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Guadalupe Ortiz de Landázuri, una cittadina del suo tempo. La santificazione del lavoro attraverso le sue lettere a san Josemaría

Adelaida Sagarra Gamazo

Ordinario di Storia dell’America

Lo scorso 18 maggio Guadalupe Ortiz de Landázuri è stata beatificata a Madrid. È il primo membro laico dell’Opus Dei proposto dalla Chiesa come intercessore ed esempio di santità per tutti i cristiani. Questo studio tenta di accostarsi alla personalità della beata per capire fino a che punto si è identificata con il messaggio di san Josemaría sulla santificazione del lavoro. A questo scopo viene inquadrato il tema della chiamata alla santità nel lavoro professionale; sono descritte le fonti storiche per conoscere la vita di Guadalupe Ortiz de Landázuri e si studia come la concezione della santificazione del lavoro è rispecchiata dalle sue lettere a san Josemaría. In altre parole, questa corrispondenza è analizzata come fonte storica a partire da alcune nozioni teologiche per mostrare come la sua vita incarna la vocazione alla santità nell’attività professionale.

La donna e l’uomo sono un progetto divino[1].

Le due creature, immaginate per vivere liberamente in perfetta armonia con Dio, ricevettero una missione — siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela — che includeva come dono la vocazione al lavoro[2] in quanto modalità di relazione con Dio e con gli altri. Creati a immagine di Dio Uno e Trino, erano chiamati ad aiutarsi nell’essere, a vedere l’altro come qualcuno che merita di essere amato e a dedicarsi con creatività alla trasformazione di ciò che era stato creato attorno a loro per il bene comune con libera iniziativa personale. Dopo il peccato originale quest’ordine fu spezzato; il lavoro cominciò a essere percepito più come un castigo che come una possibilità di realizzazione personale o di contributo sociale. In alcuni casi si trasformò in una forma di dominio più che di servizio. Però qui non si tratta di analizzare la storia della percezione sociale, filosofica o teologica del lavoro in generale[3], ma di considerare il lavoro come dono ricevuto da Guadalupe in un momento determinato, attraverso una vocazione specifica alla santità nell’Opus Dei e come risposta d’amore, nel grande e nel piccolo, all’amore personale di Dio[4].

Il 2 ottobre 1928, data di fondazione dell’Opus Dei, all’orizzonte della storia riappariva con chiarezza la chiamata universale alla santità che, a poco a poco, era stata dimenticata dagli stessi cristiani. Il carattere divino del messaggio ricevuto e la sua forza trasformante, percepiti nitidamente dal giovane sacerdote Josemaría Escrivá, lo spinsero a inginocchiarsi, grato e con lo spirito pronto[5]. Aveva compreso la specificità della sua vocazione all’interno del sacerdozio[6]: divulgare l’invito universale a essere santi in mezzo al mondo attraverso il lavoro e il compimento dei doveri ordinari. Ciascuno liberamente e fedelmente, nel suo ambiente, nella sua famiglia, nella situazione in cui si trova. Non si trattava di una chiamata all’eccellenza, e ancor meno al perfezionismo, ma alla santità.

1. Un invito universale: essere santi lavorando in mezzo al mondo

Nel vasto studio citato, Burkhart e López disegnano il contesto in cui accostarsi al concetto di santificazione del lavoro, di sé stessi mediante il lavoro e degli altri con il lavoro. In tal modo la storia dell’uomo acquista il suo significato più profondo confluendo nella storia della salvezza, che Dio realizza ricapitolando in Cristo gli atti liberi degli uomini. Per Sanguineti si tratta di un progetto aperto: «Dio stesso vuole provocare la nostra libertà, il nostro lavoro, i nostri sforzi, creando per noi un ambito di azzardo, di rischio e di incertezza, che dà una peculiare consistenza alla nostra vita sulla terra, di fronte a Dio e agli uomini»[7].

Il cristiano deve vivere la vita di Cristo nell’oggi della storia. Nella misura in cui il processo di secolarizzazione si è impiantato nelle società avanzate come surrogato di modernità e il cristianesimo è stato presentato come negazione del progresso, la necessità di contribuire alla storia della salvezza realizzando la salvezza della storia è sempre più grande[8]. Quest’ultima consiste nel perfezionamento del mondo, nella promozione del progresso temporale, mettendo in relazione l’impegno vocazionale del cristiano con il bene comune, a partire dalla libera elezione del bene. Cristo salva la storia con la collaborazione dei cristiani. A ogni modo, ciò che redime è l’amore di Dio con cui si lavora, non il successo, i riconoscimenti o l’efficacia. Il Regno di Dio non è «uno stato migliore delle cose nel mondo, ma uno stato migliore dei cuori»[9]. Come scrive María Aparecida Ferrari, «santificarsi vuol dire unirsi a Dio, cooperare con la grazia che arricchisce l’uomo e trasforma il mondo»[10].

Ci rendono naturalmente idonei a dare questo contributo l’esercizio del lavoro professionale o la formazione professionale ricevuta, anche quando operiamo in un campo diverso o diversamente orientato. Esistono infatti altri ambiti — gli obblighi familiari, di cittadinanza e di solidarietà, il lavoro domestico e persino gli hobby — che ci impegnano ed entrano nel circuito di beni invisibili che costituiscono l’economia della salvezza; in genere, tuttavia, ogni individuo è riconosciuto o identificato come lavoratore. Gesù di Nazaret era conosciuto come il figlio del carpentiere o dell’artigiano, come Rabbì o come il profeta di Galilea[11].

