Varie Congregazioni e Consigli Pontifici
Istruzione su alcune questioni circa la collaborazione dei fedeli laici al ministero dei sacerdoti (15-VIII-1997)
PREMESSA
Dal mistero della Chiesa scaturisce la chiamata rivolta a tutte le membra del Corpo mistico affinché partecipino attivamente alla missione e all’edificazione del Popolo di Dio in una comunione organica, secondo i diversi ministeri e carismi. L’eco di tale chiamata è risuonata ripetutamente nei documenti del Magistero, particolarmente dal Concilio Ecumenico Vaticano II[1] in poi. Soprattutto nelle ultime tre Assemblee generali ordinarie del Sinodo dei Vescovi, si è riaffermata l’identità, nella comune dignità e diversità di funzioni, propria dei fedeli laici, dei sacri ministri e dei consacrati, e si sono incoraggiati tutti i fedeli ad edificare la Chiesa collaborando in comunione per la salvezza del mondo.
Occorre tener presente l’urgenza e l’importanza dell’azione apostolica dei fedeli laici nel presente e nel futuro dell’evangelizzazione. La Chiesa non può prescindere da quest’opera, perché è connaturale ad essa, in quanto Popolo di Dio, e perché ne ha bisogno per realizzare la propria missione evangelizzatrice.
La chiamata alla partecipazione attiva di tutti i fedeli alla missione della Chiesa non è rimasta inascoltata. Il Sinodo dei Vescovi del 1987 ha constatato «come lo Spirito abbia continuato a ringiovanire la Chiesa suscitando nuove energie di santità e di partecipazione in tanti fedeli laici. Ciò è testimoniato, tra l’altro, dal nuovo stile di collaborazione tra sacerdoti, religiosi e fedeli laici; dalla partecipazione attiva nella liturgia, nell’annuncio della Parola di Dio e nella catechesi; dai molteplici servizi e compiti affidati ai fedeli laici e da essi assunti; dal rigoglioso fiorire di gruppi, associazioni e movimenti di spiritualità e di impegno laicali; dalla partecipazione più ampia e significativa delle donne nella vita della Chiesa e nello sviluppo della società»[2]. Parimenti nella preparazione del Sinodo dei Vescovi del 1994 sulla vita consacrata si è riscontrato «dappertutto un desiderio sincero di instaurare autentici rapporti di comunione e di collaborazione tra Vescovi, istituti di vita consacrata, clero secolare e laici»[3]. Nella successiva Esortazione apostolica post-sinodale il Sommo Pontefice conferma l’apporto specifico della vita consacrata alla missione e alla edificazione della Chiesa[4].
Si ha, in effetti, una collaborazione di tutti i fedeli in entrambi gli ambiti della missione della Chiesa, sia in quello spirituale di portare il messaggio di Cristo e la sua grazia agli uomini, sia in quello temporale di permeare e perfezionare l’ordine delle realtà secolari con lo spirito evangelico[5]. Specialmente nel primo ambito — evangelizzazione e santificazione — «l’apostolato dei laici e il ministero pastorale si completano a vicenda»[6]. In esso, i fedeli laici, di entrambi i sessi, hanno innumerevoli occasioni di rendersi attivi, con la coerente testimonianza di vita personale, familiare e sociale, con l’annunzio e la condivisione del vangelo di Cristo in ogni ambiente e con l’impegno di enucleare, difendere e rettamente applicare i principi cristiani ai problemi attuali[7]. In particolare, i Pastori sono esortati a «riconoscere e promuovere i ministeri, gli uffici e le funzioni dei fedeli laici, che hanno il loro fondamento sacramentale nel Battesimo e nella Cresima, nonché per molti di loro, nel Matrimonio»[8].
In realtà, la vita della Chiesa in questo campo ha conosciuto, soprattutto dopo il notevole impulso dato dal Concilio Vaticano II e dal Magistero Pontificio, una sorprendente fioritura di iniziative pastorali.
Oggi, in particolare, il prioritario compito della nuova evangelizzazione, che investe l’intero popolo di Dio, richiede, insieme allo «speciale protagonismo» dei sacerdoti, anche il pieno ricupero della coscienza dell’indole secolare della missione del laico[9].
Questa impresa spalanca ai fedeli laici gli orizzonti immensi, alcuni dei quali ancora da esplorare, dell’impegno nel secolo, nel mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo, della ricerca scientifica, del lavoro, dei mezzi di comunicazione, della politica, dell’economia, ecc. e chiede loro la genialità di creare sempre più efficaci modalità affinché questi ambiti trovino in Gesù Cristo la pienezza del loro significato[10].
Entro questa vasta area di concorde operosità, sia specificamente spirituale o religiosa, sia nella consecratio mundi, esiste un campo speciale, quello che riguarda il sacro ministero del clero, nell’esercizio del quale possono essere chiamati a coadiuvare i fedeli laici, uomini e donne, e, naturalmente, anche i membri non ordinati degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica. A tale ambito particolare si riferisce il Concilio Ecumenico Vaticano II, laddove insegna: «Infine la gerarchia affida ai laici alcuni compiti, che sono più intimamente collegati con i doveri dei pastori, come nell’esposizione della dottrina cristiana, in alcuni atti liturgici, nella cura delle anime»[11].
Proprio perché si tratta di compiti più intimamente collegati con i doveri dei pastori — che per essere tali devono essere insigniti del sacramento dell’Ordine — si richiede, da parte di tutti coloro che in qualche modo vi sono coinvolti, una particolare diligenza perché siano ben salvaguardate, sia la natura e la missione del sacro ministero, sia la vocazione e l’indole secolare dei fedeli laici. Collaborare non significa infatti sostituire.
Dobbiamo constatare con viva soddisfazione che in molte Chiese particolari la collaborazione dei fedeli non ordinati al ministero pastorale del clero si svolge in maniera assai positiva, con abbondanti frutti di bene, nel rispetto dei limiti fissati dalla natura dei sacramenti e dalla diversità dei carismi e delle funzioni ecclesiali, con soluzioni generose e intelligenti per far fronte a situazioni di mancanza o scarsità di sacri ministri[12]. In questo modo si è reso perspicuo quell’aspetto della comunione, per cui alcuni membri della Chiesa si adoperano sollecitamente a rimediare, nella misura in cui è loro possibile, non essendo insigniti del carattere del sacramento dell’Ordine, a situazioni di emergenza e di croniche necessità in alcune comunità[13]. Tali fedeli sono chiamati e deputati ad assumere precisi compiti, tanto importanti quanto delicati, sostenuti dalla grazia del Signore, accompagnati dai sacri ministri e bene accolti dalle comunità in favore delle quali prestano il proprio servizio. I sacri pastori sono profondamente riconoscenti per la generosità con la quale numerosi consacrati e fedeli laici si offrono per questo specifico servizio, svolto con fedele sensus Ecclesiae ed edificante dedizione. Particolare gratitudine ed incoraggiamento va a quanti svolgono questi compiti in situazioni di persecuzione della comunità cristiana, negli ambiti di missione, siano essi territoriali o culturali, laddove la Chiesa è ancora scarsamente impiantata, o la presenza del sacerdote è solo sporadica[14].
Non è questo il luogo per approfondire tutta la ricchezza teologica e pastorale del ruolo dei fedeli laici nella Chiesa. Essa è già stata ampiamente illustrata dall’Esortazione apostolica Christifideles laici.
Lo scopo del presente documento, invece, è semplicemente quello di fornire una risposta chiara ed autorevole alle pressanti e numerose richieste pervenute ai nostri Dicasteri da parte di Vescovi, presbiteri e laici i quali, di fronte a nuove forme di attività «pastorale» dei fedeli non ordinati nell’ambito delle parrocchie e delle diocesi, hanno chiesto di essere illuminati.
Spesso, infatti, si tratta di prassi che, seppur nate in situazioni di emergenza e precarietà, e sovente sviluppatesi nella volontà di prestare un generoso aiuto nell’attività pastorale, possono avere conseguenze gravemente negative a scapito della retta comprensione della vera comunione ecclesiale. Tali prassi in realtà sono maggiormente presenti in alcune regioni e, talvolta, variano di molto all’interno della medesima regione.
