Il 20 luglio 1986, in occasione dell'inaugurazione del nuovo oratorio del Centro Internazionale Tor d'Aveia, il Prelato ha tenuto dinanzi a un gruppo di alunni del Seminario Internazionale della Prelatura la seguente meditazione:
Il Vangelo della Messa di oggi ci invita a contemplare quella scena meravigliosa di Gesù a Betania: mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa[1].
L'Umanità Santissima del Signore dev'essere sempre oggetto principale della nostra contemplazione. Ricordate come il nostro Fondatore si commuoveva, pensando che Gesù, perfetto Dio, è anche perfetto Uomo[2]; che si stanca, che prova fame e sete, che si rallegra e che piange, che ha pietà di quelli che soffrono, che ama teneramente i bambini e tratta con speciale fiducia i suoi amici.
Come uomo, Gesù aveva bisogno di ritirarsi di tanto in tanto in un ambiente di pace, perché era circondato da insidie, da tranelli, da persone che l'odiavano e da altri che, con un'interpretazione erronea del suo messaggio, volevano trascinarlo via per porlo a capo di un regno terreno. Alcune volte —forse molte—, durante i suoi tre anni di vita itinerante, il Signore si ritirava pernoctans in oratione Dei[3], passava la notte in orazione, parlando con suo Padre Dio. In altre occasioni si appartava per riposare, ospite di amici suoi, come quella famiglia di Betania: Lazzaro, Marta, Maria.
Contemplativi in mezzo al mondo
Oggi, nel Vangelo della Santa Messa, lo vediamo giungere a Betania, ospite dei suoi amici. Lì parla di ciò che riempie il suo Cuore: del Regno di Dio, della necessità di vivere in stretta unione con il Padre Nostro che è nei Cieli. Anche Maria si siede ai piedi di Gesù: il Vangelo impiega la parola anche[4], facendo capire che c'erano altre persone, che pendevano ammaliate dalle labbra del Signore. Vero che tutti vi immaginate la scena?
Nel frattempo, Maria era tutta presa dai molti servizi[5]: si dava da fare qua e là, perché nulla mancasse agli invitati. Con una certa irritazione, vedendo che sua sorella la lasciava sola, e con la grande fiducia che nutriva verso Gesù, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti"[6]. Tutti abbiamo presente la risposta di Gesù: Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta[7].
L'atteggiamento di Marta —in quel momento, perché poi sarebbe cambiato— non si compaginava con lo spirito dell'Opus Dei: si occupava efficacemente delle faccende domestiche, ma come fini a se stesse, non per Dio. E perdeva la pace. Il nostro Fondatore, fedele alla mozione divina, ha tracciato per noi una sintesi meravigliosa della vita cristiana, che fonde, in unità di vita, i due modelli falsamente contrapposti che per secoli sono stati additati: in Maria si è vista rappresentata la vita contemplativa, e in Marta la vita attiva. Ma la vita contemplativa non consiste nello stare ai piedi di Gesù, senza fare nulla: ciò sarebbe un disordine, se non addirittura pura e semplice poltroneria. San Paolo interpreta autenticamente la dottrina di Cristo quando dice: si quis non vult operari, nec manducet[8], chi non vuol lavorare, neppure mangi.
Ci sono molte persone che quando sentono parlare di vita contemplativa, si immaginano delle buone suore o dei buoni frati che passano la giornata a pregare con le mani giunte, dimentichi dei doveri materiali. No, non è vero! Anch'essi devono lavorare. Guardate come si dava da fare Santa Teresa di Gesù, un'anima profondamente contemplativa, verso la quale il nostro Fondatore nutriva tanto affetto. Viaggiava qua e là, con i mezzi di allora, preoccupata di ottenere il necessario per fondare nuovi monasteri e, poi, occupata nel porre ordine in ciascuno di essi. Le costò molto lavoro, molte pene, molti sacrifici. Ma tutto ciò non la allontanava da Dio, perché agiva con rettitudine d'intenzione, perché tutta questa attività esterna —viaggiare, acquistare case, formare le nuove religiose che continuavano ad arrivare—, era da lei intrapresa per amore di Dio.
