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Relazione svolta da Mons. Alvaro del Portillo, Prelato dell'Opus Dei, nella giornata di apertura del IX Congresso Tomistico Internazionale su «S. Tommaso d'Aquino,

L'ATTUALITA' DI SAN TOMMASO D'AQUINO

NEL MAGISTERO DI GIOVANNI PAOLO II

L'opera filosofica e teologica di San Tommaso ha prestato un grandioso servizio a tutta la Chiesa. Giovanni Paolo II, in diverse occasioni[1], ha espresso la gratitudine e la riconoscenza che gli sono dovute secondo giustizia, e, come già tante volte avevano fatto i suoi predecessori, ha invitato quanti coltivano le scienze sacre ed anche altri studiosi, a volgere i propri passi sul sentiero solido e sicuro tracciato dall'Aquinate.

Già nel 1980, nell'udienza concessa ai partecipanti all'VIII Congresso Tomistico Internazionale, il Papa poteva affermare che «fin dagli inizi del mio Pontificato non ho lasciato passare occasione propizia senza richiamare l'eccelsa figura di San Tommaso, come, ad esempio, nella mia visita alla Pontificia Università "Angelicum" e all'Institut Catholique di Parigi, nell'allocuzione all'UNESCO e, in modo esplicito o implicito, nei miei incontri con i Superiori, Docenti e alunni delle Pontificie Università Gregoriana e Lateranense»[2].

Ma è giusto anche riconoscere che il Santo Padre ha sottolineato l'attualità della dottrina di San Tommaso apportando, con accenti nuovi e adeguati alle nostre circostanze culturali, un insieme di ragioni filosofiche e teologiche che rinnovano e arricchiscono la riconoscenza con cui la Chiesa ha accolto il pensiero del Dottore Angelico.

Giovanni Paolo II ha svolto tale opera con il chiaro intento di mettere in pratica le disposizioni del Vaticano II. E' quanto diceva nel 1979: «Le parole del Concilio sono chiare: nello stretto collegamento col patrimonio culturale del passato, e in particolare col pensiero di San Tommaso, i Padri hanno visto un elemento fondamentale per un'adeguata formazione del clero e della gioventù cristiana e quindi, in prospettiva, una condizione necessaria per il vagheggiato rinnovamento della Chiesa. Non è il caso che ribadisca qui la mia volontà di dare piena esecuzione alle disposizioni conciliari, dal momento che in tal senso mi sono esplicitamente pronunciato già nell'Omelia del 17 ottobre 1978, all'indomani della mia elezione alla Cattedra di Pietro e poi tante volte in seguito»[3].

Dividerò questa mia relazione in cinque sezioni: 1) Spirito di apertura e fedeltà alla voce dell'essere; 2) La fedeltà alla voce della Chiesa; 3) La filosofia dell'atto di essere; 4) Antropologia filosofica e Cristologia; 5) Il cammino ancora da percorrere.

1. Spirito di apertura e fedeltà alla voce dell'essere

Una delle caratteristiche per le quali la filosofia di San Tommaso "merita attento studio ed accettazione convinta"[4] è, secondo Giovanni Paolo II, il «suo spirito di apertura e di universalismo, caratteristiche che è difficile trovare in molte correnti del pensiero contemporaneo. Si tratta dell'apertura all'insieme della realtà in tutte le sue parti e dimensioni, senza riduzioni o particolarismi (senza assolutizzazioni di aspetti singoli), così come è richiesto dall'intelligenza in nome della verità obiettiva ed integrale, concernente la realtà»[5].

L'Aquinate manifesta nelle sue opere un atteggiamento di «grande rispetto (...) per il mondo visibile, quale opera, e quindi vestigio e immagine di Dio Creatore»[6], un «vivissimo senso di fedeltà alla verità, che può anche dirsi realismo. Fedeltà alla voce delle cose create, per costruire l'edificio della filosofia; fedeltà alla voce della Chiesa, per costruire l'edificio della teologia»[7].

Tale apertura alla realtà intera, tanto necessaria in quest'epoca in cui abbondano le visioni riduzioniste dell'uomo, «ha il suo fondamento e la sua sorgente nel fatto che la filosofia di San Tommaso è filosofia dell'essere, cioè dell'actus essendi»[8]. Questa filosofia —dice suggestivamente Giovanni Paolo II— «potrebbe essere addirittura chiamata filosofia della proclamazione dell'essere, il canto in onore dell'esistente»[9].

