Chiamati alla santità
La VII Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, riunita a Roma nel mese di ottobre per approfondire lo studio della missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, appare indubbiamente l'evento più significativo della vita ecclesiale in questo semestre. A venticinque anni dall'inizio del Concilio Vaticano II, vescovi di ogni parte del mondo si sono radunati con il Romano Pontefice ed hanno svolto, alla luce degli insegnamenti dell'ultimo Concilio ecumenico, una compiuta analisi della figura e dei compiti di quella porzione di fedeli che costituisce la preponderante maggioranza tra i membri della Chiesa. Il risultato finale del Sinodo sarà raggiunto quando il Romano Pontefice, dopo aver ricevuto e valutato tutto il materiale messo a sua disposizione dai Padri sinodali, elaborerà il documento di cui annunciò la pubblicazione nella seduta conclusiva dell'Assemblea. I comunicati stampa diffusi durante i lavori sinodali, il Messaggio al Popolo di Dio, redatto e reso noto dai Padri con il benestare del Papa, le omelie e i discorsi pronunciati dallo stesso Giovanni Paolo II, permettono, ciò nonostante, di percepire fin d'ora la ricchezza delle riflessioni condotte nel corso del Sinodo e l'importanza dei suoi frutti. Fra tanti spunti degni di menzione, occorre evidenziare la forza con cui è stata ricordata e riaffermata la chiamata universale alla santità. A più riprese si è ribadito che il rinnovamento della coscienza che i fedeli laici devono avere della loro vocazione e missione divina si potrà ottenere solo mediante una proclamazione sempre più viva della chiamata alla santità. Come afferma il Messaggio al Popolo di Dio, "tutti i cristiani, laici, chierici e religiosi, hanno la stessa dignità, costituendo insieme l'unico "popolo adunato nell'unità del Padre) del Figlio e dello Spirito Santo" (Lumen Gentium, n. 4). Tale dignità emana dal Battesimo, grazie al quale la persona è incorporata a Cristo ed alla comunità ecclesiale ed è chiamata alla santità. Chi riceve il Battesimo, la Cresima e l'Eucaristia è chiamato alla santità; si impegna a seguire Cristo e a testimoniarlo con tutta la sua vita (...). In questa sequela personale e comunitaria hanno un ruolo importante i doni dello Spirito Santo, che Dio concede agli individui per il bene di tutti".
Messaggio al Popolo di Dio, n. 3. Già a pochi anni dalla chiusura dell'assise ecumenica, il Papa Paolo VI aveva affermato che "l'invito a cercare la santità costituisce l'elemento più caratteristico dell'intero magistero conciliare e, per così dire, come il suo ultimo fine"
Paolo VI, Motu Proprio Sanctitas Clarior, 19-III-1969.
e riteneva che lo sviluppo di tale tema dovesse essere considerato il principale obiettivo da raggiungere nell'immediato periodo post-conciliare. In una delle udienze generali, durante le quali Giovanni Paolo II ha ricordato alcuni insegnamenti del Concilio specialmente connessi con il Sinodo allora in preparazione, il Papa riproponeva le stesse idee: "La consegna primaria che il Vaticano II ha affidato a tutti i figli e tutte le figlie della Chiesa è la santità (...); la tensione alla santità è perciò il fulcro del rinnovamento delineato dal Concilio"
Giovanni Paolo II, Allocuzione, 29-III-1987.
