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Intervista al Vicario Regionale dell'Opus Dei per l'Italia

Nel numero di luglio 1986 del mensile "30 giorni" (Roma), è stata pubblicata un'intervista rilasciata dal Vicario Regionale dell'Opus Dei per l'Italia, Mons. Mario Lantini. Egli evidenzia il carattere calunnioso degli articoli sull'Opus Dei comparsi su certa stampa italiana. Ne riportiamo integralmente il testo.

Per diversi mesi la Prelatura è stata oggetto di vivaci polemiche sulla stampa italiana. Le critiche mosse all'Opus Dei non sono nuove, ma per la prima volta hanno provocato una interpellanza al governo sulla natura ed i fini dell'Opera. Perché, secondo lei, si è giunti fino a questo punto?

Non bisogna meravigliarsi del fatto che in una società come la nostra, fortemente impregnata di "secolarismo", vi siano ambienti che non comprendono o vedono perfino con fastidio la figura del cristiano laico che cerca di attuare —non solo nell'intimità della sua coscienza o nella vita parrocchiale, ma anche in mezzo alle realtà professionali, culturali e sociali della vita secolare— tutte le potenzialità della vocazione battesimale. A mio modo di vedere, qui vanno ricercati i veri motivi della campagna diffamatoria contro la Prelatura.

Poi, probabilmente c'è un altro fattore importante: alcuni non comprendono che i fedeli dell'Opus Dei, comuni cittadini cattolici, godono della stessa libertà degli altri cittadini loro uguali, cattolici e no, in tutte le loro attività professionali, economiche, politiche. Questi ambiti della loro vita non sono stati messi sotto la giurisdizione del Prelato dell'Opus Dei. Il vincolo canonico che li unisce alla Prelatura non riguarda minimamente questi campi. Se si comprende questo fatto, chiaramente affermato nei nostri Statuti, tutta la campagna portata avanti da questi due o tre organi di stampa cade alle fondamenta. Invece, se ostinatamente non si vuole capire, la campagna durerà ancora un bel pezzo.

Lei parla di fastidio suscitato dalla presenza visibile del cristiano. Ma chi accusa l'Opus Dei non la accusa formalmente a causa della sua presenza, bensì a causa del carattere "riservato" con cui attuarebbe questa presenza;

Sulla pretesa "riservatezza" o peggio "mistero" c'è un grosso equivoco, che è anzitutto giuridico, come hanno già fatto notare illustri giuristi italiani. L'ordinamento dello Stato non tollera cose di cui "non si sa tutto", solo quando si tratta di possibili attentati al bene comune, alla sicurezza dello Stato stesso o ai diritti dei cittadini; mai lo Stato democratico ha preteso di "sapere tutto", sotto pena di sanzioni penali, lì dove non c'è la minima ipotesi di reato ma semplicemente la vita privata dei cittadini, che la democrazia non solo tollera, ma difende, oppure l'esercizio delle libertà civili, come quella di professare una fede religiosa. Quando si parla di "riservatezza", come se fosse una cosa sospetta, e si tratta invece di normalità, di un fenomeno di vita civile, si commette non solo un errore di fatto e di criterio, ma un vero e proprio attentato ai diritti civili, alla democrazia. D'altra parte, dell'Opus Dei si conoscono gli statuti, i direttori, le sedi dei centri, le iniziative apostoliche che promuove. Pertanto, insistere sul fatto che viviamo con "riservatezza" mi sembra, per lo meno, esagerato. Penso che forse alcuni tentano di applicarci questa etichetta perché non sentono che l'Opus Dei prende posizione su problemi politici e sociali; o perché non vedono la Prelatura Opus Dei in riunioni e manifestazioni pubbliche, in definitiva, perché l'Opus Dei, come già abbiamo tante volte detto, non agisce in gruppo. Agiscono i suoi membri, liberamente e personalmente, senza coinvolgere la Prelatura. Altre istituzioni, anche all'interno della Chiesa, seguono dei criteri diversi e a me sembra molto bene. Chiedo soltanto che si rispetti e si faccia il piccolo sforzo di comprendere il nostro stile di vita, che non offende nessuno.

Dell'Opus Dei è nota soprattutto l'alta percentuale di membri laici presenti in settori-chiave della società: istituti bancari, partiti politici, università, mass-media. La Prelatura ha già precisato che non si può ridurre l'immagine dell'Opera ai suoi membri socialmente più rilevanti. Tuttavia può spiegarci meglio se questa presenza è un fatto del tutto casuale o è anche espressione del "carisma" stesso dell'Opus Dei?