I cristiani comuni comprendevano che non avevano la vocazione di Maria, intesa nel senso di cercare l'unione con Dio fuggendo dal mondo. Ma neppure la vocazione di Marta, così come la vedevano applicata nella Chiesa, con tratti caratteristici dei religiosi: frati e suore, che lavoravano —con frequenza eroicamente— in ospedali e opere di beneficenza. E al di fuori di questi ambiti, la vita di un cristiano si riduceva troppo spesso a lavorare e affannarsi, per motivi nobili, ma umani, senza badare al fine proprio di ogni lavoro, che è la gloria di Dio. L'immensa maggioranza degli uomini —tutti quelli che avevano la vocazione di fedeli cristiani comuni— non si riconoscevano in nessuno di questi due modelli. La santità —pensavano— è per frati e suore; io, se mi salvo, posso già considerarmi soddisfatto.
Una sola cosa è necessaria: l'unione con Dio, la santità personale, che è inseparabile dall'anelito apostolico, dal desiderio efficace di cooperare con Cristo per la salvezza del mondo. In questa prospettiva si comprende con maggiore profondità ciò che il nostro Fondatore scrisse nel primo punto del libro Solco: «Sono molti i cristiani persuasi che la Redenzione si realizzerà in tutti gli ambienti del mondo, e che devono esserci delle anime —non sanno dire chi— che contribuiscano con Cristo a realizzarla. Però la vedono con prospettiva di secoli, di molti secoli...: sarebbero un'eternità, se la si portasse a compimento al ritmo del loro impegno.
Così pensavi anche tu, fino a quando vennero a "svegliarti"»[9].
Così pensavano molti: la maggioranza. Anch'io e te, prima che il Signore ci chiamasse all'Opus Dei. Quant'è buono Dio, figli miei! Quant'è buono Dio, che è venuto a risvegliarci, a dirci che Gesù Cristo ha consumato la Redenzione una volta per tutte, sul Calvario, ma che è necessario applicarla alle anime e alle situazioni concrete del mondo, in ogni momento, in ogni epoca storica, in ogni anno, in ogni giorno, in ogni istante; e che noi cristiani dobbiamo essere corredentori: strumenti di Cristo per divinizzare tutte le attività umane e gli uomini che vi lavorano, immersi in Dio e immersi nei compiti del nostro lavoro ordinario, fondendo «in intima unione» —sono di nuovo parole del nostro Fondatore—, «la parte di Marta e quella di Maria, perché l'una è altrettanto necessaria quanto l'altra, dal momento che quella di Marta è mezzo e condizione per quella di Maria»[10]. Tale unità di vita, caratteristica essenziale dello spirito dell'Opus Dei, fa sì che i membri della Prelatura possano essere contemplativi in mezzo al mondo.
Come nella casa di Betania
Torniamo alla scena di Betania: Gesù seduto, Maria e altri discepoli ai suoi piedi, Marta al lavoro su e giù per la casa... Siamo in quella scena un personaggio in più, che pende anch'egli dalle labbra del Maestro. Ci sentiamo felici in questo ambiente di famiglia, che è come il nostro, perché siamo una famiglia meravigliosa, presieduta da Gesù Cristo. L'abbiamo qui con noi, realmente presente nel tabernacolo. Nella casa di Betania, come nella nostra, si nota l'amore a Dio, la fiducia con cui lo trattano... Maria beve le parole del Signore. Persino la lamentela di Marta rivela una grande amicizia.
Ma rivolgiamo di nuovo l'attenzione alla risposta di Gesù: porro unum est necessarium[11], una sola cosa è necessaria. Nel capitolo di Solco dedicato all'orazione, il nostro Fondatore osserva: «Sii grato al Signore per l'enorme bene che ti ha ottenuto, nel farti comprendere che "una sola cosa è necessaria". —E, insieme con la gratitudine, non manchi ogni giorno la tua supplica, per coloro che ancora non lo sanno, o non l'hanno capito»[12].
A noi ha rivolto le stesse parole che ha indirizzato a Marta: l'ha detto a lei perché anche noi lo comprendessimo: in verità una sola cosa è necessaria, l'unione con Nostro Signore. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia[13]. Dobbiamo lavorare con rettitudine d'intenzione, proponendoci come fine del nostro sforzo che Dio sia meglio servito. Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio[14].