Esse, tuttavia, richiamano la grave responsabilità pastorale di quanti, soprattutto Vescovi[15], sono preposti alla promozione e alla tutela della disciplina universale della Chiesa sulla base di alcuni principi dottrinali già chiaramente enunciati dal Concilio Ecumenico Vaticano II[16] e dal successivo Magistero Pontificio[17].
Si è svolto un lavoro di riflessione all’interno dei nostri Dicasteri, si è riunito un Simposio al quale hanno partecipato rappresentanti degli Episcopati maggiormente interessati al problema e, infine, è stata condotta un’ampia consultazione tra numerosi Presidenti di Conferenze Episcopali ed altri Presuli ed esperti di diverse discipline ecclesiastiche ed aree geografiche. Ne è risultata una chiara convergenza nel senso preciso della presente Istruzione che, tuttavia, non pretende di essere esauriente, sia perché si limita a considerare i casi attualmente più conosciuti, sia per l’estrema varietà di circostanze particolari nelle quali tali casi si verificano.
Il testo, redatto sulla sicura base del magistero straordinario ed ordinario della Chiesa, viene affidato, per la sua fedele applicazione, ai Vescovi interessati, ma è portato a conoscenza anche dei Presuli di quelle circoscrizioni ecclesiastiche che, pur non registrando al momento prassi abusive, potrebbero esserne interessate in breve tempo, attesa l’attuale rapidità di diffusione dei fenomeni.
Prima di rispondere ai casi concreti a noi pervenuti, si ritiene necessario premettere, in merito al significato dell’Ordine sacro nella costituzione della Chiesa, alcuni brevi ed essenziali elementi teologici atti a favorire una motivata comprensione della stessa disciplina ecclesiastica la quale, nel rispetto della verità e della comunione ecclesiale, intende promuovere i diritti e i doveri di tutti, per quella «salvezza delle anime che deve essere nella Chiesa la legge suprema»[18].
PRINCIPI TEOLOGICI
1. Il sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale
Cristo Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote, ha voluto che il suo unico e indivisibile sacerdozio fosse partecipato alla sua Chiesa. Questa è il popolo della nuova alleanza, nel quale, «per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo, i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, sacrifici spirituali e far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cfr. 1 Pt 2, 4-10)»[19]. «Non c’è quindi che un popolo di Dio scelto da Lui: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo (Ef 4, 5); comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione»[20]. Vigendo tra tutti «una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo», alcuni sono costituiti, per volontà di Cristo, «dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri»[21]. Sia il sacerdozio comune dei fedeli, sia il sacerdozio ministeriale o gerarchico, «quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo»[22]. Tra di essi si ha una efficace unità perché lo Spirito Santo unifica la Chiesa nella comunione e nel servizio e la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici[23].
La differenza essenziale tra il sacerdozio comune ed il sacerdozio ministeriale non si trova, dunque, nel sacerdozio di Cristo, il quale resta sempre unico e indivisibile, e neanche nella santità alla quale tutti i fedeli sono chiamati: «Il sacerdozio ministeriale, infatti, non significa di per sé un maggior grado di santità rispetto al sacerdozio comune dei fedeli; ma, attraverso di esso, ai presbiteri è dato da Cristo nello Spirito un particolare dono, perché possano aiutare il popolo di Dio ad esercitare con fedeltà e pienezza il sacerdozio comune che gli è conferito»[24]. Nell’edificazione della Chiesa, Corpo di Cristo, vige la diversità di membra e di funzioni, ma uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce i suoi vari doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei servizi (cfr. 1 Cor 12, 1-11)[25].
La diversità riguarda il modo della partecipazione al sacerdozio di Cristo ed è essenziale nel senso che «mentre il sacerdozio comune dei fedeli si realizza nello sviluppo della grazia battesimale — vita di fede, di speranza e di carità, vita secondo lo Spirito — il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio comune, è relativo allo sviluppo della grazia battesimale di tutti i cristiani»[26]. Di conseguenza, il sacerdozio ministeriale «differisce essenzialmente dal sacerdozio comune dei fedeli poiché conferisce un potere sacro per il servizio dei fedeli»[27]. A questo scopo il sacerdote è esortato a «crescere nella consapevolezza della profonda comunione che lo lega al Popolo di Dio» per «suscitare e sviluppare la corresponsabilità nella comune e unica missione di salvezza, con la pronta e cordiale valorizzazione di tutti i carismi e i compiti che lo Spirito offre ai credenti per l’edificazione della Chiesa»[28].
Le caratteristiche che differenziano il sacerdozio ministeriale dei Vescovi e dei presbiteri da quello comune dei fedeli, e delineano in conseguenza anche i confini della collaborazione di questi al sacro ministero, si possono così sintetizzare:
a) il sacerdozio ministeriale ha la sua radice nella successione apostolica, ed è dotato di una potestà sacra[29], la quale consiste nella facoltà e nella responsabilità di agire in persona di Cristo Capo e Pastore[30];
b) esso rende i sacri ministri servitori di Cristo e della Chiesa, per mezzo della proclamazione autorevole della parola di Dio, della celebrazione dei sacramenti e della guida pastorale dei fedeli[31].
Porre le fondamenta del ministero ordinato nella successione apostolica, in quanto tale ministero continua la missione ricevuta dagli Apostoli da parte di Cristo, è punto essenziale della dottrina ecclesiologica cattolica[32].
Il ministero ordinato, pertanto, viene costituito sul fondamento degli Apostoli per l’edificazione della Chiesa[33]: «è totalmente al servizio della Chiesa stessa»[34]. «Alla natura sacramentale del ministero ecclesiale è intrinsecamente legato il carattere di servizio. I ministri, infatti, in quanto dipendono interamente da Cristo, il quale conferisce missione e autorità, sono veramente «servi di Cristo», ad immagine di lui che ha assunto liberamente per noi «la condizione di servo» (Fil 2, 7). Poiché la parola e la grazia di cui sono ministri non sono le loro, ma quelle di Cristo che le ha loro affidate per gli altri, essi si faranno liberamente servi di tutti»[35].
2. Unità e diversificazione dei compiti ministeriali
Le funzioni del ministero ordinato, prese nel loro insieme, costituiscono, in ragione del loro unico fondamento[36], una indivisibile unità. Una e unica, in effetti, come in Cristo[37], è la radice dell’azione salvifica, significata e realizzata dal ministro nello svolgimento delle funzioni di insegnare, santificare e reggere gli altri fedeli. Questa unità qualifica essenzialmente l’esercizio delle funzioni del sacro ministero, che sono sempre esercizio, sotto diverse prospettive, del ruolo di Cristo, Capo della Chiesa.
Se, dunque, l’esercizio da parte del ministro ordinato del munus docendi, sanctificandi et regendi costituisce la sostanza del ministero pastorale, le diverse funzioni dei ministri sacri, formando una indivisibile unità, non possono essere capìte separatamente le une dalle altre, anzi devono essere considerate nella loro mutua corrispondenza e complementarietà. Solo per alcune di esse, e in certa misura, possono cooperare con i pastori altri fedeli non ordinati, se sono chiamati a svolgere detta collaborazione dalla legittima Autorità e nei debiti modi. «Infatti Gesù Cristo, nel suo corpo che è la Chiesa, continuamente dispensa i doni dei servizi, grazie ai quali, per sua virtù, noi ci prestiamo aiuto vicendevolmente in ordine alla salvezza»[38]. «L’esercizio di questi compiti non fa del fedele laico un pastore: in realtà non è il compito a costituire il ministero, bensì l’ordinazione sacramentale. Solo il Sacramento dell’Ordine attribuisce al ministero ordinato dei Vescovi e dei presbiteri una peculiare partecipazione all’ufficio di Cristo Capo e Pastore e al suo sacerdozio eterno. Il compito esercitato in veste di supplenza, invece, deriva la sua legittimazione, immediatamente e formalmente, dalla deputazione ufficiale data dai pastori, e nella sua concreta attuazione è diretto dall’autorità ecclesiastica»[39].
Occorre riaffermare questa dottrina perché alcune prassi miranti a supplire alle carenze numeriche di ministri ordinati nel seno della comunità, in taluni casi, hanno potuto far leva su una concezione di sacerdozio comune dei fedeli che ne confonde l’indole e il significato specifico, favorendo, tra l’altro, la diminuzione dei candidati al sacerdozio ed oscurando la specificità del seminario come luogo tipico per la formazione del ministro ordinato. Si tratta di fenomeni intimamente connessi, sulla cui interdipendenza si dovrà opportunamente riflettere per trarre sapienti conclusioni operative.
