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Unità e diversità nella Comunione ecclesiale

Nota[1]

«L'universalità della Chiesa, da una parte, comporta la più solida unità e, dall'altra, una pluralità e una diversificazione, che non ostacolano l'unità, ma le conferiscono invece il carattere di "comunione"». Con queste parole di Giovanni Paolo II, inizia la quarta parte (nn. 15-16) della recente Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione. La pluralità e diversificazione, che conferiscono all'unità il carattere di comunione, vengono riferite dalla Lettera «sia alla diversità di ministeri, carismi, forme di vita e di apostolato all'interno di ogni Chiesa particolare, sia alla diversità di tradizioni liturgiche e culturali tra le diverse Chiese particolari» (n. 15).

Il rapporto tra unità e diversità non è visto dalla Lettera in chiave di tensione dialettica; non si tratta infatti di un'unità esistente malgrado la diversità, né di una diversità malgrado l'unità. Unità e diversità sono invece, nel mistero della Chiesa, due dimensioni costitutive della comunione. In un certo senso, si potrebbe dire che la comunione ci si presenta come una nozione sintetica delle quattro note della Chiesa: innanzitutto, com'è ovvio, dell'unità e della cattolicità (universalità); ma anche dell'apostolicità e della santità.

Dell'apostolicità, perché la comunione ecclesiale è pure comunione con la Chiesa di tutti i tempi che, tramite la successione apostolica, è la stessa Chiesa fondata su Pietro e sugli altri Apostoli (cfr. n. 12); della santità, non solo perché la Chiesa è Comunione dei santi, ma anche e soprattutto perché la radice ultima dell'unità e della diversità è lo Spirito Santo, che riempie ed unisce tutta la Chiesa mentre distribuisce su di essa una grande varietà di doni (cfr. n. 6). Anche per questo, «il concetto di comunione [...] è molto adeguato per esprimere il nucleo profondo del Mistero della Chiesa» (n. 1). Il carattere di sintesi di unità, santità, cattolicità ed apostolicità, conferisce una speciale importanza anche pastorale alla comunione, un'importanza tale da determinare come uno dei compiti primordiali del Romano Pontefice nella Chiesa universale e del Vescovo nella Chiesa particolare la promozione non solo dell'unità ma anche della diversificazione (cfr. n. 15).

Questo aspetto della comunione ecclesiale non si esaurisce nell'unità_diversità tra le Chiese particolari e nell'esistenza, all'interno di queste, di una diversità di forme di vita e di apostolato derivate dalla legittima libertà dei singoli e da particolari carismi. Infatti, la Lettera afferma che, in questo contesto, «è necessario considerare che esistono istituzioni e comunità stabilite dall'Autorità Apostolica per peculiari compiti pastorali. Esse in quanto tali appartengono alla Chiesa universale, pur essendo i loro membri anche membri delle Chiese particolari dove vivono ed operano» (n. 16). Sono dunque espressioni particolari della Chiesa universale nelle Chiese particolari non riducibili in modo esclusivo all'una o alle altre. Dal tenore di questo passo della Lettera è ovvio il riferimento alle Prelature personali per peculiari compiti pastorali, e ad altre istituzioni stabilite dall'Autorità Apostolica per il servizio pastorale di peculiari gruppi di fedeli appartenenti a diverse Chiese particolari, come è il caso degli Ordinariati militari. La simultanea appartenenza dei fedeli a queste istituzioni ed alle Chiese particolari «trova diverse espressioni giuridiche» (n. 16), ma in ogni caso ciò «non solo non intacca l'unità della Chiesa particolare fondata nel Vescovo, bensì contribuisce a dare a quest'unità l'interiore diversificazione propria della comunione» (ibid.).

