LA PACE, DONO DI DIO
Il 27 ottobre, la città di Assisi è stata testimone di un evento straordinario: la Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, indetta da Giovanni Paolo II, con la partecipazione di rappresentanti di numerose religioni. Avvenimento davvero eccezionale giacché, per la prima volta nella storia, ed evitando la benché minima apparenza di sincretismo, persone così diverse si sono congregate per implorare da Dio il bene prezioso della pace, che l'intera umanità ha cercato affannosamente in ogni epoca della storia e che ai giorni nostri sembra particolarmente compromesso.
Il Santo Padre ha testimoniato dinnanzi al mondo la preoccupazione della Chiesa per la causa della pace. E l'ha fatto da una prospettiva squisitamente religiosa, mediante la preghiera e il digiuno, e proclamando la sua profonda "convinzione, condivisa da tutti i Cristiani, che in Gesù Cristo, quale Salvatore di tutti, è da ricercare la vera pace, pace a coloro che sono lontani e pace a quelli che sono vicini (cf. Ef 2, 17)"
Giovanni Paolo II, Discorso conclusivo nella Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace ad Assisi, 27-X-1986.
Ancora una volta, nella sua storia millenaria, la Chiesa ha sentito l'urgente bisogno d'impetrare da Dio la pace per l'intera umanità e a questa supplica ha voluto associare tutti gli uomini di buona volontà, quelli che si mostrano aperti alla trascendenza e sono convinti che "la pace dipende fondamentalmente da questo Potere, che chiamiamo Dio, e che, come noi Cristiani crediamo, ha rivelato se stesso in Cristo"
Ibid.
La nascita del Cristo, infatti, fu salutata dal canto dei cori angelici con parole che annunciavano la pace: gloria a Dio nel più alto del cieli e pace in terra agli uomini che egli ama
Lc 2, 14.
E Cristo stesso, nel corso della sua vita terrena, seminò la pace a piene mani: vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi
Gv 14, 27.
Perché, come spiegava il Papa in un'altra occasione, "ci sono due tipi di pace: quella che gli uomini sono in grado di costruire da soli e quella che è dono di Dio; quella basata su un equilibrio di forze, frutto di faticosi accordi e compromessi umani, e quella che —secondo l'espressione del Concilio Vaticano II— è 'frutto dell'ordine impiantato nella società umana dal suo divino Fondatore' (Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 78) (...). La prima è fragile e insicura; la si potrebbe chiamare una parvenza di pace, perché fondata sulla paura e sulla sfiducia. La seconda, viceversa, è una pace forte e duratura, poiché, fondata sulla giustizia e sull'amore, penetra nel cuore; è un dono che Dio concede a coloro che amano la sua legge (cfr. Sal 119, 165)"
Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso UNIV'86, Roma, 24-III-1986.
La pace è un bene che scarseggia nel mondo. Indipendentemente dalla situazione politica, sociale, culturale, ecc., in cui si trovano i diversi Paesi, la mancanza di pace è un male endemico in tutte le Nazioni. Forse mai come ora sono stati visibili nella società tanti segni di morte, come li chiama Giovanni Paolo II nella sua recente enciclica sullo Spirito Santo: "basti pensare —egli scrive— alla corsa agli armamenti e al pericolo, in essa insito, di un'autodistruzione nucleare. D'altra parte, si è rivelata sempre più a tutti la grave situazione di vaste regioni del nostro pianeta, segnate dall'indigenza e dalla fame apportatrici di morte (...). Senonché, sull'orizzonte della nostra epoca si addensano 'segni di morte' anche più cupi: si è diffuso il costume —che in alcuni luoghi rischia di diventare quasi un'istituzione— di togliere la vita agli esseri umani prima ancora della loro nascita, o anche prima che siano arrivati al naturale traguardo della morte. E ancora: nonostante tanti nobili sforzi in favore della pace, sono scoppiate e sono in corso nuove guerre, che privano della vita o della salute centinaia di migliaia di uomini. E come non ricordare gli attentati alla vita umana da parte del terrorismo, organizzato anche su scala internazionale?"
Giovanni Paolo II, Litt. enc. Dominum et Vivificantem, 18-V-1986, n. 57.
Non è un quadro tetro quello che il Santo Padre abbozza, ma un affresco realistico della situazione alla quale arrivano gli uomini svincolatisi da Dio. Tutte queste ombre di morte sono gli spettri del nuovo paganesimo, che germoglia e produce i suoi frutti amari quando viene sradicata dalla terra la pianta salvifica della dottrina cristiana. Tutti questi segni non sono, in definitiva, che i sintomi di una malattia profonda che oggi corrode la società: il disprezzo della legge divina, l'assoluto oblìo della realtà del peccato. Ed è questo, como spesso si ripete, il più grande peccato del nostro secolo
Cfr. Pio XII, Radiomessaggio del 26-X-1946; Giovanni Paolo II, Exhort. Ap. Raeconciliatio et Paenitentia, 2-XII-1984, n. 18.
poiché racchiude tutta la malizia della bestemmia contro lo Spirito Santo, intesa come "peccato commesso dall'uomo, che rivendica un suo presunto 'diritto' di perseverare nel male —in qualsiasi peccato— e rifiuta così la redenzione"
Giovanni Paolo II, Litt. enc. Dominum et Vivificantem, 18-V-1986, n. 46.