3. Insostituibilità del ministero ordinato
Una comunità di fedeli, per essere chiamata Chiesa e per esserlo veramente, non può derivare la sua guida da criteri organizzativi di natura associativa o politica. Ogni Chiesa particolare deve a Cristo la sua guida, perché è Lui fondamentalmente ad aver concesso alla stessa Chiesa il ministero apostolico, per cui nessuna comunità ha il potere di darla a se stessa[40] o di stabilirla per mezzo di una delega. L’esercizio del munus di magistero e di governo richiede, in effetti, la canonica o giuridica determinazione da parte dell’autorità gerarchica[41].
Il sacerdozio ministeriale, dunque, è necessario all’esistenza stessa della comunità come Chiesa: «Non si deve pensare al sacerdozio ordinato (...) come se fosse posteriore alla comunità ecclesiale quasi che questa possa essere concepita come già costituita senza tale sacerdozio»[42]. Infatti, se nella comunità viene a mancare il sacerdote, essa si trova priva dell’esercizio e della funzione sacramentale di Cristo Capo e Pastore, essenziale per la vita stessa della comunità ecclesiale.
Il sacerdozio ministeriale è pertanto assolutamente insostituibile. Se ne deduce immediatamente la necessità di una pastorale vocazionale che sia zelante, bene ordinata e continua per dare alla Chiesa i necessari ministri, come pure la necessità di riservare una accurata formazione a quanti, nei seminari, si preparano a ricevere il presbiterato. Ogni altra soluzione per far fronte ai problemi derivanti dalla carenza di sacri ministri non può che risultare precaria.
«Il dovere di dare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunità cristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con una vita perfettamente cristiana»[43]. Tutti i fedeli sono corresponsabili nel contribuire ad incoraggiare le risposte positive alla vocazione sacerdotale, con una sempre più fedele sequela di Gesù Cristo, superando l’indifferenza dell’ambiente, soprattutto nelle società fortemente segnate dal materialismo.
4. La collaborazione di fedeli non ordinati al ministero pastorale
Nei documenti conciliari, tra i vari aspetti della partecipazione dei fedeli non insigniti del carattere dell’Ordine alla missione della Chiesa, viene considerata la loro diretta collaborazione con i compiti specifici dei pastori[44]. Infatti, «quando la necessità o l’utilità della Chiesa lo esige, i pastori possono affidare ai fedeli non ordinati, secondo le norme stabilite dal diritto universale, alcuni compiti che sono connessi con il loro proprio ministero di pastori ma che non esigono il carattere dell’Ordine»[45]. Tale collaborazione è stata successivamente regolata dalla legislazione postconciliare e, in modo particolare, dal nuovo Codice di Diritto Canonico.
Questo, dopo essersi riferito agli obblighi e diritti di tutti i fedeli[46], nel titolo successivo, dedicato agli obblighi e diritti dei fedeli laici, tratta non solo di quelli specifici della loro condizione secolare[47], ma anche di altri compiti o funzioni a loro non pertinenti in modo esclusivo. Di questi, alcuni spettano a qualsiasi fedele sia ordinato che non ordinato[48], altri invece si collocano sulla linea di diretto servizio al sacro ministero dei fedeli ordinati[49]. Rispetto a questi ultimi compiti o funzioni, i fedeli non ordinati non detengono un diritto ad esercitarli, ma sono «abili ad essere assunti dai sacri Pastori in quegli uffici ecclesiastici e in quegli incarichi che sono in grado di esercitare secondo le disposizioni del diritto»[50], oppure «in mancanza di ministri (...) possono supplire alcuni dei loro uffici (...) secondo le disposizioni del diritto»[51].
Affinché una tale collaborazione sia armonicamente inserita nella pastorale ministeriale, è necessario che, ad evitare deviazioni pastorali ed abusi disciplinari, i principi dottrinali siano chiari e che, conseguentemente, con coerente determinazione, si promuova in tutta la Chiesa un’attenta e leale applicazione delle disposizioni vigenti, non allargando, abusivamente, i termini di eccezionalità ai casi che non possono essere giudicati come «eccezionali».
Qualora, in qualche luogo, si verifichino abusi e prassi trasgressive, i Pastori mettano in atto i mezzi necessari ed opportuni per impedire tempestivamente la loro diffusione e per evitare che venga danneggiata la corretta comprensione della natura stessa della Chiesa. In particolare, vorranno applicare quelle norme disciplinari già stabilite, le quali insegnano a conoscere e rispettare fattivamente la distinzione e la complementarità di funzioni che sono vitali per la comunione ecclesiale. Dove poi tali prassi trasgressive sono già diffuse, diventa assolutamente indilazionabile che intervenga responsabilmente l’autorità che deve farlo, rendendosi così vera artefice di comunione, la quale può essere costituita esclusivamente attorno alla verità. Comunione, verità, giustizia, pace e carità sono termini interdipendenti[52].
Alla luce dei principi ora ricordati, si indicano qui appresso gli opportuni rimedi per far fronte agli abusi segnalati ai nostri Dicasteri. Le disposizioni che seguono sono desunte dalla normativa della Chiesa.
DISPOSIZIONI PRATICHE
Articolo 1. Necessità di una terminologia appropriata
Il Santo Padre, nel discorso rivolto ai partecipanti al Simposio sulla «Collaborazione dei fedeli laici al ministero presbiterale», ha sottolineato la necessità di chiarire e distinguere le varie accezioni che il termine «ministero» ha assunto nel linguaggio teologico e canonico[53].
§ 1. «Da un certo tempo è invalso l’uso di chiamare ministeri non solo gli officia (uffici) e i munera (funzioni) esercitati dai Pastori in virtù del sacramento dell’Ordine, ma anche quelli esercitati dai fedeli non ordinati, in virtù del sacerdozio battesimale. La questione lessicale diviene ancor più complessa e delicata quando si riconosce a tutti i fedeli la possibilità di esercitare — in veste di supplenti, per deputazione ufficiale elargita dai Pastori — alcune funzioni più proprie dei chierici, le quali, tuttavia, non esigono il carattere dell’Ordine. Bisogna riconoscere che il linguaggio si fa incerto, confuso, e quindi non utile per esprimere la dottrina della fede, tutte le volte che, in qualsiasi maniera, si offusca la differenza «di essenza e non solo di grado» che intercorre tra il sacerdozio battesimale e il sacerdozio ordinato»[54].
§ 2. «Ciò che ha permesso, in alcuni casi l’estensione del termine ministero ai munera propri dei fedeli laici è il fatto che anche questi, nella loro misura, sono partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo. Gli officia, loro affidati temporaneamente, sono invece esclusivamente frutto di una deputazione della Chiesa. Solo il costante riferimento all’unico e fontale ministero di Cristo (...) permette, in una certa misura, di applicare anche ai fedeli non ordinati, senza ambiguità, il termine ministero: senza, cioè, che esso venga percepito e vissuto come indebita aspirazione al ministero ordinato, o come progressiva erosione della sua specificità.
In questo senso originario, il termine ministero (servitium) esprime soltanto l’opera con cui membri della Chiesa prolungano, al suo interno e per il mondo, “la missione e il ministero di Cristo”. Quando, invece, il termine viene differenziato nel rapporto e nel confronto tra i diversi munera e officia, allora occorre avvertire con chiarezza che solo in forza della sacra Ordinazione esso ottiene quella pienezza e univocità di significato che la tradizione gli ha sempre attribuito»[55].
§ 3. Il fedele non ordinato può assumere la denominazione generica di «ministro straordinario», solo se e quando è chiamato dall’Autorità competente a compiere, unicamente in funzione di supplenza, gli incarichi, di cui al can. 230, § 3[56], nonché ai cann. 943 e 1112. Naturalmente può essere utilizzato il termine concreto con cui viene canonicamente determinata la funzione affidata, ad es. catechista, accolito, lettore, ecc.
La deputazione temporanea nelle azioni liturgiche, di cui al can. 230, § 2, non conferisce alcuna denominazione speciale al fedele non ordinato[57].
