envelope-oenvelopebookscartsearchmenu

Colonia 16-VIII-2005 Intervista concessa all’agenzia tedesca di stampa DPA La Chiesa ha bisogno dei giovani

Come sarà la sua partecipazione e quella dei membri e degli amici dell’Opus Dei alla Giornata Mondiale della Gioventù?

Personalmente, vado a Colonia pieno di fede e di speranza, con la certezza di constatare ancora una volta che la Chiesa è giovane, come ha detto il Santo Padre fin dal primo giorno del suo pontificato. La Giornata Mondiale della Gioventù costituisce un momento di incontro, durante il quale avremo occasione di verificare l’importanza della fede per i giovani e la grande importanza dei giovani per la Chiesa. I partecipanti ascolteranno le riflessioni del Papa, il Papa ascolterà le speranze della gioventù. Sono sicuro che tutti ritorneremo da Colonia con desideri rinnovati di seguire e amare di più Gesù Cristo.

Penso che i fedeli dell’Opus Dei, che partecipano alla Giornata senza formare un gruppo, in modi molto diversi, con differenti diocesi e organizzazioni, arriveranno con la stessa disposizione di apertura al momento di grazia.

Lei come vede il rapporto tra i giovani di oggi e la Chiesa? Che cosa può offrire loro oggi la Chiesa?

Se mi permette l’espressione, direi che si tratta di un rapporto di reciproca dipendenza: i giovani hanno bisogno della Chiesa, un bisogno vitale; la Chiesa ha bisogno dei giovani, perché sono una parte importante del Popolo di Dio. Attraverso la Chiesa i giovani arrivano a conoscere Cristo: Dio fatto uomo, la risposta ai più profondi aneliti, la fonte dell’autenti-ca felicità. Essi danno alla Chiesa nuova vita, quando scoprono con entusiasmo la figura e il messaggio di Cristo e trasmettono l’entusiasmo della loro scoperta alle nuove generazioni. In questo senso, essi stessi sono la Chiesa, costituiscono, con i poveri e i malati, un tesoro speciale.

È vero, la relazione della Chiesa con i giovani presenta anche ostacoli e difficoltà: da una parte, durante la gioventù vi sono la speranza e la generosità, ma anche non poche inquietudini; dall’altra, non sempre i giovani percepiscono adeguatamente la vera natura della Chiesa, forse a causa di ciò che potremmo chiamare problemi di comunicazione, propri del nostro tempo, caratterizzato dall’eccesso di informazioni e dalla mancanza di orientamento. Questa circostanza invita i cattolici ad agire con coscienza e responsabilità di figli di Dio e a continuare l’impegno di trasmettere con coerenza l’essenziale della nostra fede. Dobbiamo dare, ai giovani che cercano il significato della vita, la testimonianza sincera della nostra felicità e del nostro impegno, ciascuno nella situazione in cui si trova.

Come descriverebbe il Papa Benedetto XVI?

Io lo vedo, e voglio vederlo sempre, come il Padre buono della Chiesa. E non andrei oltre nella mia descrizione, perché questa parola — Padre — riassume tutto. Certamente, la Provvidenza lo ha preparato per gradi alla missione di Pontefice Romano. Con tanti anni di ministero ha acquisito una conoscenza privilegiata della realtà della Chiesa nel mondo; un’a-cuta percezione delle sfide che pone la cultura contemporanea; una chiara visione d’insieme che gli permette di intuire le vie della volontà di Dio per la Chiesa del nostro tempo.

Se dovessi riassumere in una espressione la sua traiettoria e il suo profilo, direi: sapienza umile e pace contagiosa. Questo ha una manifestazione chiaramente visibile nel Papa: la sua grande capacità di ascoltare, di comprendere e di cercare risposte che sazino la sete di Dio delle donne e degli uomini di oggi.

Come sono stati i rapporti con lui finora? Conosce e apprezza l’Opus Dei come il suo predecessore?

