Alcuni documenti della Santa Sede
A motivo del considerevole numero dei casi di sacerdoti che non possono assumere il pane e il vino durante la celebrazione eucaristica, la Congregazione per la Dottrina della Fede già nel 1982 aveva regolato la disciplina in materia (cfr. AAS [1982], vol. LXXIV, pp. 1298-1299). Ora, dopo un’ampia consultazione delle Conferenze Episcopali maggiormente interessate, la stessa Congregazione ha approfondito lo studio sotto il profilo dottrinale sulla validità della materia eucaristica e in data 19-VI-1995 ha emanato una nuova normativa che viene qui pubblicata.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Prot. n. 89/78 — 19.6.95
Lettera circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopali
sulla materia dell’Eucaristia
Eminenza,
questo Dicastero ha seguito attentamente durante gli ultimi anni lo sviluppo del problema connesso con l’uso del pane con poca quantità di glutine e del mosto come materia eucaristica.
Dopo approfondito studio, condotto in collaborazione con alcune Conferenze Episcopali particolarmente interessate, la Congregazione ordinaria del 22 giugno 1994 ha preso al riguardo alcune decisioni.
Mi pregio pertanto comunicarLe la normativa in proposito:
I. Per quanto riguarda la licenza di usare il pane con poca quantità di glutine:
a) Essa può essere concessa dagli Ordinari ai sacerdoti e ai laici affetti da celiachia, previa presentazione di certificato medico.
b) Condizioni di validità della materia:
1. le ostie speciali quibus glutinum ablatum est sono materia invalida;
2. sono invece materia valida se in esse è presente la quantità di glutine sufficiente per ottenere la panificazione, e non vi siano aggiunte materie estranee e comunque il procedimento usato nella loro confezione non sia tale da snaturare la sostanza del pane.
II. Per quanto riguarda la licenza di usare il mosto:
a) la soluzione da preferirsi rimane la comunione per intinctionem ovvero sotto la sola specie del pane nella concelebrazione;
b) la licenza di usare il mosto nondimeno può essere concessa dagli Ordinari ai sacerdoti affetti da alcoolismo o da altra malattia che impedisca l’assunzione anche in minima quantità di alcool, previa presentazione del certificato medico;
c) per mustum si intende il succo d’uva fresco o anche conservato sospendendone la fermentazione (tramite congelamento o altri metodi che non alterino la natura);
d) per coloro che hanno il permesso di usare il mosto, rimane in generale il divieto di presiedere la S. Messa concelebrata. Si possono tuttavia dare delle eccezioni: nel caso di un Vescovo o di un Superiore Generale, o anche nell’anniversario dell’ordinazione sacerdotale o in occasioni simili, previa approvazione da parte dell’Ordinario. In tali casi colui che presiede l’Eucaristia dovrà fare la comunione anche sotto la specie del mosto e per gli altri concelebranti si predisporrà un calice con vino normale;
e) per i casi di richieste da parte di laici si dovrà ricorrere alla Santa Sede.
III. Norme comuni
a) L’Ordinario deve verificare che il prodotto usato sia conforme alle esigenze di cui sopra.
b) L’eventuale permesso sarà dato soltanto finché dura la situazione che ha motivato la richiesta.
c) Si deve evitare lo scandalo.
d) I candidati al Sacerdozio che sono affetti da celiachia o soffrono di alcoolismo o malattie analoghe, data la centralità della celebrazione eucaristica nella vita sacerdotale, non possono essere ammessi agli Ordini Sacri.
e) Dal momento che le questioni dottrinali implicate sono ormai definite, la competenza disciplinare su tutta questa materia è rimessa alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
f) Le Conferenze Episcopali interessate riferiscano ogni due anni alla suddetta Congregazione circa l’applicazione di tali norme.