Non è lecito, pertanto, che i fedeli non ordinati assumano, per esempio, la denominazione di «pastore», di «cappellano», di «coordinatore», «moderatore» o altre denominazioni che potrebbero, comunque, confondere il loro ruolo con quello del pastore, che è unicamente il Vescovo e il presbitero[58].
Articolo 2. Il ministero della parola[59]
§ 1. Il contenuto di tale ministero consiste «nella predicazione pastorale, nella catechesi e in tutta l’istruzione cristiana, nella quale l’omelia liturgica deve avere un posto privilegiato»[60].
L’esercizio originario delle relative funzioni è proprio del Vescovo diocesano, come moderatore, nella sua Chiesa, di tutto il ministero della parola[61], ed è anche proprio dei presbiteri suoi cooperatori[62].
Questo ministero spetta anche ai diaconi, in comunione con il Vescovo ed il suo presbiterio[63].
§ 2. I fedeli non ordinati partecipano, secondo la loro indole, alla funzione profetica di Cristo, sono costituiti suoi testimoni e provveduti del senso della fede e della grazia della parola. Tutti sono chiamati a diventare, sempre di più, «araldi efficaci della fede in ciò che si spera (cfr. Eb 11, 1)»[64]. Oggi, l’opera della catechesi, in particolare, molto dipende dal loro impegno e dalla loro generosità al servizio della Chiesa.
Pertanto, i fedeli e particolarmente i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica possono essere chiamati a collaborare, nei modi legittimi, nell’esercizio del ministero della parola[65].
§ 3. Affinché l’aiuto di cui al § 2 sia efficace, è necessario richiamare alcune condizioni relative alle modalità di essa.
Il CIC, can. 766, stabilisce le condizioni per le quali la competente Autorità può ammettere i fedeli non ordinati a predicare in ecclesia vel oratorio. La stessa espressione utilizzata, admitti possunt, pone in risalto come in nessun caso si tratta di un diritto proprio quale quello specifico dei Vescovi[66] o di una facoltà come quella dei presbiteri o dei diaconi[67].
Le condizioni a cui è sottoposta tale ammissione — «se in determinate circostanze c’è necessità di ciò», «se, in casi particolari, lo consiglia l’utilità» — evidenziano l’eccezionalità del fatto. Il can. 766, inoltre, precisa che si deve sempre agire iuxta Episcoporum conferentiæ praescripta. In questa ultima clausola il canone citato stabilisce la fonte primaria per discernere rettamente riguardo alla necessità o utilità, nei casi concreti, giacché in dette prescrizioni della Conferenza Episcopale, che abbisognano della «recognitio» della Sede Apostolica, devono essere segnalati gli opportuni criteri che possano aiutare il Vescovo diocesano nel prendere le appropriate decisioni pastorali, che gli sono proprie per la natura stessa dell’ufficio episcopale.
§ 4. Nelle circostanze di scarsità di ministri sacri in determinate zone, possono presentarsi situazioni permanenti ed oggettive di necessità o di utilità, tali da suggerire l’ammissione di fedeli non ordinati alla predicazione.
La predicazione nelle chiese e oratori, da parte dei fedeli non ordinati, può essere concessa in supplenza dei ministri sacri o per speciali ragioni di utilità nei casi particolari previsti dalla legislazione universale della Chiesa o dalle Conferenze Episcopali e, pertanto, non può diventare un fatto ordinario, né può essere intesa come autentica promozione del laicato.
§ 5. Soprattutto nella preparazione ai sacramenti, i catechisti curino di indirizzare l’interesse dei catechizzandi al ruolo e alla figura del sacerdote come solo dispensatore dei divini misteri cui si vanno preparando.
Articolo 3. L’omelia
§ 1. L’omelia, forma eminente di predicazione «qua per anni liturgici cursum ex textu sacro fidei mysteria et normae vitae christianae exponuntur»[68], è parte della stessa liturgia.
Pertanto, l’omelia durante la celebrazione dell’Eucaristia deve essere riservata al ministro sacro, sacerdote o diacono[69]. Sono esclusi i fedeli non ordinati, anche se svolgono il compito detto di «assistenti pastorali» o di catechisti, presso qualsiasi tipo di comunità o aggregazione. Non si tratta, infatti, di eventuale maggiore capacità espositiva o preparazione teologica, ma di funzione riservata a colui che è consacrato con il sacramento dell’Ordine sacro, per cui neppure il Vescovo diocesano è autorizzato a dispensare dalla norma del canone[70], dal momento che non si tratta di legge meramente disciplinare, bensì di legge che riguarda le funzioni di insegnamento e di santificazione strettamente collegate tra di loro.
Non si può ammettere, perciò, la prassi, in talune occasioni praticata, per la quale si affida la predicazione omiletica a seminaristi studenti di teologia, non ancora ordinati[71].
L’omelia non può, infatti, essere considerata come un allenamento per il futuro ministero.
Si deve ritenere abrogata dal can. 767, § 1 qualsiasi norma anteriore che abbia ammesso fedeli non ordinati a pronunciare l’omelia durante la celebrazione della S. Messa[72].
§ 2. È lecita la proposta di una breve didascalia per favorire la maggior comprensione della liturgia che viene celebrata ed anche, eccezionalmente, qualche eventuale testimonianza, sempre adeguata alle norme liturgiche ed offerta in occasione di liturgie eucaristiche celebrate in particolari giornate (giornata del seminario o del malato, ecc.), se ritenuta oggettivamente conveniente, come illustrativa dell’omelia regolarmente pronunciata dal sacerdote celebrante. Queste didascalie e testimonianze non devono assumere caratteristiche tali da poter essere confuse con l’omelia.
§ 3. La possibilità del «dialogo» nell’omelia[73] può essere, talvolta, prudentemente usata dal ministro celebrante come mezzo espositivo con il quale non si delega ad altri il dovere della predicazione.
§ 4. L’omelia al di fuori della S. Messa può essere pronunciata da fedeli non ordinati in conformità al diritto o alle norme liturgiche e nell’osservanza delle clausole in essi contenute.
§ 5. L’omelia non può essere affidata, in alcun caso, a sacerdoti o diaconi che abbiano perso lo stato clericale o che, comunque, abbiano abbandonato l’esercizio del sacro ministero[74].
Articolo 4. Il parroco e la parrocchia
I fedeli non ordinati possono svolgere, come di fatto in numerosi casi lodevolmente avviene, nelle parrocchie, negli ambiti dei luoghi di cura, di assistenza, di istruzione, nei penitenziari, presso gli Ordinariati militari, ecc., compiti di effettiva collaborazione al ministero pastorale dei chierici. Una forma straordinaria di collaborazione, nelle condizioni previste, è quella regolata dal can. 517, § 2.
§ 1. La retta comprensione ed applicazione di tale canone, secondo il quale «si ob sacerdotum penuriam Episcopus dioecesanus aestimaverit participationem in exercitio curae pastoralis paroeciae concredendam esse diacono aliive personae sacerdotali charactere non insignitae aut personarum communitati, sacerdotem constituat aliquem qui, potestatibus et facultatibus parochi instructus, curam pastoralem moderetur», richiede che tale provvedimento eccezionale avvenga nell’accurato rispetto delle clausole in esso contenute, ovvero:
a) ob sacerdotum penuriam, e non per ragioni di comodità o di una equivoca «promozione del laicato», ecc.
b) fermo restando che si tratta di participatio in exercitio curae pastoralis e non di dirigere, coordinare, moderare, governare la parrocchia; cosa che, secondo il testo del canone, compete solo ad un sacerdote.
Proprio perché si tratta di casi eccezionali, bisogna anzitutto considerare la possibilità di avvalersi, ad esempio, di sacerdoti anziani ancora validi, o di affidare diverse parrocchie ad un solo sacerdote o ad un «coetus sacerdotum»[75].
Non va disattesa, in ogni caso, la preferenza che il medesimo canone stabilisce per il diacono.
Resta comunque affermato, nella stessa normativa canonica, che queste forme di partecipazione nella cura delle parrocchie non possono surrogare, in alcun modo, l’ufficio di parroco. La normativa sancisce infatti che anche in quei casi eccezionali «Episcopus dioecesanus [...] sacerdotem constituat aliquem qui, potestatibus et facultatibus parochi instructus, curam pastoralem moderetur». L’ufficio di parroco, infatti, può essere validamente affidato soltanto ad un sacerdote (cfr. can. 521, § 1), anche nei casi di oggettiva penuria di clero[76].
