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Nel corso della presentazione del libro di Mons. Álvaro del Portillo “Rendere amabile la verità”, svoltasi presso l’Ateneo Romano della Santa Croce il 22-VI-1995, il Prelato dell’Opus Dei ha tenuto il seguente intervento.

«Servo buono e fedele»: così Giovanni Paolo II definì Mons. Álvaro del Portillo nel telegramma di condoglianze che mi inviò appena appresa la notizia della sua scomparsa. Sono espressioni che si addicono perfettamente alla figura del primo successore del Beato Josemaría Escrivá come Pastore dell’Opus Dei, e primo Gran Cancelliere di questo nostro Ateneo. Queste parole ci spingono oggi a rendergli l’omaggio che era nostro desidero offrirgli per le sue nozze d’oro sacerdotali.

Coloro che mi hanno preceduto hanno già delineato, in modo breve ma profondo, la ricchezza degli scritti di Mons. del Portillo, di cui oggi presentiamo una raccolta. Col mio intervento desidero riferirmi ora alla sua persona —così amabile per tutti coloro che ebbero la fortuna di conoscerlo— e alla sua opera, che fu realmente l’opera di un servo buono e fedele.

Un cammino lungo e pieno di frutti

In ogni vita umana vi sono momenti cruciali in cui si decide il futuro e si determina il successivo orientamento dell’esistenza. Per Álvaro del Portillo questo momento decisivo fu il suo incontro, nell’estate del 1935, con il Beato Josemaría Escrivá de Balaguer: scoprendo la prospettiva della santificazione e dell’apostolato in mezzo al mondo attraverso l’esercizio del lavoro professionale, secondo lo spirito dell’Opus Dei, comprese che era quello l’ideale che doveva dare pienezza a tutta la sua vita. Da quell’istante la sua esistenza non ebbe altro scopo se non, secondo un’espressione del Beato Josemaría, fare l’Opus Dei, essendo tu stesso Opus Dei: contribuire ad estendere in tutto il mondo la chiamata alla santità, alla pienezza della vita cristiana, sforzandosi di utilizzare le circostanze ordinarie e normali della quotidianità in piena e totale coerenza con quanto è richiesto dal modello supremo, che è Cristo.

Un anno più tardi, nel luglio 1936, scoppiò la guerra civile spagnola. Furono anni duri, durante i quali il Fondatore dell’Opus Dei potè rendersi conto della tempra di Álvaro del Portillo, fino al punto di giungere alla convinzione che poteva appoggiarsi su di lui in modo speciale, tenendolo al suo fianco come il collaboratore più intimo e immediato. Glielo disse, con parole al contempo poetiche ed esigenti, in una lettera che gli inviò nel marzo del 1939, in cui lo chiama saxum, roccia ferma su cui si può costruire con sicurezza: «Gesù ti custodisca, saxum. E so che lo sei. Vedo che il Signore ti presta fortezza, e rende operativa la mia parola: saxum! Ringrazialo e síigli fedele...» Due mesi più tardi, in un’altra lettera, tornò sulla medesima idea: «Saxum! Com’è bianco il cammino —lungo— che ti resta da percorrere! Bianco e pieno di frutti, come un campo maturo».

Il cammino fu veramente lungo e pieno di frutti. A partire da quel momento, gli avvenimenti si susseguirono sempre più rapidamente. La conclusione della guerra civile spagnola permise il diffondersi dell’apostolato dell’Opus Dei in diverse città della Spagna, facendo vedere ormai vicina —non appena si fosse concluso il conflitto mondiale— l’espansione in Europa e in America.

Álvaro del Portillo compie intanto con intensità gli studi di teologia necessari per l’ordinazione sacerdotale, che aveva accettato di ricevere, accogliendo la proposta rivoltagli da Mons. Escrivá: l’Opus Dei, infatti, per svolgere il proprio apostolato, deve poter contare su sacerdoti formati secondo il suo spirito. Il 25 giugno 1944 Álvaro del Portillo e altri due membri dell’Opus Dei ricevono il sacramento dell’Ordine: sono i primi di quei sacerdoti che, con il trascorrere del tempo, costituiranno il presbiterio della Prelatura.