Già ci è noto —lo sapete bene— che nostro Padre chiamava Betania i tabernacoli di tutti i Centri dell'Opus Dei. Ne dà la ragione nel libro Cammino, come prima ancora aveva fatto nei suoi quaderni di vita interiore: «E' vero, io chiamo sempre Betania il nostro Tabernacolo... —Fatti amico degli amici del Maestro: Lazzaro, Marta, Maria. —E allora non mi domanderai più perché chiamo Betania il nostro Tabernacolo»[15].
Siamo qui con Gesù, che ci presiede veramente; con Gesù, realmente presente nell'Eucaristia, con il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità, prigioniero di questo carcere d'amore che è il tabernacolo, in questo spazio ristretto che, anche se cerchiamo di arricchirlo con il nostro amore, è sempre angusto e oscuro. Ed Egli, Luce da Luce, Creatore dell'Universo, è nascosto qui.
Dal tabernacolo, Gesù ci parla. Come Maria, anche noi dobbiamo protenderci a cogliere le sue parole. Cerchiamo di accompagnarlo per tutta la nostra giornata, in mezzo alle occupazioni ordinarie, purificando l'intenzione, offrendogli il nostro lavoro, le nostre allegrie e le nostre difficoltà... tutto: anche le nostre miserie, perché il Signore le metta nella forgia del suo Amore e le purifichi, perché faccia sì che spariscano le scorie e resti l'oro dell'amore di Dio. Oro puro, perché è Lui a ispirarcelo: amiamo Dio con l'amore stesso che Egli ci dà.
Oggi ringraziamo il Signore in quest'oratorio che è stato rinnovato: ne sono stati squadrati gli assi, lo avete ornato con queste decorazioni —ci avete messo tanto amore di Dio, figli miei: che Dio vi benedica!—, sono stati costruiti questi archi, la pala d'altare è stata arricchita... Stare qui dà allegria!
Ieri, nella benedizione eucaristica, ringraziavo Dio vedendo che, ancora una volta, ci siamo comportati come il nostro Fondatore ci ha insegnato fin dal principio dell'Opera: abbiamo impiegato come oratorio l'ambiente migliore della casa. Mi ricordo di quando ci trasferimmo nella nuova sede della Residenza di Ferraz, nel 1936, pochi giorni prima del principio della guerra civile spagnola. Il nostro santo Fondatore riversò una grande cura, piena di amore, sull'oratorio. La stanza principale della casa era quella destinata a Nostro Signore. Tra l'altro, era di uno stile simile a questo: una sala a volta, abbastanza ampia, sebbene non tanto quanto questa.
E' stato sempre così. Quando, passati gli anni, il nostro Fondatore si trasferì a Roma, avvenne la stessa cosa. Noi che già stavamo qui vivevamo nell'abitazione, ricevuta in prestito, di una persona che era assente; dovevamo prendere in affitto una casa, ma non riuscimmo a ottenere che quella di Piazza della Città Leonina numero 9, all'ultimo piano; per di più, solo una parte dell'appartamento, perché il resto era occupato da una famiglia. Anche se quasi non entravamo tutti nella casa, riservammo l'unica sala spaziosa per l'oratorio. Lì nostro Padre celebrò la Messa per diversi mesi, dinanzi a un crocefisso molto povero, che conserviamo. Quanta orazione, quanti atti di ringraziamento e di amore di Dio tra quelle quattro pareti...!
Con il cuore nel Tabernacolo
Vi ricordate quella scena dell'Antico Testamento, quando Davide desidera innalzare una casa per l'Arca dell'Alleanza, che fino ad allora era custodita in una tenda? In quel tabernacolo, Jahvè faceva notare la sua presenza in un modo misterioso, mediante una nube e altri fenomeni straordinari. E tutto ciò non era che un'ombra, una figura. Invece il Signore si trova realmente presente nei tabernacoli dove è riservata la Santissima Eucaristia. Qui abbiamo Gesù Cristo —come mi piace compiere un atto esplicito di fede!— con il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità. Dal tabernacolo, Gesù ci presiede, ci ama, ci attende.
Davide —vi dicevo— voleva costruire una dimora per Jahvè, ma Dio stesso glielo proibì, attraverso il profeta Natan: gli fece sapere che mai aveva avuto bisogno di una domus cedrina —così leggiamo nella Scrittura[16] -, una casa costruita con travi di cedro, che doveva essere il legno migliore di quelle terre. Il Signore affida al profeta un messaggio per Davide: approvo che tu voglia costruirmi un tempio, perché è giusto; ma non lo innalzerai tu, perché tu sei stato un guerriero e hai versato sangue[17]. Sarà suo figlio Salomone a compiere i desideri di Davide: egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno[18].
