envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

Roma 11-X-2005 Intervista concessa a La Gaceta de los Negocios

La sede centrale dell’Opus Dei è in viale Bruno Buozzi 75, nella Città Eterna. Da fuori sembra un condominio. L’interno è un insieme di edifici in stili diversi, che vanno dall’antica ambasciata d ’Ungheria presso la Santa Sede, di un certo rilievo architettonico, sino a isolati di stile e gusto diversi. Tutto un complesso che comprende piccoli giardini interni con fontane e sculture che conferiscono all’insieme un aspetto gradevole.

In uno di questi cortili ha luogo l’intervista con il Prelato dell’Opus Dei. Gli avevo inviato un questionario preliminare che mi restituisce nel salutarmi, ma l’intervista continua mentre facciamo le fotografie e va avanti per un bel pezzo. Parla in fretta e a voce bassa, con un accento vagamente italiano. Il suo sguardo è intenso. Le prime domande sono sul Si-nodo dei vescovi che comincerà l’indo-mani e al quale il vescovo prelato dell’Opus Dei parteciperà per esplicito desiderio di Papa Benedetto XVI.

Monsignore, c’è chi pensa che questo Sinodo sarà caratterizzato dall’immobilismo.

Ebbene, si accorgerà di aver sbagliato. Il Santo Padre desidera ascoltare tutti i vescovi del mondo, i teologi e gli specialisti che ha invitato. Sono sicuro che saranno analizzate questioni che aiuteranno tutti a vivere molto meglio il sacramento dell’Eu-caristia e anche le decisioni che si prenderanno saranno di grande aiuto per la Chiesa universale.

I colloqui di Benedetto XVI con il leader dei lefebvriani, Bernard Fellay, e con Hans Küng hanno trasmesso un’immagine diversa dell’attuale Pontefice. Che interpretazione dà a queste udienze?

Anche se ancora non abbiamo molti dati sul loro contenuto, è chiaro che la Chiesa continua a essere aperta a tutti. Il Papa cerca di agevolare in ogni modo l’avvicinamento delle persone a Dio, di ricuperare anime a Dio. Coloro che cercano la verità lo troveranno.

Qualche settimana fa il Santo Padre ha benedetto una statua del fondatore dell’Opus Dei, collocata in Vaticano. I rapporti dell’Opera con questo Papa saranno altrettanto buoni di quelli con il suo predecessore?

Nella Basilica di San Pietro sono collocate 150 statue di santi di tutti i tempi. Penso che la benedizione di queste sculture da parte dei Papi abbia un grande valore simbolico: ci fa capire che anche i santi contribuiscono a edificare la Chiesa e l’adornano con le loro virtù; nello stesso tempo, è una dimostrazione che la Chiesa presenta ai cattolici l’esempio attraente di questi figli fedeli.

E per l’Opus Dei che significato ha?

Nel caso specifico di San Josemaría, la sua effigie nella Basilica ci ricorda fra l’altro che la Prelatura esiste per servire la Chiesa e che questo obbligo morale costituisce il più ardente desiderio di tutti i suoi fedeli.

E il Papa ha benedetto la statua...

Come può comprendere, la benedizione impartita da Benedetto XVI è stata per me un motivo di grande gioia. In quei momenti, peraltro, mi è venuto in mente ciò che avrebbe detto San Josemaría: tutti i giorni, anche quelli straordinari, dobbiamo curare le cose normali, le cose piccole, le cose di cui molti neppure si accorgono.

Da quando è morto il fondatore, nel 1975, che cosa è cambiato nella Prelatura?

L’Opus Dei è un organismo vivo, che cresce e matura con il tempo, con la grazia di Dio e seguendo i propri programmi, con l’impegno di ogni uomo, di ogni donna, per lottare, anche con gli errori personali, che sono sempre una splendida scuola di apprendimento per ciascuno di noi.

Saranno stati fatti pure degli errori, ma durante il Pontificato di Giovanni Paolo II non mi negherà che l’Opera è cresciuta in tutti i sensi.

In questi 30 anni, com’è naturale, si è avuto un aumento del numero delle persone, dei Paesi e delle nuove attività. Nella Chiesa e nel mondo si è modificato il contesto: basti pensare a ciò che ha comportato il pontificato di Giovanni Paolo II. Nell’Opus Dei non cambia ciò che è sostanziale: lo spirito fondazionale, le implicazioni della chiamata alla santificazione e al-l’apostolato nella vita ordinaria, nel lavoro professionale, nell’esercizio dei doveri comuni dei cristiani.

Ma quali sono stati i cambiamenti più importanti?

