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Congregazione per la Dottrina della Fede: Considerazioni su «Il primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa» (31-X-1998)

1. Nell’attuale momento della vita della Chiesa, la questione del Primato di Pietro e dei Suoi Successori presenta una singolare rilevanza, anche ecumenica. In questo senso si è espresso con frequenza Giovanni Paolo II, in modo particolare nell’Enciclica Ut unum sint, nella quale ha voluto rivolgere specialmente ai pastori ed ai teologi l’invito a «trovare una forma di esercizio del Primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra a una situazione nuova»[1]. La Congregazione per la Dottrina della Fede, accogliendo l’invito del Santo Padre, ha deciso di proseguire l’approfondimento della tematica convocando un simposio di natura prettamente dottrinale su Il Primato del Successore di Pietro, che si è svolto in Vaticano dal 2 al 4 dicembre 1996, e di cui sono stati pubblicati gli Atti[2].

2. Nel Messaggio rivolto ai partecipanti al simposio, il Santo Padre ha scritto: «La Chiesa Cattolica è consapevole di aver conservato, in fedeltà alla Tradizione Apostolica e alla fede dei Padri, il ministero del Successore di Pietro»[3]. Esiste infatti una continuità lungo la storia della Chiesa nello sviluppo dottrinale sul Primato. Nel redigere il presente testo, che compare in appendice al suddetto volume degli Atti[4], la Congregazione per la Dottrina della Fede si è avvalsa dei contributi degli studiosi, che hanno preso parte al simposio, senza però intendere offrirne una sintesi né addentrarsi in questioni aperte a nuovi studi. Queste “Considerazioni” — a margine del Simposio — vogliono solo ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato, grande dono di Cristo alla sua Chiesa in quanto servizio necessario all’unità e che è stato anche spesso, come dimostra la storia, una difesa della libertà dei Vescovi e delle Chiese particolari di fronte alle ingerenze del potere politico.

I. Origine, finalità e natura del Primato

3. «Primo Simone, chiamato Pietro»(5). Con questa significativa accentuazione della primazia di Simon Pietro, San Matteo introduce nel suo Vangelo la lista dei Dodici Apostoli, che anche negli altri due Vangeli sinottici e negli Atti inizia con il nome di Simone[6]. Questo elenco, dotato di grande forza testimoniale ed altri passi evangelici[7] mostrano con chiarezza e semplicità che il canone neotestamentario ha recepito le parole di Cristo relative a Pietro ed al suo ruolo nel gruppo dei Dodici[8]. Perciò, già nelle prime comunità cristiane, come più tardi in tutta la Chiesa, l’immagine di Pietro è rimasta fissata come quella dell’Apostolo che, malgrado la sua debolezza umana, fu costituito espressamente da Cristo al primo posto fra i Dodici e chiamato a svolgere nella Chiesa una propria e specifica funzione. Egli è la roccia sulla quale Cristo edificherà la sua Chiesa[9]; è colui che, una volta convertito non verrà meno nella fede e confermerà i fratelli[10]; è, infine, il Pastore che guiderà l’intera comunità dei discepoli del Signore[11]. Nella figura, nella missione e nel ministero di Pietro nella sua presenza e nella sua morte a Roma — attestate dalla più antica tradizione letteraria e archeologica — la Chiesa contempla una profonda realtà, che è in rapporto essenziale con il suo stesso mistero di comunione e di salvezza: «Ubi Petrus, ibi ergo Ecclesia»[12]. La Chiesa, fin dagli inizi e con crescente chiarezza, ha capito che come esiste la successione degli Apostoli nel ministero dei Vescovi, così anche il ministero dell’unità, affidato a Pietro, appartiene alla perenne struttura della Chiesa di Cristo e che questa successione è fissata nelle sede del suo martirio.

