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Roma 26-III-2006 Nel primo anniversario della morte di Giovanni Paolo II.

Giovanni Paolo II ripeteva spesso che l’uomo raggiunge la sua pienezza quando dona sé stesso a Dio e agli altri. A un anno dalla sua scomparsa, mi viene in mente proprio questa riflessione: Giovanni Paolo II ha donato sé stesso al Signore, alla Chiesa, non soltanto con generosità, bensì con un vero e proprio sacrificio; ha cercato Cristo, per amarlo e portarlo alle anime.

La differenza fra il Papa pieno di forza fisica, che si pose al timone della Chiesa nel 1978, e Giovanni Paolo II nei suoi ultimi anni, chino sotto il peso della fatica e della malattia, non sottolinea soltanto il tempo trascorso: indica anche la misura completa della donazione di sé. Ha speso tutte le sue energie per servire Dio e gli uomini.

Riflettere sull’esempio della sua vita santa ci incoraggia a pensare che la Trinità ci ha messo nel mondo per fare qualcosa. Possiamo e dobbiamo andare oltre l’orizzonte del nostro interesse personale. La vocazione naturale dell’uomo è l’amore, non l’egoismo. Per il cristiano, la carità non ha confini, non discrimina, è aperta a tutti, coinvolge ogni azione della nostra esistenza.

Potrei analizzare molti aspetti dello straordinario pontificato di Giovanni Paolo II e del suo significato per la storia della Chiesa e del mondo. Ma oggi preferisco ricordare questo aspetto della sua personalità: il suo amore per Cristo, da cui sgorgava la sua capacità di sacrificio, di dare sé stesso senza riserve, per essere fedele alla sua vocazione.

Romana, n. 42, Gennaio-Giugno 2006, p. 88.

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