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Il 2 maggio, secondo anniversario della dedicazione della Chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace, Mons. Alvaro del Portillo ha celebrato una Messa solenne cui ha partecipato un folto gruppo di membri della Prelatura residenti a Roma. Per l'occasio

Commemoriamo oggi il secondo anniversario della dedicazione della Chiesa prelatizia dell'Opus Dei. Nella Costituzione Apostolica Ut sit, con la quale è stata eretta la Prelatura della Santa Croce e Opus Dei, Giovanni Paolo II ha disposto che l'allora Oratorio di Santa Maria della Pace —che costituisce come il cuore dell'Opera, giacché nella Cripta riposano i venerati resti mortali del nostro Fondatore— fosse elevato al rango di Chiesa prelatizia[1].

Oggi è dunque per noi una giornata di grande gioia. Ci uniamo di tutto cuore al giubilo di nostro Padre, condiviso da tutti i membri dell'Opera, specialmente da quanti di loro gli fanno già compagnia in Cielo. Omnia bona pariter cum illa[2]. Il nostro Fondatore affermava con convinzione che beni d'ogni genere avrebbero accompagnato il raggiungimento della configurazione giuridica definitiva dell'Opus Dei, intenzione speciale per cui offriva ogni giorno la Santa Messa e le sue preghiere. E' quanto sta avvenendo, grazie a Dio. Tra questi beni è da annoverare la Chiesa prelatizia.

Nella prima lettura della Messa abbiamo ascoltato un passo dell'Apocalisse. San Giovanni scrive che Dio gli mostrò un nuovo cielo e una terra nuova, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più[3]. Parole misteriose, che fanno riferimento ai cieli e alla terra trasfigurati da Dio nella consumazione finale di ogni cosa. Noi, oggi, possiamo intenderle come un'immagine della nostra vocazione all'Opus Dei, che è stata posta in rilievo con nuova luce dalla veste giuridica adeguata al nostro carisma soprannaturale specifico.

Infatti, la chiamata divina ha trasformato la nostra esistenza. Senza allontanarci dal nostro posto nel mondo, essa ci ha aperto un panorama inatteso, consentendoci di seguire Gesù nelle attività di cui la vita ordinaria è intessuta e, anzi, prendendone occasione. La conclusione dell'iter giuridico dell'Opus Dei, mediante l'erezione, ormai più di cinque anni fa, della Prelatura, fu una conferma da parte della Suprema Autorità della Chiesa di questo cammino. Grazie a Dio, ora possiamo disporre di un "abito su misura", che ci consente la scioltezza di movimenti necessaria per servire meglio e con più efficacia la Chiesa e le anime, in piena fedeltà alla nostra vocazione.

San Giovanni narra che vide la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo[4]. Si tratta in primo luogo di un simbolo della comunità di tutti i fedeli, giacché la Chiesa è la Sposa dell'Agnello immacolato[5]. L'immagine fa tuttavia riferimento anche a ciascuno dei templi cristiani, figure della Chiesa, luoghi scelti dal Signore per abitare in mezzo al suo popolo, come illustra più avanti il medesimo Apostolo: udii allora una voce potente che usciva dal trono: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! "[6].

Si compie quanto aveva anticipato Nostro Signore alla donna samaritana quando, fatigatus ex itinere[7], stanco del viaggio, si era seduto presso il pozzo di Giacobbe per riposare, ma anche per attrarre a Dio un'anima che ne era lontana. Quella donna, sebbene tanto attaccata alle cose più materiali, non appena si rese conto che stava parlando con un Profeta manifestò le proprie inquietudini spirituali e disse a Gesù: i nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare[8]. Il Signore le rispose: è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità[9]. Questo dev'essere il nostro atteggiamento, dentro e fuori del tempio: dobbiamo trasformare la nostra vita in una nuova esistenza, agire sempre alla presenza di Dio, con l'unico fine di rendergli gloria. In tal modo riusciremo graditi al Signore, che è il nostro Amore e merita da parte nostra una dedizione completa.

Torniamo, comunque, alla scena dell'Apocalisse. San Giovanni udì una voce potente che proveniva dal trono e diceva: Dio dimorerà tra di loro —con noi— ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate[10]. Dobbiamo vivere da innamorati di Dio, pensando a Lui, offrendogli di continuo piccole mortificazioni. Gli offriremo il lavoro e lo studio, la stanchezza e il riposo, le gioie e anche le pene, che non saranno più tali, perché non ci faranno perdere il gaudium cum pace. Anche se a volte ci capiterà di piangere, le lacrime ci avvicineranno di più a Dio. Non esistono più per noi dolori che ci possano allontanare dal Signore, perché Gesù, che sta assiso sul trono, ha dato loro un nuovo significato, nel renderci corredentori: ecce nova facio omnia[11], ecco io faccio nuova ogni cosa. La nostra esistenza acquisisce così un rilievo insospettato: la vocazione ci porta a cercare e a incontrare Dio nella nostra attività quotidiana, in qualunque circostanza, anche —e specialmente— nel dolore.