L'attenzione all'essere delle creature, lungi dall'allontanarci dalla realtà concreta, c'introduce in essa per contemplarla, per studiarla e per orientare il nostro agire. Secondo il Santo Padre, dallo sguardo sull'essere «la filosofia di San Tommaso deriva la sua capacità di accogliere e di 'affermare' tutto ciò che appare dinanzi all'intelletto umano (il dato di esperienza, nel senso più largo) come esistente determinato in tutta la ricchezza inesauribile del suo contenuto; essa deriva, in particolare, la sua capacità di accogliere e di affermare quell'essere, che è in grado di conoscere se stesso, di meravigliarsi in sé e soprattutto di decidere di sé, e di forgiare la propria irripetibile storia...»[10].

Con lo sguardo volto al progresso scientifico caratteristico del nostro secolo, il Santo Padre afferma che proprio a causa della fedeltà alla voce dell'essere, San Tommaso può essere considerato «un autentico pioniere del moderno realismo scientifico, che fa parlare le cose, mediante l'esperimento empirico, anche se il suo interesse si limita a farle parlare dal punto di vista filosofico. Piuttosto, c'è da domandarsi se non sia proprio il realismo filosofico che, storicamente, ha stimolato il realismo delle scienze in tutti i loro settori»[11]. Con queste parole, Giovanni Paolo II tende un ponte tra scienze e filosofia per superare le reciproche incomprensioni, andando alla radice comune a entrambi i tipi di sapere: il realismo. Il discorso razionale e scientifico che segue la "logica dell'essere" è particolarmente necessario oggi «quando da molte parti si lamenta giustamente la mancanza di comunicazione tra le varie scienze e la perdita dell'unità del sapere»[12]. Il dialogo interdisciplinare, tanto auspicato negli ambienti universitari e tanto necessario per superare la frammentazione della cultura e la sua separazione dalla Fede, trova qui un fondamento sicuro.

Entro la tematica della situazione culturale contemporanea, Giovanni Paolo II affronta un'altra questione capitale: quella della storicità dell'uomo e della cultura, che tanto incide sulla filosofia e sulla teologia attuale e cui si sono applicati tanti pensatori del nostro secolo. Non manca chi vede la teologia elaborata in armonia con la filosofia dell'essere come estranea o contraria alla storicità. Il Papa risponde a tali inquietudini affermando che il «realismo, tutt'altro che escludere il senso storico, crea le basi per la storicità del sapere, senza farlo decadere nella fragile contingenza dello storicismo, oggi largamente diffuso»[13].

Tale senso storico è evidente nell'Aquinate, che, pur affermando che c'è una sola Sapienza assoluta, ammette che esistono molti sapienti che ne partecipano[14]. La Verità somma che rifulge nel creato viene ricevuta nella mente umana in gradi diversi e in modo limitato. Perciò, "dopo aver dato la precedenza alla voce delle cose, San Tommaso si mette in rispettoso ascolto di quanto hanno detto e dicono i filosofi, per darne una valutazione, mettendosi a confronto con la realtà concreta. Ut videatur quid veritatis sit in singulis opinionibus et in quo deficiant. Omnes enim opiniones secundum quid aliquid verum dicunt (I Dist., 23, q. 1, a. 3)"[15]. Di ciò, con sensibilità vivamente attuale, il Papa trova un'applicazione sempre valida e oggi quanto mai necessaria nella ricerca scientifica, affermando che «questa presenza di verità, sia pure parziale e imperfetta e talora distorta, è un ponte, che unisce ogni uomo agli altri uomini e rende possibile l'intesa, quando c'è buona volontà»[16].

Giovanni Paolo II ama evidenziare che San Tommaso «ha sempre prestato rispettoso ascolto a tutti gli autori, anche quando non poteva condividerne interamente le opinioni; anche quando si trattava di autori precristiani o non cristiani, come ad esempio gli arabi commentatori dei filosofi greci»[17]. Ne pone altresì in rilievo l'«ottimismo umano» quando, di fronte al linguaggio oscuro e imperfetto dei primi pensatori greci, guarda più alla loro intenzione che al tenore letterale delle espressioni linguistiche[18]. Il medesimo atteggiamento del Dottore Angelico si manifesta nello studio dei grandi Padri e dei Dottori della Chiesa: «egli cerca sempre di trovare l'accordo, più nella pienezza di verità che posseggono come cristiani, che nel modo, diverso dal suo, con cui si esprimono»[19]. Tutto ciò naturalmente non gli impediva «di essere schiettamente critico, ogni volta che sentiva di doverlo fare, e lo fece coraggiosamente in molti casi»[20].

Per la capacità di accogliere quanto di vero si trova in qualsiasi dottrina, il pensiero di San Tommaso costituisce un elemento di unione, mai di divisione, e possiede una «profonda 'ecclesialità'» che lo rende «libero da ristrettezze, caducità e chiusure, ed estremamente aperto e disponibile a un indefinito progresso, tale da assimilare ogni nuovo autentico valore emergente nella storia di qualunque cultura»[21]: «ogni comprensione della realtà —che effettivamente rispecchi questa realtà— ha pieno diritto di cittadinanza nella "filosofia dell'essere"»[22], indipendentemente da chi l'abbia proposta. Di qui Giovanni Paolo II trae la conclusione che «le altre correnti filosofiche, per tanto, se le si guardi da questo punto di vista, possono, anzi debbono essere considerate come alleate naturali della filosofia di San Tommaso, e come partners degni di attenzione e di rispetto nel dialogo che si svolge al cospetto della realtà»[23].

