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Omaggio della Pontificia Accademia Teologica Romana

Giovedì 25 novembre, nella sala dei Cento Giorni del Palazzo della Cancelleria Apostolica, la Pontificia Accademia Romana di S. Tommaso d’Aquino e di religione cattolica e la Pontificia Accademia Romana di Teologia hanno celebrato la solenne inaugurazione del nuovo anno. La sessione, presieduta dall’Em.mo Card. Pietro Palazzini, senior di entrambe le Accademie, ha visto la partecipazione dei Cardinali Casoria, Noè, Rossi, Stickler; degli Arcivescovi Clarizio, Cunial, Delogu, Limongi, Pereira, Picchinenna, Sartorelli; di molti Prelati della Curia Romana, docenti delle Università e degli Atenei Pontifici, oltre a numerosi alunni.

La relazione dell’Accademia di S. Tommaso, pronunciata da P. Raimondo Spiazzi, O.P., ha illustrato l’influsso della dottrina del Dottore Angelico sul Catechismo della Chiesa Cattolica; quella dell’Accademia Teologica Romana è stata letta da Mons. Fernando Ocáriz, professore dell’Ateneo Romano della Santa Croce, e ha avuto per tema: “Il Beato Josemaría Escrivá de Balaguer e la teologia”. In questo modo, la Pontificia Accademia Romana di Teologia ha voluto rendere omaggio a uno dei suoi membri, il Fondatore dell’Opus Dei, beatificato dal Santo Padre nel 1992: come ha ricordato il Card. Palazzini nella prolusione, egli è stato il secondo membro dell’Accademia ad essere elevato all’onore degli altari.

Riportiamo qui sotto il testo integrale della relazione del Prof. Ocáriz.

Il Beato Josemaría Escrivá de Balaguer e la Teologia

Il 19 dicembre 1956, Monsignor Josemaría Escrivá fu nominato socio Honoris causa della Pontificia Accademia Teologica Romana. Nella lettera con la quale il già allora Prelato Segretario dell’Accademia, Mons. Antonio Piolanti, gli inviava il relativo Diploma, si legge l’abituale sobria motivazione della nomina: «ad præclara Tua merita in sacras disciplinas publice agnoscenda». Questi præclara merita erano già una realtà, che, col passare degli anni, si sarebbe sviluppata ulteriormente, con un influsso che permane e cresce ogni giorno di più.

Questa relazione vuole essere un omaggio dell’Accademia ad uno dei suoi membri più illustri, beatificato da poco più di un anno dal Santo Padre Giovanni Paolo II. L’ampiezza del tema, sia sotto il profilo biografico che sotto quello della riflessione teologica, e la limitata disponibilità di tempo esigono un’esposizione quanto mai sintetica, quasi un semplice abbozzo, che intendo articolare in tre punti:

1) come il Beato Josemaría studiò la Teologia;

2) come fece studiare la Teologia;

3) qual è stato il suo contributo alla scienza teologica.

I. Come studiò la Teologia

All’età di 16 anni, terminata la scuola superiore nel 1918, il giovane Josemaría Escrivá iniziò gli studi ecclesiastici nel Seminario di Logroño, per poi continuarli —a partire dall’anno accademico 1920/21— nell’allora Università Pontificia di Saragozza. Nella capitale aragonese ricevette l’ordinazione sacerdotale il 28 marzo 1925. Nella documentazione conservata presso il Seminario Metropolitano di Saragozza, troviamo informazione dettagliata circa il suo profitto negli studi: ottenne la massima votazione praticamente in tutte le materie. Senza scendere nei dettagli, penso si possa affermare che l’insegnamento della Teologia, in quel luogo e in quegli anni, fosse di buon livello; forse non eccelso, ma ineccepibile quanto alla solidità, soprattutto se si considera la bibliografia allora in uso, che consentiva agli alunni più diligenti di raggiungere una buona conoscenza dei principi e dei fondamenti teologici. Inoltre fin da quegli anni Josemaría Escrivá si dedicò particolarmente alla lettura diretta e alla meditazione assidua dei grandi autori della Teologia spirituale, soprattutto di quelli del Secolo d’Oro della mistica spagnola.

Sempre a Saragozza, Josemaría Escrivá compì gli studi civili di Giurisprudenza; quindi si trasferì a Madrid, con il permesso del suo Vescovo, per conseguire il Dottorato, che allora si poteva ottenere soltanto presso l’Università della capitale spagnola. La permanenza nell’Università Pontificia di Saragozza e nelle Università civili di Saragozza e di Madrid impressero in Josemaría Escrivá un profondo spirito universitario, inteso come rigore nel pensiero, nel metodo scientifico e nell’apertura verso la ricerca[1].

