S.E. Rev.ma Mons. Alvaro del Portillo ha scritto il commento, che qui riportiamo, all'Esortazione Apostolica Christifideles laici, recentemente pubblicata come supplemento del periodico
Nel 1987 ebbe luogo a Roma il Sinodo dei Vescovi sul tema della vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo a vent'anni dal Concilio Vaticano II. Come in occasione di altri Sinodi precedenti, alcuni mesi dopo la chiusura dell'assemblea il Santo Padre Giovanni Paolo II pubblicò il 30 dicembre dello stesso anno l'Esortazione Apostolica postsinodale Christifideles laici, documento che costituisce ormai un fondamentale punto di riferimento nella dottrina della Chiesa su questa importante ed attualissima materia.
Se volessimo individuare, per avere una giusta prospettiva, le tre coordinate, per così dire, che danno ragione del suo contenuto, dovremmo segnalare senz'altro la dottrina del Concilio Vaticano II, le riflessioni e proposte del Sinodo dei Vescovi del 1987, e l'insieme degli insegnamenti dello stesso Giovanni Paolo II.
Per quanto riguarda il primo punto, bisogna ricordare che sin dall' indomani della sua elezione come Romano Pontefice, nel 1978, il Papa aveva indicato come linea guida del suo pontificato la determinazione di mettere in pratica le decisioni del Concilio e di aiutare a capire e ad approfondire la sua dottrina. Questo proposito appare realizzato in modo evidente nell'Esortazione Apostolica Christifideles laici. Per rendersene conto può essere sufficiente rilevare che circa la metà delle 224 note in calce presenti nel documento sono citazioni o rinvii a testi del Concilio, prevalentemente delle Costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes e del Decreto Apostolicam actuositatem. Al di là di questo dato significativo, quello che più importa è che Giovanni Paolo II non si limita soltanto a riproporre gli insegnamenti del Concilio in modo pressoché completo, ma li sviluppa, li interpreta autenticamente e li applica con fedeltà, il che conferisce alla Christifideles laici una singolare importanza e valore storico e dottrinale.
Quest'ultimo aspetto _l'applicazione del Concilio alle circostanze attuali_ è stato reso possibile in gran parte dai lavori del Sinodo dei Vescovi del 1987, che ha offerto al Pontefice, soprattutto attraverso le propositiones conclusive, un abbondante materiale, frutto dell'esperienza maturata dai Vescovi di tutto il mondo circa le necessità nuove e i problemi reali relativi alla vita dei laici nelle più svariate circostanze dei nostri tempi. Questo spiega il carattere onnicomprensivo della Christifideles laici che possiamo definire come una vera e propria magna carta della vocazione e della missione dei laici nella Chiesa e nel mondo.
Come terza coordinata per inquadrare il presente documento, occorre considerare l'insieme degli insegnamenti di Giovanni Paolo II con le sue caratteristiche peculiari, sia per quanto riguarda i temi che per lo stile e le angolazioni che gli sono propri.
In una cultura minacciata dalla tenaglia dell'individualismo da una parte e del collettivismo dall'altra, emerge liberatrice la visione cristiana che proclama il valore e la dignità della persona umana, dell'uomo singolo e necessariamente aperto a Dio e agli altri, che trova in Giovanni Paolo II uno strenuo difensore. Quando si parla poi dei fedeli all'interno della Chiesa, questa preoccupazione per l'uomo trova espressione nella sensibilità per la positiva difesa dei diritti e il richiamo ai doveri di ogni singolo fedele, e quindi nell'attenzione a tutto ciò che riguarda la vocazione e missione dei laici. Si potrebbe parlare qui di un'altra tenaglia, non meno minacciosa, che cerca di togliere ogni respiro alla vita dei fedeli laici con le ganasce del clericalismo e del laicismo.
Ebbene, possiamo dire che gli insegnamenti di Giovanni Paolo II nell'Esortazione Apostolica Christifideles laici riescono ad spezzare queste due morse, e a sprigionare un enorme potenziale di energie latenti nella Chiesa, che è presagio di una nuova fioritura di santità e di apostolato con conseguenze formidabili per la stessa Chiesa e per il mondo.