San Josemaría riteneva che santificare un’attività significasse trasformarla in preghiera; ciò vale per il lavoro e gli obblighi quotidiani quando nascono dall’amore[12]. Il lavoro redento e redentore configura qualsiasi attività come dono di Dio. Inoltre incentiva la dimensione creativa della vita umana, fa maturare la personalità e colloca ogni persona in un ambiente ben preciso. Lì ogni cristiano è presente per diritto proprio, non è né un invasore né un intruso ma un collega, un compagno; contribuisce alla creazione di un «noi». Grazie a questa presenza giustificata e distintiva, la salvezza della storia attraverso il lavoro consiste nel mettere Cristo al vertice di tale attività con una decisione totalmente libera e personale, con amore appassionato al mondo, con mentalità laicale e anima sacerdotale.

Nel 1930 — quando Guadalupe era ancora una studentessa liceale all’Instituto Miguel de Cervantes, ben lontana da questa spiritualità che avrebbe segnato la sua esistenza — Josemaría Escrivá seppe che Dio voleva nell’Opus Dei anche le donne, per santificare il loro lavoro e insegnare a molte altre a santificarlo.

2. Guadalupe Ortiz de Landázuri (1916-1975). Bibliografia e fonti documentali per conoscerla

Agli inizi del XX secolo la grande maggioranza delle donne che svolgevano un’attività remunerata lavorava manualmente o in occupazioni che rappresentavano una proiezione sociale della cura per la famiglia: maestre, infermiere, modiste. Quelle che lavoravano senza essere remunerate si dedicavano alle attività domestiche nel proprio ambito familiare. Altre, che non avevano la necessità materiale di sostenere la famiglia, si dedicavano alla vita familiare, alle relazioni sociali, alla beneficenza e all’ozio colto, all’autodidattismo, oppure alle organizzazioni politiche e di rivendicazione dei diritti civili. Comunque, questa realtà stava cambiando. Nel 1872 si era immatricolata ai corsi universitari la prima donna spagnola e alla fine del secolo erano già quarantaquattro. Il Reale Ordine del 16 marzo 1910 aprì in Spagna le porte dell’università a tutte le donne che volessero iscriversi. Guadalupe Ortiz de Landázuri si immatricolò nella Facoltà di Chimica della Università Centrale di Madrid nel 1933 perché voleva dedicarsi alla ricerca e alla docenza, il che rivela le sue predisposizioni scientifiche e intellettuali.

Cominceremo con l’esporre solo la sua vita di lavoro: laureata in Scienze Chimiche, fu docente in alcuni centri pubblici e privati; diresse le attività domestiche in una residenza universitaria di Bilbao; fu direttrice di Zurbarán[13], la prima residenza per studentesse universitarie gestita da donne dell’Opus Dei a Madrid, e al tempo stesso lavorava nell’Assessorato Regionale[14]. Tra il 1950 e il 1956 visse in Messico. Con Manolita Ortiz ed Ester Ciancas aprì una residenza universitaria, Copenhagen, a Città del Messico. Promosse iniziative educative per indigene e contadine, come Montefalco[15]. Nel 1956 lavorò nell’Assessorato Centrale a Roma[16]. La sua salute precaria la obbligò a ritornare a Madrid, dove riprese la ricerca e la docenza. Ottenne il dottorato con Piedad de la Cierva[17], su «I refrattari isolanti ottenuti dalle ceneri della pula del riso», tesi che discusse nel 1965. Per questo lavoro ricevette il Premio Juan de la Cierva per la ricerca insieme a Piedad de la Cierva e Antonia Muñoz, nel cui progetto si era inserita. Collaborò alla creazione di una Facoltà di Scienze Domestiche a Madrid[18].

Un lettore di questo schematico riepilogo della sua attività professionale, senza alcuna conoscenza della spiritualità dell’Opus Dei, potrebbe immaginare Guadalupe come uno spirito nervoso, poco sedentario, propenso a moltiplicare le proprie attività, bisognoso di cambiare ambiente, con un percorso di vita zigzagante, singolare per l’epoca in cui visse, e un ritorno tardivo alla ricerca, alla docenza e al dottorato. Guadalupe Ortiz de Landázuri potrebbe sembrare uno spirito frammentario. Nulla di più contrario alla realtà costitutiva della vocazione, che non consiste nel fare, ma nell’essere e nell’amare stabilmente. Invece, chi ne conosce le motivazioni e fino a che punto lo spirito dell’Opus Dei vivificò l’esistenza di Guadalupe può scoprire in essa alcune virtù: disponibilità, servizio, abnegazione, capacità di apprendimento, responsabilità, laboriosità, iniziativa, mentalità aperta, sensibilità. In altre parole, unità di vita, coerenza che, per amore di Dio, converte tutta l’ampia gamma delle azioni possibili in adesione al suo amore.

Guadalupe Ortiz de Landázuri non era un’anima dispersa, soggetta alla discontinuità, ma un’anima innamorata, con un permanente amore di comunione. Questa concezione della vocazione come realtà che unifica tutti gli aspetti della vita e dà loro senso è presente nel nucleo degli insegnamenti di san Josemaría: «La vocazione accende in noi una luce che ci fa riconoscere il senso della nostra esistenza. La vocazione ci convince, con la luminosità della fede, del perché della nostra realtà terrena. Tutta la nostra vita, quella presente, quella passata e quella che verrà, acquista un nuovo rilievo, una profondità mai prima immaginata. Tutti gli eventi e tutte le circostanze occupano ora il loro vero posto: comprendiamo dove il Signore vuole condurci e ci sentiamo come trascinati da questa missione che Egli ci affida»[19].

