Intervista sul quotidiano Avvenire, Italia (13-XII-2021)
– Monsignor Ocáriz, la spiritualità dell’Opus Dei consiste nello scoprire – e nel far scoprire – i «cammini divini della terra», secondo l’espressione di san Josemaría Escrivá. Nella società di oggi, per dove passano questi cammini?
«Tutti i cammini, le strade della terra, sono divini nella misura in cui li scopriamo come vie che ci portano al Signore. Se contempliamo questo mondo con gli occhi di chi si sa figlio di un Padre amorevole, che ci ha messo quaggiù per amarlo e per amare gli altri, per seminare pace e gioia, allora la vita ordinaria assume un colore completamente diverso. La nostra esistenza diventa un’avventura d’amore: possiamo incontrare Dio in mezzo alle cose più normali.
«Nel Vangelo ci sono tanti riferimenti ai “cammini”. Penso a quello che portava da Gerusalemme a Gerico. Il buon Samaritano scoprì Dio nel pover’uomo che giaceva accanto al cammino. Tutti possiamo scoprire il Signore nel volto degli altri, nei doveri familiari e sociali, nell’adempiere le cose più piccole, se le facciamo con amore».
– Nel libro A la luz del Evangeliolei condivide con i lettori i suoi appunti personali per la preghiera e la predicazione, raccolti sin dal 1977. Perché ha pensato di pubblicarli?
«Ho accettato la richiesta dell’editore di dare ad alcuni di questi appunti una forma più “sistematica” con il desiderio che, con l’aiuto di Dio, favorisca nei lettori la ricerca di un contatto diretto con Gesù a partire dalla contemplazione e dalla preghiera che, come diceva san Josemaría in Cammino, “non è mai un monologo”».
– Come si conquista la confidenza con le parole di Gesù? Il suo libro è tutto un invito al dialogo personale…
«È utile certamente cercare di leggere il Vangelo con amore. Anche se leggiamo soltanto poche parole, sono un dono di Dio, è un modo che Egli ha scelto per starci vicino e continuare a parlarci. Poi, insieme all’amore, è bene che ci sia anche un po’ di continuità, proprio come nei rapporti umani: l’amicizia cresce attraverso la consuetudine con gli altri. Mi viene in mente un articolo che pubblicò l’allora cardinale Ratzinger in occasione della canonizzazione di san Josemaría. Il futuro Benedetto XVI scriveva che la santità consiste nel “parlare con Dio come si parla con un amico”. La lettura del Vangelo con amore e perseveranza ci permette di diventare amici del Signore».
– Come può il Vangelo ispirare oggi i laici assorbiti da una vita spesso così impegnativa da non lasciar quasi respirare?
«È proprio il Vangelo che può darci un respiro, che può insegnarci a vivere con la pace di Cristo in mezzo a una vita tanto impegnativa. Coltivando l’amicizia con Gesù possiamo imparare a vivere il presente con amore, amando la realtà che il Signore ci dona. Non c’è situazione umana che non possa essere illuminata dall’amicizia di Gesù che si può coltivare grazie al Vangelo. Inoltre, ognuno trova sempre il tempo per le cose che gli interessano. Se siamo veramente interessati alla nostra vita spirituale, troveremo gli spazi necessari per una lettura pausata e contemplativa, dalla quale possiamo attingere le forze per affrontare con pace e serenità le sfide di ogni giornata».
– La sua meditazione è sempre centrata sulla persona di Gesù: come possiamo trovarlo nella vita di tutti i giorni?
«San Josemaría, a volte, prima di iniziare un lavoro, si rivolgeva così al Signore: “Gesù, facciamo questa cosa io e Te assieme”. Questo è un bell’atto di fede che ci consente di renderci conto che in realtà Egli è veramente accanto a noi. E così semplice... Oltre a questo, possiamo anche seminare lungo la giornata momenti dedicati al dialogo con Gesù. E possiamo anche trovarlo nelle persone con cui entriamo in contatto per motivi familiari, di lavoro o altro. Questa non è semplicemente una tecnica per fare del bene: Gesù stesso ci ha detto che Lui è veramente presente nelle persone che stanno accanto a noi. Così avremo il nostro cuore aperto ai bisogni degli altri. Alla fine, e con la grazia di Dio, è possibile fare in modo che la giornata diventi un dialogo con il Signore».
– La “santità in mezzo al mondo”, così caratteristica del messaggio dell’Opus Dei, può sembrare quasi una pretesa, un proposito nobile ma un po’ esagerato. È davvero possibile?
«È possibile, e c’è l’esempio di tanti santi e sante laici dei secoli XX e XXI. Per cercarla è necessario conoscere almeno in qualche misura le dinamiche del tempo in cui viviamo, le potenzialità, i limiti e le ingiustizie, anche gravi, che lo tormentano. Ma soprattutto è necessaria la nostra unione personale con Gesù, lasciarci amare da Lui nei sacramenti e nella preghiera. Questa “pretesa” è già patrimonio di tutta la Chiesa. San Paolo VI disse che il messaggio centrale del Concilio Vaticano II è la chiamata universale alla santità. Papa Francesco ha recentemente dedicato una esortazione apostolica, Gaudete et exsultate, proprio alla chiamata dei laici alla santità nel mondo contemporaneo».
– I giovani (ma anche gli adulti...) sono immersi in un clima culturale che sembra equiparare ogni scelta. Come aiutarli oggi a scoprire i valori cristiani che danno fondamento alla vita?
«Più che di “valori cristiani” preferirei parlare della persona di Gesù come fondamento della vita dei giovani... e ovviamente di tutti quanti. Il cristianesimo non è principalmente un insieme di princìpi morali, né un sistema di valori. Consiste innanzitutto nell’innamorarsi di Gesù, Cammino, Verità e Vita. Tutti – giovani e non – vogliamo essere felici. Tutte le scelte che facciamo, in fondo, si spiegano con l’idea che ci renderanno felici e così potremo contribuire alla felicità degli altri (famiglia, amici...). Tante volte sbagliamo, ma possiamo sempre tornare sulla buona strada. Scoprire che Gesù sazia ogni desiderio di felicità è la grande sfida che abbiamo noi cristiani. Mostrare, con le nostre vite e le nostre parole, che Gesù è l’unico che può appagare la sete di bene, di verità, di bellezza che tutti – e in modo particolare i giovani – sentono nel loro cuore. È una bella sfida pastorale».
– In questo tempo di faticosa e incerta ripresa, in tante parrocchie si osserva una contrazione delle presenze, tra le conseguenze della pandemia. Come riavvicinare chi per qualunque motivo fatica a “tornare”?
«Papa Francesco ha indicato più volte che servono comunità dove ci si vuole bene e che convertono per attrazione, più che per piani organizzati. Un aspetto fondamentale per essere attraenti è curare l’unità, cioè puntare ad avere “un cuore solo e un’anima sola”.
«Come conseguenza dell’amore, questa unità si chiama comunione ed è effettivamente attraente, anche perché è un’unità nella diversità. D’altra parte, si tratta di curare la vera amicizia, chiedendo a Gesù di poter guardare tutte le persone con il suo sguardo d’amore».
Romana, n. 73, Luglio-Dicembre 2021, p. 201-203.