Veniamo adesso a considerare più da vicino alcuni aspetti fondamentali di questo documento. Anzitutto, dobbiamo domandarci chi sono i fedeli laici: domanda che non sembrerà inutile se si tiene conto del fatto che in certi ambienti culturali, soprattutto europei, è frequente considerare il termine "laico" come sinonimo di "non cattolico". Ovviamente, non è questo che la Christifideles laici intende dire quando parla dei fedeli laici. Essa pensa piuttosto ai cristiani cattolici; più concretamente a un certo modo di essere cristiano nel pieno senso della parola.
Ora, a quali cristiani cattolici? Secondo un'accezione comune _ancora presente nel linguaggio anche teologico_ il laico si caratterizza soprattutto per ciò che non è: non è un sacerdote né un religioso (nel senso della non appartenenza ad alcun ordine religioso). Questo è vero, ma non è sufficiente. Bisogna offrire una definizione positiva che indichi anzitutto ciò che è un laico, ed è questo che fa Giovanni Paolo II: «Nel dare risposta all'interrogativo "chi sono i fedeli laici?" _egli scrive_ il Concilio, superando precedenti interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto ad una visione decisamente positiva e ha manifestato il suo fondamentale intento nell'asserire la piena appartenenza dei fedeli laici alla Chiesa e al suo mistero e il carattere peculiare della loro vocazione, che ha in modo speciale lo scopo di "cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" (Lumen gentium, n. 31)»[1].
Queste parole esprimono i tratti fondamentali dell'identità laicale. Tratti che possiamo sintetizzare in tre punti:
— la piena appartenenza dei laici alla Chiesa. Come i sacerdoti e i religiosi, i laici sono a pieno titolo dei fedeli cattolici perché sono dei battezzati, con tutto ciò che questo comporta: in primo luogo, il fatto che «tutti nella Chiesa, proprio perché ne sono membri, ricevono e quindi condividono la comune vocazione alla santità. A pieno titolo, senz'alcuna differenza dagli altri membri della Chiesa, ad essa sono chiamati i fedeli laici (...). La vocazione alla santità affonda le sue radici nel Battesimo»[2]. In secondo luogo, e di conseguenza, altrettanto si deve affermare di ciò che riguarda la partecipazione dei laici alla missione della Chiesa: «In forza della comune dignità battesimale il fedele laico è corresponsabile, insieme con i ministri ordinati e con i religiosi e le religiose, della missione della Chiesa»[3].
— la specifica vocazione dei laici. Con parole di Giovanni Paolo II, «la comune dignità battesimale assume nel fedele laico una modalità che lo distingue, senza però separarlo, dal presbitero, dal religioso e dalla religiosa. Il Concilio Vaticano II ha indicato questa modalità nell'indole secolare: "l'indole secolare è propria e peculiare dei laici" (Lumen gentium, 32)»[4]. Esiste quindi nella Chiesa una vocazione laicale. Non si è laico per il fatto che non si ha vocazione al sacerdozio ministeriale o allo stato religioso, ma perché si è ricevuta una chiamata di Dio a cercare la santità in un modo specifico. Concretamente, i fedeli laici «sono persone che vivono la vita normale nel mondo, studiano, lavorano, stabiliscono rapporti amicali, sociali, professionali, culturali, ecc. (...).Il "mondo" diventa così l'ambito e il mezzo della vocazione cristiana dei fedeli laici (...). Non sono chiamati ad abbandonare la posizione ch'essi hanno nel mondo. Il Battesimo non li toglie affatto dal mondo (...) ma affida loro una vocazione che riguarda proprio la situazione intramondana (...). Così l'essere a l'agire nel mondo sono per i fedeli laici una realtà non solo antropologica e sociologica, ma anche specificamente teologica ed ecclesiale»[5].
— la loro missione specifica. Con parole del Concilio riprese da Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, questi «sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall'interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l'esercizio della loro funzione propria e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro vita e con il fulgore della fede, della speranza e della carità»[6].