Non c’è dubbio che per poter intuire la profonda personalità di questa donna, dobbiamo sapere qualcosa di più. La bibliografia su Guadalupe Ortiz de Landázuri include opere di varia natura che nascono da diverse prospettive: quella giornalistica, quella storica, ecc. La prima biografia pubblicata è di Mercedes Eguíbar Galarza[20], che poi ha pubblicato una versione più sintetica e divulgativa[21]. In opuscolo è stato pubblicato un altro studio di Amparo Catret e Mar Sánchez[22]. Cristina Abad[23] e Mercedes Montero[24] presentano Guadalupe in due libri recenti. Guadalupe appare nell’edizione a stampa del Diccionario Biográfico Español, in un articolo di Brocos Fernández[25]; in Ecclesia[26] e nel Diccionario de San Josemaría[27]. Un suo breve profilo, scritto scritto dal prof. Martín de la Hoz in un articolo sulle cause di canonizzazione di alcuni membri dell'Opus Dei[28].

Questo insieme di studi ha essenzialmente le stesse fonti: i fondi esistenti nell’Archivio Generale della Prelatura della Santa Croce e Opus Dei — documenti sulla e della stessa Guadalupe, di suo fratello Eduardo e di sua cognata Laura Busca Otaegui —, testimonianze scritte per la sua causa di beatificazione da quelli che l’hanno conosciuta in Spagna, in Messico e a Roma; interviste fatte da Mercedes Eguíbar, ricordi di famigliari o di altre persone, come Margarita Murillo[29]. Eguíbar Galarza indica altre fonti: giornali, bollettini ufficiali, documenti militari o accademici conservati in diversi archivi, ecc. Non si tratta di analizzare l’origine delle informazioni, ma di far presente che quello che ci viene raccontato si riferisce a Guadalupe vista dall’esterno.

3. Lettere a un santo. A proposito del lavoro

Se però Guadalupe Ortiz de Landázuri ricevette la vocazione a santificare il lavoro ed è stata beatificata, è perché lo ha santificato e si è santificata in esso. Per sapere in che modo, non sono sufficienti le descrizioni sommarie ed esterne, ma occorre andare alle fonti su Ortiz de Landázuri attraverso la sua intimità. Questa possibilità ci è stata data da María del Rincón e da María Teresa Escobar; o meglio, da san Josemaría e dalla stessa Guadalupe attraverso le lettere che costei gli ha scritto e che si conservano nell’Archivio Generale della Prelatura a Roma[30]. María del Rincón e María Teresa Escobar hanno pubblicato una scelta di frammenti dell’epistolario che Guadalupe scrisse a Josemaría Escrivá — al Padre — nel corso degli anni. Si contano 350 lettere tra il 19 marzo 1944 e il 22 giugno 1975[31]. In esse vediamo Guadalupe dal di dentro. Lo spiegava lei stessa a san Josemaría: «Vorrei migliorare ogni giorno di più [...] in ciò che tutti vedono e che serve di stimolo agli altri e in ciò che solo vedono Dio e le mie direttrici e lei, perché per me è una gioia che esse e mio Padre mi conoscano tanto bene come il Signore»[32].

La disposizione di queste citazioni parziali è cronologica, per esigenze di metodologia storica e perché sia possibile osservare la crescita interiore di Guadalupe. Però occorre riprendere alcune idee esposte all’inizio prima di avvicinarci, con delicatezza, alla sua intimità rivelata in queste lettere che non erano destinate a noi. L’uomo e la donna creati come progetto divino, a immagine e somiglianza di Dio Uno e Trino, sono individui relazionali. Qualunque aspetto di ciò che siamo e facciamo si può trasformare in una liberazione dalla concentrazione su sé stessi e in una gioiosa accettazione della condizione relazionale. Il significato umano del lavoro rende possibile la creazione dell’alterità propria del bene comune. Il significato cristiano esalta questa dimensione, in quanto il lavoro è materia di santificazione perché ci mette in una relazione di comunione con Dio e con gli altri attraverso la disposizione personale, e non la materialità dell’occupazione in sé stessa. Tale relazione implica due realtà profonde che si coniugano alla prima persona singolare: amore e libertà.

Guadalupe aveva chiesto l’ammissione all’Opus Dei il 19 marzo 1944. A quell’epoca insegnava in due scuole. Poco dopo andò ad abitare in Via Jorge Manrique, nel primo Centro femminile a Madrid, e dunque nel mondo. Le piaceva lavorare nella duplice veste di insegnante e di ricercatrice. Ben presto capì che nella famiglia soprannaturale della quale faceva parte c’era bisogno della sua capacità di dedicarsi ai lavori di casa, quelli stessi che aveva visto svolgere a sua madre, Eulogia Fernández de Heredia, a casa sua. A quel punto Guadalupe abbandonò la sua zona di confort per affrontare un’attività di cui non aveva esperienza e per la quale non era particolarmente portata (proprio il contrario delle altre due, che lasciò). Comunque concepisce questo come un modo libero di amare e servire. Scriveva al Padre: «Ora sono incaricata della biancheria e della pulizia, cose che non avevo mai fatto. In molte cose sono assai maldestra, e sono così sciocca che spesso, senza avere nessuna esperienza, dico la mia con una sicurezza persino fastidiosa; lo faccio senza rendermene ben conto ma poi lo capisco e mi correggo»[33]. Imparò, riconobbe la propria inesperienza e superò i piccoli insuccessi.