Non c'è altra medicina per la nostra epoca che la conversione e la penitenza. Nessun medico è in grado di far guarire il mondo dai suoi mali se non lo Spirito Santo, che è Signore e dà la vita
Simbolo niceno-costantinopolitano: DS 150.
Certamente, noi cristiani possiamo e dobbiamo promuovere innumerevoli iniziative umane in favore della pace: nessuno ci dovrebbe superare in tale nobile impegno. Ma senza mai dimenticare che il rimedio specificamente nostro, quel rimedio che gli altri uomini non sono in condizioni di offrire all'umanità malata, è la grazia sanans et elevans, che Cristo elargisce nella Chiesa tramite i sacramenti —in modo particolare, il sacramento della Riconciliazione— e anche tramite l'orazione e la penitenza.
La gioia e la pace sono frutti della carità, dell'amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato
Rm 5, 5.
E soltanto il Paraclito è in grado di saziare le brame del cuore umano. "Anche la pace è frutto dell'amore: quella pace interiore, che l'uomo affaticato cerca nell'intimo del suo essere; quella pace chiesta dall'umanità, dalla famiglia umana, dai popoli, dalle nazioni, dai continenti, con una trepida speranza di ottenerla nella prospettiva del passaggio dal secondo al terzo Millennio cristiano"
Giovanni Paolo II, Litt. enc. Dominum et Vivificantem, 18-V-1986, n. 67.
La pace che la Chiesa e tutti gli uomini di buona volontà hanno chiesto, da Assisi, all'Unico che la può concedere, "è una pace data e insieme conquistata. Per questo, paradossalmente, richiede una lotta costante, una battaglia senza posa contro il peccato, che si annida nel cuore umano e l'incalza con false promesse, dalle quali non vengono che frutti di morte"
Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso UNIV'86, Roma, 24-III-1986.
Nella Lettera pastorale indirizzata ai fedeli della Prelatura Opus Dei, Mons. Alvaro del Portillo sprona tutti a "fare eco alla voce del Vicario di Cristo che, sostenuto dalla Grazia del Paraclito, regge il timone della barca di Pietro: a noi, suoi figli, spetta il compito di diffondere queste chiamate di Dio in tutti gli angoli della terra; nel posto in cui ci troviamo, dobbiamo tradurre in pratica gli aneliti apostolici che stanno a cuore alla Santa Chiesa"
Mons. Alvaro del Portillo, Lettera pastorale, 11-X-1986.
Oltre alle iniziative in favore della pace che ognuno può intraprendere, una parte importante di quest'apostolato consiste nel aiutare molte persone a recuperare la pace dell'anima, a prepararsi a ricevere con profitto il sacramento della Riconciliazione. Quando la coscienza è in pace con Dio, gli uomini si sentono solidali con tutte le creature, e specialmente con gli altri esseri umani, nei quali vedono fratelli, figli dello stesso Padre. Così si compiranno pienamente le parole del Profeta: il monte del tempio del Signore sarà elevato sulla cima dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: "venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri" (...). Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore
Is 2, 2-5.
E' un traguardo arduo, ma non un'utopia; sarebbe a portata di mano se ogni cristiano s'impegnasse seriamente in tale semina divina, come predicava il Servo di Dio Josemaría Escrivá: "Ciascuno di noi, nel realizzare il proprio lavoro, nell'esercitare la propria professione nella società, può e deve convertire la sua occupazione in un compito di servizio. Il lavoro ben fatto, che progredisce e fa progredire, che tiene conto dello sviluppo della cultura e della tecnica, svolge una grande funzione, sempre utile a tutta l'umanità, se a muoverci è la generosità e non l'egoismo, il desiderio del bene comune e non il proprio tornaconto: se è pieno del senso cristiano della vita.
Quel lavoro è l'occasione per manifestare, nella stessa trama delle relazioni umane, la carità di Cristo e i suoi frutti concreti di amicizia, di comprensione, di calore umano, di pace. Come Cristo passò facendo il bene (cfr. At 10, 38) lungo le vie della Palestina, così anche voi, negli itinerari umani della famiglia, della società civile, delle relazioni professionali quotidiane, della cultura e del riposo, dovete compiere una grande semina di pace. Sarà questa la prova migliore che il regno di Dio è giunto al vostro cuore"
J. Escrivá de Balaguer, E' Gesù che passa, n. 166; Ed. Ares, Milano 1982.
Romana, n. 3, Luglio-Dicembre 1986, p. 157-161.