4. Basandosi sulla testimonianza del Nuovo Testamento, la Chiesa Cattolica insegna, come dottrina di fede, che il Vescovo di Roma è Successore di Pietro nel suo servizio primaziale nella Chiesa universale[13]; questa successione spiega la preminenza della Chiesa di Roma[14], arricchita anche dalla predicazione e dal martirio di San Paolo. Nel disegno divino sul Primato come «ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori»[15], si manifesta già la finalità del carisma petrino, ovvero «l’unità di fede e di comunione»[16] di tutti i credenti. Il Romano Pontefice infatti, quale Successore di Pietro, è «perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli»[17], e perciò egli ha una grazia ministeriale specifica per servire quell’unità di fede e di comunione che è necessaria per il compimento della missione salvifica della Chiesa[18].

5. La Costituzione Pastor æternus del Concilio Vaticano I indicò nel prologo la finalità del Primato, dedicando poi il corpo del testo a esporre il contenuto o ámbito della sua potestà propria. Il Concilio Vaticano II, da parte sua, riaffermando e completando gli insegnamenti del Vaticano I[19] ha trattato principalmente il tema della finalità, con particolare attenzione al mistero della Chiesa come Corpus Ecclesiarum[20]. Tale considerazione permise di mettere in rilievo con maggiore chiarezza che la funzione primaziale del Vescovo di Roma e la funzione degli altri Vescovi non si trovano in contrasto ma in un’originaria ed essenziale armonia[21]. Perciò, «quando la Chiesa Cattolica afferma che la funzione del Vescovo di Roma risponde alla volontà di Cristo, essa non separa questa funzione dalla missione affidata all’insieme dei Vescovi, anch’essi “vicari e legati di Cristo” (Lumen gentium n. 27). Il Vescovo di Roma appartiene al loro collegio ed essi sono i suoi fratelli nel ministero»[22]. Si deve anche affermare, reciprocamente, che la collegialità episcopale non si contrappone all’esercizio personale del Primato né lo deve relativizzare.

6. Tutti i Vescovi sono soggetti della sollicitudo omnium Ecclesiarum[23] in quanto membri del Collegio episcopale che succede al Collegio degli Apostoli, di cui ha fatto parte anche la straordinaria figura di San Paolo. Questa dimensione universale della loro episkopè (sorveglianza) è inseparabile dalla dimensione particolare relativa agli uffici loro affidati[24]. Nel caso del Vescovo di Roma — Vicario di Cristo al modo proprio di Pietro come Capo del Collegio dei Vescovi[25] —, la sollicitudo omnium Ecclesiarum acquista una forza particolare perché è accompagnata dalla piena e suprema potestà nella Chiesa[26]: una potestà veramente episcopale, non solo suprema, piena e universale, ma anche immediata, su tutti, sia pastori che altri fedeli[27]. Il ministero del Successore di Pietro, perciò, non è un servizio che raggiunge ogni Chiesa particolare dall’esterno, ma è iscritto nel cuore di ogni Chiesa particolare, nella quale «è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo»[28], e per questo porta in sé l’apertura al ministero dell’unità. Questa interiorità del ministero del Vescovo di Roma a ogni Chiesa particolare è anche espressione della mutua interiorità tra Chiesa universale e Chiesa particolare[29]. L’Episcopato e il Primato reciprocamente connessi e inseparabili, sono d’istituzione divina. Storicamente sono sorte, per istituzione della Chiesa, forme di organizzazione ecclesiastica nelle quali si esercita pure un principio di primazia. In particolare, la Chiesa Cattolica è ben consapevole della funzione delle sedi apostoliche nella Chiesa antica, specialmente di quelle considerate Petrine — Antiochia ed Alessandria — quali punti di riferimento della Tradizione apostolica, intorno a cui si è sviluppato il sistema patriarcale, questo sistema appartiene alla guida della Provvidenza ordinaria di Dio sulla Chiesa, e reca in sé, dagli inizi, il nesso con la tradizione petrina[30].

II. L ‘esercizio del Primato e le sue modalità

7. L’esercizio del ministero petrino deve essere inteso — perché «nulla perda della sua autenticità e trasparenza»[31] — a partire dal Vangelo, ovvero dal suo essenziale inserimento nel mistero salvifico di Cristo e nell’edificazione della Chiesa. Il Primato differisce nella propria essenza e nel proprio esercizio dagli uffici di governo vigenti nelle società umane[32]: non è un ufficio di coordinamento o di presidenza, né si riduce ad un Primato d’onore, né può essere concepito come una monarchia di tipo politico.