Da Madrid si trasferì a Bilbao per svolgere lo stesso lavoro e dirigere l’amministrazione domestica di una residenza di studenti universitari: «Padre, che gioia dirle eccomi, ora a dirigere e domani all’ultimo posto, sempre contenta perché servo il Signore»[34]. In questo breve testo appare una sequenza piuttosto interessante: la gioia come conseguenza di lavorare dove occorre per servire, senza ambire a un ruolo speciale. I compiti non erano semplici, ma Ortiz de Landázuri non temeva gli errori, che non sono un insuccesso ma un tentativo. Così poteva scrivere: «Continuo a essere un vero disastro; l’altro giorno, nel preparare alcuni purificatoi mi sono confusa e ho tirato male i fili (poi si è potuto rimediare, però la sventatezza c’è stata)»[35]. Ovviamente, raccontava queste cose al Padre perché voleva essere trasparente non nella materialità della disavventura ma nella mancanza di attenzione o dedizione al lavoro: «Cucio in modo piuttosto maldestro, perché non ci metto tutta la testa e voglio correre»[36].

Poco dopo, di nuovo a Madrid, come direttrice della Residenza Zurbarán e membro dell’Assessorato, prendeva la netta risoluzione di lavorare unita al Padre al servizio della volontà di Dio; gliene scriveva in questi termini: «Tutto quello che Dio mi ha dato (salute, gioia, ecc.) vorrei spenderlo unicamente lavorando molto, molto [...]. So solo che, dove lei vorrà, sono disposta a obbedire, a pensare e a lavorare al massimo delle mie capacità»[37]. Evidentemente, quel «dove lei vorrà» andava oltre il vincolo filiale-soprannaturale con il fondatore; non si tratta di richieste arbitrarie da parte sua, ma di una triplice confluenza di volontà: di Dio, di san Josemaría e di Guadalupe, in questo caso. Inoltre si individua un’altra sequenza chiave: obbedire-riflettere-lavorare o libertà-intelligenza-volontà di servizio al massimo delle capacità, «molto, molto... tutto». Cresceva progressivamente nella conoscenza di sé; per esempio, scriveva: «Mi accorgo che è proprio allora che mi sto conoscendo veramente come il Signore mi vede [...]. Padre, preghi molto per me e per tutte queste cose: che quest’anno la Residenza si riempia e che siano ragazze in gamba! [...]. Che le ragazze che stiamo seguendo si decidano, e potrebbero essere sante!»[38].

Che la dedizione di Guadalupe Ortiz de Landázuri alla Residenza non fosse dovuta a rassegnazione o rinuncia, ma fosse una priorità scelta per amore della famiglia si intravede in questa breve confidenza filiale: «Che finisca adesso il dottorato, benché studi molto poco!»[39]. Non aveva abbandonato il suo progetto di concludere il dottorato; lo ottenne vent’anni dopo aver scritto queste parole. Il suo poco studio, d’altra parte, non è dovuto all’indolenza ma all’eccesso di altre attività. Quasi un anno dopo, scrive di nuovo: «Sto facendo la tesi nei momenti liberi (che sono pochi), però se Dio vuole la finirò in ottobre… Devo andare in laboratorio; anche lì ci sono ragazze con cui fare apostolato, così approfitto anche di quel poco tempo quando vado. Preghi per loro»[40]. Non smetteva di evangelizzare, di imparare e migliorare nel suo lavoro di direttrice della Residenza Zurbarán: «Penso che stiamo facendo esperienza nella gestione della Residenza e molte delle difficoltà di quest’anno accademico si stanno sistemando. Prendiamo nota di tutto»[41]. Non perdeva la pace perché non trovava tempo per il lavoro di ricerca ed era veramente felice di fare con la stessa intenzione e intensità altre cose: «Padre, già stiamo avendo la casa un po’ più organizzata. In questi giorni mi sono occupata dell’amministrazione (domestica), sono stata in cucina e me la sono goduta molto, era tanto tempo che non lo facevo... da Bilbao. Padre, ora sono sicura che non m’importa assolutamente niente dirigere o obbedire e occuparmi di qualsiasi cosa»[42].

Peraltro, le cose non erano così semplici, ma la sincerità di Guadalupe davanti a Dio riconduceva alla normalità le situazioni, quando lo sforzo, la dispersione o quel che c’era da fare avevano intaccato la sua vita di orazione. Scriveva: «Questi giorni ho mancato molto nel compimento delle norme di pietà, con il cambio di casa e di lavoro mi sono confusa molto, ma faccio propositi perché non mi succeda più»[43]. Un anno e mezzo dopo, già in Messico, esprimeva di nuovo la sua libera decisione di dedicarsi al lavoro, alla pietà, alla vita di famiglia e all’apostolato: «Ho tanto desiderio di servirlo, materialmente, lavorando per tutto quello di cui il mio corpo sia capace [...]; e spiritualmente, donandomi totalmente e aiutando le mie sorelle e tutte le persone che frequento, perché diano il massimo!»[44].