Le considerazioni ricordate inducono Giovanni Paolo II a concedere a San Tommaso il nuovo titolo di Doctor Humanitatis, che costituisce il tema centrale di questo congresso: «Questo metodo realistico e storico, fondamentalmente ottimistico e aperto, fa di San Tommaso non soltanto il Doctor Communis Ecclesiae, come lo chiama Paolo VI, nella sua bella Lettera Lumen Ecclesiae, ma il Doctor Humanitatis, perché sempre pronto e disponibile a recepire i valori umani di tutte le culture»[24].

2. La fedeltà alla voce della Chiesa

E' questo un filo conduttore delle lodi indirizzate a San Tommaso dai Romani Pontefici per circa sette secoli. Anche Giovanni Paolo II vi si ricollega con nuovi accenti, adeguati alle circostanze attuali.

A proposito di tale fedeltà la prima caratteristica evidenziata dal Papa è «quella di aver professato un pieno ossequio della mente e del cuore alla divina Rivelazione (...). Quanto sarebbe proficuo alla Chiesa di Dio —prosegue Giovanni Paolo II— che anche oggi tutti i filosofi e i teologi cattolici imitassero il sublime esempio dato dal Doctor communis Ecclesiae!»[25].

L'Aquinate professò inoltre per tutta la vita una «sincera e totale adesione (...) nei confronti del Magistero della Chiesa»[26], una «fedeltà alla voce della Chiesa»[27], che si riflette anche nella sua affermazione: «Magis standum est auctoritati Ecclesiae... quam cuiuscumque Doctoris»[28]. Il Santo Padre, commentando la frase citata, osserva che «qui l'autorità della dottrina dell'Aquinate si risolve e si rifonde nell'autorità della dottrina della Chiesa. Ecco perché la Chiesa l'ha proposto come esemplare modello della ricerca teologica». E aggiunge che l'atteggiamento di San Tommaso, che antepone la voce della Chiesa universale alla voce dei Dottori e alla propria voce, quasi anticipa l'affermazione del Concili Vaticano II: «La totalità dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo non può sbagliarsi nel credere»[29]. «Quando sia il Romano Pontefice sia il corpo dei Vescovi con lui definiscono un punto di dottrina, lo fanno secondo la stessa Rivelazione, cui tutti devono stare e conformarsi»[30]. Orbene, il Dottore Angelico —prosegue Giovanni Paolo II— non limitò «l'ossequio della sua mente al solo Magistero solenne ed infallibile dei Concili e dei Sommi Pontefici»[31]. E ancora il cuore del Papa si trasfonde in queste parole: «Fatto questo edificantissimo, e degno anche oggi di essere imitato da quanti desiderano conformarsi alla Costituzione dogmatica Lumen gentium (cfr. n. 25)»[32].

Un'altra conseguenza della fedeltà di San Tommaso alla voce della Chiesa è stata «l'aver egli posto i principii di valore universale, che reggono il rapporto tra ragione e fede»[33]. Di fronte ai ripetuti tentativi di sostenere una presunta incompatibilità tra fede e scienza, l'armoniosa dottrina dell'Aquinate sulla convergenza d'entrambe ha costituito un chiaro punto di riferimento, specialmente nel Concilio Vaticano I che trattò la questione de fide et ratione di fronte «alle correnti filosofiche e teologiche inquinate dal dominante razionalismo»[34].

Nella dottrina del Dottore Angelico c'è un meraviglioso equilibrio tra fede e ragione, che si distinguono e allo stesso tempo convergono. «Ricerca filosofica e ricerca teologica sono due diverse direzioni di marcia dell'unica verità, destinate a incontrarsi, non a scontrarsi, sulla medesima via, per aiutarsi. Così la ragione illuminata, irrobustita, garantita dalla fede diviene una fedele compagna della fede stessa e la fede allarga immensamente l'orizzonte limitato della ragione umana. Su questo punto —esclama Giovanni Paolo II— San Tommaso è davvero un maestro illuminante»[35]. Ne è riprova il fatto che il Papa abbia voluto ricordare in uno dei discorsi che stiamo commentando il n. 10 della Dichiarazione Gravissimum educationis, che recita: «(...) indagando accuratamente le nuove questioni e ricerche poste dall'età che si evolve, si colga più chiaramente come Fede e Ragione si incontrino nell'unica verità, secondo le orme dei Dottori della Chiesa, specialmente di San Tommaso d'Aquino»[36].