Il 2 ottobre 1928, quando era un sacerdote di soli 26 anni, il Beato Josemaría ricevette da Dio l’illuminazione soprannaturale grazie alla quale vide l’Opus Dei. Questo avvenimento segnò profondamente tutta la sua vita, conferendole un senso ben determinato, in conformità al volere di Dio. Le vicende relative alla fondazione e allo sviluppo dell’Opus Dei, nonché altri avvenimenti storici, a cominciare dalla guerra civile spagnola, costrinsero Josemaría Escrivá a rimandare il conseguimento del Dottorato civile in Giurisprudenza e di quello ecclesiastico in Teologia, che ottenne rispettivamente nel 1939 a Madrid e nel 1955 al Laterano[2].

Tuttavia il Beato Josemaría non concepì mai la Teologia come semplice materia di una normale preparazione accademica, che ha un inizio, una conclusione e, magari, successivi e più o meno profondi aggiornamenti, ma come una dimensione permanente dell’esistenza cristiana. Forte della propria esperienza personale, poteva dire, rivolgendosi ai fedeli cristiani in genere e non soltanto ai sacerdoti: «Ognuno deve impegnarsi, nella misura delle sue possibilità, nello studio serio e scientifico della fede: la teologia non è altro che questo»[3]. Da ciò deriva anche, ad esempio, la sua convinzione sulla necessità della presenza della Teologia nelle Università civili: «Un uomo privo di formazione religiosa non è del tutto formato. Per questo la religione deve essere presente nella Università; e deve essere insegnata a un livello superiore, scientifico, al livello della teologia. Una università in cui la religione è assente, è un’università incompleta: perché ignora una dimensione fondamentale della persona umana, che non esclude affatto —anzi richiede— le altre dimensioni»[4].

La teologia è infatti una dimensione della vita cristiana, proprio perché la fede riempie totalmente l’esistenza e, per il suo stesso intrinseco dinamismo, tende necessariamente ad essere una fides quaerens intellectum. In effetti, nella vita del Beato Josemaría si rivela un’abituale dedizione allo studio teologico, che egli percepisce come parte integrante della propria vita spirituale ed apostolica. Lo studio della teologia si concretizzava anche nel riservare tutti i giorni —fino al termine della sua vita sulla terra— un certo tempo alla lettura meditata di scritti teologici, sia classici che moderni. Ricordo che, nel 1971, commentò con gran semplicità durante una riunione familiare con vari membri dell’Opus Dei: «Passo interi periodi di tempo leggendo trattati sulla Santissima Trinità: quando intravvedo un po’ di luce, sono felice; e anche quando vedo molta oscurità, mi sento felice: come sei grande, Signore, che non ti posso comprendere!»[5].

Lo studio meditato di testi teologici non rappresentava dunque, per il Fondatore dell’Opus Dei, un semplice mezzo per mantenere e aumentare la necessaria cultura religiosa: costituiva un modo vitale di immergersi nella verità divina con un intenso senso del mistero: la teologia si faceva vita e la vita diventava sempre più teologica, sempre più teologale. Il senso del mistero escludeva nel Beato Josemaría qualsiasi atteggiamento di tipo razionalista, senza però che questo implicasse una rinuncia all’esercizio della ragione: egli era cosciente del fatto che il mistero non è l’irrazionale, ma l’infinita profondità della verità divina, che la mente umana non può giungere a comprendere.

Trasmetteva la propria esperienza personale anche quando, in un’altra riunione familiare, diceva ad un gruppo di membri dell’Opus Dei: «È bene portare alla meditazione personale le conoscenze teologiche, lasciando che —come conseguenza di quella luce oscura, o di quella oscurità luminosa che si ritrova in tanti aspetti della nostra fede— vengano al cuore e alla bocca affetti, atti di speranza, la confessione che crediamo e che vogliamo far credere. Sapendo che la fede, la speranza e la carità non sono una cosa nostra, ma virtù infuse, concesse gratuitamente da Dio.

»Se studiate bene la teologia, scoprirete molti aspetti meravigliosi nel contenuto ricchissimo della dottrina rivelata. E la teologia si studia bene quando la materia di studio diventa materia d’orazione»[6].