Tre anni dopo c’erano già tre centri dell’Opus Dei a Città del Messico e uno a Monterrey, con il conseguente accumulo di lavoro. Ne riferiva al fondatore in questi termini: «Abbiamo passato alcuni mesi terribili perché nello stesso periodo abbiamo fatto il trasloco delle tre case di Città del Messico e di quella di Monterrey: sembravamo matte. [...] Da quando abbiamo l’oratorio, tutto procede meglio [...]»[45]. Il lavoro e l’influsso dell’Eucaristia sembrano dare una nota positiva di santificazione e serenità al di sopra della sensazione di saturazione e di confusione. D’altra parte, appaiono alcuni segnali di un processo di distacco dal lavoro in senso positivo: sapere di essere e rendersi prescindibile fa parte della moderazione. È un atteggiamento che dimostra che l’attività professionale non è un’affermazione personale o una proprietà territoriale. Guadalupe Ortiz de Landázuri lo precisava così: «Sto assegnando a ognuna i suoi incarichi. [...] Io mi sono riservata la formazione delle nostre [...] e i problemi economici (perché ancora non ho chi me li risolva)»[46]. Liberamente conferma le capacità altrui, conferendo loro alcune responsabilità e riservando a sé il lavoro più difficile o meno gradevole.

Affrontava le difficoltà quotidiane con un certo distacco: «È molto difficile, dato che finora ho portato io avanti un po’ tutto — direzione delle nostre, amministrazione delle case, apostolato, ecc. —, togliermi di mezzo. Sono disposta ad arrivarci»[47]. Non sono parole vuote, perché lo chiede con franchezza: «Padre, sono già molti anni che comando[48]; non sarebbe bene cominciare a fare da piedi? Però già sa che qui, o dove mi metta, sarò contenta di servire Dio nell’Opera»[49]. Distacco, gioia, servizio, volontà di Dio attraverso la decisione soprannaturale del Padre. «Finora ho chiesto e mi sono sforzata di conseguire le virtù imprescindibili in casa (pietà, lavoro, allegria, apostolato, spirito di sacrificio, ecc.), ed è anche quello che ho chiesto e cercato per tutte»[50].

Nel 1956 Josemaría Escrivá chiamò a Roma Guadalupe Ortiz de Landázuri per far parte dell’Assessorato Centrale: il suo modo di fare da piedi era continuare a fare da testa. Ma una grave cardiopatia, latente dall’adolescenza, si manifestò apertamente nel suo secondo anno romano, il 1958, mettendo a rischio la sua vita. Si ritenne opportuno che tornasse a Madrid per essere operata. Superò la crisi, si riprese e tornò all’insegnamento e alla ricerca, mentre ribadiva al Padre che era sempre disponibile per qualsiasi cosa fosse necessaria: «Io mi sento molto forte, Padre, e penso che dove mi hanno cucito non mi rompo più, sicché mi carichi, ché l’asinello serve a questo»[51].

Al tempo stesso racconta al Padre: «Mi piace molto insegnare ed è impressionante quanto bene si può fare»[52]; o anche: «Godo lo stesso moltissimo nelle lezioni di Filosofia, che seguo come alunna, che in quelle di Fisica e Chimica che faccio come professoressa (nel mio lavoro professionale)»[53]. Per la fiducia che intercorre, Guadalupe sa che può esprimere tutto il suo entusiasmo, perché ciò non impedisce che il Padre, in caso di necessità, le chieda di dedicarsi ad altro. Per esempio, il 30 dicembre 1964 scrisse: «Se le cose procedono come sembra, molto presto presenterò la tesi (me la segue Piedad de La Cierva). [...] Se escono concorsi per l’Insegnamento Professionale, dove ora sono docente, sono disposta a presentarmi, e anche a lasciare tutto quando me lo dicano [...]»[54].

I progressi professionali che raccontava al Padre hanno un volto concreto, quello delle persone che può aiutare a conoscere la vita cristiana o a migliorarla: «Mi dà un grande entusiasmo l’apostolato che si può fare lì — adesso ci sono circa 1.000 alunne, dai 12 ai 20 o più anni —, e ancora non sono cominciate alcune specializzazioni»[55]. In ogni caso, qualunque lavoro fatto con amore di Dio, liberamente e il meglio possibile, porta santità e contribuisce alla salvezza della storia. Ripete di nuovo a san Josemaría ciò che definiva la sua vita: «Lavoro, faccio apostolato e prego meglio che posso. Voglio farlo meglio e, se lei si ricorda di raccomandarmi, forse ci riuscirò»[56]. Lo stesso giorno in cui discusse la tesi, scrisse: «Padre, in queste pagine c’è il riassunto di molte ore di lavoro. Pochi momenti fa è stato qualificato “cum laude” e desidero subito metterlo nelle sue mani, con tutto quello che sono e che ho, perché serva»[57]. Due anni dopo, in una lunga lettera, raccontava le sue vicissitudini nei diversi concorsi ai quali si era presentata, vincendo alla fine quello per l’Insegnamento Professionale, per rimanere a Madrid nella Scuola Professionale Industriale Femminile. A un certo punto di un’altra lettera scriveva: «Voglio solo dirle che, come tutto il resto, questa nuova fase del mio lavoro professionale è nelle sue mani... (non mi lega nulla, grazie a Dio)»[58].

Non è una donna fissata sul suo lavoro, tutt’altro: «Io, Padre, ho molta voglia di servire in questo nuovo lavoro: la Facoltà di Scienze Domestiche [...]. Ho fatto lezione ai due gruppi e ci ho messo tutte le mie capacità di insegnante. È una nuova gioia, di cui devo ringraziare Dio e lei, che il mio lavoro professionale possa essere utile in questo lavoro di Casa così amato: l’amministrazione domestica»[59]. O anche: «Sono contenta, prego, seguo molta gente e studio, oltre a fare lezione»[60]. Due anni dopo conserva le stesse disposizioni, come si ricava da queste affermazioni: «Voglio occuparmi molto e bene delle mie sorelle, dell’apostolato e della casa. Anche sul lavoro ho vari obiettivi: fare un passo avanti nella cattedra di Insegnamento Professionale Statale, e la possibilità di un premio di ricerca con la pubblicazione di un libro sui Tessili... tutto incentrato sulle Scienze Domestiche»[61].