L'armonia e la collaborazione tra sapere filosofico e teologico non elimina le differenze tra i due. Con grande equilibrio e realismo Giovanni Paolo II ricorda che mentre la fede gode della sicurezza assoluta dell'autorità divina, «anche la migliore filosofia, quella di stile tomista, che Paolo VI ha così bene definito come 'filosofia naturale della mente umana', docile ad ascoltare e fedele nell'esprimere la verità delle cose, è sempre condizionata dai limiti dell'intelligenza e del linguaggio umano»[37].

C'è una differenza di metodo e di fondamento, ma, avverte il Papa, anche la filosofia deve elevare l'uomo verso Dio: «Per Sant'Agostino, verus philosophus est amator Dei (De Civitate Dei, VIII, 1: PL 41, 225). San Tommaso, riecheggiandolo, dice, in altre parole, la stessa cosa: Fere totius philosophiae consideratio ad Dei cognitionem ordinatur (Contra Gentiles, I, 4, n. 23)»[38]. In tale filosofia sono inseparabili l'amore della verità e del bene. Giovanni Paolo II vuole respingere la falsa immagine di San Tommaso come «freddo intellettualista», mentre egli in realtà «risolve lo stesso conoscere in amore del vero, quando pone come principio di ogni conoscenza: verum est bonum intellectus (Ethic., I, lect. 12, n. 139). Dunque l'intelletto è fatto per il vero e lo ama come suo bene connaturale. E poiché l'intelletto non si sazia di nessun vero parziale conquistato, ma tende sempre oltre, l'intelletto tende oltre ogni vero particolare ed è naturalmente proteso al Vero Totale e Assoluto che, in concreto, non può essere altri che Dio (...). Tutta la filosofia e la teologia di San Tommaso non sono situate fuori, ma dentro il celebre aforisma agostiniano: fecisti nos ad te; et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te (Confessiones, I, 1)»[39]. Se ci riferiamo alla teologia, allora l'Aquinate «si trasforma, non meno che San Bonaventura e San Bernardo, in un cantore del primato della carità»[40].

Il Papa ricorda che «prima che metodologia tecnica di un maestro, la sua è stata la metodologia del santo, che vive in pienezza il Vangelo, nel quale la carità è tutto (...). Il gigantesco sforzo intellettuale di questo maestro del pensiero fu stimolato, sostenuto, orientato da un cuore ricolmo di amore per Dio e per il prossimo. Per ardorem caritatis datur cognitio veritatis (In Io. Ev., XV, 6). Sono parole emblematiche che lasciano intravvedere, dietro il pensatore capace dei voli speculativi più arditi, il mistico abituato ad attingere direttamente alla fonte stessa di ogni verità la risposta alle invocazioni più profonde dello spirito umano. Non confessò, del resto, egli stesso di non aver scritto né mai dato lezioni senza prima ricorrere alla preghiera?»[41].

3. La filosofia dell'atto di essere

Inevitabilmente, abbiamo già fatto alcuni riferimenti alla filosofia di San Tommaso. Vorremmo ora evidenziare come Giovanni Paolo II, conoscendo gli approfondimenti compiuti specialmente in questo secolo da insigni studiosi, abbia caratterizzato la filosofia dell'Aquinate come «filosofia dell'essere, cioè dell'actus essendi»[42], indicando in tal modo il nucleo del suo pensiero.

Nell'affermazione dell'essere, il Papa vede l'«autogiustificazione metodologica» della filosofia di San Tommaso come «disciplina irriducibile a qualsiasi altra scienza»[43], e insieme il fondamento del posto peculiare ch'essa occupa nell'intero campo delle scienze, che consiste nel «trascenderle tutte ponendosi nei loro confronti come autonoma ed insieme come di esse completiva in senso sostanziale»[44].

Anche la contemplazione dell'essere si rivela oggi vivamente necessaria, dal momento che il valore trascendentale dell'essere «è la via più diretta per assurgere alla conoscenza dell'Essere sussistente e Atto puro, che è Dio»[45]. Di qui la filosofia di San Tommaso deriva «la possibilità ed insieme l'esigenza di oltrepassare tutto ciò che ci è offerto direttamente dalla conoscenza in quanto esistente (il dato di esperienza) per raggiungere l'ipsum Esse subsistens ed insieme l'Amore creatore, nel quale trova la sua spiegazione ultima (e perciò necessaria) il fatto che potius est esse quam non esse ed, in particolare, il fatto che esistiamo noi...»[46]. Con ciò questa filosofia risponde adeguatamente all'interrogativo metafisico contemporaneo formulato nella domanda: perché l'essere e non piuttosto il nulla?