Per concludere questi brevi cenni circa il modo di studiare la Teologia del Beato Josemaría, è necessario rilevare che, sebbene conoscesse molto bene la Teologia e la tradizione spirituale e sebbene riflettesse su tutto ciò, questo studio non costituisce la ragione principale dell’influsso teologico del Fondatore dell’Opus Dei. L’origine di questo influsso, alla cui ampiezza e profondità mi riferirò in seguito, è di natura carismatica —soprannaturale— ed ebbe il proprio centro nell’illuminazione fondazionale ricevuta il 2 ottobre 1928[7]. Allo stesso tempo però, bisogna segnalare che la coscienza della trascendenza della fede e del rilievo ecclesiale del carisma ricevuto non condusse mai il Beato Josemaría a sottovalutare la dimensione propriamente scientifica della Teologia: al contrario, lo portò ad apprezzarla in ogni momento, non solo in astratto ma anche nella sua attività. Durante tutta la vita, e quindi anche nei periodi più intensi della sua altissima esperienza mistica, si rivolse —come già abbiamo osservato— alla scienza teologica come complemento ed alimento della propria orazione.

II. Come fece studiare la Teologia

Sin dall’inizio, Mons. Escrivá si premurò di individuare e adottare strumenti efficaci per la formazione integrale dei membri dell’Opus Dei. Una formazione che includesse per tutti —uomini e donne, celibi e sposati, laici e sacerdoti, intellettuali o meno— una profonda preparazione teologica, adattata alle condizioni e alle circostanze di ciascuno. Nel 1951, come frutto di una esperienza già matura, il Fondatore fissò un Piano di Studi di grande profondità ed esigenza. Va sottolineato il fatto che tutti i membri Numerari dell’Opus Dei, e non solo quanti si preparano per il sacerdozio, oltre alla formazione universitaria civile, svolgono gli studi di un biennio filosofico e di un quadriennio teologico di livello universitario; inoltre, il Fondatore stabilì per i sacerdoti che conseguano un Dottorato ecclesiastico[8].

Non è il caso che mi soffermi qui a descrivere aspetti organizzativi, o ad elencare le Facoltà universitarie di studi ecclesiastici e i dipartimenti o le cattedre di Teologia costituiti in varie università civili, che devono la loro esistenza all’impulso del Beato Josemaría Escrivá. Mi sembra però interessante segnalare il motivo di fondo che mosse il Fondatore dell’Opus Dei a prescrivere gli studi teologici per migliaia di figli suoi laici, comuni fedeli cristiani immersi per vocazione nei più diversi ambiti delle scienze e delle attività umane.

La ragione si radica nella considerazione già descritta: la convinzione che la Teologia è una dimensione dell’esistenza cristiana, che, nella misura del possibile, occorre sviluppare in modo proporzionale al livello intellettuale della persona. Anche perché —e questo aspetto interno di tale dimensione non è affatto secondario— lo studio della teologia viene considerato dal Beato Josemaría necessariamente congiunto alla missione apostolica dei fedeli cristiani in mezzo al mondo. Perciò, ad esempio, egli scriveva ai membri dell’Opus Dei, in una Lettera datata il 9 gennaio 1951: «Insieme allo studio professionale, ciascuno di noi svolge anche studi di filosofia, di Teologia dogmatica, di Morale, di Sacra Scrittura, di Patrologia, di Diritto e di Storia della Chiesa, di Sacra Liturgia, ecc., in modo da poter elevare più facilmente all’ordine soprannaturale le conoscenze umane, e trasformarle in strumento di apostolato»[9]. E più avanti, nella stessa Lettera, insiste: «Per mezzo della sacra teologia, vertice e coronamento della verità scientifica, possiamo giungere alla sintesi ordinata di tutte le scienze umane. Ordine e sintesi che corrispondono all’unione esistente di fatto fra la natura e la grazia (...). Consideriamo dunque la teologia come guida e culmine di tutte le altre scienze, perché ha per oggetto lo stesso Dio. Mentre la studiamo con impegno, ci rendiamo presenti in tutte le scienze profane, ciascuno secondo la propria specifica vocazione professionale: in questo modo confermiamo le verità teologiche e, prendendo spunto dalle cose di questo mondo, serviamo tutti gli uomini»[10].

Dalle considerazioni svolte sin qui, si possono già desumere alcuni aspetti del modo in cui il Beato Josemaría ha fatto studiare la Teologia: uno studio compiuto con mentalità universitaria, nel quale —in unità di vita— i temi di studio sono al tempo stesso temi di orazione e di contemplazione; uno studio che non si considera mai terminato, ma sempre aperto all’approfondimento, ecc. Vorrei però trattenermi, sia pur brevemente, su due altri aspetti: la fedeltà al Magistero della Chiesa e l’amore per la libertà.