Il Romano Pontefice è — come tutti i fedeli — sottomesso alla Parola di Dio, alla fede cattolica ed è garante dell’obbedienza della Chiesa e, in questo senso, servus servorum. Egli non decide secondo il proprio arbitrio, ma dà voce alla volontà del Signore, che parla all’uomo nella Scrittura vissuta ed interpretata dalla Tradizione; in altri termini, la episkopè del Primato ha i limiti che procedono dalla legge divina e dall’inviolabile costituzione divina della Chiesa contenuta nella Rivelazione[33]. Il Successore di Pietro è la roccia che, contro l’arbitrarietà e il conformismo, garantisce una rigorosa fedeltà alla Parola di Dio: ne segue anche il carattere martirologico del suo Primato.

8. Le caratteristiche dell’esercizio del Primato devono essere comprese soprattutto a partire da due premesse fondamentali: l’unità dell’Episcopato e il carattere episcopale del Primato stesso. Essendo l’Episcopato una realtà «una e indivisa»[34], il Primato del Papa comporta la facoltà di servire effettivamente l’unità di tutti i Vescovi e di tutti i fedeli, e «si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana»[35]; a questi livelli, per volontà di Cristo, tutti nella Chiesa — i Vescovi e gli altri fedeli — debbono obbedienza al Successore di Pietro, il quale è anche garante della legittima diversità di riti, discipline e strutture ecclesiastiche tra Oriente ed Occidente.

9. Il Primato del Vescovo di Roma, considerato il suo carattere episcopale, si esplica, in primo luogo, nella trasmissione della Parola di Dio; quindi esso include una specifica e particolare responsabilità nella missione evangelizzatrice[36], dato che la comunione ecclesiale è una realtà essenzialmente destinata ad espandersi: “Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda”[37]. Il compito episcopale che il Romano Pontefice ha nei confronti della trasmissione della Parola di Dio si estende anche all’interno di tutta la Chiesa. Come tale, esso è un ufficio magisteriale supremo e universale[38], è una funzione che implica un carisma: una speciale assistenza dello Spirito Santo al Successore di Pietro, che implica anche, in certi casi, la prerogativa dell’infallibilità[39]. Come «tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i pastori sono in comunione con Pietro, e così nell’unità di Cristo»[40], allo stesso modo i Vescovi sono testimoni della verità divina e cattolica quando insegnano in comunione con il Romano Pontefice[41].

10. Insieme alla funzione magisteriale del Primato, la missione del Successore di Pietro su tutta la Chiesa comporta la facoltà di porre gli atti di governo ecclesiastico necessari o convenienti per promuovere e difendere l’unità di fede e di comunione; tra questi si consideri, ad esempio: dare il mandato per l’ordinazione di nuovi Vescovi, esigere da loro la professione di fede cattolica; aiutare tutti a mantenersi nella fede professata. Come è ovvio, vi sono molti altri possibili modi, più o meno contingenti, di svolgere questo servizio all’unità: emanare leggi per tutta la Chiesa, stabilire strutture pastorali a servizio di diverse Chiese particolari, dotare di forza vincolante le decisioni dei Concili particolari, approvare istituti religiosi sopradiocesani, ecc. Per il carattere supremo della potestà del Primato, non v’è alcuna istanza cui il Romano Pontefice debba rispondere giuridicamente dell’esercizio del dono ricevuto: «prima sedes a nemine iudicatur»[42]. Tuttavia, ciò non significa che il Papa abbia un potere assoluto. Ascoltare la voce delle Chiese è, infatti, un contrassegno del ministero dell’unità, una conseguenza anche dell’unità del Corpo episcopale e del sensus fidei dell’intero Popolo di Dio; e questo vincolo appare sostanzialmente dotato di maggior forza e sicurezza delle istanze giuridiche — ipotesi peraltro improponibile, perché priva di fondamento — alle quali il Romano Pontefice dovrebbe rispondere. L’ultima ed inderogabile responsabilità del Papa trova la migliore garanzia, da una parte, nel suo inserimento nella Tradizione e nella comunione fraterna e, dall’altra, nella fiducia nell’assistenza dello Spirito Santo che governa la Chiesa.