§ 2. Al riguardo si deve anche tener conto che il parroco è il pastore proprio della parrocchia a lui affidata[77] e rimane tale fino a quando non abbia cessato dal suo ufficio pastorale[78].
La presentazione delle dimissioni del parroco per aver compiuto 75 anni di età non lo fa cessare ipso iure dal suo ufficio pastorale. La cessazione si verifica solo quando il Vescovo diocesano — dopo prudente considerazione di ogni circostanza — abbia accettato definitivamente le sue dimissioni, a norma del can. 538, § 3, e glielo abbia comunicato per iscritto[79]. Anzi, alla luce di situazioni di penuria di sacerdoti esistente in alcuni luoghi, sarà saggio usare, al riguardo, particolare prudenza.
Anche in considerazione del diritto che ogni sacerdote ha di esercitare le funzioni inerenti all’ordine ricevuto, a meno che non ricorrano gravi motivi di salute o di disciplina, si ricorda che il 75o anno di età non costituisce un motivo obbligante per il Vescovo diocesano ad accettare le dimissioni. Ciò anche per evitare una concezione funzionalistica del sacro ministero[80].
Articolo 5. Gli organismi di collaborazione nella Chiesa particolare
Questi organismi, richiesti e sperimentati positivamente nel cammino del rinnovamento della Chiesa secondo il Concilio Vaticano II e codificati dalla legislazione canonica, rappresentano una forma di partecipazione attiva alla vita e alla missione della Chiesa come comunione.
§ 1. La normativa codiciale sul consiglio presbiterale stabilisce quali sacerdoti ne possano essere membri[81]. Esso è infatti riservato ai sacerdoti, perché trova il suo fondamento nella comune partecipazione del Vescovo e dei presbiteri nel medesimo sacerdozio e ministero[82].
Non possono pertanto godere del diritto di voce attiva e passiva, né i diaconi, né i fedeli non ordinati, anche se collaboratori dei sacri ministri, così come i presbiteri che abbiano perso lo stato clericale o che, comunque, abbiano abbandonato l’esercizio del sacro ministero.
§ 2. Il consiglio pastorale, diocesano e parrocchiale[83] e il consiglio parrocchiale per gli affari economici[84], dei quali fanno parte anche fedeli non ordinati, godono unicamente di voto consultivo e non possono, in alcun modo, diventare organismi deliberativi. Possono essere eletti a tali incarichi soltanto quei fedeli che possiedono le qualità richieste dalla normativa canonica[85].
§ 3. È proprio del parroco presiedere i consigli parrocchiali. Sono pertanto invalide, quindi nulle, le decisioni deliberate da un consiglio parrocchiale riunitosi senza la presidenza del parroco o contro di lui[86].
§ 4. Tutti i consigli diocesani possono esprimere validamente il proprio consenso ad un atto del Vescovo soltanto quando tale consenso è richiesto espressamente dal diritto.
§ 5. Attese le realtà locali, gli Ordinari possono avvalersi di speciali gruppi di studio o di esperti in questioni particolari. Tuttavia essi non possono costituire organismi paralleli o di esautorazione dei consigli diocesani presbiterale e pastorale, come pure dei consigli parrocchiali, regolati dal diritto universale della Chiesa nei cann. 536, § 1 e 537[87]. Se tali organismi sono sorti in passato in base a consuetudini locali o a circostanze particolari, si pongano in atto i mezzi necessari per renderli conformi alla vigente legislazione della Chiesa.
§ 6. I Vicari foranei, chiamati anche decani, arcipreti o con altro nome, e coloro i quali ne tengono le veci, «pro-vicari», «pro-decani», ecc. devono essere sempre sacerdoti[88]. Pertanto, chi non è sacerdote non può essere validamente nominato a tali incarichi.
Articolo 6. Le celebrazioni liturgiche
§ 1. Le azioni liturgiche devono manifestare con chiarezza l’unità ordinata del Popolo di Dio nella sua condizione di comunione organica[89] e quindi l’intima connessione intercorrente tra l’azione liturgica e la natura organicamente strutturata della Chiesa.
Ciò avviene quando tutti i partecipanti svolgono con fede e devozione il ruolo che è proprio di ciascuno.
§ 2. Affinché, anche in questo campo, sia salvaguardata l’identità ecclesiale di ciascuno, vanno rimossi gli abusi di vario genere che sono contrari al dettato del can. 907, secondo cui nella celebrazione eucaristica, ai diaconi e ai fedeli non ordinati non è consentito proferire le orazioni e qualsiasi altra parte riservata al sacerdote celebrante — soprattutto la preghiera eucaristica con la dossologia conclusiva — o eseguire azioni e gesti che sono propri dello stesso celebrante. È altresì grave abuso che un fedele non ordinato eserciti, di fatto, una quasi «presidenza» dell’Eucaristia lasciando al sacerdote soltanto il minimo per garantirne la validità.
Nella stessa linea risulta evidente l’illiceità di usare, nelle azioni liturgiche, da parte di chi non è ordinato, paramenti riservati ai sacerdoti o ai diaconi (stola, pianeta o casula, dalmatica).
Si deve cercare di evitare accuratamente perfino l’apparenza di confusione che può sorgere da comportamenti liturgicamente anomali. Come i ministri ordinati sono richiamati all’obbligo di indossare tutti i paramenti sacri prescritti, così i fedeli non ordinati non possono assumere quanto non è loro proprio.
Ad evitare confusioni fra la liturgia sacramentale presieduta da un sacerdote o diacono con altri atti animati o guidati da fedeli non ordinati, è necessario che per questi ultimi si adoperino formulazioni chiaramente distinte.
Articolo 7. Le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero
§ 1. In alcuni luoghi le celebrazioni domenicali[90] sono guidate, per mancanza di presbiteri o diaconi, da fedeli non ordinati. Questo servizio, valido quanto delicato, viene svolto secondo lo spirito e le norme specifiche emanate in merito dalla competente Autorità ecclesiastica[91]. Per guidare le suddette celebrazioni il fedele non ordinato dovrà avere uno speciale mandato dal Vescovo, il quale avrà cura di dare le opportune indicazioni circa la durata, il luogo, le condizioni e il presbitero responsabile.
§ 2. Tali celebrazioni, i cui testi devono essere quelli approvati dalla competente Autorità ecclesiastica, si configurano sempre come soluzioni temporanee[92]. È proibito inserire nella loro struttura elementi propri della liturgia sacrificale, soprattutto la «preghiera eucaristica» anche se in forma narrativa, per non ingenerare errori nella mente dei fedeli[93]. A tale scopo deve essere sempre ribadito ai partecipanti a queste celebrazioni che esse non sostituiscono il Sacrificio eucaristico e che il precetto festivo lo si soddisfa soltanto partecipando alla S. Messa[94]. In tali casi, laddove le distanze e le condizioni fisiche lo permettano, i fedeli devono essere stimolati e aiutati a fare il possibile per adempiere al precetto.
Articolo 8. Il ministro straordinario della sacra Comunione
I fedeli non ordinati già da tempo collaborano in diversi ambiti della pastorale con i sacri ministri perché «il dono ineffabile dell’Eucaristia sia sempre più profondamente conosciuto e perché si partecipi alla sua efficacia salvifica con sempre maggiore intensità»[95].
Si tratta di un servizio liturgico che risponde ad oggettive necessità dei fedeli, destinato soprattutto agli infermi e alle assemblee liturgiche nelle quali sono particolarmente numerosi i fedeli che desiderano ricevere la sacra Comunione.
§ 1. La disciplina canonica sul ministro straordinario della sacra Comunione deve, però, essere rettamente applicata per non ingenerare confusione. Essa stabilisce che ministro ordinario della sacra Comunione è il Vescovo, il presbitero e il diacono[96], mentre sono ministri straordinari sia l’accolito istituito, sia il fedele a ciò deputato a norma del can. 230 § 3[97].
