Mons. Fernando Ocáriz nella Messa di ringraziamento, Vistalegre Arena, Madrid (19-V-2019)
Il tempo liturgico che stiamo vivendo si caratterizza per la gioia della Risurrezione di Cristo. Non abbiamo dimenticato l’esperienza del discepolo giovane che, davanti al sepolcro vuoto di Gesù, “vide e credette” (Gv 20, 8). Fu l’evento decisivo della storia; Dio si fa uomo e sconfigge il peccato e la morte. Un avvenimento risolutivo per la vita di ognuno di noi. Oggi, con la gioia della Pasqua, ringraziamo Dio per la beatificazione di Guadalupe Ortiz de Landázuri, che Papa Francesco ha proclamato modello di santità.
Nel salmo della Messa abbiamo elevato un canto di giubilo: “Ti lodino, Signore, tutte le tue opere (…) e parlino (…) per far conoscere agli uomini le tue imprese” (Sal 145, 10-12). Le imprese compiute da Dio nel corso della storia sono innumerevoli; fra tutte, l’Incarnazione redentrice del Figlio di Dio in Cristo, nel quale ci ha pienamente rivelato che “Dio è amore” (1 Gv 4, 8).
Le imprese di Dio non hanno avuto termine; il suo potere continua a manifestarsi nella storia. A san Josemaría piaceva ricordare, con le parole del profeta Isaia: “Non est abbreviata manus Domini” (Is 59, 1): “La mano di Dio non si è accorciata: oggi Dio non è meno potente che in altri tempi”[1]. Proprio il Signore vuole continuare a rivelarsi in molti modi, anche nei santi. Ogni santo è un’impresa divina, un modo in cui Dio si rende presente nel nostro mondo, è “il volto più bello della Chiesa”[2].
Guadalupe Ortiz de Landázuri è il primo fedele laico dell’Opus Dei proposto dalla Chiesa come modello di santità. In precedenza lo erano stati il fondatore, san Josemaría, e il suo primo successore, il beato Álvaro. Ciò ci ricorda in modo particolarmente vivo la chiamata a essere santi che Dio rivolge a noi tutti, come predicò san Josemaría a partire dal 1928, ed è uno degli insegnamenti principali del Concilio Vaticano II[3]. È ciò che la nuova beata si impegnò a far arrivare alle persone che aveva accanto: la convinzione che l’unione con Dio è, con la grazia divina, alla portata di tutti, nella vita ordinaria.
Trentasettenne, dal Messico, Guadalupe spiegava in una lettera al fondatore dell’Opus Dei: “Desidero essere fedele, desidero essere utile e desidero essere santa. Ma la verità è che ancora mi manca molto. (…) Però non mi scoraggio e, con l’aiuto di Dio e il sostegno suo e di tutti, spero che riuscirò a vincere”[4]. Questa breve nota, “Desidero essere santa”, è la sfida che Guadalupe accolse nella sua vita e che la riempì di felicità. Per vincerla non dovette fare cose straordinarie. Agli occhi di chi la conobbe era una persona normale: si preoccupava della sua famiglia, andava di qua e di là, passava da un’attività alla successiva, cercava di correggere un po’ alla volta i suoi difetti. In quelle battaglie, che sembrano piccole, Dio compie grandi imprese. Le vuole realizzare anche nella vita di ognuno di noi.
Le letture della Messa ci fanno considerare inoltre alcuni modi di fare del cristiano. Anzitutto vediamo Paolo e Barnaba in visita alle comunità cristiane che si erano costituite in quei primi anni. Si erano da poco lanciati entrambi a far conoscere Cristo a ogni genere di persone. La gente rimaneva stupita della loro testimonianza: a volte reagiva in modo affettuoso e cordiale, credendo persino di avere a che fare con gli dei (cfr. At 14, 11), altre volte con il rifiuto e la violenza. Questa volta, per esempio, Paolo era appena stato lapidato a Listra da una folla aizzata da gente venuta da Iconio e Antiochia. Dopo averlo colpito, lo avevano trascinato fuori della città e abbandonato lì, credendolo morto (cfr. At 14, 19). Ma la lettura di oggi è sorprendente, ci dice che Paolo e Barnaba “ritornarono a Listra, Iconio e Antiochia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede” (At 14, 21-22). Non si accontentavano di godere da soli la gioia di aver ricevuto Cristo nella propria vita. Sentivano il bisogno di testimoniare al mondo l’esistenza di una pace più profonda che avevano trovato, alla fine, accanto a Gesù. Ritenevano che questa missione fosse la cosa più importante, al di sopra del proprio benessere materiale, delle comodità o della condizione sociale. Ciò fa sì che ritornino nella città, nonostante vi fossero persone che si opponevano al loro messaggio. Tornano a confortare, a pregare e a offrire sacrifici (cfr. At 14, 22-23). Non tornano a rendere male per male ma, come piaceva dire a san Josemaría, ad annegare il male nella sovrabbondanza del bene[5].