11. L’unità della Chiesa, al servizio della quale si pone in modo singolare il ministero del Successore di Pietro, raggiunge la più alta espressione nel Sacrificio Eucaristico, il quale è centro e radice della comunione ecclesiale, comunione che si fonda anche necessariamente sull’unità dell’Episcopato. Perciò, «ogni celebrazione dell’Eucaristia è fatta in unione non solo con il proprio Vescovo ma anche con il Papa, con l’ordine episcopale, con tutto il clero e con l’intero popolo. Ogni valida celebrazione dell’Eucaristia esprime questa universale comunione con Pietro e con l’intera Chiesa, oppure oggettivamente la richiama»[43], come nel caso delle Chiese che non sono in piena comunione con la Sede Apostolica.

12. «La Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo»[44]. Anche per questo, l’immutabile natura del Primato del Successore di Pietro si è espressa storicamente attraverso modalità di esercizio adeguate alle circostanze di una Chiesa pellegrinante in questo mondo mutevole. I contenuti concreti del suo esercizio caratterizzano il ministero petrino nella misura in cui esprimono fedelmente l’applicazione alle circostanze di luogo e di tempo delle esigenze della finalità ultima che gli è propria (l’unità della Chiesa). La maggiore o minore estensione di tali contenuti concreti dipenderà in ogni epoca storica dalla necessitas Ecclesiae. Lo Spirito Santo aiuta la Chiesa a conoscere questa necessitas ed il Romano Pontefice, ascoltando la voce dello Spirito nelle Chiese, cerca la risposta e la offre quando e come lo ritiene opportuno. Di conseguenza, non è cercando il minimo di attribuzioni esercitate nella storia che si può determinare il nucleo della dottrina di fede sulle competenze del Primato. Perciò, il fatto che un determinato compito sia stato svolto dal Primato in una certa epoca non significa da solo che tale compito debba necessariamente essere sempre riservato al Romano Pontefice, e, viceversa, il solo fatto che una determinata funzione non sia stata esercitata in precedenza dal Papa non autorizza a concludere che tale funzione non possa in alcun modo esercitarsi in futuro come competenza del Primato.

13. In ogni caso, è fondamentale affermare che il discernimento circa la congruenza tra la natura del ministero petrino e le eventuali modalità del suo esercizio è un discernimento da compiersi in Ecclesia, ossia sotto l’assistenza dello Spirito Santo e in dialogo fraterno del Romano Pontefice con gli altri Vescovi, secondo le esigenze concrete della Chiesa. Ma, allo stesso tempo, è chiaro che solo il Papa (o il Papa con il Concilio ecumenico) ha, come Successore di Pietro, l’autorità e la competenza per dire l’ultima parola sulle modalità di esercizio del proprio ministero pastorale nella Chiesa universale.


14. Nel ricordare i punti essenziali della dottrina cattolica sul Primato del Successore di Pietro, la Congregazione per la Dottrina della Fede è certa che la riaffermazione autorevole di tali acquisizioni dottrinali offre maggior chiarezza sulla via da proseguire. Tale richiamo è utile, infatti, anche per evitare le ricadute sempre nuovamente possibili nelle parzialità e nelle unilateralità già respinte dalla Chiesa nel passato (febronianesimo, gallicanesimo, ultramontanismo, conciliarismo, ecc). E, soprattutto, vedendo il ministero del Servo dei servi di Dio come un grande dono della misericordia divina alla Chiesa, troveremo tutti — con la grazia dello Spirito Santo — lo slancio per vivere e custodire fedelmente l’effettiva e piena unione con il Romano Pontefice nel quotidiano camminare della Chiesa, secondo il modo voluto da Cristo[45].