Figli miei, in questi giorni pensavo che Dio negò a Davide la gioia di costruirgli una casa, e invece a noi concede di poter arricchire questo oratorio. Ci tratta con predilezione. Ringraziatelo e cercate di fargli compagnia in ogni momento, dovunque siate. Di tanto in tanto lasciate fuggire qua il cuore, per dire a Gesù: Signore, ti amo; vieni a me, veni, Domine Iesu! Io voglio restare con te mentre compio i miei doveri; desidero realizzarli per amore tuo.
Il 30 marzo 1935, la vigilia del giorno in cui si sarebbe lasciato per la prima volta il Signore nel tabernacolo di un Centro dell'Opus Dei, il nostro Fondatore scriveva a un figlio suo, che viveva fuori Madrid: «Finalmente!... Gesù viene a vivere con noi». Sottolineava la parola vivere, perché il Signore vive con noi: l'Eucaristia non è un tozzo di pane, è il Corpo di Gesù Cristo. E continuava nostro Padre: «Gesù viene a vivere con noi. Et omnia bona pariter cum eo..., e ogni bene verrà insieme con Lui»[19]. Il giorno dopo, Gesù sacramentato rimase in quella Residenza di Via Ferraz 50. E negli Appunti intimi —che già sono stati stampati e che costituiscono un libro di novecento pagine— nostro Padre scriveva: «non so se ho già annotato che ho celebrato la prima Messa nella casa dell'Angelo Custode» —chiamava così il primo Centro dell'Opera— «il giorno 31 marzo, Dominica Laetare»[20]. Proprio nella domenica in cui la Chiesa invita alla gioia, all'approssimarsi della Pasqua. E terminava quelle righe esclamando: «Come sei buono, Gesù, come sei buono!»[21]. Com'è buono il nostro Dio! Com'è buono, a rimanere con noi!
Due mesi dopo, il 15 maggio, scriveva al Vicario Generale di Madrid, don Francisco Morán: «Da quando abbiamo Gesù nel tabernacolo di questa casa, si nota straordinariamente: con il suo arrivo, aumenta l'estensione e l'intensità del nostro lavoro»"[22].
Abbiamo esperienza abbondante che è così. Per questo, il nostro Fondatore contava i Centri dell'Opus Dei per tabernacoli. Finché non era stato riservato il Signore nel tabernacolo, riteneva il Centro non ancora avviato.
Dobbiamo essere anime d'Eucaristia, figli miei; se no, non faremo nulla di buono. Anime eucaristiche, contemplativi in mezzo al mondo, con un cuore che si protende verso Gesù, perché Egli è per noi la calamita che ci attira, la fonte della vita, la Luce per la nostra oscurità, il motore perché possiamo condurre a buon esito il nostro sforzo.
Le pietre angolari della casa di Dio
Scriveva ancora nostro Padre, nell'aprile 1936, in un'altra lettera: «Il Nuovo Testamento scivola superficialmente su molti cattolici, senza che si impregnino di Cristo. Non importa niente che corrano sulle loro labbra i nomi di Chiesa, Vangelo, ecc., che servono per coprire i loro egoismi. Come possono comprendere che seriamente, efficacemente, alcuni gruppi di uomini vivano con pienezza la vita dei primi cristiani, per lottare nel mondo, contro il mondo, con le armi del mondo, traendo dal fiore della gioventù universitaria i paladini di Dio, per ricristianizzare il pensiero universale?»[23]
Vedete che ideale grande aveva il nostro Fondatore: regnare Christum volumus! Quante volte lo diceva e lo scriveva: era come il battito del suo cuore innamorato di Dio. Vogliamo che Cristo regni! A questo anelito s'indirizzavano tutti i suoi pensieri e tutte le sue azioni, e la sua orazione. Signore, regna nei nostri cuori! Adveniat Regnum tuum!
In un giorno come quello di oggi, pensiamo, figli miei, che nel tempio di Dio —che non è solo quest'oratorio, ma la Chiesa intera—, noi siamo pietre angolari, pietre vive. Il nostro Fondatore applicava questa espressione di San Pietro alla vocazione all'Opus Dei, ma la usava in modo speciale per riferirsi al Collegio Romano della Santa Croce; lo vedeva come una cava da cui uscivano pietre forti, ben squadrate: pietre angolari su cui possa poggiare la casa del Signore. Ma pietre che si riconoscono poca cosa, e che proprio dalla coscienza della personale debolezza traggono forza.