Forse i cambiamenti più importanti, per usare le sue parole, sono stati due avvenimenti di grande significato, avvenuti dopo il 1975: la configurazione dell’Opus Dei come Prelatura, cosa che San Josemaría aveva previsto fin dagli inizi, e la canonizzazione di questo santo sacerdote. Queste due pietre miliari comportano conseguenze in qualche modo incalcolabili. Fra le altre, si può dire che sono venute a confermare solennemente la finalità spirituale dell’Opus Dei in seno alla Chiesa.

Che significato ha avuto per i membri dell’Opera la canonizzazione?

Credo che con la canonizzazione i fedeli della Prelatura si siano sentiti spinti ad aumentare la loro responsabilità, l’impegno nella evangelizzazione. Nei mesi che hanno preceduto questo evento io, quanto meno, mi ripetevo che la canonizzazione doveva mirare a una nuova proposta di conversione, di ricerca di Dio.

Questa conversione è legata ai nuovi apostolati che ora l’Opera sta svolgendo?

Gli apostolati sono dovuti alle necessità dell’ambiente stesso: in base alle nuove necessità della società o delle anime, nascono le attività adatte. In pratica, negli ultimi anni stanno nascendo numerose iniziative nel-l’ambito della famiglia, di carattere molto vario. Ho la fortuna di poter ascoltare molte persone che mi parlano dei progetti che mettono in moto e che modellano secondo le necessità delle persone che hanno accanto: attività di formazione spirituale per donne e uomini sposati, corsi sull’a-more coniugale o sull’educazione dei figli.

Quindi, gli apostolati della Prelatura sono rivolti alla famiglia.

Mi sembra logico che nascano iniziative tanto numerose, perché la famiglia costituisce, ora e sempre, una sorgente di vita e di felicità. Si percepisce con sempre maggiore chiarezza l’importanza di coltivare la dimensione familiare dell’esistenza, che apporta l’irrinunciabile clima di affetto e nello stesso tempo fortifica la società civile.

Questo apostolato familiare è specifico dell’Opus Dei?

Nell’Opus Dei gli apostolati si realizzano da persona a persona, da amico ad amico. L’efficacia della evangelizzazione non dipende solo dalle strutture e dalle organizzazioni. La chiave principale sta nel fatto che noi cattolici sappiamo rendere presente Cristo, aiutiamo gli altri a scoprire la bellezza e la verità della sua Parola e trattiamo con carità le persone che conosciamo.

Questa è anche l’attività di evangelizzazione di tutti i cristiani.

“Per servire, servire”, affermava spesso San Josemaría. Sono certo che questa frase si possa applicare all’atti-vità di evangelizzazione della Chiesa: se serviamo gli altri, saremo utili alla Chiesa come trasmettitori del Vangelo. Sono queste le credenziali del cristiano.

In che modo l’istituzione ha accolto il fatto, per esempio, di avere due cardinali e, attualmente, due vescovi in Spagna, gli arcivescovi di Burgos e di Tarragona?

Prima di rispondere desidero precisare i termini della sua domanda, perché la Prelatura non “ha” né cardinali né vescovi. I cardinali e i vescovi dipendono dal Papa nel loro lavoro. Ma mi spingerei anche oltre, sia pure col rischio di sembrare esagerato: il verbo “avere” non è appropriato neppure quando si riferisce a qualsiasi fedele della Prelatura. È vero; si è soliti dire che una persona “appartiene” all’Opera o che una diocesi “ha” un certo numero di sacerdoti o di fedeli. Però, ovviamente, questa appartenenza non significa proprietà, ma un rapporto di altro tipo.

Accetto la puntualizzazione.

No, mi perdoni. Dico questo perché ho l’impressione che certe volte si parla della Chiesa, sbagliando, come di una istituzione che in qualche modo può “manipolare” i propri fedeli, quando in realtà la Chiesa è un luogo dove si vive in libertà. Nell’Opus Dei, il primo difensore della libertà propria e altrui è stato sempre San Josemaría.

Però non negherà che queste nomine hanno una ripercussione sull’Opera.

Il fatto che alcuni sacerdoti della Prelatura siano nominati Cardinali e Vescovi comporta una perdita di braccia per gli apostolati peculiari dell’Opus Dei, che si accetta con la gioia di servire anche in questo modo la Chiesa Universale.

Parliamo di libertà. È un fatto che la società spagnola non è più cristiana, né nelle leggi, né nei costumi. Come vede il futuro del nostro Paese?

Ho seri dubbi che si possa formulare un’affermazione così netta. Penso che buona parte della società spagnola sia cristiana e che, in non pochi aspetti, quasi tutta la società spagnola lo sia: basterà ricordare, per esempio, le tante tradizioni, radicatissime e molto popolari, che hanno un significato eminentemente religioso. Va anche precisato che in realtà a essere cristiane sono le persone.

Forse in Spagna alcuni che si dicono cristiani non lo sono poi tanto o non si comportano come tali.