Un fedele non ordinato, se lo suggeriscono motivi di vera necessità, può essere deputato dal Vescovo diocesano, in qualità di ministro straordinario, a distribuire la sacra Comunione anche fuori della celebrazione eucaristica, ad actum vel ad tempus, o in modo stabile, adoperando per questo l’apposita forma liturgica di benedizione. In casi eccezionali ed imprevisti l’autorizzazione può essere concessa ad actum dal sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica[98].
§ 2. Perché il ministro straordinario, durante la celebrazione eucaristica, possa distribuire la sacra Comunione, è necessario o che non siano presenti ministri ordinari o che questi, pur presenti, siano veramente impediti[99]. Può svolgere altresì il medesimo incarico anche quando, a causa della particolarmente numerosa partecipazione di fedeli che desiderano ricevere la sacra Comunione, la celebrazione eucaristica si prolungherebbe eccessivamente per l’insufficienza di ministri ordinari[100].
Tale incarico è suppletivo e straordinario[101] e deve essere esercitato a norma del diritto. A tale scopo è opportuno che il Vescovo diocesano emani norme particolari che, in stretta armonia con la legislazione universale della Chiesa, regolino l’esercizio di tale incarico. Si deve prevedere, tra l’altro, che il fedele a ciò deputato venga debitamente istruito sulla dottrina eucaristica, sull’indole del suo servizio, sulle rubriche da osservare per la dovuta riverenza a così augusto Sacramento e sulla disciplina circa l’ammissione alla Comunione.
Per non ingenerare confusioni sono da evitare e rimuovere talune prassi, invalse da qualche tempo in alcune Chiese particolari, come ad esempio:
— il comunicarsi da se stessi come se si trattasse di concelebranti;
— associare alla rinnovazione delle promesse dei sacerdoti, nella S. Messa crismale del Giovedì Santo, anche altre categorie di fedeli che rinnovano i voti religiosi o ricevono il mandato di ministri straordinari della Comunione.
— l’uso abituale dei ministri straordinari nelle SS. Messe, estendendo arbitrariamente il concetto di «numerosa partecipazione».
Articolo 9. L’apostolato per gli infermi
§ 1. In questo campo, i fedeli non ordinati possono apportare una preziosa collaborazione[102].
Sono innumerevoli le testimonianze di opere e gesti di carità che persone non ordinate, sia singolarmente che in forme di apostolato comunitario, compiono verso gli infermi. Ciò costituisce una presenza cristiana di prima linea nel mondo della sofferenza e della malattia. Laddove i fedeli non ordinati accompagnano gli infermi nei momenti più gravi è loro precipuo compito suscitare il desiderio dei sacramenti della Penitenza e dell’Unzione, favorendone le disposizioni e aiutandoli nel preparare una buona confessione sacramentale e individuale come altresì per ricevere la Santa Unzione. Nel ricorrere all’uso dei sacramentali i fedeli non ordinati avranno cura che tale gesto non induca a ravvisare in esso quei sacramenti la cui amministrazione è propria ed esclusiva del Vescovo e del presbitero. In nessun caso possono fare unzioni quanti non sono sacerdoti, né con olio benedetto per l’Unzione degli infermi, né con olio non benedetto.
§ 2. Per l’amministrazione di questo sacramento, la legislazione canonica recepisce la dottrina teologicamente certa e la prassi multisecolare della Chiesa[103], secondo le quali l’unico ministro valido è il sacerdote[104]. Detta normativa è pienamente coerente con il mistero teologico significato e realizzato per mezzo dell’esercizio del servizio sacerdotale.
Deve affermarsi che l’esclusiva riserva del ministero dell’Unzione al sacerdote è in rapporto con la relazione di detto sacramento con il perdono dei peccati e la degna ricezione dell’Eucaristia. Nessun altro può svolgere il ruolo di ministro ordinario o straordinario del sacramento, e qualsiasi azione in questo senso costituisce simulazione del sacramento[105].
Articolo 10. L’assistenza ai Matrimoni
§ 1. La possibilità di delegare fedeli non ordinati ad assistere ai Matrimoni può rivelarsi necessaria, in circostanze molto particolari di grave mancanza di ministri sacri.
Essa, però, è condizionata al verificarsi di tre requisiti. Il Vescovo diocesano, infatti, può concedere tale delega unicamente nei casi in cui mancano sacerdoti o diaconi e soltanto dopo aver ottenuto, per la propria diocesi, il voto favorevole della Conferenza episcopale e la necessaria licenza della Santa Sede[106].
§ 2. Anche in questi casi deve essere osservata la normativa canonica sulla validità della delega[107] e sulla idoneità, capacità ed attitudine del fedele non ordinato[108].
§ 3. Eccetto il caso straordinario previsto dal can. 1112 del CIC, per assoluta mancanza di sacerdoti o di diaconi che possano assistere alla celebrazione del Matrimonio, nessun ministro ordinato può autorizzare un fedele non ordinato per tale assistenza e la relativa petizione e ricezione del consenso matrimoniale a norma del can. 1108, § 2.
Articolo 11. Il ministro del Battesimo
È particolarmente lodevole la fede con la quale non pochi cristiani, in dolorose situazioni di persecuzione, ma anche nei territori di missione e in casi di speciale necessità, hanno assicurato — e assicurano tuttora — il sacramento del Battesimo alle nuove generazioni, stante l’assenza dei ministri ordinati.
Oltre al caso di necessità, la normativa canonica prevede che, qualora il ministro ordinario mancasse o fosse impedito[109], il fedele non ordinato possa essere designato ministro straordinario del Battesimo[110]. Tuttavia si deve fare attenzione ad interpretazioni troppo estensive ed evitare di concedere tale facoltà in forma abituale.
Così, per esempio, l’assenza o l’impedimento, che rendono lecita la deputazione di fedeli non ordinati ad amministrare il Battesimo, non possono configurarsi con l’eccessivo lavoro del ministro ordinario o con la sua non residenza nel territorio della parrocchia, come neanche con la sua non disponibilità per il giorno previsto dalla famiglia. Tali motivazioni non costituiscono altrettante ragioni sufficienti.
Articolo 12. La guida della celebrazione delle esequie ecclesiastiche
Nelle attuali circostanze di crescente scristianizzazione e di allontanamento dalla pratica religiosa, il momento della morte e delle esequie può, talvolta, costituire una fra le più opportune occasioni pastorali per un incontro diretto dei ministri ordinati con quei fedeli che, abitualmente, non frequentano.
Pertanto è auspicabile che, anche con sacrificio, i sacerdoti o i diaconi presiedano personalmente i riti funebri secondo i più lodevoli usi locali, per pregare convenientemente per i defunti, avvicinandosi altresì alle famiglie e profittandone per una opportuna evangelizzazione.
I fedeli non ordinati possono guidare le esequie ecclesiastiche solo nel caso di vera mancanza di un ministro ordinato ed osservando le norme liturgiche in merito[111]. A tale compito dovranno essere ben preparati, sia sotto il profilo dottrinale che liturgico.
Articolo 13. Necessaria selezione ed adeguata formazione
È dovere dell’Autorità competente, quando ricorresse l’oggettiva necessità di una “supplenza”, nei casi elencati negli articoli precedenti, di scegliere il fedele che sia di sana dottrina ed esemplare condotta di vita. Non possono pertanto essere ammessi all’esercizio di questi compiti quei cattolici che non conducano una vita degna, non godano di buona fama, o si trovino in situazioni familiari non coerenti con l’insegnamento morale della Chiesa. Inoltre, essi devono possedere la formazione dovuta per l’adeguato adempimento della funzione loro affidata.
A norma del diritto particolare perfezionino le loro conoscenze frequentando, per quanto è possibile, i corsi di formazione, che l’Autorità competente organizzerà nell’ambito della Chiesa particolare[112], in ambienti differenziati dai seminari, che vanno riservati ai soli candidati al sacerdozio[113], avendo grande cura affinché la dottrina insegnata sia assolutamente conforme al magistero ecclesiale e il clima sia veramente spirituale.
CONCLUSIONE
La Santa Sede affida il presente documento allo zelo pastorale dei Vescovi diocesani delle varie Chiese particolari e agli altri Ordinari, nella fiducia che la sua applicazione produca frutti abbondanti per la crescita, nella comunione, dei sacri ministri e dei fedeli non ordinati.