«Nell’Opus Dei —scriveva il Fondatore nel 1967—, ve l’ho ripetuto incessantemente, cerchiamo sempre e in tutto di sentire cum Ecclesia, con la Chiesa di Cristo, nostra Madre: istituzionalmente non abbiamo altra dottrina che quella insegnata dal Magistero, con l’assistenza dello Spirito Santo. Accettiamo tutto ciò che il Magistero accetta e rifiutiamo tutto ciò che rifiuta. Crediamo fermamente tutto ciò che propone come verità di fede, assumiamo tutto ciò che insegna come dottrina cattolica»[11]. Questa piena fedeltà al Magistero della Chiesa, vissuta personalmente dal Beato Josemaría e da lui insegnata e richiesta ai suoi figli, appartiene allo statuto epistemologico della Teologia: ovviamente non costituisce una peculiarità dell’Opus Dei. D’altra parte la Teologia non è una semplice glossa, e meno ancora una mera ripetizione degli insegnamenti magisteriali. Per questo motivo, insieme alla piena fedeltà alla fede e alla dottrina cattolica, il Fondatore dell’Opus Dei ha sempre incoraggiato un atteggiamento di apertura di fronte al progresso teologico. Come scriveva in una delle sue Lettere, «gli uomini possono immergersi per secoli nel profondo mare delle perfezioni di Dio, senza mai finire, allo scopo di arricchire continuamente la teologia. Me ne compiaccio con tutta l’anima, purché ciò non porti ad allontanarsi dalla fede: perché non appena sopraggiunge la prima discordanza, bisogna avere l’umiltà di dire: mi sono sbagliato; e ricominciare di nuovo»[12].

Quel sentire cum Ecclesia si estendeva anche alla piena obbedienza alle disposizioni disciplinari della Santa Sede relative all’insegnamento delle scienze sacre. È in questo preciso contesto che va situato l’orientamento tomista cui il Beato Josemaría Escrivá volle fossero ispirati gli studi filosofici e teologici nell’Opus Dei. Nella già citata Lettera del 1951 ricordava, ad esempio: «Studiamo con particolare amore la dottrina dei Santi Padri e dei Dottori, raccomandati con insistenza dalla Chiesa. Perciò, in conformità con il Magistero della Chiesa, si è stabilito che ai miei figli venga insegnata la filosofia e la teologia secundum Angelici Doctoris rationem, doctrinam et principia»[13]. E aggiungeva: «Non voglio soffermarmi qui a spiegare con completezza queste parole: basti ricordare che da esse non si può concludere che dobbiamo limitarci ad assimilare e ripetere tutti gli insegnamenti di San Tommaso e soltanto quelli. Si tratta di una cosa molto diversa: certamente dobbiamo coltivare la dottrina del Dottore Angelico, ma nello stesso modo in cui la coltiverebbe lui oggi se fosse vivo. Pertanto, talvolta si dovrà portare a termine ciò che lui ha potuto soltanto iniziare; e anche per questo, facciamo nostre tutte le scoperte di altri autori rispondenti alla verità»[14].

Nell’ambito di questa fedeltà incondizionata al Magistero della Chiesa e di questa apertura al progresso teologico, si situa il secondo aspetto a cui prima mi sono riferito: l’amore per la libertà, che informa tutte le dimensioni dello spirito del Fondatore dell’Opus Dei, e quindi anche quelle che riguardano lo studio e la ricerca teologica. Mi riferisco in particolare alla libertà in tutto ciò che non sia stato determinato dal Magistero della Chiesa e al divieto che nell’Opus Dei si costituisca o si adotti una particolare scuola filosofica o teologica. Questo è espressamente contenuto negli Statuti della Prelatura[15] e corrisponde ad un dato ecclesiologico essenziale dell’Opus Dei: i suoi membri sono comuni fedeli cristiani, oppure comuni sacerdoti secolari, e pertanto godono degli stessi ambiti di libertà d’opinione degli altri cattolici loro uguali. Ma, allo stesso tempo, come si è detto, rappresenta una manifestazione dell’amore per la libertà.

Ricordo, ad esempio, un’altra riunione familiare del Beato Josemaría Escrivá con alcuni membri dell’Opus Dei: era il 30 novembre 1969. Durante la conversazione si parlò della Facoltà di Teologia dell’Università di Navarra, appena eretta, di cui il Beato Josemaría era Fondatore e primo Gran Cancelliere; tra gli altri commenti, disse: «Là non ci sarà mai una posizione dottrinale unica: con la necessaria prudenza e con senso soprannaturale, ogni professore può insegnare come gli pare. In ciò che è veramente opinabile, possono andare a destra o a sinistra; io consiglio loro di non andare fino all’estremo, né a destra, né a sinistra.

»Ma in ciò che non è opinabile..., tutti i cattolici devono essere d’accordo. Abbiamo proibito, fin dall’inizio, di formare una scuola teologica: un gruppo d’opinione monolitico e uniforme. Proibito espressamente fin dal primo momento. Viva la libertà!»[16].