Conclusa ormai l'Assemblea, nelle parole pronunciate al termine dell'incontro conviviale che si è tenuto in Vaticano a titolo di commiato, il Santo Padre ha parlato ancora una volta di santità, indicando che il problema attuale riguardo al laicato non è tanto quello di elaborare una teologia —già il Concilio ha trasmesso una dottrina molto ricca da questo punto di vista— quanto quello di sapere "come fare di questa splendida teoria sul laicato una autentica prassi ecclesiale"
Giovanni Paolo II, Discorso nell'incontro conviviale con i partecipanti al Sinodo dei Vescovi, 30-X-1987. Si impone, dunque, per tutti i cristiani una nuova e impegnativa meditazione dei documenti del Concilio Vaticano II e, innanzitutto, di quello che costituisce il fulcro e il perno di tutti gli altri: la Costituzione dogmatica sulla Chiesa. Si legge in essa: "Il Signore Gesù, Maestro e Modello divino di ogni perfezione, a tutti e ai singoli suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato la santità della vita, di cui egli stesso è l'autore e il perfezionatore: "Siate
dunque perfetti come e perfetto il vostro Padre celeste" (Mt 5, 48). Ha mandato infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muovesse dall'interno ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr. Mc 12, 30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cfr. Gv 13, 34; 15, 12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l'aiuto di Dio, mantenere nella loro vita e perfezionare la santità che hanno ricevuta (...). E' chiaro dunque a tutti che tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità"
Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 40. Per i fedeli della Prelatura la rinnovata considerazione dei testi del Concilio sarà in modo speciale motivo di gioia, perché la dottrina della chiamata universale alla santità appartiene al nucleo del messaggio proclamato ai quattro venti, sin dal 2 ottobre 1928, dal Servo di Dio Josemaría Escrivá, Fondatore dell'Opus Dei. In "Cammino", un libro pubblicato nell'anno 1939, in cui Mons. Escrivá volle raccogliere spunti della sua predicazione a persone di ogni ceto negli anni precedenti, scrisse: "Hai l'obbligo di santificarti. —Anche tu. —Chi pensa che la santità sia un impegno esclusivo di sacerdoti e di religiosi? A tutti, senza eccezione, il Signore ha detto: Siate perfetti, com'è perfetto il Padre mio che è nei cieli" J. Escrivá, Cammino, 22ª ed., Ares, Milano 1987, n. 291. E' perciò comprensibile la gioia con cui il Fondatore dell'Opus Dei, rispondendo a un giornalista, poteva dichiarare nel 1968 che il Concilio "ha confermato ciò che —per la grazia di Dio— stavamo vivendo e insegnando da tanti anni a questa parte. La principale caratteristica dell'Opus Dei non sono delle tecniche e dei metodi di apostolato, e nemmeno delle strutture determinate, bensì una spiritualità che conduce appunto alla santificazione del lavoro ordinario"
J. Escrivá, Colloqui con Monsignor Escrivá, 5ª ed., Ares, Milano 1987, n. 72. La stessa gioia, assieme al ricordo degli ostacoli che dovette superare nei primi anni della sua predicazione, si riflette in una risposta che diede nel 1974, nel corso di un viaggio pastorale in Brasile. A chi gli chiedeva perché, negli anni '30, qualcuno l'avesse chiamato pazzo, Mons. Escrivá spiegò: "Ti sembra una pazzia di poco conto dire che si può e si deve essere santi nel bel mezzo della strada? Che possono e devono essere santi il venditore di gelati col suo carrettino, la collaboratrice domestica che passa tutto il giorno in cucina, il direttore di banca, il professore universitario, il contadino, il portabagagli...? Tutti chiamati alla santità! Tutto questo è stato raccolto dall'ultimo Concilio, ma a quel tempo —nel 1928— non entrava in testa a nessuno. Quindi... era logico che mi ritenessero pazzo"
Cit. da S. Bernal, Appunti per un profilo del Fondatore dell'Opus Dei, Ares, Milano 1977, p. 111. A imitazione di Cristo, la santità consiste nel perfetto compimento della Volontà di Dio, che si rivela per lo più attraverso le normali evenienze e situazioni della vita. Perciò, ad opera della grazia che informa tutto ciò che è veramente umano per elevarlo al piano divino, senza escluderne o ritenerne marginale alcun elemento, la santità risplende in mille modi diversi sul volto della Chiesa. Uno di essi, che emerge dai testi del Concilio, dalla stessa convocazione di un Sinodo sul tema della vocazione e missione dei laici e dalle parole poc'anzi citate di Mons. Escrivá, dev'essere qui ricordato in modo particolare, perché riguarda i fedeli laici, i comuni cristiani, che cercano la santità nella vita quotidiana, nel lavoro professionale, nelle numerose e multiformi incombenze della vita familiare e civile. Ogni cristiano deve sentirsi chiamato alla santità, all'unione con Dio. E non solo alla santità, ma anche all'apostolato, a far conoscere agli altri che anch'essi sono chiamati da Dio. Santità e apostolato procedono necessariamente di pari passo, perché stanno in un immediato rapporto causale, come rivelano le parole di Cristo: "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga"
Gv15, 16.