Tuttavia, tabernacolo della Santissima Trinità non è soltanto l'edificio del tempio, ma anche ogni fedele cristiano che è in grazia di Dio. Nella prima Epistola ai Corinzi, che abbiamo appena ascoltato, San Paolo ci ricorda a chiare lettere: vos Dei aedificatio estis[12]. Ciascuno di noi è edificio di Dio. Il fondamento di questa costruzione non si può cambiare: esso è per noi, accanto al Battesimo, la vocazione divina all'Opus Dei, che comporta il dono di noi stessi e di ogni nostro bene, per identificarci con Cristo. E a chi spetta costruire su questa base? A ciascuno di noi: unusquisque autem videat quomodo superaedificet[13]; ciascuno di noi, responsabilmente, deve badare a come edifica sulla pietra angolare che è Cristo, nella fedeltà alla vocazione cui Egli ci ha chiamati[14]. Quante volte il nostro Fondatore ha ripetuto nella sua predicazione le parole di San Paolo: non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?[15].

Figli miei, ciascuno deve essere tempio di Dio, luogo santo dell'inabitazione della Santissima Trinità. Per questo, dobbiamo conservarci puri, innamorati. Le persone che vengono a pregare nella Cripta, presso i resti mortali del nostro amatissimo Fondatore, spesso si meravigliano nel constatare il nitore di questa Chiesa prelatizia. E' importante che sia così: conservare pulita la casa di Dio è prova d'amore. Ancora più importante è serbare limpide le nostre anime, perché vi dimora il Paraclito. Il nostro Fondatore ha scritto: "La santità si raggiunge con l'ausilio dello Spirito Santo —che viene ad abitare nelle nostre anime—, mediante la grazia che ci è concessa nei sacramenti, e con una lotta ascetica costante.

Figlio mio, non facciamoci illusioni: tu e io —non mi stancherò di ripeterlo— dovremo lottare sempre, sempre, sino alla fine della nostra vita. Così ameremo la pace, e daremo la pace, e riceveremo il premio eterno"[16].

Ciascuno di noi, lottando per raggiungere la santità, deve rimuovere dalla propria vita tutto ciò che non è degno dell'inabitazione divina. Ci riusciremo mediante il ricorso ai sacramenti —alla Penitenza, all'Eucarestia—, mediante l'indiscussa fedeltà alla vocazione e la piena sincerità, che ci porta a spalancare il cuore nella direzione spirituale, per farci aiutare.

Nel Vangelo abbiamo letto come Gesù, trovandosi nella regione di Cesarea di Filippo, chiede ai suoi discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". Risposero: "Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti"[17]. Ma Gesù, che desidera dagli Apostoli una risposta personale, li interroga di nuovo: vos autem quem me esse dicitis? Simone Pietro esclama: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente![18]. Allora giunge la grande promessa di Gesù: beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa[19]. Ecco un nuovo riferimento alla metafora della costruzione: questa volta il fondamento è il Principe degli Apostoli, misticamente identificato con Gesù Cristo.

Il Romano Pontefice è il fondamento dell'edificio spirituale della Chiesa. E le porte degli inferi —ha assicurato il Signore— non prevarranno contro di essa[20]. La barca di Pietro, tante volte flagellata dai venti e dalle tempeste, non può affondare perché Gesù è lì presente. La nave di Pietro è la stessa di Gesù, il Figlio del Dio vivente. E noi dobbiamo servire la Santa Chiesa con tutta la nostra anima. Per questo motivo e a questo fine ci troviamo nell'Opus Dei, perché Gesù ci ha chiamati ad aiutarlo nell'edificazione della sua Chiesa. Con la corrispondenza e la collaborazione di tutti i cristiani, è il Signore stesso a portare avanti la costruzione, a far crescere il suo Corpo Mistico, il suo Popolo eletto.