Nel comunicarLe quanto sopra, profitto della circostanza per porgerLe ossequi e confermarmi
dev.mo
Joseph Card. Ratzinger
In data 28-X-1995, la stessa Congregazione per la Dottrina della Fede ha comunicato la sua Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera apostolica “Ordinatio sacerdotalis”. Riportiamo quella risposta, confermata dal Santo Padre, nonché l’autorevole commento pubblicato su “L’Osservatore Romano” insieme con la Risposta.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera Apostolica
«Ordinatio Sacerdotalis» (28-X-1995).
Dub.: Se la dottrina, secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne, proposta nella Lettera Apostolica «Ordinatio Sacerdotalis», come da tenersi in modo definitivo, sia da considerarsi appartenente al deposito della fede.Risp.: Affermativa.
Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall’inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cfr. Conc. Vaticano Il, Cost. dogm. Lumen gentium, 25, 2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il Sommo Pontefice, nell’esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc 22, 32) ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede.
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Risposta, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 28 ottobre 1995.
+ JOSEPH Card. RATZINGER
Prefetto
+ TARCISIO BERTONE
Arc. emerito di Vercelli
Segretario
Commento di L’Osservatore Romano.
In occasione della pubblicazione della Risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubbio riguardante il motivo per cui è da considerarsi definitive tenenda la dottrina esposta nella Lettera apostolica Ordinatio Sacerdotalis, sembrano opportune alcune riflessioni.
La rilevanza ecclesiologica di questa Lettera apostolica veniva sottolineata anche dalla stessa data di pubblicazione: infatti ricorreva in quel giorno, 22 maggio 1994, la Solennità della Pentecoste. Ma tale rilevanza si poteva scoprire soprattutto nelle parole conclusive della Lettera: «al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa costituzione divina della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc 22, 32), dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (n. 4).
L’intervento del Papa si era reso necessario non semplicemente per ribadire la validità di una disciplina osservata nella Chiesa sin dall’inizio, ma per confermare una dottrina (n. 4) «conservata dalla costante e universale Tradizione della Chiesa» e «insegnata con fermezza dal Magistero nei documenti più recenti»: dottrina che «attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa» (ibid). In questo modo il Santo Padre intendeva chiarire che l’insegnamento circa l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini non poteva essere ritenuto come «discutibile», né si poteva attribuire alla decisione della Chiesa «un valore meramente disciplinare» (ibid).
Nel tempo trascorso dalla pubblicazione della Lettera si sono fatti vedere i suoi frutti. Molte coscienze che in buona fede si erano forse lasciate agitare più che dal dubbio dall’insicurezza, hanno ritrovato la serenità grazie all’insegnamento del Santo Padre. Tuttavia non sono venute meno le perplessità, non solo da parte di coloro che, lontani dalla fede cattolica, non accettano l’esistenza di un’autorità dottrinale nella Chiesa cioè del Magistero sacramentalmente investito dell’autorità di Cristo (cfr. Cost. Lumen gentium, 21), ma anche da parte di alcuni fedeli, ai quali continua a sembrare che l’esclusione dal ministero sacerdotale rappresenti una violenza o una discriminazione nei confronti delle donne. Taluni obiettano che non risulta dalla Rivelazione che una tale esclusione sia stata volontà di Cristo per la sua Chiesa, e altri s’interrogano sull’assenso dovuto all’insegnamento della Lettera.
Sicuramente si possono approfondire ancora di più i motivi per cui la Chiesa non ha la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale; motivi già esposti, ad esempio, nella Dichiarazione Inter insigniores (15-X-1976), della Congregazione per la Dottrina della Fede, approvata da Paolo VI, e in vari documenti di Giovanni Paolo Il (come l’Es. ap. Christifideles laici, 51; e la Lett. ap. Mulieris dignitatem 26), nonché nel Catechismo dalla Chiesa Cattolica, n. 1577. Ma in ogni caso non si può dimenticare che la Chiesa insegna, come verità assolutamente fondamentale dell’antropologia cristiana, la pari dignità personale tra uomo e donna, e la necessità di superare ed eliminare «ogni genere di discriminazione nei diritti fondamentali» (Cost. Gaudium et spes, 29). Alla luce di questa verità si può cercare di capire meglio l’insegnamento secondo il quale la donna non può ricevere l’ordinazione sacerdotale. Una corretta teologia non può prescindere né dall’uno né dall’altro insegnamento, ma deve tenerli insieme; soltanto così potrà approfondire i disegni di Dio circa la donna e circa il sacerdozio —e quindi, circa la missione della donna nella Chiesa. Se invece si dovesse asserire l’esistenza di una contraddizione tra le due verità, forse lasciandosi condizionare troppo dalle mode o dallo spirito del tempo, si sarebbe smarrito il cammino del progresso nell’intelligenza della fede.
