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Omelia nella memoria del beato Álvaro del Portillo, basilica di Sant’Eugenio, Roma (11-V-2019)

Oggi celebriamo la festa del beato Álvaro del Portillo, il carissimo don Álvaro. Sono passati già più di cinque anni dalla sua beatificazione. Il tempo scorre velocemente, ma conserviamo bene nella memoria quei giorni di gioia vissuti a Madrid.

Potremmo considerare parecchi aspetti per ricordare la vita del primo successore di san Josemaría. Ma adesso io vorrei soffermarmi sulla sua fiducia in Dio.

I testi della Messa di oggi ci parlano anche di questo aspetto, nel delineare la figura del buon pastore. Nella prima lettura, ascoltiamo parole del profeta Ezechiele. La situazione del popolo di Israele in quel momento era molto critica. Gerusalemme era stata distrutta e gran parte della popolazione era stata deportata all’estero. Gli israeliti aspettavano qualcuno capace di riportarli nella loro terra. Tuttavia, i piani di Dio superano sempre i nostri calcoli. Questa volta, Lui dice attraverso Ezechiele: “Io stesso cercherò le mie pecore (…). Io stesso le farò pascolare (…). Fascerò quella ferita e curerò quella malata” (Ez

34, 11-16). Il profeta, sorprendentemente, va molto al di là di quello che i suoi contemporanei si sarebbero potuti aspettare: chiama il popolo a riporre la speranza direttamente in Dio e non in soluzioni meramente umane.

Don Álvaro era una persona dotata di grandi qualità naturali e soprannaturali. Sapeva che la grazia di Dio poteva fare nella sua vita molto di più di quanto egli stesso fosse capace di immaginare. Appena eletto alla guida dell’Opus Dei, diceva: “Ho delle grandissime difficoltà: tutti i miei peccati, piccinerie e miserie. Ma so che Dio nostro Signore (…) dà le sue grazie in proporzione a quello che chiede a ognuno”.

Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù si presenta come il Buon Pastore. E ai motivi che ci aveva indicato il profeta per confidare in Dio ne aggiunge un altro: il Pastore “dà la propria vita per le pecore” (Gv 10, 11). In questo modo, l’immagine del pastore raggiunge il culmine: è Cristo che ci cerca per caricarci sulle sue spalle; è Cristo che fascia e cura le nostre ferite; Cristo è Dio stesso che dà la sua vita sulla Croce per noi. Dopo aver proclamato tutto ciò nel Vangelo, come non fidarci di un Dio che dà la vita per noi?

Il Papa, in parecchie occasioni, ci ha incoraggiato a tener presente che, come scrive san Paolo, è Dio che suscita nella nostra vita il voler fare qualcosa di buono e il metterlo in atto (cfr. Fil 2, 13). A volte, soprattutto in un momento di scoraggiamento, può succedere che ci fidiamo poco della grazia di Dio e tentiamo di aggrapparci ad altre sicurezze[1]: le nostre forze, le nostre idee, i nostri progetti. Il Signore tiene conto di tutto ciò ma ci dice anche: Io sono il Pastore di cui ti puoi fidare. Può mai esistere qualcosa di più efficace della Sua forza?

In tal senso, il beato Álvaro utilizzava spesso una giaculatoria, che è una manifestazione chiara di questa fiducia nel potere di Dio. La giaculatoria era: “Grazie, perdono, aiutami di più”. Sono parole che mostrano la gratitudine davanti a ciò che non meritiamo, la consapevolezza della propria debolezza, e la richiesta della forza necessaria per raggiungere la più grande felicità, cioè l’unione con Dio. Sono parole che le mamme insegnano per prime ai loro figli quando sono piccoli. Chiediamo a Dio questo cuore da bambini che sanno di essere veramente buoni a nulla senza l’aiuto del papà. San Josemaría, quando in una riunione familiare si riferiva al suo bisogno della grazia di Dio, diceva che viveva “con le mani tese”, chiedendo l’elemosina del Signore.

Chiediamo, per intercessione di don Álvaro, che la nostra fiducia nell’amore di Dio per noi sia ogni giorno più profonda, proprio come la sua. Potremo capire meglio, così, che il Signore Gesù, Buon Pastore, è colui che ci guida e colma la nostra vita di frutti soprannaturali, che ci giungono sempre per la mediazione materna di Maria. Così sia.

[1] Cfr. Papa Francesco, Esort. ap. Gaudete et exsultate, n. 50.

Romana, n. 68, Gennaio-Giugno 2019, p. 92-93.

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