Infatti, come ha ricordato il Santo Padre, «occorre riconoscere, difendere, promuovere, discernere e coordinare con saggezza e determinatezza il dono peculiare di ogni membro della Chiesa, senza confusioni di ruoli, di funzioni o di condizioni teologiche e canoniche»[114].
Se, da una parte, la scarsità numerica dei sacerdoti è specialmente avvertita in alcune zone, in altre si verifica una promettente fioritura di vocazioni che lascia intravedere positive prospettive per l’avvenire. Le soluzioni proposte per la scarsità dei ministri ordinati, pertanto, non possono essere che transitorie e sincrone ad una prioritaria pastorale specifica per la promozione delle vocazioni al sacramento dell’Ordine[115].
A tale proposito ricorda il Santo Padre che «in alcune situazioni locali si sono create soluzioni generose ed intelligenti. La stessa normativa del Codice di Diritto canonico ha offerto possibilità nuove che però vanno applicate rettamente, per non cadere nell’equivoco di considerare ordinarie e normali soluzioni normative che sono state previste per situazioni straordinarie di mancanza o di scarsità di sacri ministri»[116].
Questo documento intende tracciare precise direttive per assicurare l’efficace collaborazione dei fedeli non ordinati in tali contingenze e nel rispetto dell’integralità del ministero pastorale dei sacerdoti. «Occorre far comprendere che queste precisazioni e distinzioni non nascono dalla preoccupazione di difendere dei privilegi clericali, ma dalla necessità di essere obbedienti alla volontà di Cristo, rispettando la forma costitutiva che Egli ha indelebilmente impresso alla Sua Chiesa»[117].
La loro retta applicazione, nel quadro della vitale communio gerarchica, gioverà agli stessi fedeli laici, invitati a sviluppare tutte le ricche potenzialità delle rispettive identità e la «disponibilità sempre più grande a viverla nel compimento della propria missione»[118].
L’appassionata raccomandazione che l’Apostolo delle genti rivolge a Timoteo, «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù (...) annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta (...) vigila attentamente (...) adempi il tuo ministero» (2 Tim 4, 1-5), interpella in modo speciale i sacri Pastori chiamati a svolgere il compito loro proprio di «promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa (...) urgere l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche»[119].
Tale gravoso dovere costituisce lo strumento necessario affinché le ricche energie insite in ogni stato di vita ecclesiale vengano correttamente indirizzate secondo i mirabili disegni dello Spirito e la communio sia realtà effettiva nel quotidiano cammino dell’intera comunità.
La Vergine Maria, Madre della Chiesa, alla cui intercessione affidiamo questo documento, aiuti tutti a comprenderne gli intendimenti e a compiere ogni sforzo per la sua fedele applicazione ai fini di una più ampia fecondità apostolica.
Sono revocate le leggi particolari e le consuetudini vigenti, che siano contrarie a queste norme, come altresì eventuali facoltà concesse ad experimentum dalla Santa Sede o da qualsiasi altra Autorità ad essa sottoposta.
Il Sommo Pontefice, in data 13 agosto 1997, ha approvato in forma specifica la presente Istruzione ordinandone la promulgazione.
Dal Vaticano, 15 agosto 1997, solennità dell’Assunzione della B.V. Maria.
Congregazione per il Clero
+ Darío Castrillón Hoyos
Pro-Prefetto
+ Crescenzio Sepe
Segretario
Pontificio Consiglio per i Laici
+ James Francis Stafford
Presidente
+ Stanislaw Rylko
Segretario
Congregazione per la Dottrina della Fede
+ Joseph Card. Ratzinger
Prefetto
+ Tarcisio Bertone SDB
Segretario
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
+ Jorge Arturo Medina Estévez
Pro-Prefetto
+ Geraldo Majella Agnelo
Segretario
Congregazione per i Vescovi
+ Bernardin Card. Gantin
Prefetto
+ Jorge María Mejía
Segretario
Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli
+ Jozef Card. Tomko
Prefetto
+ Giuseppe Uhac
Segretario
Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica
+ Eduardo Card. Martínez Somalo
Prefetto
+ Piergiorgio Silvano Nesti CP
Segretario
Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei Testi Legislativi
+ Julián Herranz
Presidente
+ Bruno Bertagna
Segretario
[1] Cfr.CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, 21-XI-1964, n. 33; Decr. Apostolicam actuositatem, 18-XI-1965, n. 24.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, 30-XII-1988, n. 2: AAS 81 (1989), p. 396.
[3] SINODO DEI VESCOVI, IX Assemblea generale ordinaria, Instrumentum laboris, n. 73.
[4] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Vita consecrata, 25-III-1996, n. 47: AAS 88 (1996), p. 420.
[5] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 5.
[6] Ibid., n. 6.
[7] Cfr. ibid.
[8] GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, n. 23: l.c., p. 429.
[9] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 31; GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, n. 15: l.c., pp. 413-416.
[10] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 7-XII-1965, n. 32.
[11] CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 24.
[12] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Discorso al Simposio sulla «Collaborazione dei laici al ministero pastorale dei presbiteri», 22-IV-1994, n. 2: “L’Osservatore Romano”, 23-IV-1994.
[13] Cfr. C.I.C., cann. 230, § 3; 517, § 2; 861, § 2; 910, § 2; 943; 1112; GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, n. 23 e nota 72: l.c., p. 430.
[14] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Lett. enc. Redemptoris missio, 7-XII-1990, n. 37: AAS 83 (1991), pp. 282-286.
[15] Cfr. C.I.C., can. 392.
[16] Cfr. soprattutto: CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, Cost. Sacrosanctum Concilium; Decr. Presbyterorum Ordinis e Decr. Apostolicam actuositatem.
[17] Cfr. soprattutto le Esortazioni apostoliche Christifideles laici e Pastores dabo vobis.
[18] C.I.C., can. 1752.
[19] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 10.
[20] Ibid., n. 32.
[21] Ibid.
[22] Ibid., n. 10.
[23] Cfr. ibid., n. 4.
[24] GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis 25-III-1992, n. 17: AAS 84 (1992), p. 684.
[25] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 7.
[26] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1547.
[27] Ibid., n. 1592.
[28] GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 74: l.c., p. 788.
[29] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 10, 18, 27, 28; Decr. Presbyterorum Ordinis, 2, 6; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1538, 1576.
[30] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 15: l.c., p. 680; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 875.
[31] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 16: l.c., pp. 681-684; Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1592.
[32] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, nn. 14-16: l.c., pp. 678-684; Congregazione per la Dottrina della Fede, Lett. Sacerdotium ministeriale (6-VIII-1983), III, 2-3: AAS 75 (1983), pp. 1004-1005.
[33] Cfr. Ef 2, 20; Ap 21, 14.
[34] GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 16: l.c., p. 681.
[35] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 876.
[36] Cfr. ibid., n. 1581.
[37] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Lett. Novo incipiente, 8-IV-1979, n. 3: AAS 71 (1979), p. 397.
[38] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 7.
[39] GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale, Christifideles laici, 23: l.c., p. 430.
[40] Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lett. Sacerdotium ministeriale, III, 2: l.c., p. 1004.
[41] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, Nota explicativa prævia, n. 2.
[42] GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis, n. 16: l.c., p. 682.
[43] CONCILIO VATICANO II, Decr. Optatam totius, 28-X-1965, n. 2.
[44] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Apostolicam actuositatem, n. 24.
[45] GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, n. 23: l.c., p. 429.
[46] Cfr. C.I.C., cann. 208-223.
[47] Cfr. ibid., cann. 225, § 2; 226; 227; 231, § 2.
[48] Cfr. ibid., cann. 225, § 1; 228, § 2; 229; 231, § 1.
[49] Cfr. ibid., can. 230, §§ 2-3, per quanto riguarda l’ambito liturgico; can. 228, § 1, in relazione ad altri campi del sacro ministero; quest’ultimo paragrafo si estende anche ad altri ambiti fuori del ministero dei chierici.
[50] Ibid., can. 228, § 1.
[51] Ibid., can. 230, § 3; cfr. 517, § 2; 776; 861, § 2; 910, § 2; 943; 1112.
[52] Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istr. Inaestimabile donum, 3-IV-1980, prœmio: AAS 72 (1980), pp. 331-333.