Nel 1974, dopo aver vinto la cattedra, il ministero e il collegio dei professori le proposero di essere lei la direttrice dell’Istituto. Spiegava al Padre che aveva evitato di essere nominata: «Veramente non me lo aspettavo; piuttosto pensavo di non essere gradita e che la mia influenza nell’insieme fosse nulla. Ho ritenuto di dover rinunciare. Sarebbe potuto essere un bellissimo lavoro (con più di mille alunne tra i 15 e i 25 anni). Se fosse capitato qualche anno fa! Adesso sarebbe stato troppo per la mia resistenza fisica»[62]. Guadalupe, che aveva rinunciato a diverse occasioni professionali per dedicarsi alla sua famiglia, l’Opus Dei, notava ora il logoramento fisico e non accettò l’incarico. Non aveva bisogno di questa affermazione personale; la sua aspirazione era di livello.

Guadalupe rimaneva sempre nella prospettiva della relazione lavoro-anime-storia della salvezza: «Preghi molto, Padre, per me e per questa casa, perché tutte [...] diamo il massimo, non ci manchi mai generosità e io sappia tenere in mano la bacchetta[63] e aiutarle. Voglio pregare per tutte le intenzioni che la preoccupano: la Chiesa, la dottrina, i sacerdoti, e farlo bene, essendo allegra e dando buon esempio»[64]. Guadalupe Ortiz de Landázuri santificò la sua malattia con questo stesso spirito: lavorare — in uno dei suoi ricoveri ospedalieri faceva esperimenti di smacchiatura chimica di tessuti nel lavandino della sua camera —, pregare e offrire la propria vita, collaborando così alla storia della salvezza.

4. A proposito di Guadalupe. Conclusioni

Che significato ha oggi la beatificazione di Guadalupe Ortiz de Landázuri? Come possono intenderla gli uomini e le donne di buona volontà e intellettualmente onesti, quale che sia il loro lavoro, siano o meno credenti? Per un verso, viviamo in tempi di disorientamento, in cui si cerca di racchiudere la vita reale in un costrutto ideologico definito da questioni superate: la post-modernità, la post-verità e il transumanesimo sono teoricamente le sue grandi conquiste. Però le ideologie sono sistemi chiusi che di solito non cercano uno sbocco verso la realtà, perché se lo trovassero, probabilmente, non potrebbero sopportarlo senza crollare. Tempi di disorientamento, ma non disorientanti: la Verità non muta, perché è immutabile. E anche se nessuno la riconoscesse — e non è questo il caso —, continuerebbe a offrirsi a tutti nell’essere delle cose, universalmente comprensibile da coloro che la cercano. Infatti, il pensiero realista, personalista, umanista, continua a cercare di trovare risposte profonde alle preoccupazioni della gente comune. Quando è stata beatificata, Guadalupe Ortiz de Landázuri è stata riconosciuta felice. Forse questa è la chiave in virtù della quale gli uomini e le donne di questi nostri anni vertiginosi e meravigliosi possono intendere la beatificazione: tutti vogliamo essere felici.

Quelli che devono cambiare siamo noi cittadini, nel contribuire al bene comune, che passa dalla conoscenza della verità, mediante il lavoro. Il pittore che dipinge, il macellaio che taglia o la docente che insegna stanno apportando una vitalità reale al corso delle vicende umane e, se sono cristiani, collaborano inoltre alla Storia della Salvezza attraverso la Salvezza della Storia. All’inizio di questo articolo dicevo che Guadalupe Ortiz de Landázuri potrebbe sembrare uno spirito frammentario. Niente di più contrario alla realtà della vocazione cristiana, che non consiste nel fare, ma nell’essere e nell’amare stabilmente, anche quando si lavora. Guadalupe non è stata un’anima dispersa ma un’anima innamorata, di un amore di comunione. Per questo è stata beatificata il 18 maggio scorso a Madrid. Perciò è riconoscibile in queste parole di san Giovanni Paolo II, tratte dalla Lettera alle Donne: «Grazie a te, donna-lavoratrice, impegnata in tutti gli ambiti della vita sociale, economica, culturale, artistica, politica, per l’indispensabile contributo che dai alla elaborazione di una cultura capace di coniugare ragione e sentimento, a una concezione della vita sempre aperta al senso del “mistero”, alla edificazione di strutture economiche e politiche più ricche di umanità»[65].

[1] Cfr. San Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 1988, n. 6.

[2] Ernst Burkhart - Javier López, Vita quotidiana e santità nell’insegnamento di san Josemaría. Studio di teologia spirituale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2019. Nel vol. 3, sez. VII, par. 1.4 La santificazione delle realtà temporali, sono esposti gli insegnamenti teologici di san Josemaría necessari per comprendere che la vocazione al lavoro è un dono di Dio.

[3] La produzione filosofica, storica e teologica sul tema è molto ampia. Serva come punto di partenza la voce «Trabajo, santificación del», scritta da Illanes sintetizzando la visione di Josemaría e con un primo repertorio bibliografico, in José Luis Illanes (coord.), Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Instituto Histórico San Josemaría Escrivá de Balaguer - Editorial Monte Carmelo, Burgos 2013, pp. 1202-1210.

