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Nell’inaugurazione dell’anno accademico, Pontificia Università della Santa Croce, Roma (5-X-2015)

Eminenze Reverendissime, Eccellenze, Professori, collaboratori, studenti, Signore e Signori,

mentre è appena cominciato il Sinodo ordinario sulla famiglia, inizia anche questo nuovo anno accademico. Alle nostre preghiere, per un evento così importante per la vita di tutta la Chiesa, vogliamo aggiungere e offrire anche il lavoro accademico che, sebbene non sparisca mai dall’orizzonte di uno studente o di un professore durante il periodo estivo, assume oggi un’importanza speciale, in occasione di questa solenne inaugurazione.

Come aiutare meglio la Chiesa durante quest’anno accademico se non con il nostro impegno personale perseverante in questo lavoro universitario? Lo studio non è un compito pesante, o una formalità accademica da compiere velocemente per poi passare ad altre cose, alla «vera» vita. Dobbiamo apprezzare lo studio con gratitudine, perché si tratta, infatti, di un’opportunità che Dio Nostro Signore ci offre, anche se questo implica sforzo e fatica. Ciò significa anche e soprattutto fare scoperte per la nostra vita intellettuale e progressi nella nostra vita spirituale. Che gioia trovarci di nuovo all’inizio di un cammino sul quale già sappiamo che incontreremo il Signore! Lui è sempre disposto a illuminarci, ad aiutarci, a sostenerci, e noi vogliamo essere attenti al Suo passaggio nella nostra vita per ricevere la Sua luce e perfezionare così la nostra conoscenza della Verità, dell’unica Verità, che viene da Lui. Sì, anche noi vogliamo «perseverare nell’insegnamento degli Apostoli»[1], non solo per il nostro profitto personale, ma per la crescita di tutta la società.

Nello studio incontreremo Dio e incontreremo gli altri. Questi anni di studio a Roma non ci allontanano dalle preoccupazioni immediate e concrete del nostro mondo, della nostra terra di origine. Anzi, questo periodo di approfondimento intellettuale ci spinge a capire meglio e a preoccuparci delle sfide del nostro tempo, un tempo esposto al pericolo dell’ignoranza, dell’oscuramento della verità; proprio nella mancanza di verità si trova, infatti, la vera povertà dell’umanità, dalla quale nascono tante altre povertà. Lo studio non ci isola in un mondo teorico, lontano dall’umanità, non ci rinchiude in una torre d’avorio. Al contrario! Più volte, Papa Benedetto XVI ha sottolineato che «la fede ha un contenuto concreto. Non è una spiritualità indeterminata, una sensazione indefinibile per la trascendenza. Dio ha agito e proprio Lui ha parlato. Ha realmente fatto qualcosa e ha realmente detto qualcosa. Certamente, la fede è, in primo luogo, un affidarsi a Dio, un rapporto vivo con Lui. Ma il Dio al quale ci affidiamo ha un volto e ci ha donato la sua Parola»[2].

Ancora oggi, proprio oggi, abbiamo bisogno di ascoltare questa Parola, di capire la sua fecondità, la sola capace di nutrire veramente questo nostro mondo. Troviamo la stessa idea nella prima Enciclica di Papa Francesco, parlando del rapporto tra scienza e fede: «La luce della fede, in quanto unita alla verità dell’amore, non è aliena al mondo materiale, perché l’amore si vive sempre in corpo e anima; la luce della fede è luce incarnata, che procede dalla vita luminosa di Gesù. Essa illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di armonia e di comprensione sempre più ampio. [...] Invitando alla meraviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza»[3].

Se vogliamo però «allargare gli orizzonti» e illuminare davvero il mondo di oggi, dobbiamo cominciare da noi stessi e applicare questa luce di Dio alla nostra vita, con conversioni personali piccole però costanti, che man mano costruiscono in noi questa unità di vita, che san Josemaría ci indicava come un aspetto centrale di una vita veramente cristiana. Così lo studio, per condurci a Dio, deve diventare «occasione di santificazione personale e mezzo per collaborare con Dio alla santificazione di coloro che ci circondano. [...] Il lavoro così fatto è orazione. Lo studio così fatto è orazione. La ricerca scientifica così fatta è orazione. Tutto converge verso una sola realtà: tutto è orazione, tutto può e deve portarci a Dio, alimentando un rapporto continuo con Lui, dalla mattina alla sera. [...] In tal modo l’anima si irrobustisce in un’unità di vita semplice e forte»[4].

A questo riguardo, c’è un’espressione che percorre la recente Enciclica di Papa Francesco e ne dà una chiave di lettura molto utile per chi desidera vivere in coerenza con la sua fede: «Tutto è connesso»[5] ripete il Santo Padre. Segnalando in particolare alcuni errori dell’antropocentrismo moderno, afferma: «Se l’essere umano non riscopre il suo vero posto, non comprende in maniera adeguata sé stesso e finisce per contraddire la propria realtà»[6]. Conoscere Dio, capire sé stessi, convertirsi per aiutare gli altri: ecco la responsabilità alla quale lo studio ci spinge. Dandomi l’opportunità di studiare a Roma, Dio ha fatto di me un «amministratore responsabile», che deve prendersi cura degli altri e di tutto il creato. La nostra responsabilità si inserisce pienamente in questo invito del Papa: «Il lavoro dovrebbe essere l’ambito di questo multiforme sviluppo personale, dove si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione»[7].