Nel fedele laico che lavora e vive in mezzo al mondo, la vita comunicata da Cristo investe l'esistenza quotidiana, anche nei suoi aspetti più umani e secolari: quando tutte le azioni sono informate e mosse dalla fede e dalla carità, lo svolgimento del lavoro professionale e tutta la condotta diventano apostolato: esempio, testimonianza, aiuto concreto, a cui si aggiunge necessariamente la parola, alla maniera del Signore Gesù che "fece e insegnò"
At 1, 1. Certamente si tratta di un compito che riveste particolare urgenza nel mondo di oggi, dal quale le ideologie materialiste si sforzano di estraniare Dio. Continua ad essere vigente l'invito di Gesù ai suoi ad essere sale della terra, lievito nel seno della società civile
Cfr. Mt 5, 13; XIII, 33.
Proprio a ciò conduce la specifica vocazione dei fedeli della Prelatura all'interno della Chiesa, come di recente ha ricordato il Prelato nella sua Lettera pastorale in occasione dell'inizio del sessantesimo anno dalla fondazione dell'Opus Dei: "Nel suscitare l'Opus Dei, Gesù ha ricordato espressamente all'umanità intera che il lavoro professionale ordinario, le comuni occupazioni, costituiscono il cammino che l'immensa maggioranza degli uomini deve percorrere e santificare per raggiungere il Cielo. Allo stesso tempo, con lo spirito affidato da Dio a nostro Padre, è stato additato un nuovo modo di avanzare su questo sentiero, un modo che il nostro Fondatore ha perfettamente incarnato e reso accessibile a milioni di persone (...). Trasformare il lavoro in preghiera, in offerta gradita a Dio perché unita al Sacrificio della Croce nella Santa Messa, in realtà santificata e santificante: ecco il nocciolo dello spirito dell'Opus Dei, il messaggio che dobbiamo trasmettere, che dobbiamo insegnare a molte anime con la forza persuasiva della nostra parola e la testimonianza eloquente della nostra condotta"
Mons. Alvaro del Portillo, Lettera pastorale, 1-X-1987. In attesa del documento che sarà a suo tempo pubblicato da Giovanni Paolo II, il grande evento ecclesiale rappresentato dal Sinodo può e deve far sì che tutti i fedeli laici avvertano l'urgenza di una esistenza cristiana più matura. Già fin d'ora, dev'essere uno stimolo a incarnare la fede negli eventi della vita quotidiana. Per i fedeli della Prelatura Opus Dei costituisce anche un richiamo dello spirito ricevuto dal Fondatore e della stessa ragion d'essere della Prelatura: promuovere la ricerca della santità e l'esercizio dell'apostolato in mezzo al mondo attraverso il lavoro, l'amicizia, i rapporti umani. Con la speciale intercessione della Madonna in questo anno mariano, rinnoviamo il nostro impegno di santificazione personale e di zelo apostolico, pronti con la grazia di Dio a far risuonare il messaggio del Sinodo nelle anime di molte persone, cosicché la santità dell'intero popolo di Dio possa produrre frutti sempre più fecondi, per il bene della Chiesa e la salvezza del mondo.
Romana, n. 5, Luglio-Dicembre 1987, p. 0.