Per avere un'idea precisa della portata di questa missione si legga con attenzione il terzo capitolo dell'Esortazione Apostolica (nn. da 32 a 44). Ai laici viene affidato il compito di informare l'intera società umana con la dottrina e l'esempio di Cristo, e questo comporta concretamente, fra l'altro, l'impegno per la difesa della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale; la tutela della famiglia e quindi di tutti i valori ad essa legati (dal riconoscimento dell'indissolubilità del matrimonio ai diritti dei genitori nell'educazione dei loro figli, e alla promozione della moralità pubblica); l'instaurazione di un ordine politico, economico e sociale finalizzato al bene della persona umana, con le sue esigenze di giustizia, di solidarietà, di libertà e di pace; l'evangelizzazione della cultura anche attraverso i mezzi di comunicazione sociale; ecc. Ma, si badi bene, i laici sono chiamati a realizzare tutto questo dall'interno della società civile, attraverso la loro esistenza normale nel mondo, il lavoro professionale e le ordinarie condizioni di vita familiare e sociale «di cui la loro esistenza è come intessuta»[7]. Qui si trova la specificità della loro missione.
E' facile capire che fra i tre aspetti o tratti appena segnalati esiste un'intima connessione. Questo significa che per compiere la missione di edificare una società umana permeata della dottrina del Vangelo è necessario in primo luogo _anzi, è l'unica cosa necessaria (cfr. Lc X, 42)_ portare a compimento, con l'aiuto di Dio, la propria vocazione alla santità. Nella misura in cui ci si impegna ad essere personalmente santi si contribuisce a santificare gli altri e le strutture della società. Un impegno che richiede, come sottolinea il Papa nella Christifideles laici, una solida vita spirituale alimentata dalla preghiera assidua e dai sacramenti —in particolare, dalla Penitenza e dall'Eucarestia— e da una costante formazione cristiana, dottrinale e morale. Vita spirituale che ha come traguardo l'identificazione con Cristo, e come modello i trent'anni della sua vita nascosta a Nazaret, in cui santificò il lavoro umano, i rapporti familiari e sociali compiendo l'opera della Redenzione.
Non posso qui non ricordare alcune parole del Beato Josemaría Escrivá, recentemente elevato da Giovanni Paolo II all'onore degli altari, che è stato riconosciuto dallo stesso Pontefice come un precursore della dottrina del Concilio Vaticano II circa la vocazione e missione dei laici. In un'omelia pronunciata nel 1967, davanti a migliaia di persone, uomini e donne, sposati e non, Escrivá esprimeva con queste parole il messaggio da lui predicato sin dalla fondazione dell'Opus Dei nel 1928: «Io ho insegnato incessantemente, con parole della Sacra Scrittura, che il mondo non è cattivo: perché è uscito dalle mani di Dio, perché è creatura sua, perché Jahvè lo guardò e vide che era buono (cfr. Gn 1, 7 ss). Siamo noi uomini che lo rendiamo cattivo e brutto, con i nostri peccati e le nostre infedeltà. Siatene pur certi: qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa per voi, uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio. Dovete invece comprendere adesso _con una luce tutta nuova_ che Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in una caserma, dalla cattedra di una università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro. Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c'è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca ad ognuno di voi scoprire (...). Non vi è altra strada: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai. Per questo vi posso dire che la nostra epoca ha bisogno di restituire alla materia e alle situazioni che sembrano più comuni il loro nobile senso originale, e metterle al servizio del Regno di Dio, spiritualizzandole, facendole diventare mezzo ed occasione del nostro incontro continuo con Gesù Cristo»[8].
Se è vero che in passato il termine «laico» è stato inteso frequentemente in modo relativo-negativo (come non sacerdote o non religioso), è altrettanto vero che, dopo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dell'Esortazione Apostolica Christifideles laici, occorre rovesciare la prospettiva per attingere la realtà della condizione laicale in se stessa. Infatti, non appena ci si introduce nell'identità dei fedeli laici, essa ci si manifesta con una tale consistenza propria da rendere innecessari i paragoni.