Ancora una volta, non si tratta di cose teoriche. Questa responsabilità per il nostro tempo si deve tradurre nella nostra vita quotidiana, puntando, come dice il Santo Padre, su un «altro stile di vita», che consiste nell’«assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane»[8]. «Non bisogna pensare che questi sforzi non cambieranno il mondo — sottolinea Papa Francesco —. Tali azioni diffondono un bene nella società che sempre produce frutti al di là di quanto si possa constatare, perché provocano in seno a questa terra un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente»[9].

Tutto è connesso: la nostra perseveranza nello studio, la nostra lotta ascetica, la nostra preoccupazione per gli altri studenti e professori, la nostra cura del creato, e, vorrei aggiungere, il nostro rispetto per il lavoro degli altri, specialmente il lavoro nascosto di tutte le persone, negli uffici tecnici o di segreteria, che contribuiscono a renderci la vita più facile e amabile.

Responsabilità verso tutto e verso tutti: né lo studio né la ricerca accademica ci isolano dagli altri, al contrario! Non esiste un’università se non c’è dialogo costante con gli altri, apertura verso altre discipline, aiuto reciproco nel cercare l’unica Verità e, nello stesso tempo, ascolto di quelli che pensano diversamente da noi, anche perché vengono da culture così varie. Il Santo Padre ci invita a «sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti»[10]. L’università è forse il migliore luogo per seguire «l’esempio di santa Teresa di Lisieux, [che] ci invita alla pratica della piccola via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia»[11].

Vorrei infine soffermarmi su un evento importante, nel quale saremo tutti coinvolti, non soltanto per il fatto di vivere a Roma, ma anche come studenti o professori: l’apertura dell’anno giubilare della Misericordia. Non c’è nessun periodo della vita che sia esente da tensioni o incomprensioni, e la comunità universitaria non è un luogo preservato da ogni difficoltà. Non mi riferisco soltanto agli esami! Il mondo universitario ha le sue esigenze, che sono le conseguenze logiche della méta alta che ci proponiamo: conoscere la verità che viene dalla Parola di Dio e vivere in conformità con questa Parola. Dio stesso, precisamente perché ci ama, è esigente con i suoi figli, esigente e misericordioso. Verità e Misericordia sono in Lui intimamente connesse.

Papa Benedetto XVI poneva questa domanda: «La verità, almeno così come la fede della Chiesa ce la presenta, non è forse troppo alta e troppo difficile per l’uomo? [...] Certo — riconosceva il Papa emerito —, la via alta e ardua che conduce alla verità e al bene non è una via comoda. Essa sfida l’uomo»[12]. Questa sfida ci può fare paura, come fa paura a tanti uomini del nostro tempo, che preferiscono fuggire le esigenze della verità e rimanere nella comodità del proprio io. Ora, Dio non ci lascia mai soli di fronte a una verità disincarnata, fredda, che sarebbe infine un giogo insopportabile per l’uomo. In Gesù Cristo, diceva Papa Benedetto, «il Logos, la Verità in persona, è nello stesso tempo anche la riconciliazione, il perdono che trasforma oltre tutte le nostre capacità e incapacità personali»[13]. Così, con il nostro Signore, «il giogo della verità è divenuto leggero»[14].

L’apertura dell’anno della Misericordia ci farà capire che «tutto è connesso»: la verità e la misericordia sono radicate nella stessa fonte di amore. Il nostro studio ci farà conoscere le esigenze della verità, ci farà vedere la necessità di vivere in conformità con essa, nel nostro lavoro, nelle cose piccole della nostra vita quotidiana, nel nostro rapporto con gli altri.

Mentre accompagniamo in spirito di orazione il Sinodo ordinario sulla famiglia, affidiamo alla Madonna del Rosario queste intenzioni e il nuovo anno accademico 2015-2016 che ora dichiaro inaugurato.

[1] At 2, 42.

[2] BENEDETTO XVI, Omelia, 11-II-2011.

[3] PAPA FRANCESCO, Lett. enc. Lumen Fidei, 29-VI-2013, n. 34.

[4] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 10.

[5] Cfr. PAPA FRANCESCO, Lett. enc. Laudato si’, 24-V-2015, nn. 16, 91, 117, 138 e 240.

[6] Ibid., n. 115.

[7] Ibid., n. 127.

[8] Ibid., n. 211.

[9] Ibid., n. 212.

[10] Ibid., n. 229.

[11] Ibid., n. 230.

[12] JOSEPH RATZINGER, “Conciencia y Verdad” in La Iglesia. Una comunidad siempre en camino, Ediciones Paulinas, Madrid, 1992, pp. 95-115.

[13] Ibid.

[14] Cfr. Mt 11, 30.

Romana, n. 61, Luglio-Dicembre 2015, p. 280-283.

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