[53] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Discorso al Simposio sulla «Collaborazione dei fedeli laici al ministero dei presbiteri», n. 3: l.c.
[54] Ibid.
[55] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Discorso al Simposio sulla «Collaborazione dei fedeli laici al ministero dei presbiteri», n. 3: l.c.
[56] Cfr. PONTIFICIA COMMISSIONE PER L’INTERPRETAZIONE AUTENTICA DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO, Risposta, 10-VI-1988: AAS 80 (1988) p. 1373.
[57] Cfr. PONTIFICIO CONSIGLIO PER L’INTERPRETAZIONE DEI TESTI LEGISLATIVI, Risposta, 11-VII-1992: AAS 86 (1994) pp. 541-542. Quando si prevede una funzione per l’inizio dell’affidamento di un compito di cooperazione degli assistenti pastorali al ministero dei chierici, si eviti di far coincidere o di unire detta funzione con una cerimonia di sacra ordinazione, come pure di celebrare un rito analogo a quello previsto per il conferimento dell’accolitato o del lettorato.
[58] In tali esemplificazioni si devono includere tutte quelle espressioni linguistiche che, negli idiomi dei diversi Paesi, possono essere analoghe o equivalenti ed indicanti un ruolo direttivo di guida o di vicarietà rispetto ad essa.
[59] Per le diverse forme di predicazione, cfr. C.I.C., can. 761; Missale Romanum, Ordo lectionum Missae, Prænotanda: ed. Typica altera, Libreria editrice Vaticana, 1981.
[60] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Dei Verbum, n. 24.
[61] Cfr. C.I.C., can. 756, § 2.
[62] Cfr. ibid., can. 757.
[63] Cfr. ibid.
[64] CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 35.
[65] Cfr. C.I.C., cann. 758-759; 785, § 1.
[66] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 25; C.I.C., can. 763.
[67] Cfr. C.I.C., can. 764.
[68] CONCILIO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 52; cfr. C.I.C., can. 767, § 1.
[69] Cfr. GIOVANNI PAOLO, II, Esort. ap. Catechesi tradendæ, 16-X-1979, n. 48: AAS 71 (1979), pp. 1277-1340; PONTIFICIA COMMISSIONE PER L’INTERPRETAZIONE DEI DECRETI DEL CONCILIO VATICANO II, Risposta, 11-I-1971: AAS 63 (1971), p. 329; SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Istruzione Actio pastoralis, 15-V-1969, n. 6d: AAS 61 (1969), p. 809; Institutio Generalis Missalis Romani, 26-III-1970, nn. 41, 42, 165; Istruzione Liturgicae instaurationes, 15-IX-1970, n. 2a: AAS 62 (1970), 696; SACRA CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Istruzione Inaestimabile donum, 3-IV-1980, n. 3: AAS 72 (1980), p. 331.
[70] PONTIFICIA COMMISSIONE PER L’INTERPRETAZIONE AUTENTICA DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO, Risposta, 20-VI-1987: AAS 79 (1987), p. 1249.
[71] Cfr. C.I.C., can. 266, § 1.
[72] Cfr. ibid., can. 6, § 1, 2o.
[73] Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio Pueros Baptizatos per le Messe dei fanciulli, 1-XI-1973, n. 48: AAS 66 (1974), p. 44.
[74] Per quanto riguarda i sacerdoti che abbiano ottenuto la dispensa dal celibato, cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Normae de dispensatione a sacerdotali cœlibatu ad instantiam partis, 14-X-1980, «Normæ substantiales», art. 5.
[75] Cfr. C.I.C., can. 517, § 1.
[76] Si eviti, pertanto, di denominare con il titolo di «Guida della Comunità» — o con altre espressioni indicanti lo stesso concetto — il fedele non ordinato o un gruppo di essi ai quali viene affidata una partecipazione all’esercizio della cura pastorale.
[77] Cfr. C.I.C., can. 519.
[78] Cfr. ibid., can. 538, §§ 1-2.
[79] Cfr. C.I.C., can. 186.
[80] Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri Tota Ecclesia, 31-I-1994, n. 44.
[81] Cfr. C.I.C., cann. 497-498.
[82] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Decr. Presbyterorum Ordinis, n. 7.
[83] Cfr. C.I.C., cann. 514, 536.
[84] Cfr. ibid., can. 537.
[85] Cfr. C.I.C., can. 512, §§ 1 e 3; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1650.
[86] Cfr. C.I.C., can. 536.
[87] Cfr. ibid., can. 135, § 2.
[88] Cfr. ibid., can. 553, § 1.
[89] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, nn. 26-28; C.I.C., can. 837.
[90] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. Sacrosanctum Concilium, nn. 26-28; C.I.C., can. 1248, § 2.
[91] Cfr. C.I.C., can. 1248, § 2; SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Istruzione Inter œcumenici, 26-IX-1964, n. 37: AAS 66 (1964), p. 885; SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero Christi Ecclesia, 10-VI-1988, Notitiæ 263 (1988).
[92] Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Allocuzione, 5-VI-1993: AAS 86 (1994), p. 340.
[93] SACRA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero Christi Ecclesia, n. 35: l.c.; cfr. anche C.I.C., can. 1378, § 2, n. 1 e § 3; can. 1384.
[94] Cfr. C.I.C., can. 1248.
[95] SACRA CONGREGAZIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Immensæ caritatis, 29-I-1973, prœmio: AAS 65 (1973), p. 264.
[96] Cfr. C.I.C., can. 910, § 1; cfr. pure GIOVANNI PAOLO II, Lettera Dominicæ Cœnæ, 24-II-1980, n. 11: AAS 72 (1980), p. 142.
[97] Cfr. C.I.C., can. 910, § 2.
[98] Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Immensæ caritatis, n. 1: l.c., p. 264; Missale Romanum, Appendix: Ritus ad deputandum ministrum S. Communionis ad actum distribuendæ; Pontificale Romanum: De institutione lectorum et acolythorum.
[99] PONTIFICIA COMMISSIONE PER L’INTERPRETAZIONE AUTENTICA DEL CODICE DI DIRITTO CANONICO, Risposta, 10-VI-1988: AAS 80 (1988), p. 1373.
[100] Cfr. SACRA CONGREGAZIONE PER LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Istruzione Immensæ caritatis, n. 1: l.c., p. 264; SACRA CONGREGAZIONE PER I SACRAMENTI E IL CULTO DIVINO, Istruzione Inæstimabile donum, n. 10: l.c., p. 336.
[101] Il can. 230, § 2 e § 3 del C.I.C., afferma che i servizi liturgici ivi recensiti possono essere svolti dai fedeli non ordinati solo «ex temporanea deputatione» o per supplenza.
[102] Cfr. Rituale Romanum — Ordo Unctionis Infirmorum, prænotanda, n. 17: Editio typica, 1972.
[103] Cfr. Giac 5, 14-15; SAN TOMMASO D’AQUINO, In IV Sent., d. 4, q. un.; CONCILIO ECUMENICO DI FIRENZE, bolla Exsultate Deo (DS 1325); CONCILIO ECUMENICO TRIDENTINO, Doctrina de sacramento extremæ unctionis, cap. 3 (DS 1697, 1700) e can. 4 de extrema unctione (DS 1719); Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1516.
[104] Cfr. C.I.C., can. 1003, § 1.
[105] Cfr. ibid., cann. 1379 e 392, § 2.
[106] Cfr. ibid., can. 1112.
[107] Cfr. ibid., can. 1111, § 2.
[108] Cfr. ibid., can. 1112, § 2.
[109] Cfr. C.I.C., can. 861, § 2; Ordo baptismi parvulorum, prænotanda generalia, nn. 16-17.
[110] Cfr. C.I.C., can. 230.
[111] Cfr. Ordo Exsequiarum, prænotanda, n. 19.
[112] Cfr. C.I.C., can. 231, § 1.
[113] Sono da escludersi i cosidetti seminari «integrati».
[114] GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Simposio sulla «Collaborazione dei laici al ministero pastorale dei presbiteri», n. 3: l.c.
[115] Cfr. ibid., n. 6.
[116] Ibid., n. 2.
[117] Ibid., n. 5.
[118] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Christifideles laici, n. 58: l.c., p. 507.
[119] C.I.C., can. 392.
Romana, n. 25, Luglio-Dicembre 1997, p. 232-255.