15. La piena comunione voluta dal Signore tra coloro che si confessano suoi discepoli richiede il riconoscimento comune di un ministero ecclesiale universale «nel quale tutti i Vescovi si riconoscano uniti in Cristo e tutti i fedeli trovino la conferma della propria fede»[46]. La Chiesa Cattolica professa che questo ministero è il ministero primaziale del Romano Pontefice, Successore di Pietro, e sostiene con umiltà e con fermezza «che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro Vescovi con il Vescovo di Roma, è un requisito essenziale — nel disegno di Dio — della comunione piena e visibile»[47]. Non sono mancati nella storia del Papato errori umani e mancanze anche gravi: Pietro stesso, infatti, riconosceva di essere peccatore[48]. Pietro, uomo debole, fu eletto come roccia, proprio perché fosse palese che la vittoria è soltanto di Cristo e non risultato delle forze umane. Il Signore volle portare in vasi fragili[49] il proprio tesoro attraverso i tempi: così la fragilità umana è diventata segno della verità delle promesse divine. Quando e come si raggiungerà la tanto desiderata meta dell’unità di tutti i cristiani? «Come ottenerlo? Con la speranza nello Spirito, che sa allontanare da noi gli spettri del passato e le memorie dolorose della separazione; Egli sa concederci lucidità, forza e coraggio per intraprendere i passi necessari, in modo che il nostro impegno sia sempre più autentico»[50]. Siamo tutti invitati ad affidarci allo Spirito Santo, ad affidarci a Cristo, affidandoci a Pietro.

+ Joseph Card. Ratzinger

Prefetto

+ Tarcisio Bertone SDB

Arcivescovo emerito di Vercelli

Segretario

[1] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, 25-V-1995, n. 95.

[2] Il Primato del Successore di Pietro, Atti del Simposio teologico, Roma 24-XII-1996, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.

[3] GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Cardinale Joseph Ratzinger, in Ibid, p. 20.

[4] Il Primato del Successore di Pietro nel mistero della Chiesa, Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, in Ibid, Appendice, pp. 493-503. Il testo è pubblicato anche in un apposito fascicolo, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.

[6] 5. Mt 10, 2.

[7] 6. Cfr. Mc 3, 16; Lc 6, 14; At 1, 13.

[8] 7. Cfr. Mt 14, 28-31; 16, 16-23 e par.; 19, 27-29 e par.; 26, 33-35 e par., Lc 22 32; Gv 1, 42; 6, 67-70; 13, 36-38; 21, 15-19.

[9] 8. La testimonianza per il ministero petrino si trova in tutte le espressioni, pur differenti, della tradizione neotestamentaria, sia nei Sinottici — qui con tratti diversi in Matteo e in Luca, come anche in San Marco, sia nel corpo Paolino e nella tradizione Giovannea, sempre con elementi originali, differenti quanto agli aspetti narrativi ma profondamente concordanti nel significato essenziale. Questo è un segno che la realtà Petrina fu considerata come un dato costitutivo della Chiesa.

[10] 9. Cfr. Mt 16, 18.

[11] 10. Cfr. Lc 22, 32.

[12] 11. Cfr. Gv 21, 15-17. Sulla testimonianza neotestamentaria sul Primato, cfr. anche Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, nn. 90 ss.

[13] 12. S. AMBROGIO DI MILANO, Enarr. in Ps., 40, 30: PL 14, 1134.

[14] 13. Cfr. ad esempio S. SIRICIO I, Lett. Directa ad decessorem, 10-II-385: Denz-Hün, n. 181; Conc. di Lione II, “Professio fidei” di Michele Paleologo, 6-VII1274: Denz-Hün, n. 861; CLEMENTE VI, Lett. Super quibusdam, 29-IX-1351: Denz-Hün, n. 1053; CONCILIO DI FIRENZE, Bolla Lætentur cœli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307; PIO IX, Lett. Enc. Qui pluribus, 9-XI-1846: Denz-Hün, n. 2781; CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, 18-VII-1870, cap. 2: Denz-Hün, nn. 30563058; CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, 21-XI-1964, cap. III, nn. 21-23; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 882; ecc.

[15] 14. Cfr. S. IGNAZIO D’ANTIOCHIA, Epist. ad Romanos, Intr.: SChr 10, 106-107; S. IRENEO DE LIONE, Adversus hæreses, III 3, 2: SChr 211, 32-33.

[16] 15. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 20.