Nel contesto dell'unità-diversità nella comunione ecclesiale, la Lettera considera anche i molteplici istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, «con i quali lo Spirito Santo arricchisce il Corpo Mistico di Cristo: pur non appartenendo alla struttura gerarchica della Chiesa, appartengono alla sua vita e alla sua santità» (ibid.). La Lettera non aggiunge particolari precisazioni sull'inserimento di questi istituti e società nella Chiesa universale e nelle Chiese particolari, forse perché sono aspetti ormai molto chiari e non bisognosi di chiarificazione. Non si fa neanche riferimento esplicito ad altre importanti realtà ecclesiali sorte dall'iniziativa di fedeli (associazioni, movimenti, ecc.), le quali sono pure espressioni dell'unità_diversità nella comunione ecclesiale ed alle quali si applica ugualmente l'esigenza dell'unità attorno al Vescovo per usare l'espressione tradizionale: unità attorno al Vescovo che non limita la diversificazione ma, al contrario, la garantisce e la rende veramente ecclesiale.

Sottolineando la varietà di istituzioni che operano nella Chiesa particolare, la Lettera sottolinea la densità cattolica di essa. Tale varietà, infatti, manifesta che nella Chiesa particolare è veramente presente ed operante l'unica Chiesa di Cristo, essendo così la vita della Chiesa particolare vera immagine della Chiesa universale.

Il notevole spessore dottrinale della Lettera si manifesta pure nella chiarezza con la quale riesce ad esprimere il fatto che il carattere necessario della Chiesa particolare (vale a dire, che l'ingresso e la vita nella Chiesa universale si realizzano necessariamente in una Chiesa particolare: cfr. n. 10) non si oppone minimamente al riconoscimento e promozione di ogni legittima diversificazione. Così, tra l'altro, viene eliminato il rischio dell'impoverimento ecclesiale che rappresenterebbe il concepire l'unità come uniformità.

È parimenti da rilevare che la Lettera, dopo aver ricordato che l'edificazione e salvaguardia di quell'unità alla quale la diversificazione conferisce il carattere di comunione è compito primordiale del Papa e dei Vescovi, aggiunge che questo è «anche compito di tutti nella Chiesa, perché tutti sono chiamati a costruirla e rispettarla ogni giorno, soprattutto mediante quella carità che è il vincolo della perfezione (Col 3, 14)» (n. 15). È ovvio che non si tratta di una pia considerazione senza rilevanza ecclesiologica; anzi, la Lettera esprime con queste parole un'esigenza ecclesiale fondamentale. Specialmente dopo il Vaticano II, nel contesto dell'ecumenismo si è riflettuto molto sullo scandalo rappresentato dalla divisione tra i cristiani e sull'ostacolo che tale divisione comporta per l'opera dell'evangelizzazione. Altrettanto, e forse di più, si dovrebbe dire di fronte alle divisioni all'interno stesso della Chiesa cattolica. Non è divisione la diversificazione né la legittima autonomia di persone e istituzioni; sarebbe invece divisione, radicalmente, l'assenza di «quella carità che è vincolo della perfezione»; assenza manifestatasi già in alcune primitive comunità cristiane mediante «contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini» (2 Cor 12, 20). Al contrario, la carità che è alla radice spirituale della comunione, e nella quale tutti dobbiamo progredire costantemente nello Spirito Santo, comporta il rispetto e la comprensione degli altri, e si espande fino alla profonda gioia per la fecondità degli altri nel predicare Cristo (cfr. Fil 1, 18).

Insomma, la Lettera costituisce anche un incoraggiamento a promuovere un rinnovato modo di concepire e vivere la comunione ecclesiale, nel quale risplenda il primato dei doni di Dio sulle pur necessarie dimensioni organizzative ed amministrative.

Fernando Ocáriz

Ateneo Romano della Santa Croce

[1] Articolo pubblicato dal Prof. Mons. Fernando Ocáriz, Ordinario di Teologia fondamentale e dogmatica dell'Ateneo Romano della Santa Croce e Consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede, su "L'Osservatore Romano" del 21 giugno 1992.

Romana, n. 14, Gennaio-Giugno 1992, p. 0.

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