Nella Lettera Ordinatio Sacerdotalis il Papa sofferma la Sua considerazione in modo paradigmatico sulla persona della Beata Vergine Maria, Madre di Dio e Madre della Chiesa: il fatto che Ella «non abbia ricevuto la missione propria degli Apostoli né il sacerdozio ministeriale mostra chiaramente che la non ammissione delle donne all’ordinazione sacerdotale non può significare una loro minore dignità né una discriminazione nei loro confronti» (n. 3). La diversità per quanto riguarda la missione non intacca l’uguaglianza nella dignità personale.
Inoltre, per capire che non c’è violenza né discriminazione verso le donne, bisogna considerare anche la natura stessa del sacerdozio ministeriale che è un servizio e non una posizione di umano potere o di privilegio sugli altri. Chi, uomo o donna che sia, concepisce il sacerdozio come affermazione personale, come termine o addirittura punto di partenza di una carriera di umano successo, sbaglia profondamente, perché il vero senso del sacerdozio cristiano sia quello comune dei fedeli sia, in modo del tutto speciale, quello ministeriale non si può trovare se non nel sacrificio della propria esistenza, in unione con Cristo, a servizio dei fratelli. Il ministero sacerdotale non può costituire né l’ideale generale né tanto meno il traguardo della vita cristiana. In questo senso, non è superfluo ricordare ancora una volta che «il solo carisma superiore, che si può e si deve desiderare, è la carità (cfr. 1 Cor 12, 13)» (Dich. Inter insigniores, VI).
Per quanto riguarda il fondamento nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, Giovanni Paolo II si sofferma sul fatto che il Signore Gesù com’è testimoniato dal Nuovo Testamento chiamò soltanto uomini, e non donne, al ministero ordinato, e che gli Apostoli «hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori che sarebbero ad essi succeduti nel ministero» (Lett. ap. Ordinatio Sacerdotalis, n. 2; cfr. 1 Tm 3, 1 ss.; 2 Tm 1, 6; Tt 1, 5). Vi sono argomenti validi per sostenere che il modo di agire di Cristo non fu determinato da motivi culturali (cfr. n. 2), così come ci sono ragioni sufficienti per affermare che la Tradizione ha interpretato la scelta fatta dal Signore come vincolante per la Chiesa di tutti i tempi.
Qui però siamo già di fronte all’essenziale interdipendenza tra Sacra Scrittura e Tradizione; interdipendenza che fa di questi due modi di trasmissione del Vangelo un’unità inscindibile insieme al Magistero, il quale è parte integrante della Tradizione ed istanza interpretativa autentica della Parola di Dio scritta e trasmessa (cfr. Cost. Dei Verbum, 9 e 10). Nel caso specifico delle ordinazioni sacerdotali, i successori degli Apostoli hanno sempre osservato la norma di conferire l’ordinazione sacerdotale soltanto a uomini, e il Magistero, con l’assistenza dello Spirito Santo, ci insegna che questo è avvenuto non per caso, né per ripetizione abitudinaria, né per soggezione ai condizionamenti sociologici, né meno ancora per un’immaginaria inferiorità della donna, ma perché «la Chiesa ha sempre riconosciuto come norma perenne il modo di agire del suo Signore nella scelta dei dodici uomini che Egli ha posto a fondamento della sua Chiesa» (Lett. ap. Ordinatio Sacerdotalis, n. 2).