La via metafisica verso Dio si rivela particolarmente adatta per raggiungere Dio proprio come creatore, poiché, come dice il Dottore Angelico: «Ipsum enim esse est communissimus effectus, primus et intimior omnibus aliis effectibus; et ideo soli Deo competit secundum virtutem propriam talis effectus (De Potentia, q. 3, a. 7 c)»[47].

La medesima metafisica ci offre nell'«analogia trascendentale dell'essere il criterio metodologico per formulare le proposizioni circa l'intera realtà, ivi compreso l'Assoluto. E' difficile —sottolinea il Papa— sopravvalutare l'importanza metodologica di questa scoperta per l'indagine filosofica, come, del resto, anche per la conoscenza umana in generale»[48].

Dopo tale sintetica e profonda caratterizzazione della filosofia dell'Aquinate Giovanni Paolo II conclude che «è superfluo sottolineare quanto debba a questa filosofia la stessa teologia, non essendo null'altro che fides quaerens intellectum o intellectus fidei. Neppure la teologia, quindi, potrà rinunciare alla filosofia di San Tommaso»[49].

E' noto che la necessità di usare una filosofia adeguata come strumento per l'approfondimento teologico della Rivelazione era stata già oggetto dell'interesse e dello studio del Papa, particolarmente nel campo della morale, prima dell'elezione alla cattedra di Pietro. In una delle proprie visite alle parrocchie dell'Urbe, la stessa convinzione lo portava ad affermare, rivolgendosi a sacerdoti e religiosi, che «il nostro tempo esige prima di tutto profonde convinzioni filosofiche e teologiche». «Molti naufragi nella fede e nella vita consacrata, passati e recenti, e molte situazioni attuali di angustia e di perplessità hanno all'origine una crisi di natura filosofica. Bisogna curare con estrema serietà la propria formazione culturale. Il Concilio Vaticano II ha insistito sulla necessità di ritenere sempre San Tommaso d'Aquino come maestro e dottore, perché solo alla luce o sulla base della "filosofia perenne", si può fondare l'edificio così logico ed esigente della Dottrina cristiana»[50].

4. Antropologia filosofica e Cristologia

Forte del bagaglio intellettuale proprio di chi ha dedicato molti anni e numerose pubblicazioni ad argomenti di antropologia ed etica, in diversi discorsi Giovanni Paolo II indica un altro importante motivo dell'attualità di San Tommaso: «il suo altissimo senso dell'uomo, tam nobilis creatura (Contra Gentiles, IV, 1, n. 3337)»[51]. Il Papa si compiace nel riferire diverse espressioni felici dell'Aquinate, che ne rivelano la concezione dell'uomo: la persona è detta «perfectissimum in tota natura»[52]; l'uomo è paragonato «al "mare", in quanto raccoglie, unifica ed eleva in sé tutto il mondo infraumano, come il mare raccoglie tutte le acque dei fiumi che vi si immettono»[53]; o ancora l'uomo viene definito «come l'orizzonte del creato, nel quale si congiungono il cielo e la terra; come vincolo del tempo e dell'eternità; come sintesi del creato»[54].

A modo di riassunto Giovanni Paolo II spiega: «Il suo vivissimo senso dell'uomo non viene mai meno in tutte le sue opere. Negli ultimi tempi della sua vita, iniziando il trattato dell'Incarnazione nella Terza Parte della Summa Theologiae, ispirandosi sempre a Sant'Agostino, afferma che solo assumendo la natura umana, il Verbo poteva mostrare quanta sit dignitas humanae naturae ne eam inquinemus peccando (S. Th., III, q. 1, a. 2). E subito dopo aggiunge: incarnandosi e assumendo la natura umana Dio poté dimostrare quam excelsum locum inter creaturas habeat humana natura (Ibid.)»[55].

Già in queste parole è chiaramente suggerita la stretta relazione tra la Cristologia e la visione filosofica dell'uomo propria di San Tommaso. Tenendo conto dell'affermazione della Costituzione Gaudium et spes, n. 22, secondo la quale solo Cristo «svela pienamente l'uomo all'uomo», Giovanni Paolo II si chiede: «Non è forse la Cristologia il fondamento e la prima condizione per l'elaborazione di una antropologia più completa, secondo le esigenze dei nostri tempi?»[56]. Questa è la ragione della particolare profondità dell'Aquinate nella sua dottrina sull'uomo. Il Papa afferma: «L'antropologia tomistica trova il suo culmine e la sua ispirazione teologica di fondo nel trattato sull'Umanità di Cristo. L'analisi e l'interpretazione di questo sublime mistero di salvezza portò il Dottore Angelico ad affinare e ad approfondire mirabilmente ed insuperabilmente le nozioni della sua antropologia, che sono venute così a rendere uno straordinario servizio anche nel campo puramente razionale dell'ordine umano e naturale»[57].