[4] La spiritualità dell’Opus Dei considera materia di santificazione il lavoro e gli obblighi ordinari, comuni a tutti i cristiani.

[5] Josemaría Escrivá stava facendo gli esercizi spirituali a Madrid. Pregava da più di dieci anni perché Dio gli facesse vedere che cosa voleva da lui; la sua reazione, quando ne fu consapevole, fu di umiltà e gratitudine.

[6] San Josemaría spiegava che era diventato sacerdote senza sapere il perché, vale a dire, intuiva che Dio gli riservava un destino preciso — unito alla sua vocazione sacerdotale — diverso dall’essere il «prete» o dedicarsi alla carriera ecclesiastica.

[7] Juan José Sanguineti, «La libertad en el centro del mensaje del Beato Josemaría Escrivá», in AA.VV., La grandezza della vita quotidiana, Pontificia Università della Santa Croce, vol. III (a cura di Antonio Malo), La dignità della persona umana, Pontificia Università della Santa Croce, 2013, pp. 81-99 (v. p. 95). Il corsivo è mio.

[8] Cfr. Ernst Burkhart - Javier López, op. cit., vol. I, pp. 165-178. So bene di aver fatto una selezione riduttiva di argomenti altrui per questo breve articolo.

[9] Ernst Burkhart - Javier López, op. cit., vol. I, p. 174.

[10] María A. Ferrari, «Parole e immagini», in María A. Ferrari (a cura di), Lavoro e santità. Colloquio con mons. Fernando Ocáriz sull’insegnamento di san Josemaría Escrivá, Edusc, Roma 2018.

[11] In un recente articolo, intitolato «Nota storica e teologica sulla santificazione del lavoro», il prof. Javier López Diaz segnala alcuni laici che hanno risposto alla chiamata alla santificazione del lavoro e per i quali è in corso il processo di beatificazione, e li identifica mediante la loro professione: Guadalupe Ortiz de Landázuri, docente di chimica; Isidoro Zorzano, ingegnere; la studentessa Montserrat Grases; l’ingegnere svizzero Toni Zweifel o i coniugi Tomás e Paquita Alvira. Cfr. María A. Ferrari (a cura di), Trabajo y santidad. Coloquio con monseñor Fernando Ocáriz, pp. 13-46, Rialp, Madrid. Si tratta dell’edizione spagnola del 2019 di Lavoro e santità. Colloquio con mons. Fernando Ocáriz sull’insegnamento di san Josemaría Escrivá, Edusc, Roma 2018.

[12] Cfr. Ernst Burkhart - Javier López, op. cit., vol. 3, p. 53.

[13] I Collegi Universitari spagnoli, Colegios Mayores, sono stati luoghi di riferimento della cultura di quel tempo. A questa tradizione si ispira la Residenza Universitaria Zurbarán dal 1947, data in cui comincia a svolgere la sua attività. Zurbarán è una iniziativa delle donne dell’Opus Dei. Mercedes Montero Díaz, “Los comienzos de la labor del Opus Dei con universitarias: la Residencia Zurbarán di Madrid (1947-1950)”, in Studia et Documenta. Rivista dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá, n. 4, Roma 2010, pp. 15-44.

[14] L’Assessorato Regionale è costituito da alcune donne che lavorano insieme al vicario regionale e al vicario segretario regionale nello sviluppo, nell’organizzazione e nel governo delle iniziative formative e apostoliche promosse dall’Opus Dei nelle diverse regioni. È denominata Regione una circoscrizione governata da un vicario nominato dal prelato.

[15] Lucina Moreno-Valle - Mónica Meza, “Montefalco, 1950: una iniciativa pionera para la promoción de la mujer en el ámbito rural mexicano”, in Studia et Documenta. Rivista dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá, n. 2, Roma 2008, pp. 205-229.

[16] L’Assessorato Centrale è costituito da alcune donne che lavorano accanto al prelato, al vicario ausiliare, al vicario generale e al sacerdote segretario centrale nell’impulso, nell’organizzazione e nel governo delle iniziative formative e apostoliche promosse dall’Opus Dei. Ha sede a Roma.

[17] Piedad de la Cierva è stata una nota scienziata spagnola. Ottenne la laurea in Scienze all’Università di Valencia nel 1932. Fece il dottorato a Madrid nell’Istituto Rockefeller. Vinse una borsa di ricerca per approfondire gli studi presso l’Istituto Niels Bohr di Copenaghen. Dopo la guerra civile spagnola proseguì la sua attività scientifica in campi di studio nei quali è stata pioniera, come i vetri ottici o la fabbricazione di mattoni refrattari. È stata una delle prime donne dell’Opus Dei. Cfr. Inmaculada Alva Rodríguez, Piedad de la Cierva. Una sorprendente trayectoria profesional durante la segunda república y el franquismo, Arbor, 2016, 192 (779). In: http://dx.doi.org/10.3989/arbo.... Cfr. anche María José Báguena Cervellera, http://dbe.rah.es/biografias/6....

[18] Questa Facoltà è un centro privato (chiamato anche CEICID - Centro di Studi e Ricerca per le Scienze Domestiche) che ha per scopo dare una formazione di qualità a coloro che desiderano fare della cura della famiglia la loro professione, nell’ambito domestico o in comunità come residenze, scuole, cliniche, ecc. Dal 1968 sono stati predisposti molteplici corsi di studi per incrementare questo tipo di formazione e molte persone ne hanno tratto beneficio sia in Spagna che nel resto del mondo. Nel 2006 una filosofa peruviana, Mª Pía Chirinos Montalbetti, ha pubblicato un libro, Claves para una antropología del trabajo, in cui spiega che l’eccellenza nel lavoro domestico è una dimensione essenziale per la solidità di una famiglia, perché l’ambiente di famiglia, il calore del focolare domestico, è fonte di equilibrio, di autostima e di libertà interiore che sostiene la crescita di persone mature. Guadalupe e altre donne lo avevano capito negli anni 60 del XX secolo.

