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Il 21-XI-1995, in occasione del trentesimo anniversario della parrocchia di San Giovanni Battista al Collatino (Roma), il Prelato dell’Opus Dei ha celebrato in quella chiesa la Santa Messa e ha pronunciato la seguente omelia.

«Rendiamo grazie a Dio nella sua dimora»[1].

Queste parole, che abbiamo rivolto al Signore durante il Salmo responsoriale, esprimono bene i nostri sentimenti più sinceri in un giorno come questo, mentre stiamo celebrando il trentesimo anniversario dell’inaugurazione della parrocchia di San Giovanni Battista al Collatino.

Quando fu costruita questa chiesa, sembrava che si stesse edificando una... cattedrale nel deserto: intorno al cantiere, un’ampia distesa verde con rari casolari campestri, greggi di pecore al pascolo, strade di terra battuta e prive di illuminazione. Solo ai margini del territorio assegnato alla nuova parrocchia era possibile scorgere alcuni edifici, sorti come gli avamposti di un quartiere che, nel corso di pochi anni, dai mille abitanti degli inizi sarebbe arrivato a superarne i ventimila.

«Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia»[2]. Ed ora siamo qui, in questa chiesa che è «dimora del Signore», riuniti intorno all’altare per celebrare questa Santa Messa il cui fine primordiale è proprio quello significato dal termine «Eucaristia»: ringraziamento.

I più anziani ricorderanno che la chiesa —unitamente al Centro ELIS che le aveva fornito il terreno per consentirne la costruzione— venne portata a termine nel novembre 1965. In quell’occasione Sua Santità Paolo VI, di venerata memoria, vi celebrò la prima Santa Messa, alla presenza dell’amatissimo Beato Josemaría Escrivá, Fondatore dell’Opus Dei —che aveva dato impulso alla costruzione del Centro ELIS e all’erezione della parrocchia—, di numerosi Padri Conciliari del Vaticano II, che allora stava per concludersi, e di una grande folla di fedeli accorsi dalle zone limitrofe della via Tiburtina.

Lo stesso Pontefice Paolo VI, nell’omelia di quel giorno, volle mettere in risalto «il significato intenzionale» che aveva dato simultaneamente vita a queste nuove opere. L’edificio di culto, con i suoi presbiteri, il suo territorio e i suoi abitanti, è per il bene delle anime che le sono affidate. Il Centro ELIS, come ebbe a dire testualmente Paolo VI facendo riferimento alle intenzioni dei suoi predecessori —Papa Pio XII e Papa Giovanni XXIII—, voleva «essere una prova dell’interesse, della stima e della fiducia di quei Papi veneratissimi sulla gioventù lavoratrice...».

E più avanti —con parole che furono riprese anche da Sua Santità Giovanni Paolo II, nel gennaio 1984, durante la sua visita a questo complesso— aggiunse: «Quest’opera, come tutte le opere benefiche della Chiesa, non nasconde alcun proprio interesse temporale; è un’opera del cuore; è un’opera di Cristo; è un’opera del Vangelo, tutta rivolta cioè a beneficio di quelli che ne profittano. Non è un semplice albergo, non è una semplice officina o una semplice scuola, non è un campo sportivo qualsiasi: è un centro dove l’amicizia, la fiducia, la letizia, formano atmosfera: dove la vita ha una sua dignità e un suo senso, una sua speranza: è la vita cristiana che qui si afferma e si svolge e che qui vuol dimostrare all’atto pratico molte cose assai interessanti per il nostro tempo: vuol dimostrare che la Chiesa, madre e maestra, è presente...; vuol dimostrare che dove è più viva la fede —la religione, la preghiera, l’osservanza cristiana—, come qui lo sarà, più viva è la carità, più sensibile e operante l’amore, più generosa e geniale l’arte di assistere i bisogni del prossimo; vuol dimostrare che l’azione sociale della Chiesa fa sue le istanze dei problemi moderni...»[3].

«Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza da questo luogo»[4], abbiamo udito proclamare durante la prima lettura. E per trent’anni migliaia di persone si sono succedute in questa chiesa per chiedere aiuto a Dio, per adorarlo, ringraziarlo e fare ricorso alla sua misericordia. Le opere di Dio nascono spesso nel silenzio e da un piccolo seme, con pochi uomini e con pochi mezzi, ma con tanta fede e letizia. Così è accaduto con quelle che oggi ricordiamo. Infatti, la parrocchia di San Giovanni Battista e il Centro Elis —nelle loro rispettive e autonome identità, con i loro propri statuti, con i loro propri mezzi e con i loro peculiari fini— sono cresciuti, grazie a Dio, insieme al quartiere: con l’aumento della popolazione sono andate aumentando le esigenze e le attività parrocchiali da un canto, e quelle di formazione professionale —che qui è anche umana e cristiana— dall’altro.

«Carissimi, stringendovi al Signore, pietra viva (...), anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo»[5].

