sua vita sono molti, e molto concreti; e penso che il Signore ci inviti a esaminare il nostro cammino alla luce dell'esempio di un uomo che l'ha servito con tanta fedeltà, per chiederci se siamo anche noi testimoni dell'Amore di Dio nella nostra vita di ogni giorno: nella nostra famiglia, sul posto di lavoro, nel cerchio dei nostri amici, nel tempo dedicato al riposo. Nutriamo pure noi l'anelito di vivere tutti questi momenti alla presenza di Dio e per amore di Dio? Oso assicurarvi che la nostra giornata, vissuta con Lui, con il Signore, risplenderà di luci nuove, di gioia e d'amore autentici.

In quest'anniversario della fondazione dell'Opus Dei, siamo qui per esprimere la nostra riconoscenza alla Santissima Trinità, per adorare le tre Persone, per rifugiarci all'ombra della Sua misericordia. La supplichiamo che non smetta di proteggerci e di accoglierci nella Sua bontà; una bontà che continua a mostrare verso di noi, poveri uomini, ribelli o indifferenti, ignari o dimentichi, mai capaci di adeguarci alle Sue sconfinate prove di amore.

Vorrei potermi esprimere in modo da far capire che tutti noi qui presenti, e molti altri più numerosi che si trovano in ogni parte del mondo, siamo oggetto privilegiato, non meritevole, di questo amore divino: il messaggio, infatti, che l'Opus Dei ha avuto il compito di diffondere non riguarda una determinata categoria di persone, ma tutti, indistintamente tutti, perché consiste nell'universale chiamata alla santità e nella santificazione del lavoro, di qualsiasi lavoro umano onesto.

Desidero inoltre invitarvi a un apostolato costante; ciascuno di noi dev'essere fermento; dobbiamo sentire ogni giorno una santa preoccupazione perché quanti ci frequentano conoscano Gesù, Lo amino, si accendano di desideri di santità.

La chiamata universale alla santità, una verità "vecchia come il Vangelo e come il Vangelo nuova" —così amava dire il nostro Fondatore—, era stata come dimenticata, come appannata dalla storia dei secoli cristiani, che pure registra santi, martiri, confessori, in continuazione; ma sembrava ai più che per conseguire la perfezione cristiana occorresse separarsi dal mondo, entrare in un chiostro o farsi sacerdote e comunque abbandonare il comune lavoro professionale, sociale. Anche se tutte queste strade per seguire Iddio da vicino continuano a rimanere ammirevoli e necessarie alla Chiesa, il Signore vuole che noi ripetiamo a tutti gli altri cristiani che possono e debbono essere santi proprio lì dove si trovano.

Pensando ai secoli trascorsi, non ci si può stupire che l'Opus Dei apparisse allo sguardo umano come uno sproposito e il suo Fondatore come un pazzo, un povero illuso, addirittura per alcuni un eretico. E così egli stesso commentava in Brasile nel maggio del 1974, a un interlocutore che gli aveva rivolto dinanzi a molte persone questa domanda: "Perché e quando e chi l'ha chiamata pazzo?", rispondendogli: "Ti sembra una pazzia di poco conto dire che si può e si deve essere santi nel bel mezzo della strada? Che possono e devono essere santi il venditore dei gelati col suo carrettino, la collaboratrice domestica che passa tutto il giorno in cucina, il direttore di banca, il professore universitario, il contadino, il portabagagli...? Tutti chiamati alla santità. Tutto questo è stato raccolto dall'ultimo Concilio, ma a quel tempo —nel 1928— non entrava in testa a nessuno. Quindi... era logico —così concluse il nostro Fondatore— che mi ritenessero pazzo". Pazzo di amore di Dio!

Meditiamo la portata di questo messaggio, che valorizza il lavoro —il lavoro di ciascuno di noi— trasformandolo in mezzo di santificazione. Gesù ci rinnova costantemente, perché è sempre attuale, l'invito che rivolgeva agli uomini, alla donne, venti secoli fa: siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli[1]. Può stupire che dopo tanto tempo questo invito appaia ancora nuovo, ma la meraviglia cessa se pensiamo che per la santificazione Dio lavora continuamente, che per Lui i secoli sono come un giorno e che per ogni uomo Egli appresta mezzi adeguati, noti e ignoti, durante tutta una vita.