E' la stessa idea che suggeriva in un'altra lettera, del 1939, a una figlia sua: «Sul nulla costruisce il Signore!»[24]. Effettivamente, che cos'è ciascuno di noi? Non siamo niente! E, tuttavia, sopra questa nullità Gesù vuole costruire. Personalmente non valiamo nulla, ma il Signore ci ha scelto e ci ha posto[25], come pietre vive, forti, capaci di reggere il peso. «Sul nulla costruisce il Signore!» Continuava poi nostro Padre: «Ha bisogno di tutti gli strumenti: dal seghetto del carpentiere alle pinze del chirurgo. Che importa! Il garbo sta nel lasciarsi usare. Freddezza o fervore: quello che conta è che la volontà voglia: sono —devono essere— per te» —per te, figlio mio, per me— «indifferenti il fervore e la freddezza»[26]. Figlio mio, lasciati impiegare come strumento da Nostro Signore! Basta la buona volontà.
Concludiamo con altre parole, che il nostro Fondatore scriveva, nel luglio del 1939, ai suoi figli di Valencia, dove si verificava già una grande fioritura di vocazioni: «non mi va di terminare —terminare la lettera che allora stava scrivendo— senza un piccolo consiglio: tre cose sono di troppo, perché non me le spiegherei in voi: il dubbio, le incertezze, l'incostanza»[27]. Abbiamo ricevuto la luce di Dio, ma il nostro cammino trova un nemico in tutto ciò che promana dalla nostra natura caduta: la superbia, la vanità, l'orgoglio, l'egoismo, la sensualità... Il demonio può stringere alleanza con questi nemici, per seminare in noi il dubbio, le incertezze, l'incostanza. Siate fedeli, figli miei, perché ne vale la pena!
E per essere fedeli, ricorriamo a Maria Santissima, Madre di Dio e Madre nostra. Quant'è buono Gesù, che ci dà per Madre sua Madre! E quant'è buona Maria, che ci adotta come figli suoi e fratelli di Gesù! Vos autem dixi amicos[28], diceva il Signore ai suoi Apostoli, e a noi con loro. Ci ha chiamati amici e, per mezzo di sua Madre, ci ha reso suoi fratelli. Pertanto, figli, vinceremo, nonostante la nostra nullità, nonostante le nostre miserie, per le quali chiediamo perdono di tutto cuore.
Signore, mai più! D'ora in poi, voglio ardere di amore per te. Voglio che Tu sia il centro dei miei pensieri, che tutte le mie azioni siano indirizzate verso di te, voglio offrirti davvero tutto ciò che faccio. Molte volte, alla fine della giornata, vedremo che questo tutto si riduce a nulla. Ebbene, gli offriamo anche questo nulla, questo nulla... pieno di amore, dell'amore che Egli ci dà.
[1] Lc 10, 38.
[2] Cfr. Symb. Quicumque.
[3] Lc 6, 12.
[4] Cfr. Lc 10, 39.
[5] Lc 10, 40.
[6] Ibid.
[7] Ibid., 41-42.
[8] 2 Ts 3, 10.
[9] Solco, n. 1; Ed. Ares, Milano 1986.
[10] Lettera, 29-VII-1965, n. 23.
[11] Lc 10, 42.
[12] Solco, n. 454; Ed. Ares, Milano 1986.
[13] Mt 6, 33.
[14] 1 Cor 10, 31.
[15] Cammino, n. 322; Ed. Ares, Milano 1986.
[16] 2 Sam 7, 7.
[17] 1 Cr 28, 3.
[18] 2 Sam 7, 13.
[19] Lettera, 30-III-1935.
[20] Appunti intimi, n. 1263 (31-III-1935).
[21] Ibid.
[22] Lettera, 15-V-1935.
[23] Lettera, 25-IV-1936.
[24] Lettera, 19-VI-1939.
[25] Cfr. Gv 15, 16.
[26] Lettera, 19-VI-1939.
[27] Lettera, 16-VI-1939.
[28] Gv 15, 16.
Romana, n. 3, Luglio-Dicembre 1986, p. 268-273.