A proposito dell’amore del Beato Josemaría per la libertà, relativamente al modo con cui ha fatto studiare la Teologia, occorre anche sottolineare il rispetto, che egli ha sempre professato personalmente ed ha insegnato a professare, per le legittime opinioni diverse dalle proprie. Scriveva al riguardo in una delle sue Lettere: «Dovete pertanto sentirvi liberi in tutto ciò che è opinabile. Da questa libertà nascerà un sano senso di responsabilità personale, che vi renderà sereni, retti ed amici della verità e vi allontanerà così da ogni errore: infatti rispetterete sinceramente le legittime opinioni degli altri e saprete non solo rinunciare alla vostra opinione, quando vedrete che non corrispondeva bene alla verità, ma anche accettare un criterio diverso senza sentirvi umiliati per aver cambiato parere»[17].

La piena fedeltà al Magistero della Chiesa e l’amore per la libertà, anche in Teologia, non venivano vissuti ed insegnati dal Beato Josemaría come due realtà indipendenti, né tanto meno come due forze opposte da equilibrare. Al contrario, profondamente cosciente dell’origine divina e del charisma veritatis del Magistero e della connessione tra la verità e la libertà, coltivò ed insegnò l’adesione alla dottrina della Chiesa come creatrice di ambiti di libertà, proprio perché concepiva la sottomissione a Dio come fondamento esistenziale della libertà[18]. Da ciò deriva anche la sua salda coerenza quando, in anni di turbolenza ideologica, fonte di crisi in molti ambienti cattolici, fu eroicamente energico nel governo pastorale dell’Opus Dei, affinché le anime a lui affidate da Dio non venissero contagiate da un clima di dubbio, di universale problematicità e di insicurezza nella fede.

In conclusione possiamo dire, ancora una volta, che il Beato Josemaría dimostrò una particolare cura nel riconoscere nella teologia un momento dell’esistenza cristiana. Da tale premessa derivò il suo giudizio sulla grandezza dell’attività teologica e sui limiti della libertà di pensiero in teologia. Infatti una libertà spinta fino al punto di porre in discussione le realtà essenziali, che configurano e orientano la vita cristiana, avrebbe come conseguenza, solo apparentemente paradossale, una diminuzione della libertà, poiché tra realtà che si scorgono confusamente non vi è spazio per un agire pienamente libero.

III. Il suo contributo alla scienza teologica

Soprattutto a questo proposito è necessario considerare quanto precedentemente ricordato, vale a dire che l’influsso del Beato Josemaría Escrivá nella Teologia non è spiegabile solo sulla base dei suoi studi teologici, per quanto assidui e approfonditi, ma esso ha un’origine primariamente ed essenzialmente carismatica, costituita dall’illuminazione soprannaturale da lui ricevuta il 2 ottobre 1928.

D’altronde, il Beato Josemaría non pubblicò trattati accademici né monografie scientifiche, ad eccezione dell’esteso studio teologico-giuridico intitolato La Abadesa de Las Huelgas, scritto sulla base della tesi dottorale civile in Giurisprudenza, nel quale si apprezzano profonde e suggestive riflessioni ecclesiologiche. Com’è noto, quasi tutti i suoi scritti pubblicati —tradotti in molte lingue e con una diffusione di più di cinque milioni di copie— sono costituiti da raccolte di omelie e da altri testi di spiritualità, miranti, in forma diretta e viva, ad aiutare i lettori nel progresso nella vita cristiana: raccolte di punti di meditazione, riflessioni sui misteri del Rosario e sulla Via Crucis, ecc. A ciò si aggiungono gli scritti ancora inediti, rivolti ai membri dell’Opus Dei e chiamati dal Beato Josemaría Istruzioni e Lettere, in cui, in forma parimenti diretta e viva, e senza intento sistematico, espone, alla luce del carisma ricevuto da Dio, i lineamenti precisi della spiritualità e dell’apostolato dell’Opus Dei, con frequenti riferimenti storici.

Non si tratta dunque di testi di teologia scientifica; tuttavia —come ha scritto Mons. Alvaro del Portillo riferendosi alle omelie pubblicate, anche se l’affermazione è estensibile a tutte le opere del Beato Josemaría— essi si caratterizzano per «la profondità teologica (...). Si noti, ad esempio, come l’Autore commenta il Vangelo. Non si tratta mai di erudizione né di citazioni adoperate come luoghi comuni. Ogni versetto è stato meditato molte volte e la contemplazione vi ha scoperto luci nuove (...). Una seconda caratteristica è il legame immediato che viene a stabilirsi fra la dottrina del Vangelo e la vita di un comune cristiano»[19].