Ovviamente esiste anche una relazione stretta nell'altro senso, dal momento che l'antropologia filosofica di San Tommaso è un «raffinato strumento d'indagine», che «può rivelarsi anche oggi utilissimo nel proporre i contorni validi di un'autentica Cristologia, criticandone le deformazioni»[58]. Indubbiamente le circostanze attuali della teologia rendono auspicabile tale studio antropologico.

Scendendo a un piano più concreto, Giovanni Paolo II rileva come il Dottore Angelico abbia illuminato, con l'aiuto della propria speculazione cristologica, diversi problemi concernenti l'uomo: «la sua natura creata ad immagine e somiglianza di Dio, la sua personalità degna di rispetto fin dal primo istante del concepimento, il destino soprannaturale dell'uomo nella visione beata di Dio Uno e Trino»[59].

Nell'esporre sinteticamente l'antropologia di San Tommaso, il Papa distingue due aspetti: «la dottrina della natura umana come "unità di anima e di corpo" spiega, nel Dottore Comune, l'intelligibilità dell'essere umano e della sua storia», mentre «la dottrina della persona ci orienta in modo speciale dal punto di vista etico e di quello che è il cammino concreto dell'uomo nel piano della creazione e della salvezza cristiana»[60]. Non si tratta di aspetti indipendenti. Anzi, «l'antropologia di San Tommaso —afferma Giovanni Paolo II— unisce sempre strettamente la considerazione della "natura" e quella della "persona", in modo tale che la natura fonda i valori oggettivi della persona, e questa dà un significato di concretezza ai valori universali della natura»[61].

Per quanto riguarda la persona, il Papa loda la filosofia dell'uomo di San Tommaso, perché esprime, «sulla base dell'esperienza e soprattutto degli insegnamenti della Rivelazione, una spiccata sensibilità —tanto cara ai moderni— per la condizione concreta, storica della persona umana, per la sua —diremmo oggi— "situazione esistenziale" di creatura ferita dal peccato e redenta dal Sangue di Cristo; per l'originalità e la dignità della singola persona; per il suo aspetto dinamico e morale; per la "fenomenologia", insomma —diremmo ancora con un vocabolo del nostro tempo— dell'esistenza umana»[62].

Secondo Giovanni Paolo II la stima del Dottore Angelico per la realtà personale è radicata nella sua metafisica, in cui «la massima perfezione è data dall'essere inteso come "atto di essere" (esse ut actus). Ora, la persona, ancor più della "natura" e dell'"essenza", mediante l'atto di essere che la fa sussistere, s'innalza appunto al vertice della perfezione dell'essere e della realtà, e quindi del bene e del valore»[63].

Come vediamo, il Santo Padre lascia spazio alla fenomenologia dell'esistenza umana, ma come strada verso la visione metafisica dell'uomo. Nel 1980 una Lettera del Cardinale Segretario di Stato così esprimeva il pensiero del Pontefice: «La prima parola sull'uomo è offerta dalla scienza —la fenomenologia antropologica precede l'antropologia filosofica— come concreto punto di partenza, ma l'ultima parola resta riservata alla metafisica, la quale, mentre riceve dalle discipline scientifiche un più depurato dato di base, offre ad esse un inquadramento sintetico ed integrativo, aprendole alla prospettiva dei valori e dei fini»[64].

Nella dottrina dell'Aquinate, Giovanni Paolo II trova «una definizione precisa e sempre valida di ciò in cui consiste la sostanziale grandezza dell'uomo: Ipse est sibi providens (Contra Gentiles III, 81). L'uomo è padrone di se stesso, può provvedere a sé e progettare il proprio destino»[65]. La scelta di questa visione della persona come essere libero rivela anche in questo caso una sensibilità del Santo Padre per i problemi attuali tra i quali spicca quello del senso della libertà. Forse proprio per risolvere i paradossi della libertà nella cultura contemporanea, Giovanni Paolo II aggiunge che, considerato in se stesso, il fatto di essere padrone di sé «non decide ancora della grandezza dell'uomo e non garantisce la pienezza della sua autorealizzazione personale. Decisivo è solamente il fatto che l'uomo si sottometta nel suo agire alla verità, che egli non determina ma scopre soltanto nella natura, datagli insieme con l'essere» (...). «Il Concilio Vaticano II, qualificando questa autoprovvidenza dell'uomo sub ratione veri col nome di ministero regale (munus regale), attinge nella sua profondità questa intuizione»[66].

Quanto alla natura dell'uomo, Giovanni Paolo II afferma che la medesima esigenza, viva oggi nella cultura e rafforzata dall'insegnamento biblico, «di evitare un'antropologia "dualista", tale da opporre, in modo quasi ostile, l'anima al corpo» era sentita già da San Tommaso e ha fatto sì che egli «abbia tralasciato nella sua antropologia metafisica (ed insieme teologica) la concezione filosofica di Platone sul rapporto tra l'anima e il corpo e si sia avvicinato alla concezione di Aristotele»[67].