Queste parole di San Pietro, il primo Papa, che abbiamo ascoltato durante la seconda lettura, sono rivolte a tutti i cristiani. Esse sono profondamente incise nel messaggio che il Fondatore dell’Opera ha trasmesso alle donne e agli uomini dell’Opus Dei, i quali s’impegnano a viverlo in ogni ambito attraverso la ricerca della santità nelle circostanze abituali della vita, come sono il lavoro, lo studio, la famiglia, gli impegni sociali. Così tenne a ribadire il Beato Josemaría Escrivá nell’indirizzo di omaggio al Santo Padre giusto trent’anni fa: «L’Opus Dei, nella formazione dei suoi membri e nell’impostazione dei suoi apostolati, fa sempre perno sulla santificazione del lavoro... Chi frequenta i mezzi di formazione dell’Opera impara che il lavoro santificato e santificante è parte essenziale della vocazione del cristiano consapevole, di colui che sa della sua alta dignità e sa ancora di doversi santificare e di dover diffondere il regno di Dio proprio nel suo lavoro e mediante il suo lavoro di edificazione della città degli uomini, in un clima di libertà, in cui tutti si sentono fratelli, lontani dall’amarezza della solitudine o dell’indifferenza ed in cui imparano ad apprezzare e a vivere la reciproca comprensione, la gioia della leale convivenza fra gli uomini»[6].

Sono certo che molti di voi, per non dire tutti, conoscete bene gli insegnamenti del Beato Josemaría —che qui è molto venerato—, e che trovate stimolo nelle sue parole e nel suo esempio per vivere in modo pienamente coerente con la nostra fede. Una fede —como insegna San Paolo— che opera per la carità[7]. Vi auguro quindi di essere strumenti di concordia e di fraternità; e che lo manifestiate con prove concrete di servizio agli altri, con sforzo evidente per animare la convivenza —in famiglia, in parrocchia, nel posto di lavoro— con spirito di carità e di dialogo, cercando ciò che unisce e sapendo superare tutte quelle difficoltà che sono inseparabili dalla condizione umana. Così si potranno davvero applicare a noi, che ci siamo riuniti qui per adorare Dio, le parole di Gesù che abbiamo ascoltato nel Vangelo odierno: «quelli che adorano (Dio), devono adorarlo in spirito e verità»[8]. È questo il modo per essere quei veri adoratori in spirito e verità che cerca il Padre del Cielo.

Abbiate però presente che, affinché ci sia pace nelle varie forme di convivenza, ci deve essere pace nelle coscienze. Perciò è necessario avvicinarsi al Sacramento della Confessione, sacramento della misericordia di Dio che ci permette di rettificare la condotta —se umilmente sappiamo riconoscere di avere agito male—, di avere la pace e la gioia nel cuore e, di conseguenza, di poter essere «seminatori di pace e di gioia».

Fra poco la Santa Messa continuerà con la liturgia eucaristica; se vi parteciperemo ben disposti nel cuore, allora la Comunione che riceveremo —nella quale si trova Cristo, Principe della Pace— darà in noi i frutti sperati di vita cristiana. Ricevete la Comunione con devozione: ben disposti nel cuore! E durante la settimana tornate qualche volta in chiesa per visitare Gesù nel Tabernacolo e per fargli presenti i desideri e le necessità personali, familiari,... dell’intera società!

Rendiamo grazie a Dio per tutti i doni che ci sono stati elargiti in questo trentennio di vita e formuliamo il proposito di impegnarci ancora di più, per realizzare l’eredità ricevuta da coloro che, in questi lunghi anni, non hanno risparmiato energie e sacrificio, incoraggiati dalla preghiera e dallo zelo apostolico del Beato Josemaría Escrivá e del suo primo successore, Mons. Álvaro del Portillo: il piccolo seme piantato trent’anni fa’ è diventato un albero carico di frutti. Dal vostro impegno dipende adesso che quest’albero — radicato nell’unità con il Papa e con tutta la Chiesa — continui a crescere ancora e a dare nuovi e più abbondanti frutti di santità, di gioia e di pace.

Affido infine voi tutti e le vostre famiglie —in particolare i malati, le persone anziane e tutti coloro che oggi non hanno potuto essere qui presenti— all’intercessione di San Giovanni Battista, al quale è dedicata la Chiesa, e del Beato Josemaría Escrivá, che tanto l’ha promossa e l’ha amata: entrambi ci guardano benevolmente dal cielo. E ci affidiamo poi alla mediazione di Maria Santissima, Madre di Dio e Madre nostra, affinché sappiamo vivere da figli suoi e sappiamo diffondere l’amore di Cristo intorno a noi. Così sia.

[1] Salmo responsoriale.

[2] Sal 94, 2.

[3] L’Osservatore Romano, 22-23 nov. 1965.

[4] Prima lettura (1 Re 8, 28).

[5] Seconda lettura (1 Pt 2, 4-5).

[6] L’Osservatore Romano, 22-23 nov. 1965.

[7] Cfr. Gal 5, 6.

[8] Vangelo (Gv 4, 24).

Romana, n. 21, Luglio-Dicembre 1995, p. 368-370.

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