Che contributo alla scienza teologica apportano gli insegnamenti del Fondatore dell’Opus Dei? Di fronte a questa domanda, e alla luce delle precedenti riflessioni, non posso fare a meno di ricordare un criterio d’interpretazione della storia della Chiesa che il Beato Josemaría enunciava frequentemente e applicava in particolare allo sviluppo dell’Opus Dei: «In primo luogo —affermava— c’è la vita, il fenomeno pastorale vissuto. Poi viene la norma, che solitamente nasce dalla consuetudine. Infine c’è la teoria teologica, che si sviluppa di pari passo con il fenomeno vissuto»[20]. Non si tratta di una teologia elaborata a posteriori, come razionalizzazione del fenomeno pastorale, ma di una comprensione teologica che si sviluppa contemporaneamente ad esso; come conseguenza, cioè, della luce che il carisma, da cui il fenomeno pastorale ha tratto origine, offre per approfondire la ricchezza inesauribile del Vangelo. Come ha affermato il Santo Padre Giovanni Paolo II, in occasione di un recente Convegno teologico di studio sugli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá, «la ricerca teologica, che svolge una mediazione imprescindibile nei rapporti tra la fede e la cultura, progredisce e si arricchisce attingendo alla fonte del Vangelo, sotto la spinta dell’esperienza dei grandi testimoni del cristianesimo. E il Beato Josemaría va senza dubbio annoverato tra questi»[21]. Questa dinamica è ben compresa dalla Teologia contemporanea, che riconosce il valore ispiratore della vita spirituale, e pertanto dei grandi santi, superando così la frattura tra teologi e spirituali, esistita in secoli passati[22].

Il valore ispiratore, per la scienza teologica, del Beato Josemaría Escrivá —nel quale, con espressione di Cornelio Fabro, si ammira la tempra di un Padre della Chiesa[23]— raggiunge molti settori della Teologia, non solo la spiritualità. Possiamo ricordare alcuni dei temi a proposito dei quali, più direttamente, si possono trovare nei suoi insegnamenti testi di notevole profondità e forza ispiratrice: l’universalità della vocazione alla santità e all’apostolato; l’identità e la missione dei laici nella Chiesa; la centralità della filiazione divina del cristiano e la sua identificazione con Gesù Cristo; la Santa Messa come centro e radice della vita cristiana; la santificazione del lavoro; la relazione tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale; l’unità di vita; la bontà originale del mondo e la storia come processo per ricostituire, dopo il peccato, l’ordinazione a Dio di tutte le cose; ecc. Com’è ovvio, non è possibile trattenerci ora su tali questioni e neppure enunciarle tutte. Basti ricordare che, in rapporto a vari di questi argomenti —e in particolare alla chiamata universale alla santità e all’identità e missione del laico nella Chiesa—, sono già molti gli autori —tra i quali va citato in primo luogo il Santo Padre Giovanni Paolo II— che hanno riconosciuto nel Fondatore dell’Opus Dei un precursore del Concilio Vaticano II[24].

Vorrei però ricordare, sia pur molto brevemente, uno degli aspetti dell’insegnamento del Beato Josemaría sulla vocazione universale alla santità, che fu tema costante della sua predicazione sin dal 1928[25]. Mi riferisco al fatto che egli non si limitò ad affermare che tutti sono chiamati alla santità (ciò che possiamo denominare universalità soggettiva), ma che tutte le realtà umane oneste, tutte le circostanze e i lavori in mezzo al mondo, sono non soltanto luogo, ma anche mezzo di santificazione e d’apostolato cristiano: è ciò che si può chiamare universalità oggettiva. Così, ad esempio, si esprimeva in una Lettera datata il 24 marzo 1930: «Siamo venuti a dire, con l’umiltà di chi sa di essere peccatore e ben poca cosa —homo peccator sum (Lc 5, 8), diciamo con Pietro— ma con la fede di chi si lascia guidare dalla mano di Dio, che la santità non è una cosa riservata a dei privilegiati: che il Signore ci chiama tutti, che da tutti si aspetta Amore: da tutti, ovunque si trovino; da tutti, qualunque sia il loro stato, la loro professione o il loro mestiere. Perché questa vita normale, ordinaria, senza spettacolarità, può essere mezzo di santità: non è necessario abbandonare il proprio stato nel mondo per cercare Dio, a meno che il Signore non dia a un’anima la vocazione religiosa, giacché tutti i cammini della terra possono essere occasione di un incontro con Cristo»[26].