Il Santo Padre ricorda che il Dottore Angelico, d'accordo con gli allora recenti insegnamenti del Concilio Lateranense IV, che avevano presentato la natura umana "quasi communem ex spiritu et corpore constitutam"[68], insegna la «distinzione reale ed essenziale tra anima e corpo», ma nello stesso tempo sostiene che «uno solo è il suo essere: Unum esse substantiae intellectualis et materiae corporalis (Contra Gentiles, II, c. 68). Unum esse formae et materiae dove l'anima è "forma" e il corpo "materia" (Ibid.)»[69]. Con la sua dottrina dell'anima spirituale come «forma sostanziale» del corpo, San Tommaso «risolse l'arduo problema di un rapporto che salvasse da una parte la distinzione delle componenti essenziali e dall'altra l'unità dell'essere personale dell'uomo»[70]. Questa dottrina venne ribadita nel Concilio ecumenico di Vienne e nel Lateranense V, «per restare poi patrimonio della fede cattolica»[71]. Infatti il Papa ricorda che «la dottrina antropologica come 'unità di anima e di corpo' è stata ripresa dal Concilio Vaticano II, il quale pertanto può trovare nel pensiero del Dottore Angelico un interprete particolarmente appropriato»[72].

Per completare la presente, sintetica esposizione dell'antropologia tomista, aggiungiamo che in essa il Papa vede soddisfatta l'esigenza di «dar fondamento e giustificazione ai più alti valori della persona —oggi così spesso invocati—, quali il valore della coscienza morale, dei diritti inalienabili, della giustizia, della libertà e della pace: insomma, tutto ciò che concorre a chiarire il vero bene dell'uomo redento da Cristo perché riconquistasse la dignità perduta e raggiungesse la condizione di figlio di Dio»[73].

5. Il cammino ancora da percorrere

San Tommaso «ha segnato una via, che può e deve essere portata avanti e aggiornata, senza tradirne lo spirito e i principi di fondo, ma tenendo anche conto delle conquiste scientifiche moderne»[74]. Queste brevi riflessioni hanno cercato di riassumere l'orientamento generale proposto da Giovanni Paolo II per progredire oggi nello studio della filosofia e della teologia sulla strada aperta da San Tommaso.

La spinta impressa dal Papa mi richiama alla memoria —con riconoscenza filiale— la richiesta che il Servo di Dio Mons. Escrivá rivolgeva ai suoi figli nell'Opus Dei: di seguire fedelmente, senza per questo formare una scuola filosofica o teologica peculiare, le indicazioni della Chiesa su San Tommaso nello studio e nell'insegnamento. In concreto, egli ribadiva la necessità di «coltivare la dottrina del Dottore Angelico, nel medesimo modo in cui egli stesso la coltiverebbe oggi se fosse in vita»[75].

Il Romano Pontefice invita a mantenere «lo sguardo attento ai segni dei tempi, alle esigenze di maggiore organicità e penetrazione, secondo le direttive del Vaticano II (cfr. Optatam totius, n. 16; Gravissimum educationis, n. 10), ed alle correnti di pensiero del mondo contemporaneo»[76]. Si potrà così cogliere e conservare l'anima «universale e perenne del pensiero tomistico, e farla rivivere oggi in un dialogo ed in un confronto costruttivo con le culture contemporanee, sì da poterne assumere i valori, confutandone gli errori»[77]. Lo stesso indirizzo viene additato in modo particolare per quello che riguarda la dignità dell'essere umano; sul tema, San Tommaso ha detto l'essenziale, ma «rimane ancora molto da indagare in questo campo, con l'aiuto delle riflessioni stesse offerte dalle correnti filosofiche contemporanee»[78].