Bene; per ciò che si riferisce alla fede, il futuro è aperto. Da una parte, noi cattolici confidiamo soprattutto nella grazia e nella misericordia di Dio e non nella nostra capacità umana di persuasione. Dall’altra, siccome la fede si trasmette con l’apo-stolato, il futuro sta nelle nostre mani: se noi cattolici incoraggiamo gli uni e gli altri a essere coerenti, allegri, servizievoli, umili, integri, lavoratori; se partecipiamo alla vita pubblica del Paese, esercitando i nostri diritti e i nostri doveri civici, allora il panorama della Chiesa in Spagna appare promettente.

Però non negherà che l’ambiente non è cristiano.

L’ambiente esterno influisce sicuramente, ma il futuro della fede dipende soprattutto dalla fedeltà dei cristiani.

Forse è qualcosa di molto diverso da ciò che lei ha appena visto nella riunione dei giovani a Colonia.

Quelli che hanno partecipato al-l’incontro di Colonia hanno constatato con quale trepidazione molte centinaia di migliaia di giovani hanno incontrato Dio, per non parlare delle persone mature che si sono commosse alla vista di una mobilitazione germogliata in tutti i continenti.

Però, a parte Colonia, non negherà che il mondo si allontana da Dio.

Ha ragione: molti altri sintomi dicono che purtroppo assai spesso noi uomini ci allontaniamo da Dio, guardiamo da un’altra parte. Non è il caso di enumerare di nuovo i motivi di preoccupazione, le esplosioni di violenza, la piaga della solitudine, il disprezzo della vita, il diffondersi di una società relativista, tanto chiaramente denunciato da Benedetto

XVI. Non mi soffermerò a descrivere i mali del nostro tempo; anche perché non voglio dimenticare mai i numerosi elementi positivi della società di oggi.

Ma che può fare un cristiano in una situazione come questa?

La risposta al male non consiste nel lamentarsi, ma nella decisione umile e gioiosa di contribuire con il nostro granello di sabbia alla costruzione collettiva del bene. Mi viene in mente un’altra espressione molto amata da San Josemaría: “seminatori di pace e di gioia”. Così dobbiamo muoverci noi cristiani.

A proposito: in Spagna alcuni continuano a diffidare della presenza dell’Opus Dei nella vita pubblica. Della sua forza e del suo potere...

Penso che l’atteggiamento che lei descrive, che è comunque minoritario, sia lo specchio del problema al quale mi riferivo prima: la difficoltà di mettere correttamente a fuoco la situazione quando i cattolici in genere,

o i fedeli dell’Opus Dei in particolare, vengono considerati pezzi di un ingranaggio, parte di una organizzazione, che obbedisce ciecamente agli ordini che vengono dall’alto e agiscono in blocco sul piano politico. Niente di più lontano dalla realtà: i milioni di persone che hanno conosciuto di prima mano l’Opus Dei in Spagna, nei quasi 80 anni della sua esistenza, danno una unanime testimonianza della libertà che vi hanno trovato.

Forse ciò è dovuto al fatto che rifiutano la presenza di membri della Prelatura nella politica.

Penso che man mano che si comprenderà meglio la libertà dei cattolici nella vita pubblica e politica, e che si supereranno gli schemi ideologici che appartengono al passato o che rispondono a mentalità poco aperte, si capirà meglio che i fedeli dell’Opus Dei godono della massima libertà, come gli altri cittadini, né più né meno.

Crede che le istituzioni della Chiesa giocheranno un ruolo importante nella società?

Uno dei sintomi più chiari di progresso delle nostre società è che i diritti del cittadino, dell’uomo comune, contano sempre più. Le comunità umane si formano con il libero esercizio del voto, con il pagamento delle imposte, con il lavoro professionale sempre più qualificato, ecc. Sono i cittadini a prendere le decisioni che configurano la società.

E lei crede che a quest’uomo interessa ciò che può offrirgli la religione?

Certamente. Nulla di più logico e naturale che la Chiesa svolga il suo lavoro di proclamare il Vangelo tra i laici, perché a essi compete, con libertà e responsabilità, mettere la luce della fede nel cuore delle attività umane, rendere degne tutte le occupazioni nobili, costruire una società a misura della mirabile dignità della persona, creata a immagine e somiglianza di Dio.

Ma forse all’uomo non interessa ciò che la religione può dargli.

Il destino della Chiesa e il destino del mondo non si contrappongono e non avanzano separati. L’uno e l’al-tro dipendono dalla responsabilità dei cittadini, dei cattolici, e specialmente dei laici.

Vedo che è molto ottimista.

Al di sopra di tutte le vicende storiche, la promessa del Signore dà un fondamento di certezza alla nostra speranza: “Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. Queste parole mi riempiono di un profondo ottimismo, perché la verità trionfa sempre, anche se si devono superare sofferenze e contrarietà.

Romana, n. 41, Luglio-Dicembre 2005, p. 279-284.

Invia ad un amico