E' questa l'impostazione che troviamo negli scritti dei primi secoli del cristianesimo, che descrivono la vita di quei fedeli laici ammirati _e anche perseguitati_ dall'antico mondo greco_romano a motivo del loro nuovo modo di vivere: quel famoso vivere in Cristo che rinnova interamente l'esistenza umana portandola ad un livello di altezza morale in aperto contrasto con la corruzione della società pagana, senza cedere alla tentazione del ripiegamento su se stessi; anzi, con la consapevolezza di dover agire come il lievito all'interno della massa, con l'ideale e l'impegno fattivo di trasformare l'intera società. Liberi o schiavi, militari o commercianti, agricoltori o maestri, i primi cristiani espressero con le loro esistenze un modo di vivere in mezzo al mondo senza essere mondani, che annunciava _realizzandola dal suo interno_ una nuova umanità.
Così leggiamo ad esempio nell'antichissima Lettera a Diogneto: «I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. Infatti, non abitano città particolari, né usano un qualche strano linguaggio, né conducono un speciale genere di vita (...). Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile (...). Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Trascorrono le loro vite sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo (...). In una parola i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. L'anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. L'anima abita nel corpo, ma non proviene dal corpo; anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo (...). Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è loro lecito abbandonare»[9].
Come si può ben dedurre, il nocciolo del discorso sulla vita dei laici è quella sintesi tra «l'umano» e «il divino» o «soprannaturale», che è riflesso nella persona del cristiano, dell'unione senza confusione tra la natura umana e la natura divina nel Figlio di Dio fattosi uomo. Sintesi che certamente è tipica di ogni esistenza cristiana, ma che nel caso dei laici ci si presenta con una ricchezza propria per la loro chiamata a santificarsi in mezzo al mondo a attraverso le cose di questo mondo.
«Non ci può essere una doppia vita, non possiamo essere come degli schizofrenici, se vogliamo essere cristiani»[10], predicava il Beato Escrivá: è il tema dell'unità di vita su cui si esprime con tanta ampiezza e profondità la Christifideles laici. Ed era necessario sviluppare questo argomento a motivo delle varie forme di separazione e successive false integrazioni tra le due realtà surriferite.
C'è stata, infatti, una sottolineatura naturalistica dell'essere uomo, la quale vedeva nella grazia di Cristo quasi un semplice coronamento ulteriore della bontà raggiunta dalla persona umana con le sue sole forze. E' questa la posizione assunta da un certo umanesimo rinascimentale, ma l'atteggiamento di fondo è comune a più epoche della storia. Così l'uomo si renderebbe buono da sé e potrebbe raggiungere la pienezza delle sue capacità senza alcun bisogno realmente determinante della grazia divina.
Ma c'è stata anche, d'altro canto, una accentuazione spiritualistica dell'essere cristiano, secondo la quale le realtà materiali della vita nel mondo —il lavoro, i rapporti sociali, ecc.— sarebbero quasi degli ostacoli per la vita spirituale.
Non è difficile capire che queste due posizioni _per quanto apparentemente lontane l'una dall'altra_ hanno una fondamentale coincidenza. Ed è la percezione della vita umana nel mondo come una realtà messa semplicemente accanto alla grazia divina _e quindi alla vita soprannaturale_, quasi superficialmente giustapposta ad essa. Non possiamo soffermarci qui nell'esposizione dell'autentica dottrina cristiana che afferma l'elevazione di tutta la persona umana alla dignità di figlio di Dio, per cui nessuna realtà umana rimane estranea alla divinizzazione operata dalla grazia di Dio; ma possiamo semplicemente dire che ripugna al buon senso dei fedeli considerare come aspetti irrilevanti dal punto di vista cristiano, ad esempio, l'integrità del giudice, o l'onestà del commerciante, o l'operosità del lavoratore, o la dedizione amorosa della madre di famiglia, o la pazienza del conducente dei mezzi pubblici, e tante altre virtù e valori specifici della vita professionale, familiare e sociale.
In realtà, la vita cristiana coinvolge _deve coinvolgere_ tutti gli aspetti della vita dell'uomo, anche i più materiali: "sia che mangiate, sia che beviate, fatte tutto per la gloria di Dio"[11], insegna la Sacra Scrittura. Nel caso del fedele laico, questo significa che tutte le sue attività _nella famiglia, nel lavoro, nella vita sociale_ sono mezzi e luogo di santificazione, e quindi possono e devono essere integrate in una salda unità di vita interamente informata dall'amore verso Dio e verso gli altri. Non è concepibile un cristiano part_time, una vita cristiana che si manifesti soltanto in alcuni momenti di preghiera o nella partecipazione alla Messa domenicale; la vita cristiana è sempre, per sua natura, full_time, perché coinvolge tutte le attività e tutte le energie del corpo e dello spirito.