Ovviamente, si tratta di un lavoro che richiede uno studio svolto in modo serio e sereno, che distingua bene il livello della ricerca da quello dell'insegnamento, anche a seconda dei diversi gradi di quest'ultimo. Il Papa, infatti, ricorda che «il Decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius, prima di parlare della necessità di tener conto nell'insegnamento delle correnti filosofiche moderne, specialmente "di quelle che esercitano maggior influsso nella propria nazione", esige che "le discipline filosofiche si insegnino in maniera che gli alunni siano anzi tutto guidati all'acquisto di una solida e armonica conoscenza dell'uomo, del mondo e di Dio, basandosi sul patrimonio filosofico perennemente valido" (cfr. n. 15)»[79]. D'altra parte, il Santo Padre propone di stabilire un rapporto di collaborazione tra la filosofia e la scienza: «Il vero progresso della scienza non può mai contraddire la filosofia, come la filosofia non può mai contraddire la fede (...). La luce non può venir oscurata, ma solo potenziata dalla luce. La scienza e la filosofia possono e debbono mutuamente collaborare purché l'una e l'altra rimangano fedeli al proprio metodo. La filosofia può illuminare la scienza e liberarla dai suoi limiti, come, a sua volta, la scienza può proiettare nuova luce sulla stessa filosofia ed aprirle nuove vie»[80]. Vorrei concludere con le parole d'incoraggiamento pronunciate da Giovanni Paolo II in occasione della chiusura del Congresso Tomistico Internazionale di dieci anni fa: «Vi esorto —egli diceva— a continuare, con grande impegno e serietà, a realizzare le finalità della vostra Accademia; che sia un centro vivo, pulsante, moderno, in cui il metodo e la dottrina dell'Aquinate siano posti in continuo contatto e in sereno dialogo con i complessi fermenti della cultura contemporanea, nella quale viviamo e siamo immersi»[81].

Alvaro del Portillo

[1] Ricordiamo, tra l'altro, la visita resa dal Santo Padre all'"Angelicum", il 17_XI_1979, per commemorare il Centenario dell'Enciclica Aeterni Patris, l'Udienza concessa il 13_IX_1980 ai partecipanti all'VIII Congresso Tomistico Internazionale, l'Udienza concessa al Comitato promotore dell'Index thomisticus il 28_III_1981 e l'Udienza concessa il 4_I_1986 ai partecipanti al Congresso internazionale sulla dottrina di San Tommaso sull'anima, organizzato dalla "Società Internazionale Tommaso d'Aquino".

[2] Giovanni Paolo II, Discorso, 13_IX_1980, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III,2 (1980), p. 605.

[3] Discorso, 17_XI_1979, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II,2 (1979), p. 1183.

[4] Ibid.

[5] Ibid., pp. 1183_1184.

[6] Ibid., p. 1181.

[7] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 607.

[8] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1184.

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] Discorso, 13_III_1980, cit., p. 607.

[12] Discorso, 28_III_1981, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IV,1 (1981), p. 797.

[13] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 607.

[14] Cfr. San Tommaso, Super Iob, I, lect. 1, n. 33.

[15] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 607.

[16] Ibid., p. 608.

[17] Ibid.

[18] Cfr. Ibid.

[19] Ibid.

[20] Ibid.

[21] Discorso, 4_I_1986, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX,1 (1986), p. 23.

[22] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1185.

[23] Ibid., pp. 1185_1186.

[24] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 609.

[25] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1180.

[26] Ibid., p. 1181.

[27] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 609.

[28] S. Th., II_II, q. 10, a. 12.

[29] Lumen gentium, n. 12.

[30] Lumen gentium, n. 25.

[31] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1181.

[32] Ibid.

[33] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 610.

[34] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1179.

[35] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 610.

[36] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1183.

[37] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 611.

[38] Ibid.

[39] Ibid., pp. 611_612.

[40] Ibid., p. 612.

[41] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1188.

[42] Ibid., p. 1184.

[43] Ibid.

[44] Ibid.

[45] Ibid.

[46] Ibid., pp. 1184_1185.

[47] Cfr. Ibid., p. 1185.

[48] Ibid.

[49] Ibid.

[50] Discorso, 28_X_1979, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II,2 (1979), pp. 995_996.

[51] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 612.

[52] S. Th., I, q. 29, a. 3.

[53] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 612.

[54] Ibid.

[55] Ibid., pp. 612_613.

[56] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 24.

[57] Discorso, 4_I_1986, cit., p. 24.

[58] Ibid.

[59] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1187.

[60] Discorso, 4_I_1986, cit., pp. 22_23.

[61] Ibid., p. 23.

[62] Ibid., p. 22.

[63] Ibid.

[64] Messaggio, 5_IX_1980, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III,2 (1980), p. 544.

[65] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1187.

[66] Ibid.

[67] Discorso, 4_I_1986, cit., p. 21.

[68] DS 800.

[69] Discorso, 4_I_1986, cit., p. 21.

[70] Ibid., p. 22.

[71] Ibid.

[72] Ibid.

[73] Ibid., p. 23.

[74] Ibid., p. 23.

[75] Josemaría Escrivá, Lettera, 9_I_1951, n. 22.

[76] Discorso, 13_IX_1980, cit., p. 613.

[77] Discorso, 4_I_1986, cit., p. 23_24.

[78] Discorso, 17_XI_1979, cit., p. 1184.

[79] Ibid., pp. 1182_1183.

[80] Discorso, 13_IX_1980, cit., pp. 613_614.

[81] Ibid., pp. 615.

Romana, n. 11, Luglio-Dicembre 1990, p. 222-233.

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