Prima di tutto voglio dire che, secondo me, qualsiasi paragone sarebbe facilmente riduttivo. In ogni modo, posso affermare che attualmente Benedetto XVI conosce l’Opus Dei meglio di quanto — all’inizio del suo Pontificato, nel 1978 — lo conosceva Giovanni Paolo II. Ma, ripeto, i rapporti del Santo Padre con i fedeli cattolici e con le istituzioni della Chiesa non si muovono solo sul terreno della conoscenza, ma nell’ambito proprio della comunione e dell’affetto, paterno e filiale. E in questo non ci sono differenze.

Come va l’espansione dell’Opus Dei in Germania? San Josemaría aveva dei rapporti particolari con questo Paese?

L’Opus Dei cresce in modo naturale, il suo messaggio si diffonde da persona a persona, dall’uno all’altro. La misura dell’apostolato è una misura umana, anche se il motore dell’apo-stolato è sempre la grazia di Dio, che ha i suoi ritmi e la sua logica.

In Germania il lavoro dell’Opus Dei, come penso che accada nella Chiesa in generale, si va estendendo in modo particolare tra le famiglie giovani: persone che desiderano condividere la loro esperienza di fede e ricorrono all’aiuto di alcuni mezzi di formazione cristiana compatibili con i doveri ordinari.

Mi consta che, in diverse città, sono molto numerose le persone che partecipano alle attività apostoliche. Durante la Messa che il Cardinale Meisner ha celebrato nel gennaio del 2002, in occasione del centenario della nascita di San Josemaría, nella Cattedrale di Colonia era presente una grande folla.

San Josemaría è stato in Germania varie volte. Ho avuto la fortuna di accompagnarlo, per la prima volta nel 1958, e ho verificato che provava ammirazione per questa terra, per questo popolo e per le sue virtù. Confidava molto nel contributo che i cattolici tedeschi avrebbero continuato a dare al lavoro di evangelizzazione della Chiesa. Anche qui, come dappertutto, è venuto a imparare, ad amare e a servire.

Negli anni ’70 e ’80 l’Opus Dei ha subito in Germania forti attacchi dai mezzi di comunicazione. Passato un certo tempo, l’Opus Dei come considera quegli anni?

Con serenità. Da una parte, è ovvio che i mezzi di comunicazione non sono infallibili, e subirne gli attacchi, quando mancano di ogni base, non è cosa molto importante. Non voglio dare una visione negativa dei mezzi di comunicazione, che tanti servizi offrono alla comunità. Mi riferisco al fatto che, come tutto ciò che è umano, possono commettere degli errori. Come in altri campi, quando sbagliano, rettificano con nobiltà.

D’altra parte, gli attacchi non sono certo una novità né per la Chiesa in generale né per l’Opus Dei in particolare. Se mi permette queste espressioni, fanno parte del copione, sono già in preventivo. La mia esperienza è che, alla fine, costituiscono un modo per estendere la conoscenza dell’Opus Dei a molte altre persone.

Potrebbe descrivere brevemente il Fondatore? Qual è la cosa più importante che ha imparato da lui?

Forse potremmo utilizzare la descrizione che Giovanni Paolo II ne ha fatto nel suo libro “Alzatevi, andiamo!”: un sacerdote santo, per i tempi moderni, perché ha ricordato l’importanza della santità della vita ordinaria, proprio quando osserviamo quella frattura tra fede e vita quotidiana, che il Concilio Vaticano II e gli ultimi Papi hanno indicato come uno dei grandi problemi del nostro tempo. Il messaggio di San Josemaría ci aiuta a superare questa divisione, personale e sociale.

Mi è sempre difficile riassumere tutto ciò che ho imparato da questo santo sacerdote. Naturalmente, mi è rimasta impressa per sempre la sua capacità di amare: viveva per Dio e per gli altri, e si donava interamente.

Romana, n. 41, Luglio-Dicembre 2005, p. 272-275.

Invia ad un amico