Figli miei, diciamo al Signore di sì, diciamogli che vogliamo essere fedeli. Questa lealtà ci porterà a non distaccarci dal fondamento, da Pietro, perché se lo facessimo il tempio di Dio che è ciascuno di noi andrebbe in rovina. L'unione con la Persona e il Magistero del Romano Pontefice, Successore di San Pietro e Vicario di Cristo sulla terra, è imprescindibile. Per questo nell'Opus Dei amiamo il Papa, chiunque sia, e ci fa piacere manifestargli affetto umano e soprannaturale. Rimanere uniti al Papa è l'unico modo di essere fedeli alle parole del Signore, che ha assicurato: super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam. E' Cristo a edificare la Chiesa —e noi con Lui— per mezzo dello Spirito Santo; però sul fondamento da lui stesso posto. Non esiste, infatti, altra strada che quella di agire sempre cum Petro et sub Petro[21], in unione con il Papa e soggetti alla sua autorità, come insegna il Concilio Vaticano II, raccogliendo l'intera Tradizione cristiana.

Vorrei concludere riassumendo quanto già detto. Nell'edificio del tempio, figura della Chiesa, si deve onorare il Signore. Inoltre, noi uomini, sparsi per il mondo, dobbiamo essere tempio suo; un tempio innalzato giorno dopo giorno con la grazia dello Spirito Santo, mediante la nostra corrispondenza personale e l'unione con Pietro. In tal modo, il Signore attira a sé tutte le cose[22]: rigenera tutto il creato, in attesa del momento in cui i cieli e la terra, rinnovati, saranno pienamente dimora della santità.

Renovabitur ut aquilae iuventus tua[23], la nostra giovinezza sarà rinnovata come quella dell'aquila. Il nostro Fondatore esprimeva con altre parole il medesimo concetto: nunc coepi!, ricomincio un'altra volta! La nostra vita è cominciare e ricominciare. Ogni giornata sarà allora un'avventura divina, un modo uguale e sempre nuovo di unirci al Signore. Con la grazia della vocazione cercheremo di immergerci in Dio, contemplandolo mentre eseguiamo il nostro lavoro, offrendogli quanto facciamo e ricordando che siamo suo tempio.

Unusquisque autem videat quomodo superaedificat[24]. Ciascuno deve esaminarsi circa la maniera di contribuire a quest'edificazione, affinché la nostra vita sia sempre tempio limpido, santo, puro, senza macchia. Per ottenere ciò, chiediamo con la Chiesa: accetta, Signore, il sacrificio che ti offriamo nel ricordo del giorno santo, in cui hai riempito della tua presenza questo luogo a te dedicato, e fa' di noi un'offerta spirituale a te gradita[25]. Signore, fa' che ti amiamo, che ricorriamo con fede sempre più viva ai sacramenti, che cerchiamo con ansia la tua Parola e che ci adoperiamo per vivere con devozione le nostre pratiche di pietà! Così la nostra anima rimarrà sempre brillante, come conviene al tempio del Dio vivente.

"Cristo. Maria. Il Papa. Non abbiamo forse indicato con queste tre parole gli amori che compendiano tutta la fede cattolica?"[26]. Così scriveva, nei primi anni dell'Opera, il nostro Fondatore; perché Cristo, Maria e Pietro costituiscono veramente i grandi amori di un figlio di Dio nell'Opus Dei. Ricorriamo a Nostra Madre in questa Chiesa prelatizia da Lei presieduta. Santa Maria della Pace farà sì che abbondi la pace nei nostri cuori e che siamo sempre, secondo il desiderio di nostro Padre, seminatori di pace e di gioia tra gli uomini.

[1] Cfr. Giovanni Paolo II, Cost. apost. Ut sit, 28-XI-1982, VII.

[2] Sap 7, 8.

[3] L. I (Ap 21, 1).

[4] 4 Ibid., 2.

[5] 5 Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 6.

[6] 6 L. I (Ap 21, 3).

[7] 7 Gv 4, 6.

[8] 8 Gv 4, 20.

[9] 9 Gv 4, 23.

[10] 10 L. I (Ap 21, 4).

[11] Ibid., 5.

[12] L. II (1 Cor 3, 9).

[13] Ibid., 10.

[14] Cfr. 1 Cor 7, 20.

[15] L. II (1 Cor 3, 16).

[16] Mons. Josemaría Escrivá, Forgia, n. 429; Ed. Ares, Milano 1987.

[17] Vang. (Mt 16, 13-14).

[18] Ibid., 16.

[19] Ibid., 17-18.

[20] Ibid., 18.

[21] Cfr. Concilio Vaticano II, Decr. Christus Dominus, n. 2.

[22] Cfr. Gv 12, 32.

[23] Sal 102, 5.

[24] L. II (1 Cor 3, 10).

[25] Anniversario della dedicazione di una chiesa (nella chiesa di cui si celebra la dedicazione), Preghiera sulle offerte.

[26] Mons. Josemaría Escrivá, Instrucción, 19-III-1934, n. 31.

Romana, n. 6, Gennaio-Giugno 1988, p. 98-102.

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