[19] San Josemaría, È Gesù che passa, n. 45.

[20] Mercedes Eguíbar Galarza, Guadalupe Ortiz de Landázuri. Trabajo, amistad y buen humor, Rialp, Madrid 2001.

[21] Mercedes Eguíbar Galarza, Guadalupe Ortiz de Landázuri, Palabra, Madrid 2007.

[22] Amparo Catret Mascarell - Mar Sánchez Marchori, Se llamaba Guadalupe. Una mujer dedicada al servicio de los demás, Palabra, Madrid 2002.

[23] Cristina Abad Cadenas, La libertad de amar, Palabra, Madrid 2018. Edizione italiana: La libertà di amare, Ares, Milano 2019.

[24] Mercedes Montero Díaz, En Vanguardia. Guadalupe Ortiz de Landázuri, 1916-1975, Rialp, Madrid 2019, 310 pp.

[25] José Martín Brocos Fernández, «Ortiz de Landázuri y Fernández de Heredia, María Guadalupe», in Diccionario biográfico español, vol. XXXIX, Real Academia de la Historia, Madrid 2012, pp. 115-116.

[26] S. A., «Guadalupe Ortiz de Landázuri», Ecclesia, 2001, vol. LXI, n. 3078, p. 1838.

[27] Mercedes Eguíbar Galarza, «Ortiz de Landázuri, Guadalupe», in José Luis Illanes Maestre (coord.), Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Burgos, Monte Carmelo - Instituto Histórico Josemaría Escrivá, 2013, pp. 926-927.

[28] José Carlos Martín de la Hoz, «Información sobre las causas de canonización de algunos fieles del Opus Dei», in Studia et Documenta. Rivista dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá, n. 7, Roma 2013, pp. 433-449.

[29] Margarita Murillo Guerrero, Una nueva partitura. México-Roma (1947-1955), Rialp, Madrid 2001.

[30] Saranno citate facendo riferimento al libro, dato che è la fonte originale. Le autrici, a loro volta, citano rigorosamente il riferimento archivistico di ogni documento.

[31] María Del Rincón - María Teresa Escobar, Letras a un santo. Cartas de Guadalupe Ortiz de Landázuri a san Josemaría Escrivá. Letra Grande (ed. cartacea), Roma 2018. Esistono versioni PDF, ePub e Mobi, 77 pp. (In questa traduzione sono state utilizzate la versione ePub del libro in italiano e la relativa numerazione di pagina, con lievi modifiche della traduzione - ndt).

[32] Ibid., p. 51, Madrid, 19 marzo 1960.

[33] Ibid., p. 37, Madrid, 31 dicembre 1945.

[34] Ibid., p. 45, Bilbao, 17 marzo 1946.

[35] Ibid., p. 37, Bilbao, agosto 1946. I purificatoi sono quei pannolini di lino con i quali il celebrante della Santa Messa asciuga e purifica il calice.

[36] Ibid., p. 44, Bilbao, agosto 1946.

[37] Ibid., p. 37, Madrid, 17 maggio 1947.

[38] Ibid., p. 46, Madrid, 31 agosto 1948.

[39] Ibid.

[40] Ibid., p. 38, Madrid, 4 luglio 1949.

[41] Ibid., p. 39, Madrid, 18 agosto 1949.

[42] Ibid., p. 39, Madrid, 1 novembre 1949.

[43] Ibid., p. 37, Madrid, 1 novembre 1949.

[44] Ibid., p. 48, México D. F., 29 giugno 1950.

[45] Ibid., p. 41, México D. F., 22 luglio 1953.

[46] Ibid.

[47] Ibid., p. 40, Cuautla (México), 14 settembre 1953.

[48] Haciendo cabeza: letteralmente “che faccio da testa” (ndt).

[49] Ibid., p. 49, México D. F., 12 dicembre 1955.

[50] Ibid., p. 42, México D. F., 19 marzo 1956.

[51] Ibid., p. 50, Madrid, 28 maggio 1959.

[52] Ibid., p. 41, Madrid, 1 ottobre 1962.

[53] Ibid., p. 51, Madrid, 14 febbraio 1963.

[54] Ibid., p. 41, Madrid, 30 dicembre 1964.

[55] Ibid.

[56] Ibid., p. 52, Madrid, 19 marzo 1963.

[57] Ibid., p. 42, Madrid, 8 luglio 1965.

[58] Ibid., p. 42, La Pililla (Ávila), 6 febbraio 1967.

[59] Ibid., p. 43, Los Rosales (Madrid), 9 gennaio 1969.

[60] Ibid., p. 43, Madrid, marzo 1971.

[61] Ibid., p. 43, La Pililla (Ávila), 4 settembre 1973.

[62] Ibid., p. 43, Madrid, 13 gennaio 1974.

[63] È una metafora che fa riferimento al direttore d’orchestra, che dirige e armonizza il lavoro di tutti senza sostituirsi a nessuno.

[64] Ibid., p. 44, Madrid, 13 gennaio 1974.

[65] San Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, 29-VI-1995, n. 2.

Romana, n. 68, Gennaio-Giugno 2019, p. 150-162.

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