Anzitutto, la considerazione di partenza non è vera: nasce, non da un rilevamento statistico obiettivo, ma dalla semplice circostanza che le persone modeste (da un punto di vista sociale, s'intende), per definizione non si notano, non se ne parla. Inoltre il "carisma" dell'Opus Dei è proprio di rivolgersi a tutti con il medesimo messaggio (la santificazione del lavoro nella vita ordinaria) e con i medesimi sussidi spirituali e pastorali. Diceva Monsignor Escrivá che "di cento persone ce ne interessano cento", e spiegava: "ognuna di loro è costata tutto il Sangue di Cristo". In Italia ci sono centinaia di membri della Prelatura che fanno come lavoro i cosiddetti "mestieri", cioè le faccende domestiche. Tanti altri sono modesti impiegati, operai, studenti lavoratori, pensionati, malati incurabili... tutta gente che non ha mai contato nulla nella vita pubblica, non ha mai avuto notorietà e, presumibilmente, non ne avrà mai. A meno che non avvenga per qualcuno di loro che, molti anni dopo la morte, sia riconosciuta dalla Chiesa la loro santità "nascosta e silenziosa"... che è poi il fine vero che noi tutti perseguiamo. Certo, se un tassista, per esempio, difende con vivacità la sacralità della vita umana, forse non fa notizia, ma se a difenderla è un europarlamentare o un funzionario della Banca Mondiale, forse questo risulta inquietante per molti.

Quale è il fine dell'Opus Dei?

Le dirò, con le parole del Papa Giovanni Paolo II, che l'Opus Dei "fin dai suoi inizi si è impegnata, non solo a illuminare di nuova luce la missione dei laici nella Chiesa e nella società umana, ma anche a realizzarla nella pratica; come pure si è impegnata a tradurre in realtà vissuta la dottrina della chiamata universale alla santità, e a promuovere in ogni ceto sociale la santificazione del lavoro professionale ed attraverso il lavoro professionale". Queste parole sono tratte dal proemio della Costituzione apostolica Ut sit, con la quale Giovanni Paolo II ha eretto in Prelatura personale la realtà ecclesiale dell'Opus Dei, che in questo stesso documento il Santo Padre descrive come una "compagine apostolica che, formata da sacerdoti e laici, uomini e donne, è allo stesso tempo organica e indivisa, cioè come una istituzione dotata di una unità di spirito, di fine, di regime e di formazione".

In pratica?

Una piccola percentuale dei fedeli della Prelatura è composta dai sacerdoti incardinati, attualmente circa 1.300; la maggior parte è composta dai fedeli laici —intorno ai 72.000, che svolgono il loro lavoro apostolico in circa 50 Paesi—, uomini e donne che vivono del loro lavoro professionale, celibi alcuni, sposati la maggior parte, giovani e anziani. Tuttavia, questa varietà di persone costituisce "una compagine apostolica organica e indivisa", perché in essa vi è un'unica vocazione, uno stesso spirito o carisma fondazionale, gli stessi mezzi ascetici e formativi e lo stesso regime. Per questo non si può parlare —perché non risponde a verità— di un Opus Dei formato da uomini e uno da donne, o uno da celibi e uno da sposati; e nemmeno esiste un Opus Dei di sacerdoti e uno di laici. C'è, come sempre è stato, un solo Opus Dei: questa è l'istituzione che Giovanni Paolo II ha voluto erigere in Prelatura personale, mediante la Costituzione Apostolica prima citata, pubblicata pochi mesi dopo il nuovo Codice di diritto canonico promulgato dallo stesso Papa.

Qual è allora il rapporto che lega sacerdoti e laici nell'Opus Dei?

La maggior parte dei membri dell'Opus Dei, come ho detto prima, sono laici, uomini e donne. Ciò si comprende molto bene se si tiene conto che i laici non sono qualcosa di secondario, né nella Chiesa, né in questa istituzione della Chiesa che è la Prelatura Opus Dei. Al contrario, questa realtà e spiritualità laicale e questa missione apostolica in mezzo alle realtà temporali si trovano all'origine stessa del fenomeno pastorale dell'Opus Dei. Tuttavia, perché i laici possano realizzare il loro lavoro con pienezza di vita cristiana e di vibrazione apostolica, hanno bisogno della cura pastorale di sacerdoti specificamente preparati. In questa "compagine apostolica" dell'Opus Dei, i laici e i chierici agiscono in necessaria interconnessione, cooperando organicamente fra loro, come auspicava l'ultimo Concilio parlando della relazione tra sacerdozio reale e sacerdozio ministeriale e come indica oggi il diritto universale della Chiesa e quello particolare della Prelatura. I laici agiscono con il loro impegno per santificare la professione e per diffondere attorno a sé la stessa aspirazione a cercare la santità nella vita ordinaria. I chierici agiscono offrendo l'ausilio ministeriale del sacerdote, con la predicazione della Parola, l'amministrazione di determinati sacramenti e —quando il diritto lo richiede— i compiti di governo ecclesiastico.