Nel 1946 don Álvaro del Portillo è a Roma, su incarico di Mons. Josemaría Escrivá. Dopo pochi mesi anche il Fondatore dell’Opus Dei si trasferisce nella Città Eterna, dove stabilisce la propria residenza. Da questo momento entrambi divengono ancora più romani, non solo di cuore, come ogni cattolico, ma di fatto, compiendo un desiderio che il Fondatore coltivava fin dall’inizio degli anni trenta. A partire dal 1946 l’Opus Dei percorrerà alcune tappe fondamentali della sua storia: la realizzazione effettiva della diffusione dell’apostolato in Europa e in America; il conseguimento nel 1950 dell’approvazione definitiva da parte della Santa Sede; il trasferimento a Roma delle strutture centrali di governo e l’istituzione di centri di formazione per fedeli dell’Opus Dei, uomini e donne, provenienti dalle più diverse parti del mondo... Durante tutto questo periodo don Álvaro fu sempre vicino a Mons. Escrivá, e seppe compiere in maniera delicata e fedelissima il proprio ruolo di sostegno del Fondatore, rispettando sempre le modalità con cui il Fondatore dell’Opus Dei dava vita al messaggio che Dio gli aveva fatto vedere nel 1928.

Una vita di fedeltà

Nel medesimo periodo don Álvaro inizia a collaborare con diversi organismi della Santa Sede. Tutti noi conosciamo l’ampiezza di questa collaborazione che, iniziata nel 1946, e caratterizzata da una dedizione —in tempo e in energie— veramente sorprendente, si prolungherà per tutta la vita di don Álvaro. Tralasciando dunque questo impegno al servizio immediato della Sede Apostolica, mi si permetta di fare un salto nel tempo e trasferirmi al 26 giugno 1975, quando, con il cuore trafitto dal dolore, accompagnammo —anch’io ero presente— il Beato Josemaría Escrivá durante i suoi ultimi momenti.

Tre mesi dopo, il 15 settembre, Mons. Álvaro del Portillo fu eletto all’unanimità e alla prima votazione successore di Josemaría Escrivá alla guida dell’Opus Dei. Noi che facevamo parte del Congresso Generale Elettivo, eravamo perfettamente coscienti che, affidando a lui la guida dell’Opus Dei, mettevamo in buone mani l’eredità trasmessaci dal nostro Fondatore: questa certezza è stata abbondantemente confermata dai diciannove anni che sono trascorsi da quella data, con la quale l’Opus Dei iniziò a percorrere una tappa destinata a durare indefinitamente: la tappa della continuità e della fedeltà allo spirito e agli insegnamenti del Beato Josemaría.

A Mons. Álvaro del Portillo è toccato completare un processo intimamente unito alla tappa fondazionale: l’itinerario giuridico, iniziato e tracciato già dal Beato Josemaría, ma non ancora concluso nel 1975, e che si protrasse fino al 1982 e 1983 quando, con l’erezione in Prelatura, l’Opus Dei ottenne la forma canonica adeguata alla sua natura.

A lui toccò anche il compito, importantissimo e delicato, di guidare l’inizio della continuità tra il Fondatore e le generazioni successive. Mons. del Portillo ha saputo agire con ammirevole senso soprannaturale, mostrando con la sua azione di governo, le sue parole, il suo esempio, la vita intera, che cosa significhi continuità e fedeltà: non mera ripetizione materiale di gesti, parole o atteggiamenti, bensì incarnare e far vivere uno spirito nelle diverse e mutevoli circostanze storiche. I fedeli della Prelatura dell’Opus Dei, della generazione presente e di quelle future, hanno nei confronti di Mons. Álvaro del Portillo un debito di gratitudine che non si potrà mai pagare. Inoltre, in lui, nella sua risposta quotidiana e nella sua figura, troviamo un modello tangibile, vicino e indimenticabile di come deve essere la fedeltà con cui Dio si aspetta che riceviamo e viviamo lo spirito del nostro Fondatore.