Anche la beata Guadalupe scoprì l’importanza e la gioia di portare alla gente la consolazione e l’amicizia di Gesù. Lo fece grazie al suo incontro con san Josemaría e l’Opus Dei. Da allora la sua storia, tanto simile per molti aspetti alla nostra, cominciò a trasformarsi, più vigorosamente, in un’impresa di Dio. Anche lei dovette fare parecchi viaggi: Madrid, Bilbao, Città del Messico, Culiacán, Monterrey, Tacámbaro, Roma… Dovette anche affrontare la sfida di attività che richiedevano molto lavoro, di una malattia del cuore che la sfiancava, di un cumulo di difficoltà quotidiane. Comprese, però, che il meglio che poteva fare era seguire l’esempio di san Paolo: giungere a identificarsi con Cristo e con Lui e in Lui confortare con la gioia del Vangelo le persone in cui si imbatteva. Essere disponibile per gli altri. Un giorno, pensando a tutto il lavoro che l’aspettava, scrisse a san Josemaría: “E tutto questo, conoscendomi come mi conosce, vero che mi risulta spropositato? Ma non mi scoraggio né mi spavento, solo le chiedo una preghiera perché mai, in nulla, poco o molto che sia, smetta di fare quello che Dio vuole”[6].
Noi pure troveremo difficoltà sul nostro cammino: momenti di stanchezza, dolori fisici, incomprensioni… Quello è il momento di ricordare lo stile dei santi: trovare, nel nostro rapporto con Gesù, il modo di incoraggiare, confortare e riempire di bene il posto in cui ci troviamo. In questa chiave, nella seconda lettura abbiamo ascoltato le seguenti parole del Signore: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). È ricorrendo a Lui che potremo, nonostante la nostra povertà e debolezza, essere per gli altri “consolazione di Dio”.
Nel Vangelo della Santa Messa troviamo il comandamento nuovo: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Gesù dice come sarà possibile riconoscere un cristiano nel corso dei secoli: se siamo portatori del Suo amore, un amore disinteressato verso tutti perché figli di uno stesso Padre. Questa è stata la caratteristica principale dei santi. Alla nuova beata Guadalupe Ortíz de Landázuri permise di gettare ponti e offrire la sua amicizia a ogni genere di persone: gente lontana dalla fede, persone di Paesi molto diversi e di età molto differenti.
Tra pochi minuti saranno ripetute le parole che Gesù pronunciò nell’Ultima Cena. In quel momento si farà presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Prepariamoci a riceverlo e poterci disporre così in modo più completo alle imprese che Dio vuole compiere attraverso ciascuno di noi. Permettiamo che il Signore ci trasformi mediante l’Eucaristia e che continui a scrivere la vera storia del nostro mondo. Chiediamo aiuto anche a nostra Madre, Regina Coeli, perché in noi non venga mai meno il desiderio di santità che spinse Guadalupe a voler diffondere in tutto il mondo l’amore e la consolazione di Cristo. Così sia.
[1] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 130.
[2] Papa Francesco, Esort. ap. Gaudete et exsultate, n. 9.
[3] Cfr. Concilio Vaticano II, Esort. ap. Lumen gentium, cap. V.
[4] Guadalupe Ortiz de Landázuri, Lettera 1-II-1954.
[5] Cfr. San Josemaría, Solco, n. 864.
[6] Guadalupe Ortiz de Landázuri, Lettera 15-III-1951.
Romana, n. 68, Gennaio-Giugno 2019, p. 37-40.