Nell'esistenza dei fedeli laici, scrive Giovanni Paolo II, «non possono esserci due vite parallele: da una parte, la vita cosiddetta "spirituale", con i suoi valori e con le sue esigenze; e dall'altra, la vita cosiddetta «secolare», ossia la vita di famiglia, di lavoro, dei rapporti sociali, dell'impegno politico e della cultura»[12]. E subito dopo, facendo ricorso a un'immagine evangelica che percorre l'intera Christifideles laici[13], aggiunge: «Il tralcio, radicato nella vite che è Cristo, porta i suoi frutti in ogni settore dell'attività e dell'esistenza. Infatti, tutti i vari campi della vita laicale rientrano nel disegno di Dio, che li vuole come il "luogo storico" del rivelarsi e del realizzarsi della carità di Gesù Cristo a gloria del Padre e a servizio dei fratelli. Ogni attività, ogni situazione, ogni impegno concreto _come, ad esempio, la competenza e la solidarietà nel lavoro, l'amore e la dedizione nella famiglia e nell'educazione dei figli, il servizio sociale e politico, la proposta della verità nell'ambito della cultura_ sono occasioni provvidenziali per un "continuo esercizio della fede, della speranza e della carità" (Apostolicam actuositatem, 4)»[14].
Questi tratti salienti dell'Esortazione Apostolica Christifideles laici, rilevati fra i tanti che meritano un'attenta meditazione, possono servire d'invito per intraprendere la lettura integra del documento, e soprattutto _così me lo auguro_ per mettere in pratica i suoi insegnamenti. Si avrà giustamente l'impressione di trovarsi, come dicevamo all'inizio, davanti a una magna carta della vocazione e della missione dei laici, che schiude un orizzonte immenso di speranza per la Chiesa e per il mondo alle soglie del terzo millennio della cristianità. E' chiaro che di fronte alle sfide del nostro tempo «sarà la sintesi vitale che i fedeli laici sapranno operare tra il Vangelo e i doveri quotidiani della vita la più splendida e convincente testimonianza che, non la paura, ma la ricerca e l'adesione a Cristo sono il fattore determinante perché l'uomo viva e cresca, e perché si costituiscano nuovi modi di vivere più conformi alla dignità umana»[15].
Non mi resta che elevare la mia preghiera a Dio, per intercessione di Maria Santissima, affinché nell'esistenza di chi leggerà queste righe trovi riscontro l'ideale di raggiungere, giorno dopo giorno, quella «sintesi vitale» ovvero «unità di vita» a cui ci sprona il Santo Padre. «Il cielo e la terra —diceva il Beato Josemaría Escrivá, con espressione ormai celebre— sembra che si uniscano laggiù, sulla linea del orizzonte... E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria...»[16].
[1] Esort. apost. Christifideles laici, n. 9.
[2] Esort. apost. Chistifideles laici, n. 16. Cfr. Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, nn. 40 e 42.
[3] Esort. apost. Christifideles laici, n. 15.
[4] Ibid.
[5] Ibid.
[6] Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 31.
[7] Conc. Vaticano II, Cost. dogm. Lumen gentium, n. 31.
[8] J. Escrivá, Colloqui, 5ª ed., Ares 1987, n. 114.
[9] Lettera a Diogneto, cap. 5-6 (Funk, pp. 397-401).
[10] J. Escrivá, Colloqui, cit., n. 114.
[11] 1 Cor 10, 31.
[12] Esort. apost. Christifideles laici, n. 59.
[13] Cfr. Gv 15, 1-8.
[14] Ibid.
[15] Esort. apost. Christifideles laici, n. 34.
[16] Colloqui, cit., n. 116.
Romana, n. 15, Luglio-Dicembre 1992, p. 259-265.