La beatificazione di Josemaría Escrivá, il 17 maggio 1992, con la piazza di San Pietro colma di una moltitudine di persone delle più diverse condizioni e razze, testimonia tanto la vitalità dello spirito dell’Opus Dei quanto la fedeltà e la dedizione con cui Mons. Álvaro del Portillo ha svolto la sua missione di successore di Josemaría Escrivá come padre e pastore dell’Opus Dei. La sua ordinazione episcopale, nel gennaio del 1991, sottolineava, da un differente punto di vista, che il Prelato dell’Opus Dei è chiamato a vivere, in ragione del suo ufficio, in intima comunione con il Romano Pontefice e con il Collegio dei Vescovi, testimoniando in questo modo la piena ecclesialità dello spirito che anima il lavoro della Prelatura.

Le idee guide del suo lavoro scientifico

Nel contesto accademico in cui si pongono le mie parole, mi sembra indispensabile sottolineare ora come Mons. del Portillo non fu solo un autentico cristiano, un’anima di intensa vita interiore, un sacerdote santo, un prelato e vescovo dotato di spiccate doti di governo, ma anche un uomo di cultura, un intellettuale che ha dato apporti di singolare rilevanza alla Chiesa, alla teologia, al diritto canonico.

Il libro omaggio che vede ora la luce e che va ad aggiungersi ad opere già pubblicate e tradotte in diverse lingue, ne dà chiarissima testimonianza. Non è quindi necessario riportare dati o riferimenti bibliografici. Mi sembra invece opportuno sottolineare che tutta questa vasta produzione scientifica risponde ad una duplice ispirazione, che fluisce dall’insieme della sua esistenza, giacché in Mons. Álvaro del Portillo pensiero e vita, riflessione intellettuale e lavoro sacerdotale, impegno spirituale e apostolato non furono mai disgiunti.

La prima di queste fonti ispiratrici è costituita, senza alcun dubbio, dallo spirito dell’Opus Dei. Álvaro del Portillo, come ogni cristiano coerente, voleva che la fede illuminasse con chiarezza anche lo sviluppo dell’intelligenza. Questo desiderio trovò nuovo slancio nel 1935, dal momento che parte centrale dello spirito dell’Opus Dei è l’unità di vita, l’aspirazione ad una sintesi vitale e personale tra l’umano e il cristiano, tra il campo teologico e quello professionale, in modo che, rispettando la natura propria di ogni ambito, l’insieme dell’esistenza risponda ad una ispirazione unitaria. Álvaro del Portillo si impegnò quindi, fin dal primo momento, non solo a compiere con senso cristiano e alla presenza di Dio le proprie occupazioni professionali, ma anche ad approfondire mediante l’intelletto la fede cristiana, perché questa proiettasse la sua luce sulla sua professione e sull’insieme dei problemi con cui il lavoro e l’evolversi della società lo mettevano a contatto.

Insieme a questa prima fonte di ispirazione —lo spirito dell’Opus Dei— è necessario sottolinearne un’altra, che fu l’esperienza dell’universalità, della cattolicità della Chiesa. Su questo aspetto mi sono già soffermato nel discorso per l’inaugurazione dell’anno accademico che ora volge al suo termine. Vorrei dire soltanto che si può veramente affermare, con tutta la profondità e ricchezza del termine, che Mons. Álvaro del Portillo fu un vero uomo di Chiesa: un uomo che non solo amò la Chiesa, ma imparò a sentire con essa e in essa, cosciente del fatto che solo così si pensa con Cristo e in Cristo.

Questa duplice fonte di ispirazione e il collegamento della riflessione canonistica e teologica con la vita concreta della Chiesa e dell’Opus Dei e, pertanto, con le necessità dell’apostolato e con la prospettiva pastorale, hanno fatto sì che Mons. Álvaro del Portillo si sia occupato di questioni molto numerose e diverse. Tuttavia, nell’insieme della sua produzione intellettuale è possibile individuare tre idee guida, a cui vorrei ora riferirmi, sia pur brevemente.