[17] 16. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, prœmio: Denz-Hün, n. 3051. Cfr. S. LEONE I MAGNO, Tract. in Natale eiusdem, IV, 2: CCL 138, p. 19.

[18] 17. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23. Cfr. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, prœmio: Denz-Hün, n. 3051; GIOVANNI PAOLO II, Enc. Ut unum sint, n. 88. Cfr. PIO IX, Lett. del S. Uffizio ai Vescovi d’Inghilterra, 16-IX-1864: Denz-Hün, n. 2888; LEONE XIII, Lett. Enc. Satis cognitum, 29-VI-1896: Denz-Hün, nn. 33053310.

[19] 18. Cfr. Gv 17, 21-23; CONCILIO VATICANO II, Decr. Unitatis redintegratio, 21-XI-1964, n. 1; PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 8-XII-1975, n. 77: AAS 68 (1976) 69; GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 98.

[20] 19. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 18.

[21] 20. Cfr. ibidem, n. 23.

[22] 21. Cfr. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3061; cfr.. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.—febbr. 1875: Denz-Hün, nn. 3112-3113; LEONE XIII, Lett. Enc. Satis cognitum: Denz-Hün, n. 3310; CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 27. Come spiegò Pio IX nell ‘Allocuzione dopo la promulgazione della Costituzione Pastor æternus: «Summa ista Romani Pontificis auctoritas, Venerabiles Fratres, non opprimit sed adiuvat, non destruit sed aedificat, et saepissime confirmat in dignitate, unit in caritate, et Fratrum, scilicet Episcoporum, jura firmat atque tuetur» (Mansi 52, 1336 A/B).

[23] 22. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 95.

[24] 23. 2 Cor 11, 28.

[25] 24. La priorità ontologica che la Chiesa universale, nel suo essenziale mistero, ha rispetto ad ogni singola Chiesa particolare (cfr. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, 28-V-1992 n. 9) sottolinea anche l’importanza della dimensione universale del ministero di ogni Vescovo.

[26] 25. Cfr. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3059; CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22; cfr.. CONCILIO DI FIRENZE, Bolla Lætentur cæli, 6-VII-1439: Denz-Hün, n. 1307.

[27] 26. Cfr. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogrn. Pastor æternus, cap. 3: Denz-Hün, nn. 3060.3064.

[28] 27. Cfr. Ibidem, CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 22.

[29] 28. Conc. Vaticano II, Decr. Christus Dominus, 28-X-1965, n. 11.

[30] 29. Cfr. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 13.

[31] 30. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; Decr. Orientalium Ecclesiarum, 21-XI-1964, nn. 7 e 9.

[32] 31. Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 93.

[33] 32. Cfr. ibidem, n. 94.

[34] 33. Cfr. Dichiarazione collettiva dei Vescovi tedeschi, genn.—febbr. 1875: Denz-Hün, n. 3114.

[35] 34. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, prœmio: Denz-Hün, n. 3051.

[36] 35. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.

[37] 36. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 23; LEONE XIII, Lett. Enc. Grande munus, 30-IX-1880: ASS 13 (1880) 145; CIC can. 782, 1.

[38] 37. PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, n. 14. Cfr. CIC can. 781.

[39] 38. Cfr. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, cap. 4: Denz-Hün, nn. 3065-3068.

[40] 39. Cfr. ibidem: Denz-Hün, nn. 30733074, CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25, CIC can 749 § 1 CCEO can. 597 § 1.

[41] 40. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 94.

[42] 41. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25.

[43] 42. CIC, can. 1404; CCEO, can. 1058. Cfr. CONCILIO VATICANO I, Cost. dogm. Pastor æternus, cap. 3: Denz-Hün, n. 3063.

[44] 43. CONGR. PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Communionis notio, n. 14. Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1369.

[45] 44. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 48.

[46] 45. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 15.

[47] 46. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 97.

[48] 47. Ibidem.

[49] 48. Cfr. Lc 5, 8.

[50] 49. Cfr. 2 Cor 4, 7.

(51) 50. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Ut unum sint, n. 102.

Romana, n. 27, Luglio-Dicembre 1998, p. 240-247.

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