Occorre piuttosto dire e forse talvolta gridare sui tetti[2] che la potenza di Dio non è diminuita —non est abbreviata manus Domini[3] - anzi che essa è attuale come non mai; questo richiamo divino, infatti, è recepito e vissuto da molti, ai quali la grazia del Signore dona il potere di comportarsi da figli di Dio, di vivere e di morire nel Suo amore.

Proprio in un tempo, in cui la propaganda più sfacciata vorrebbe farci credere che siamo arrivati al trionfo del materialismo teorico e pratico, di un neo-paganesimo nella vita pubblica e privata, sorgono vocazioni autenticamente cristiane nel matrimonio e nel celibato, nei più diversi settori della società civile, colla semplicità e colla gioia che caratterizzano le opere di Dio, a conferma della chiara dottrina secondo la quale dobbiamo portare ogni cosa a Dio, senza eccezioni, lacune o fratture.

La grande battaglia contro il potere delle tenebre è ancora in corso, ma un ottimismo di fondo permea e accompagna tutti i seguaci di Cristo Signore, memori che Egli ha detto: non temete: io ho vinto il mondo[4]. Il "morale di vittoria" deve legittimamente farci assumere un ruolo di protagonisti responsabili della storia di questo mondo: nessuno può ritenersi dispensato dal compiere il suo dovere umano e cristiano là dove la Provvidenza lo ha posto. Protagonisti, perché vincitori con Cristo; servitori, perché abbiamo appreso da Lui a metterci in atteggiamento di servizio verso la società umana e verso la società ecclesiale. Vogliamo, infatti, come abbiamo imparato da Mons. Escrivá, servire la Chiesa come la Chiesa vuole essere servita, e vivere sempre in piena unione filiale con il Romano Pontefice e in comunione con i Vescovi nelle loro diocesi, al servizio di tutte le anime.

Come piaceva lo spirito di servizio al Fondatore dell'Opus Dei! Vedeva tutta questa mobilitazione di uomini e di donne come una immensa riserva di energie che avrebbe fecondato l'umanità e arricchito la Chiesa di nuovi tesori. Parlava di flumen pacis[5], di un grande fiume di pace, portatore di benessere, di comprensione, di amicizia fra gli uomini. Era certo di fare sogni realizzabili con la grazia di Dio, e ci esortava a suscitarli dentro di noi senza paure.

In parte, ormai, questi sogni si sono avverati. Ma quanto ancora resta da fare perché il mondo conosca Cristo, lo ami e metta in pratica la Sua parola! Prego Iddio, con tutta la mia anima, che in ciascuno di noi vibri e si accenda il fuoco Divino che Gesù è venuto a portare sulla terra. Io auguro a me e a voi che questo fuoco ci infiammi, che sia un autentico zelo di salvezza delle anime. Impossibile concepire la santità cristiana senza questa fame e sete di apostolato. Apostolato che consiste nel cercare di avvicinare le anime a Dio e Dio alle anime.

Inconcepibile un cristiano, un soldato di Cristo, che dorma nelle retrovie, che lasci spegnere la fiamma, la luce del suo battesimo. Riscuotiamoci tutti dal torpore, che a volte ci prende, nell'illusione di aver fatto abbastanza per il Signore.

Moltiplichiamo gli sforzi e vigiliamo sempre come il forte bene armato di cui ci parla il Vangelo[6], perché soltanto chi persevera fino all'ultimo avrà la palma della vittoria.

Mentre con le labbra, con il canto e soprattutto con il cuore, lodiamo e ringraziamo Dio dei benefici concessi a noi in questi sessant'anni di lavoro dell'Opus Dei, mentre Lo adoriamo in questa chiesa parrocchiale che vuole soltanto servirLo coi Suoi fedeli, laici e sacerdoti, invochiamo la Madonna Santissima, il Suo Sposo Verginale e i Santi Angeli Custodi, che ci assistano in tutti i giorni della nostra vita. Amen.

[1] Mt 5, 48.

[2] Cfr. Mt 10, 27.

[3] Is 59, 1.

[4] Gv 16, 33.

[5] Cfr. Is 66, 12.

[6] Cfr. Lc 11, 21.

Romana, n. 7, Luglio-Dicembre 1988, p. 279-281.

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