Com’è noto, ci sono dei motivi di convenienza mediante i quali la teologia ha cercato e cerca di capire la ragionevolezza del volere del Signore. Tali motivi, come si trovano esposti ad esempio nella Dichiarazione Inter insigniores, hanno un loro indubbio valore, ma non sono concepiti né adoperati come se fossero dimostrazioni logiche e stringenti derivate da principi assoluti. Tuttavia, è importante tener presente che la volontà umana di Cristo non soltanto non è arbitraria come quei motivi di convenienza aiutano infatti a capire, ma è intimamente unita con la volontà divina del Figlio eterno, dalla quale dipende la verità ontologica ed antropologica della creazione di ambedue i sessi.
Davanti a questo preciso atto magisteriale del Romano Pontefice, esplicitamente indirizzato all’intera Chiesa Cattolica, tutti i fedeli sono tenuti a dare il loro assenso alla dottrina in esso enunciata. Ed è a questo proposito che la Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’approvazione del Papa, ha dato una risposta ufficiale sulla natura di questo assenso. Si tratta di un pieno assenso definitivo, vale a dire, irrevocabile, a una dottrina proposta infallibilmente dalla Chiesa. Infatti, come spiega la Risposta, questo carattere definitivo deriva dalla verità della stessa dottrina perché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente tenuta ed applicata nella Tradizione della Chiesa, è stata proposta infallibilmente dal Magistero ordinario universale (cfr. Cost. Lumen gentium, 25). Perciò, la Risposta precisa che questa dottrina appartiene al deposito della fede della Chiesa. Va quindi sottolineato che il carattere definitivo ed infallibile di questo insegnamento della Chiesa non è nato dalla Lettera Ordinatio Sacerdotalis. In essa, come spiega anche la Risposta della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Romano Pontefice, tenuto conto delle circostanze attuali, ha confermato la stessa dottrina mediante una formale dichiarazione, enunciando di nuovo quod semper, quod ubique et quod ab omnibus tenendum est, utpote ad fidei depositum pertinens: in questo caso, un atto del Magistero ordinario pontificio, in se stesso per sé non infallibile, attesta il carattere infallibile dell’insegnamento di una dottrina già in possesso della Chiesa.
Infine non sono mancati alcuni commenti alla Lettera Ordinatio Sacerdotalis secondo cui quest’ultima costituerebbe un’ulteriore e non opportuna difficoltà nel già difficile cammino del movimento ecumenico. A questo riguardo bisogna non dimenticare che secondo la lettera e lo spirito del Concilio Vaticano Il (cfr. Decr. Unitatis redintegratio, 11), l’autentico impegno ecumenico, al quale la Chiesa Cattolica non vuole né può venir meno, esige una piena sincerità e chiarezza nella presentazione dell’identità della propria fede. Inoltre occorre rilevare che la dottrina riaffermata dalla Lettera Ordinatio Sacerdotalis non può non giovare alla ricerca della piena comunione con le Chiese ortodosse le quali, conformemente alla Tradizione, hanno mantenuto e mantengono con fedeltà lo stesso insegnamento.
La singolare originalità della Chiesa e del sacerdozio ministeriale al suo interno richiede una precisa chiarezza di criteri. Concretamente, non si deve perdere mai di vista che la Chiesa non trova la fonte della propria fede e della propria struttura costitutiva nei principi della vita sociale di ogni momento storico. Pur guardando con attenzione al mondo nel quale vive e per la cui salvezza opera, la Chiesa ha la coscienza di essere portatrice di una fedeltà superiore alla quale è legata. Si tratta della radicale fedeltà alla Parola di Dio ricevuta dalla stessa Chiesa stabilita da Gesù Cristo fino alla fine dei tempi. Questa Parola di Dio, nel proclamare il valore essenziale e il destino eterno di ogni persona, manifesta il fondamento ultimo della dignità di ogni essere umano: di ogni donna e di ogni uomo.
Romana, n. 21, Luglio-Dicembre 1995, p. 350-356.