Rispetto all'appartenenza dei laici alla Prelatura ci sono state differenti interpretazioni. Anche il membro laico dell'Opus Dei fa parte a pieno titolo della Prelatura?

Gli impegni ascetici, apostolici e formativi che, in risposta ad una vocazione divina, i fedeli dell'Opus Dei acquisiscono —sacerdoti e laici— sono esigenti giacché il compito pastorale della Prelatura è impegnativo. Per essere in condizione di realizzare questa cooperazione organica, per poter vivere questi impegni, i laici necessitano la cura pastorale, costante e specializzata, del clero della Prelatura, senza perciò staccarsi —al contrario, le vedono e le sentono come proprie— dalle realtà ecclesiali delle Chiese particolari, in cui agiscono come fermento di unità e di intensa vita cristiana. Questa inseparabilità e piena cooperazione di chierici e laici —che è sempre esistita— si è cristalizzata giuridicamente nell'istituzione giurisdizionale e secolare della Prelatura personale Opus Dei, di cui sia i chierici che i laici sono membri pleno iure. Per questo la Costituzione Apostolica Ut sit, dopo aver affermato questa unità, anche di regime, stabilisce all'articolo III: "Gli uni e gli altri, chierici e laici, dipendono dall'autorità del Prelato nello svolgimento dell'opera pastorale della Prelatura". E l'articolo 1 degli Statuti della Prelatura definisce l'Opus Dei come "Prelatura personale composta allo stesso tempo da chierici e da laici per la realizzazione del suo compito peculiare sotto la giurisdizione del suo Prelato".

Anche sulle implicazioni di questa giurisdizione del Prelato dell'Opus Dei ci sono state un po' di incomprensioni e di polemica: qualcuno ha parlato di "Chiesa parallela"...

L'unità costituzionale dell'Opus Dei viene assicurata da questa unità di regime o giurisdizione che esercita il Prelato, che è l'Ordinario proprio della Prelatura. E' stabilito all'articolo III della Costituzione Apostolica Ut sit che la giurisdizione della Prelatura si estende sia ai chierici incardinati che ai laici che si dedicano alle opere apostoliche della Prelatura, i quali, come già ho avuto occasione di dire, sono membri pleno iure di essa. Però questo fatto non fa dell'Opus Dei una Chiesa particolare e perciò non bisogna temere questi "parallelismi" o "dualismi". Ci troviamo di fronte a un peculiare fenomeno pastorale e a un'istituzione giuridica nuova, che non si può comprendere bene con raffronti approssimativi: sarebbe ugualmente equivoco assimilare le Prelature personali alle Associazioni di fedeli. Si tratta di una giurisdizione o potestà di regime con tutte le prerogative che il diritto canonico attribuisce a questo tipo di autorità (emanare norme generali di carattere legislativo o amministrativo, emettere decreti particolari o imporre precetti, ecc.). Però il Prelato dell'Opus Dei esercita questa potestà soltanto in ordine alla realizzazione della peculiare finalità pastorale che la Santa Sede ha sanzionato come propria della Prelatura. Per questo un altro documento della Santa Sede, la Dichiarazione Praelaturae personales, ha precisato: "E' una potestà ordinaria di regime o di giurisdizione, limitata a ciò che riguarda il fine specifico della Prelatura... Comporta, oltre al regime del proprio clero, la generale direzione della formazione e della cura spirituale ed apostolica specifica che ricevono i laici incorporati nell'Opus Dei, in vista di una maggiore dedicazione al servizio della Chiesa".

Lei vuol dire che non esiste allora contrasto con la giurisdizione del vescovo diocesano?

Cito un punto importante dello stesso documento della Santa Sede: "I laici incorporati alla Prelatura Opus Dei rimangono fedeli delle singole diocesi nelle quali hanno il proprio domicilio o quasidomicilio, sono quindi sottoposti alla giurisdizione del vescovo diocesano in tutto quanto il diritto stabilisce per la generalità dei semplici fedeli". Ciò equivale a dire che gli aspetti della loro vita spirituale, della loro formazione dottrinale e della loro dedicazione apostolica, che decidono liberamente di mettere sotto la potestà che il Romano Pontefice ha assegnato all'Ordinario dell'Opus Dei, non ledono i diritti dei vescovi diocesani. Anzi, la peculiare attività pastorale della Prelatura si inserisce perfettamente nella pastorale organica delle Chiese particolari, come aiuto allo sviluppo della missione propria dei laici, e cooperazione specializzata alla ordinaria cura animarum territoriale. Posso assicurare che tutto è previsto in modo che non vi siano conflitti di giurisdizione ma armonica unità di intenti. Glielo dico anche in base all'esperienza, visto che l'Opus Dei lavora già in circa 400 diocesi.