A quell’epoca (e anche in seguito, per molti anni ancora) questa dottrina non era consueta negli ambienti cristiani. Soprattutto non veniva riconosciuto che la maggior parte dei cristiani (immersi nelle attività temporali) non sono chiamati alla santità malgrado le circostanze della loro vita ordinaria, e nemmeno parallelamente ad esse, bensì proprio in esse e attraverso di esse. Scriveva il Fondatore dell’Opus Dei: «Come era evidente, per quelli che sapevano leggere il Vangelo, la chiamata generale alla santità nella vita ordinaria, nella professione, senza lasciare il proprio ambiente! Ciò nonostante, per secoli la maggior parte dei cristiani non l’ha capita: non fu possibile il fenomeno ascetico di molti cristiani che cercassero la santità in questo modo, senza lasciare il proprio posto, santificando la professione e santificandosi nella professione. E così, la dottrina, a forza di non essere praticata, ben presto cadde nell’oblio»[27].

Oggi, soprattutto dopo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II[28], questa dottrina è ormai ampiamente diffusa ed esplicitamente enunciata nel Catechismo della Chiesa Cattolica[29], e ancora una volta è stata riaffermata da Giovanni Paolo II nella recente Enciclica Veritatis splendor[30]. Tuttavia, persiste una mentalità per cui la santità viene vista come qualcosa di raggiungibile solo da parte di pochi[31].

All’origine dell’affermazione dell’universalità oggettiva della vocazione alla santità, si riscontra una profonda contemplazione del mistero di Gesù Cristo. Come recita il Decreto sulle virtù eroiche di Josemaría Escrivá, «grazie ad una vivissima percezione del mistero del Verbo Incarnato, egli comprese che l’intero tessuto delle realtà umane si compenetra, nel cuore dell’uomo rinato in Cristo, con l’economia della vita soprannaturale e diviene luogo e mezzo di santificazione»[32].

In questo senso, e per chiudere la presente relazione in omaggio del Beato Josemaría, ritengo opportuno leggere alcune parole del Santo Padre Giovanni Paolo II: «Con soprannaturale intuizione, il Beato Josemaría predicò instancabilmente la chiamata universale alla santità e all’apostolato. Cristo convoca tutti a santificarsi nella realtà della vita quotidiana; pertanto, il lavoro è anche mezzo di santificazione personale e di apostolato quando è vissuto in unione con Cristo, perché il Figlio di Dio, incarnandosi, in certo modo si è unito a tutta la realtà dell’uomo e a tutta la creazione. In una società nella quale la brama sfrenata del possesso di cose materiali le trasforma in idoli e in motivi di allontanamento da Dio, il nuovo Beato ci ricorda che queste stesse realtà, creature di Dio e dell’ingegno umano, se si usano rettamente per la gloria del Creatore e per il servizio dei fratelli, possono essere via per l’incontro degli uomini con Cristo»[33].

[1] Cfr. AA.VV., Josemaría Escrivá de Balaguer y la Universidad, Pamplona, 1993.

[2] Tra gli studi biografici sul Beato Josemaría finora pubblicati, cfr., ad esempio, F. Gondrand, Cerco il tuo volto, Roma, 2ª ed. 1986 (orig.: Au pas de Dieu. Josemaría Escrivá de Balaguer, Fondateur de l’Opus Dei, Paris 1982); P. Berglar, Opus Dei: la vita e l’opera del fondatore Josemaría Escrivá, Milano, 3ª ed. 1992 (orig.: Opus Dei. Leben und Werk des Gründers Josemaría Escrivá de Balaguer, Salzburg 1983).

[3] Beato Josemaría Escrivá, È Gesù che passa, Milano, 3ª ed. 1990, n. 10.

[4] Ibid., Colloqui con Mons. Josemaría Escrivá, Milano, 5ª ed. 1991, n. 73.

[5] Ibid., Parole pronunciate il 15-IX-1971, in RHF (Registro Histórico del Fundador), 20160, p. 929.

[6] Ibid., Parole pronunciate il 21-II-1971: RHF, 20160, p. 363.

[7] Cfr. J.L. Illanes, Dos de octubre de 1928. Alcance y significado de una fecha, in AA.VV., Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer y el Opus Dei, Pamplona, 2ª ed. 1985, pp. 65-107.

[8] Cfr. Codex Iuris particularis seu Statuta Prælaturæ Sanctæ Crucis et Operis Dei, n. 101 § 1 e n. 105.

[9] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 9-I-1951, n. 11.

[10] Ibid., nn. 18-19.

[11] Ibid., Lettera, 19-III-1967, n. 5. Cfr. A. Del Portillo, Mons. Escrivá de Balaguer, testigo de amor a la Iglesia, in “Palabra”, n. 130, giugno 1976, pp. 5-10.

[12] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 19-III-1967, n. 140. Nel leggere e meditare la recente Enciclica di Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, mi è venuto spontaneo pensare alla piena concordanza tra l’impostazione teologica di questo documento del Papa e l’atteggiamento che il Beato Josemaría aveva di fronte agli studi e alla ricerca in teologia.

