Intervista concessa a Vida Nueva, Spagna (3-III-2018) (realizzata da Darío Menor)
— Nel gennaio del 2017 lei è stato eletto prelato dell’Opus Dei, responsabilità alla quale è stato confermato da Papa Francesco. Secondo lei, quali sono le decisioni più importanti che ha preso come capo dell’Opus Dei da quando è stato eletto prelato? E quali sono le maggiori difficoltà affrontate
Gran parte del lavoro è consistito nell’affrontare le priorità che il Congresso generale dell’Opus Dei ha fissato per i prossimi anni: principalmente, l’evangelizzazione nell’ambito della famiglia e della gioventù. In queste aree sono molte le sfide che tutti condividiamo nella Chiesa. La nostra società ha bisogno di coppie di fidanzati e di coniugi che mostrino la bellezza di un amore autentico, che siano testimoni di una vita felice e piena nell’impegno matrimoniale. Dobbiamo preoccuparci anche dei nostri giovani, andare incontro ai loro aneliti e alle loro inquietudini. Nello stesso tempo, non possiamo neppure dimenticare i più bisognosi: malati, immigranti, disoccupati, poveri…, che occupano un posto privilegiato nel cuore di Gesù e debbono occuparlo anche nel nostro. Come affrontare tutte queste sfide? Attraverso l’incontro personale con Cristo, nella preghiera e nei sacramenti. È l’incontro con Cristo che ci mette in cammino.
Mi interroga sulle maggiori difficoltà... Grazie a Dio, in questi mesi trascorsi da prelato non ho incontrato difficoltà particolari. Confido molto sulla forza della preghiera di tante persone.
— Qual è il suo stile di guida? Ha un modello che intende seguire?
Mi piacerebbe seguire i passi di san Josemaría, che si prodigava per tutti. Grazie a Dio, nell’Opus Dei il governo è collegiale, e questo significa che altre persone mi aiutano in questo compito. Ogni missione di governo, di guida, deve essere una missione di servizio. Nel mio caso, di servizio alla Chiesa, al Papa, e a tutti i sacerdoti e i laici che mi sono stati affidati nella prelatura dell’Opus Dei.
— Come sono i suoi rapporti con il Papa? Parlate abitualmente?
È un rapporto di affetto. Ringrazio il Santo Padre per le dimostrazioni di affetto che ha avuto verso la prelatura dell’Opus Dei, e anche verso la mia persona, in occasione della morte del precedente prelato, mons. Javier Echevarría, e della mia nomina a succedergli. Lo stesso nei mesi successivi. Un atteggiamento paterno che ho notato quando ho potuto parlare con lui personalmente o quando abbiamo comunicato per iscritto.
— Nell’udienza che le ha concesso nel mese di marzo dello scorso anno, Papa Francesco ha chiesto che l’Opus Dei desse una priorità alle periferie e che fosse presente tra le persone del ceto medio, nel mondo professionale e fra gli intellettuali lontani da Dio. Che cosa è stato fatto finora per seguire le sue raccomandazioni?
In quella udienza il Papa ci ha invitato a portare l’amore di Dio nelle periferie esistenziali del ceto medio, a fare presente Dio nell’immenso panorama del lavoro professionale. Si tratta di fare in modo che ognuno, con il proprio comportamento, procuri di rendere Cristo presente agli altri. Magari ogni persona dell’Opera sapesse essere un testimone coerente del Vangelo in famiglia, nel lavoro e negli altri ambiti della società!
— Può fare qualche esempio di presenza dell’Opus Dei nelle periferie?
Mi vengono in mente alcune iniziative volute da alcuni fedeli della Prelatura che ho potuto visitare questa estate. Per esempio, nel quartiere del Raval, a Barcellona, sono stato nelle sedi delle associazioni Braval e Terra. I loro 300 e più volontari danno vita a programmi di educazione, sport o formazione per gli immigranti della città. A Madrid ho visitato il centro di cure palliative Laguna, dove si assistono persone nei momenti delicati degli ultimi giorni di vita. A Colonia, in Germania, ho avuto una riunione con volontari e sacerdoti della parrocchia di san Pantaleone, affidata alla Prelatura. Assistono 30 famiglie siriane in un edificio che è stato costruito in collaborazione con la diocesi e con il municipio. Le famiglie possono rimanere in questa struttura per sei mesi. Ricevono un grande aiuto per inserirsi nel Paese e diventare autonomi.
Grazie a Dio, sono nate istituzioni assistenziali in molte parti del mondo. Per esempio, a Kinshasa, capitale del terzo Paese più povero del mondo, l’ospedale Monkole dà assistenza medica a molte persone.
Però, come le dicevo, la vera rivoluzione sarebbe che tutti — malgrado i nostri limiti e difetti personali — ci decidessimo a comportarci come il buon samaritano in casa nostra e nel lavoro, ascoltando gli altri, offrendo loro aiuti spirituali e materiali. Ho conosciuto imprenditori intrepidi, come uno delle Filippine, che con i proventi dei suoi tre alberghi ha deciso di tenere aperto un orfanotrofio con 50 bambini abbandonati. Ha appena finito di ampliarlo e ora ne ospita quasi 100. Vi sono anche ricercatori nel settore dell’economia che sognano di costruire un mondo più giusto, lontano da una economia di esclusione, o medici di prestigio che si prodigano per i loro pazienti. Nell’Opus Dei tutti dobbiamo impegnarci in questo aspetto e imparare da tanti altri nella Chiesa.
— Queste parole contengono una critica implicita al fatto di essersi occupati troppo delle élite nel passato?
Non ho avuto questa impressione. Io penso che siano piuttosto un invito a portare la gioia del Vangelo nel grande ambito del ceto medio, nel quale si trova la maggioranza delle persone in parecchi Paesi, e anche nell’Opus Dei.