Prima di tutto, il laicato: la condizione e la vocazione del cristiano comune, chiamato da Dio, in virtù del battesimo, a santificare la vita ordinaria in mezzo al mondo, e a dare testimonianza di Cristo, con la parola e l’esempio, nell’esercizio degli obblighi professionali, familiari e sociali. Gran parte degli scritti di Mons. del Portillo vertono su questo tema, a volte da una prospettiva giuridico-canonistica, altre da un’angolazione teologica o spirituale. Senza alcun dubbio è uno dei punti in cui confluiscono in modo più chiaro le due fonti di ispirazione indicate, lo spirito dell’Opus Dei, che lo porta a dare il giusto valore alla condizione laicale, e i lavori e documenti conciliari, in cui si proclama in modo netto il carattere attivo di ogni vocazione cristiana. Il volume Laici e fedeli nella Chiesa, una delle sue opere più conosciute, sviluppa tale dottrina, giungendo fino alle sue concrete implicazioni di carattere giuridico.

In secondo luogo, il sacerdozio. Anche qui la sua partecipazione all’elaborazione del decreto Presbyterorum ordinis e la sua esperienza personale di sacerdote, direttamente formato da quel grande servitore di Dio che fu il Beato Josemaría, si intrecciano e si fondono, dando luogo ad una concezione del sacerdozio come chiamata all’unione con Dio e al contempo come servizio, come identificazione sacramentale con Cristo in quanto Capo della Chiesa, e pertanto in ordine alla santificazione del Corpo. Consacrazione e missione —ripete spesso Mons. del Portillo— formano una profonda unità nell’ontologia del sacerdozio e nella vita del sacerdote: l’essere, il vivere e l’agire non sono realtà meramente giustapposte, ma intimamente compenetrate.

Infine, e in intima coerenza con le altre idee guida, l’ecclesiologia. Innestandosi nel grande rinnovamento ecclesiologico che ebbe inizio nel XIX secolo e culminò a metà del nostro, Mons. Álvaro del Portillo considerò la Chiesa come comunità viva, nata dall’amore trinitario e dotata di un intrinseco dinamismo che, sgorgando dalla presenza e dall’azione dello Spirito, la vivifica e la rende in ogni tempo testimone fedele e strumento di Cristo per la salvezza del mondo. Anche qui la sua riflessione, partendo da considerazioni di fondo, giunge fino al dettaglio, indicando o scoprendo modalità che aiutano a promuovere, accrescere e canalizzare la vitalità che caratterizza e caratterizzerà sempre la Chiesa.

Ho parlato prima della fedeltà alla Chiesa e alla propria vocazione che contraddistinse Mons. Álvaro del Portillo. Si può aggiungere che anche la nascita e lo sviluppo di questo Ateneo sono frutto dello stesso albero. Così si desume delle parole pronunciate dal nostro primo Gran Cancelliere, nell’atto di inaugurazione dell’anno accademico 1985-86: queste Facoltà «nascono come frutto della grazia di Dio e dell’orazione perseverante e fiduciosa di un grande servitore della Chiesa, l’amatissimo Servo di Dio Monsignor Escrivá de Balaguer, Fondatore dell’Opus Dei, che da molti anni —io ne sono testimone— desiderava avviare un centro superiore di scienze ecclesiastiche a Roma, nella città che è la sede di Pietro e la culla della cattolicità».

Anch’io, come Mons. del Portillo, posso dare testimonianza della speranza soprannaturale con cui il Beato Josemaría Escrivá coltivò per anni —fin dal suo arrivo a Roma— l’idea di poter contribuire, con lo slancio apostolico e il senso professionale che derivano dallo spirito dell’Opus Dei, al lavoro accademico e sacerdotale che si svolge nell’Urbe, idea che avrebbe preso corpo, alcuni decenni dopo, nell’Ateneo Romano della Santa Croce. Posso testimoniare anche l’impegno e la dedicazione con cui Mons. del Portillo, dapprima preparò, e poi sostenne, la nascita e il consolidamento di questo Ateneo. L’Ateneo Romano della Santa Croce può gloriarsi di avere per fondatori due delle personalità più insigni della Chiesa contemporanea.

Mons. Álvaro del Portillo portava nell’intimo del suo grande cuore l’Ateneo Romano della Santa Croce e adesso, dalla casa del Padre, sarà l’avvocato e l’intercessore naturale di tutti coloro che lavorano in questa istituzione accademica che egli promosse, portando a fedele compimento quel desiderio accarezzato per lunghi anni dal Beato Josemaría.

Romana, n. 20, Gennaio-Giugno 1995, p. 165-169.

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