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In data 8-XI-1993, a tre mesi della scomparsa di Mons. Giuseppe Molteni, Segretario Generale dell’Ateneo Romano della Santa Croce, Mons. Alvaro del Portillo, Gran Cancelliere, ha celebrato una Messa di suffragio nella Basilica di Sant’Apollinare di Rom

Requiem æternam dona ei, Domine, et lux perpetua luceat ei[1]. Sono trascorsi appena tre mesi da quando il Signore ha chiamato a Sé Mons. Giuseppe Molteni, Segretario Generale dell’Ateneo Romano della Santa Croce, e oggi, in questa solenne concelebrazione eucaristica, offriamo il Santo Sacrificio della Messa in suffragio per l’anima di questo figlio mio carissimo. Concedigli, Signore, il riposo eterno, e la luce del tuo Volto risplenda eternamente su di lui.

Quando moriva un figlio suo ancor giovane, il Beato Josemaría Escrivá soffriva a lungo. Con il suo cuore paterno e materno, provava un vero dolore davanti alla scomparsa prematura di coloro che avrebbero potuto servire ancora molto il Signore sulla terra. Si lamentava davvero, ma, allo stesso tempo, nelle sue parole traspariva tutto l’affetto filiale e fiducioso che nutriva nei confronti del Padre celeste. Diceva: «Signore, perché fai così? Questo figlio tuo poteva lavorare ancora tanto per la tua gloria, per il bene della Chiesa e delle anime... Perché hai fatto questo, quando hai così pochi amici sulla terra?». Poi, dopo essersi sfogato filialmente davanti al Tabernacolo, chinava il capo di fronte agli insondabili disegni della Divina Provvidenza e aggiungeva: Fiat, adimpleatur, laudetur atque in æternum superexaltetur iustissima atque amabilissima voluntas Dei super omnia. Amen. Amen.

Devo confessarvi che l’estate scorsa, nell’apprendere la notizia dell’improvvisa scomparsa del carissimo Peppino —così lo chiamavamo familiarmente—, anch’io mi sono rivolto a Dio, pieno di dolore, con le stesse parole del Beato Josemaría. Pur accettando in pieno la Volontà del Signore —amandola, come mi insegnò a fare il nostro Fondatore—, ancora una volta sono rimasto meravigliato: le vie del Signore non sono certamente le nostre vie!

Mons. Giuseppe Molteni, infatti, si trovava nella pienezza delle facoltà fisiche e spirituali per svolgere egregiamente il difficile compito che gli era stato affidato. Con la sua intelligenza, la sua esperienza di governo, il suo spirito di servizio, la sua capacità di lavoro e, soprattutto, la sua pietà sacerdotale, era una colonna di questo centro docente, che ha ancora tanta strada da percorrere. Si è compiuto in lui, alla lettera, quel brano del libro della Sapienza che abbiamo appena ascoltato nella prima lettura: Consummatus in brevi explevit tempora multa[2]: giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga corsa. Ha fatto il grande salto nell’eternità, per il quale indubbiamente era ben preparato, e ora —ne siamo certi— intercede in modo particolare, presso il trono dell’Altissimo, per coloro che lavorano nell’Ateneo Romano della Santa Croce e per tutti noi.

Questa profonda convinzione promana dal fatto che Mons. Molteni è stato sempre un buon figlio di Dio nella Chiesa, un buon figlio di Dio nell’Opus Dei. Possiamo benissimo applicare a lui le parole che San Paolo rivolge ai Romani, e a tutti i cristiani, nella seconda lettura della Messa. Dice l’Apostolo: Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore[3].

Tutti noi che lo abbiamo conosciuto da vicino e per molti anni, potremmo testimoniare come si sono compiute queste parole nella vita di don Giuseppe. Disponibile a ricevere qualunque compito ed a svolgerlo con coscienza, si mostrava anche sempre pronto a portare il suo aiuto a chi ne avesse bisogno, ad alleggerire il lavoro altrui prendendolo sulle proprie spalle, senza rumore, senza farsi notare. Amabile, ottimista, positivo nelle sue valutazioni. Così era Peppino.

Per lunghi anni, Mons. Molteni ha lavorato nella sede centrale dell’Opus Dei, prima accanto al nostro amatissimo Fondatore e poi accanto a me, indegno successore suo. Ha speso la vita rinunciando con gioia a brillare di luce propria —avrebbe potuto fare una bella carriera professionale—, mettendo al servizio delle anime le straordinarie capacità di cui era dotato. Sempre con un sorriso sulle labbra.

Dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta dalle mani del Santo Padre Giovanni Paolo II nel 1987, ha iniziato a servire in un modo nuovo, come strumento sacramentale di Cristo, ma con la stessa dedizione e lo stesso zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, che il Signore aveva acceso in lui con la vocazione all’Opus Dei. È per questo che, con piena fiducia di essere esauditi, abbiamo chiesto nell’orazione colletta che il Signore riceva nel gaudio dei Santi colui che in nome suo ha svolto fedelmente il ministero[4].

Tutti noi sappiamo molto bene che la morte non è la fine, ma il principio: vita mutatur, non tollitur[5]. Per coloro che muoiono nella pace di Dio, la vita non è tolta, ma trasformata. Lasciano la vita temporale, fugace, propria di questa terra, per giungere al possesso di una vita eterna, che non avrà mai tramonto. Abbandonano la debolezza propria della nostra condizione attuale, per rivestirsi della fortezza di coloro che vedono Dio. La ricorrenza odierna, anche se ravviva in noi il dolore per la scomparsa di Mons. Molteni, ci riconferma contemporaneamente nella speranza che don Giuseppe vive in Cristo e che, unita la sua voce a quella di tutti i santi, molto vicino alla Madonna, a San Giuseppe e al Beato Josemaría, canta ormai senza posa l’inno di lode alla Trinità Beatissima.

Nell’offrire questo sacrificio eucaristico per l’eterno riposo di Mons. Molteni, ricordiamo al Signore che Peppino lo ha ricevuto ogni giorno nella Santa Comunione per molti anni, e che da quando fu ordinato sacerdote ha celebrato con fervore la Santa Messa tutti i giorni. Sia Lui a concedere al nostro fratello il premio che ha promesso a quanti ricevono devotamente il suo Corpo e il suo Sangue, che —come scriveva uno dei primi Padri della Chiesa— è «medicina dell’immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere sempre in Gesù Cristo»[6]. Ce lo ricorda ancora una volta Gesù stesso nel Vangelo della Messa: Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo[7].

Chiediamo infine al Signore che anche noi possiamo un giorno godere eternamente della sua gloria, dopo averlo servito sulla terra nell’adempimento dei nostri doveri ordinari, con tanto amore e fedeltà, come Giuseppe Molteni. Così sia.

[1] Antifona d’ingresso.

[2] Prima lettura (Sap 4, 13).

[3] Seconda lettura (Rm 14, 7-8).

[4] Orazione colletta pro sacerdote (B).

[5] Prefazio I dei defunti.

[6] Sant’Ignazio d’Antiochia, Epistola ad Ephesios, 20, 2.

[7] Vangelo (Gv 6, 51)..

Romana, n. 17, Luglio-Dicembre 1993, p. 234-236.

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