— Che cosa direbbe a quelli che considerano l’Opus Dei un gruppo chiuso, settario e dall’ideologia ultraconservatrice?
Prima di tutto direi che noi, persone dell’Opus Dei, ovviamente, non siamo perfetti, che abbiamo difetti, che commettiamo errori... Nello stesso tempo, li inviterei a conoscere di prima mano la realtà, senza lasciarsi influenzare dagli stereotipi. Che ottimo esercizio è, nella vita, quello di lasciarsi coinvolgere dalla verità! Si figuri che negli anni ’60 avevamo il problema opposto: non pochi dicevano che l’Opus Dei era una innovazione pericolosa.
Custodire fedelmente la fede ricevuta nella Chiesa non fa diventare nessuno ultraconservatore. “Progredire” nella missione di estendere la luce di Cristo, attenti alle caratteristiche di ogni momento, non li rende creditori dell’etichetta di progressisti.
— Come possono, oggi, i giovani mettere in pratica l’idea dell’Opus Dei della santificazione del lavoro se questo è precario, mal pagato e assai spesso intermittente?
La disoccupazione prolungata e il lavoro precario producono una situazione dolorosa, che può provocare gravi danni personali ai giovani. Su scala sociale, costituisce anche un chiaro depauperamento del potenziale umano, provoca ritardi nel matrimonio ed è fonte di insicurezza per le famiglie. Chi si trova in questa situazione può essere certo che il suo lavoro consiste nel cercare lavoro e che può santificarlo, come si può santificare il lavoro di formarsi meglio per avere maggiori possibilità di accedere a un impiego migliore. Evidentemente questo non è una soluzione ai problemi concreti, ma non è neppure una consolazione facile e illusoria.
Per un cristiano la sofferenza è un momento adatto per vivere la speranza, che mira anzitutto alla meta del Cielo, ma si riferisce anche alla vita presente, nella quale Dio ci assiste affinché adempiamo la sua chiamata a servire gli altri, a procurare il bene comune, singolarmente con il nostro lavoro. La speranza cristiana spinge a impegnarsi il più possibile per risolvere i problemi.
Vista la situazione da lei descritta, penso che anche noi meno giovani possiamo e dobbiamo aiutare con la nostra preghiera, dando una mano a quelli che iniziano il loro percorso professionale, trasmettendo esperienza, conoscenze, modi di acquisire le virtù proprie del lavoro; o anche richiedendo e proponendo soluzioni proporzionate alla dimensione del problema della disoccupazione giovanile e della precarietà lavorativa che colpisce tanti giovani.
— Secondo lei, qual è stato finora il maggiore successo del pontificato di Papa Francesco?
Si possono già vedere alcuni effetti del suo impulso evangelizzatore. Papa Francesco porta la Chiesa a manifestarsi sempre più come l’incarnazione della misericordia divina. È un pastore che va guidando il gregge con la sua parola e con il suo esempio: con la coerenza tra quello che dice e quello che fa. Poi, invita spesso a ricorrere al sacramento della Riconciliazione. Lo si nota già nelle parrocchie. Inoltre il Papa chiama anche a un impegno personale, pieno di gioia e di entusiasmo; sostiene le famiglie nelle loro lotte, rassicurandole circa l’assistenza del Signore malgrado tutte le difficoltà e le carenze.
— Come vive le critiche che un settore della Chiesa rivolge al Santo Padre a causa dell’Esortazione apostolica Amoris laetitia?
Con pena. Dalla bocca di un figlio della Chiesa non dovrebbe uscire una critica distruttiva verso nessuno, e tantomeno verso il Santo Padre. Papa Francesco ha detto qualche volta che capisce che si sia generato questa agitazione, soprattutto in occasione di Amoris laetitia. Con questa Esortazione apostolica, il Papa — fra molte altre cose — ci spinge ad avvicinarci alle persone che si trovano in situazioni difficili, e a farlo con maggiore disponibilità. Però lo stesso Francesco afferma espressamente che la dottrina non cambia. Si tratta, secondo la mia opinione, di ottenere che noi sacerdoti dedichiamo più tempo alle persone che attraversano difficoltà, accompagnandole in un percorso, a volte lungo, che le porti a capire la loro situazione personale e a superarla con la grazia di Dio.
— Che ricordi conserva della sua relazione con il Papa emerito? Parla qualche volta con lui e va a fargli visita? Come crede che sarà ricordato dalla Chiesa?
I miei rapporti con Benedetto XVI risalgono al 1986, quando ricevetti l’incarico di consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, della quale egli era allora prefetto. Questo lavoro mi ha dato parecchie occasioni di un rapporto personale. Ricordo che ascoltava con un interesse sincero e senza fretta, malgrado le sue molte attività. Era molto interessato all’opinione degli altri e aveva una disposizione al dialogo nella ricerca della verità. Dopo la sua rinuncia, ho avuto occasione di fargli visita alcune volte.
//////Come Papa, sarà ricordato per il suo ricco magistero, contenuto nelle sue tre Encicliche e nelle sue Esortazioni apostoliche, ma anche nella sua vastissima predicazione. Le sue omelie e le allocuzioni sono luminose, e molte di esse costituiscono splendidi corpi dottrinali: sulla Chiesa, gli Apostoli, i Padri della Chiesa, l’orazione...
Inoltre, come teologo, occupa un posto di grande rilievo nella teologia contemporanea, con contributi importanti in diversi campi, dalle questioni centrali di teologia fondamentale fino ad alcuni aspetti di morale sociale o politica.
Romana, n. 66, Gennaio-Giugno 2018, p. 101-104.