Un rilievo mosso da alcuni, sia pure attraverso la citazione di esempi che spesso cadono nel ridicolo, riguarda quello che è considerato un aspetto proprio della spiritualità dell'Opus Dei: un volontarismo morale ed un rigorismo ascetico che generano a volte una disciplina estenuante. Come risponde a questa critica?

Distinguiamo il "volontarismo" di cui alcuni parlano (a torto) dalle pretese "pressioni" che (sempre a torto) vengono attribuite all'Opus Dei nei confronti dei suoi membri. Il "volontarismo" è una eresia del cristianesimo, che si basa invece sulla grazia di Dio e sui doni dello Spirito Santo; il cristiano sa che Gesù ha detto: "Senza di me non potere fare nulla", e quindi non punta tutto sulla sua volontà, ma sulla preghiera e la frequenza dei sacramenti. Poi, ci vuole anche la corrispondenza generosa della volontà umana all'opera della grazia: ma questa corrispondenza, che deve arrivare ad essere eroica, non viene mai sentita come uno sforzo umano fine a se stesso.

E per quello che riguarda le "pressioni?"

E' una calunnia ricorrente nella storia della Chiesa; da sempre, coloro che non condividevano e anzi volevano ostacolare la libera adesione di altri alla vita cristiana hanno detto e scritto che questi altri venivano plagiati, ingannati, circuiti... Nel caso dell'Opus Dei la cosa è particolarmente contraria all'evidenza, perché i membri della Prelatura sono per la maggior parte persone che non vivono insieme, ma con le loro famiglie; e tutti i laici passano la giornata lavorativa in mezzo ad altre persone, spesso in ambienti del tutto pagani e ostili alla vita cristiana; in queste circostanze, quale influsso psicologico, quale pressione potrebbe esercitarsi? Per di più, tutte queste persone vengono spinte dalla Prelatura a sviluppare la propria personalità, a realizzare pienamente la propria "vocazione umana", che —diceva il Fondatore— "è parte della vocazione divina". Il "denominatore comune" —diceva sempre Monsignor Escrivá— è piccolissimo, mentre il "numeratore", cioè la personalità e le libere scelte di ciascuno, è immenso. La ragione è semplice: la santità può venire solo da una personalità matura e libera, non dalla coercizione e dall'intruppamento; la grazia presuppone e perfeziona la natura, insegna San Tommaso d'Aquino, dunque presuppone maturità e libertà.

E' noto come la Prelatura sia stata considerata in taluni ambienti come "l'armatura giuridica" dell'isolamento di cui si accusava l'Opus Dei...

La realtà è esattamente contraria. Infatti la figura giuridica della Prelatura personale rappresenta il canale più adeguato per facilitare e rafforzare il servizio pastorale che l'Opus Dei presta. La peculiare opera pastorale della Prelatura Opus Dei, che il clero e il laicato inseparabilmente uniti svolgono nelle strutture della società, va tutta e sempre anzitutto a beneficio ed in appoggio della pastorale territoriale. Tanti lontani o indifferenti, raggiunti dall'apostolato dell'Opus Dei, scoprono oppure ricominciano la loro vita cristiana, e imparano ad essere attivi e responsabili anche nelle loro parrocchie. Inoltre, tante iniziative apostoliche, educative, di promozione umana, ecc., che i membri della Prelatura promuovono, producono abbondanti frutti che rimangono pure nelle rispettive diocesi. Né si può dimenticare infine che in molte diocesi i sacerdoti della Prelatura, oltre al loro specifico impegno pastorale, svolgono anche —su richiesta dei Vescovi al Prelato— utili mansioni nelle strutture diocesane; anzi, ogni anno giungono ai seminari diocesani non pochi giovani indirizzati lì da persone dell'Opus Dei che li hanno aiutati a scoprire e a seguire quella vocazione... Tutta questa "apertura" era già una realtà sin dall'inizio dell'attività apostolica dell'Opus Dei, ma direi che si è rinforzata e che appare ancora più chiaramente con l'erezione in Prelatura personale. D'altra parte, ora è anche più facile che tutti comprendano ciò che siamo veramente e il modo in cui la nostra peculiare azione pastorale si inserisce armonicamente nella pastorale organica delle Chiese particolari.

Romana, n. 3, Luglio-Dicembre 1986, p. 290-294.

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