[13] Ibid., Lettera, 9-I-1951, n. 22.

[14] Ibid.

[15] Cfr. Codex Iuris particularis seu Statuta Prælaturæ Sanctæ Crucis et Operis Dei, n. 109.

[16] Beato Josemaría Escrivá, Parole pronunciate il 30-XI-1969: RHF, 20159, p. 75.

[17] Ibid., Lettera, 9-I-1951, n. 25.

[18] Cfr. C. Fabro, El primado existencial de la libertad, in AA.VV., Mons. Josemaría Escrivá de Balaguer y el Opus Dei, cit., p. 346.

[19] A. Del Portillo, Presentazione a È Gesù che passa, cit., pp. 11-12. Sull’uso della Sacra Scrittura nelle opere del Beato Escrivá, cfr. in particolare S. Garofalo, Il valore perenne del Vangelo, in C. Fabro - S. Garofalo - M.A. Raschini, Santi nel mondo. Studi sugli scritti del beato Josemaría Escrivá, Milano 1992, pp. 156-193. Si veda anche S. Ausin, La lectura de la Biblia en las “Homilías” del Beato Josemaría Escrivá de Balaguer, in “Scripta Theologica” 25 (1993) pp. 191-220.

[20] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 19-III-1954, n. 9. Cfr. A. Del Portillo, Prefazione a P. Rodríguez, - F. Ocáriz - J.L. Illanes, L’Opus Dei nella Chiesa, Casale Monferrato 1993, p. 8.

[21] Giovanni Paolo II, Discorso, 14-X-1993: “L’Osservatore Romano”, 15-X-93, p. 5.

[22] Cfr J. Ratzinger, Messaggio inaugurale al Convegno teologico di studio sugli insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá, fondatore dell’Opus Dei, Ateneo Romano della Santa Croce, 12-X-1993 (Atti in corso di stampa). Si veda anche L.F. Mateo-Seco, Teología y Espiritualidad, in “Scripta Theologica” 25 (1993) pp. 155-174.

[23] C. Fabro, La tempra di un Padre della Chiesa, in C. Fabro - S. Garofalo - M.A. Raschini, Santi nel mondo. Studi sugli scritti del beato Josemaría Escrivá, cit., pp. 22-155.

[24] Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso, 19-VII-1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 (1979) p. 142; Omelia nella Messa di Beatificazione di Josemaría Escrivá, 17.V.1992 e Discorso, 18.V.1992: “L’Osservatore Romano”, 18/19.V.1992, pp. 4-5 e 6. Si veda anche Congr. delle Cause dei Santi, Decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio Josemaría Escrivá, 9-IV-1990: AAS 82 (1990) pp. 1450-1455.

[25] Cfr. A. Del Portillo, Una vida para Dios. Reflexiones en torno a la figura de Josemaría Escrivá de Balaguer, Madrid 1992, pp. 69-73.

[26] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 24-III-1930, n. 2. Cfr. Colloqui con Mons. Josemaría Escrivá, cit., n. 26; È Gesù che passa, cit., n. 20. Sulla rilevanza non solo spirituale ma anche ecclesiologica di questo insegnamento, cfr. P. Rodríguez- F. Ocáriz- J.L. Illanes, L’Opus Dei nella Chiesa, cit.

[27] Beato Josemaría Escrivá, Lettera, 9-I-1932, n. 91. Su tale oblio della dottrina si veda il denso riassunto storico di J.L. Illanes, Dos de octubre de 1928: alcance y significado de una fecha, cit., specialmente pp. 96-101.

[28] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 11, 39-41.

[29] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 825.

[30] Cfr. Giovanni Paolo II, Enc. Veritatis splendor, 6-VIII-1993, n. 18.

[31] Cfr. J. Ratzinger, Omelia, 19 maggio 1992, in AA.VV., 17 Maggio 1992. La beatificazione di Josemaría Escrivá de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, Milano 1992, p. 113.

[32] Congregazione delle Cause dei Santi, Decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio Josemaría Escrivá, cit., p. 1451. Cfr. anche A. Del Portillo, Intervista sul fondatore dell’Opus Dei, a cura di C. Cavalleri, Milano 1992, p. 70; T. Gutiérrez Calzada, Teología, cultura y amor a la Iglesia, en el Beato Josemaría Escrivá de Balaguer, in “Scripta Theologica” 25 (1993) specialmente pp. 176-184.

[33] Giovanni Paolo II, Omelia nella Messa di Beatificazione di Josemaría Escrivá, 17-V-1992: “L’Osservatore Romano”, 18/19-V-1992, p. 5.

Romana, n. 17, Luglio-Dicembre 1993, p. 264-274.

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