Amore coniugale e matrimonio nell’omelia «Il matrimonio, vocazione cristiana» di san Josemaría Escrivá
Rafael Díaz Dorronsoro
Pontificia Università della Santa Croce, Roma
Le trasformazioni antropologiche e culturali che stanno avvenendo in molti Paesi hanno favorito la propagazione di una riforma del diritto civile sul matrimonio e la famiglia, legalizzando, fra le altre cose, le unioni tra persone dello stesso sesso e trasformando il divorzio in una procedura sempre più semplice. Questi cambiamenti portano a ridefinire il matrimonio[1], e sono il risultato di una lunga e profonda opera di destrutturazione che lo ha spogliato delle categorie della coniugalità, paternità-maternità e filiazione-fraternità[2].
Nella Chiesa, fin dai primi anni del XX secolo, si è verificato un profondo rinnovamento, rispettoso del disegno di Dio sull’uomo, della dottrina sul matrimonio e la famiglia. Se fino a quel momento la riflessione teologica aveva rivolto l’attenzione soprattutto agli aspetti oggettivi e giuridici, allora hanno iniziato a farsi sentire importanti influenze della filosofia personalista, che sottolineava aspetti come la supremazia della persona di fronte all’istituto del matrimonio, il primato della comunione nell’amore di fronte alla comunità strutturata da un vincolo giuridico e il rispetto della libertà personale dinanzi a una qualsiasi coercizione esterna. Questo rinnovamento è stato raccolto da documenti magisteriali come l’Enciclica Casti connubii di Pio XI nel 1930, la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, l’Enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI nel 1968 e l’Esortazione apostolica Familiaris consortio di san Giovanni Paolo II nel 1981.
In questo clima di rinnovamento, anche la Chiesa ha dovuto registrare alcuni tentativi di ridefinire il matrimonio. Tra i primi propugnatori di un approccio personalista, teso a sottolineare che il matrimonio è cammino di realizzazione personale tramite la donazione reciproca nell’amore coniugale, c’è chi ha sostenuto una posizione parziale e problematica, pervenendo alla conclusione che non si dovevano considerare come fine essenziale del matrimonio la procreazione e l’educazione della prole[3]. Il Magistero recente, da parte sua, se da un lato ha accentuato gli elementi personali dell’unione coniugale, soprattutto il primato dell’amore coniugale, dall’altro ne ha sottolineato il collegamento intrinseco agli aspetti istituzionali del matrimonio della dottrina tradizionale. In questo senso si può citare la Costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, laddove insegna che l’amore coniugale «è indissolubilmente fedele» ed «è alieno da ogni adulterio e divorzio» e che «è ordinato per sua natura alla procreazione ed educazione della prole»[4].
Nel 2015, in occasione del 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, Papa Francesco ha convocato la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi per continuare la riflessione della Chiesa, alla luce del Vangelo, sulla realtà della famiglia in seguito ai cambiamenti antropologici e culturali contemporanei. In questo contesto, la concezione cristiana del matrimonio che san Josemaría presenta nella sua omelia Il matrimonio, vocazione cristiana[5] appare di grande attualità. All’origine di questa omelia, nel 1970, c’era stata la richiesta del direttore del supplemento del giornale spagnolo ABC, Luis María Ansón, che voleva dare orientamenti sulla funzione specifica del matrimonio e della famiglia di fronte ad alcuni profondi cambiamenti in atto. Dopo aver ricevuto il testo di san Josemaría, il giornalista affermava che il matrimonio era un argomento «che si doveva affrontare come ha fatto P. Escrivá: con chiarezza di dottrina, con buon senso, con fedeltà ai principi della Chiesa e con un senso moderno della realtà»[6].
Il titolo dell’omelia sottolinea la prospettiva personalista in base alla quale sono messi a fuoco gli insegnamenti sul matrimonio. Il tema centrale è l’amore coniugale, e partendo dalla comprensione dell’autentico amore tra gli sposi vengono indicati alcuni elementi propri dell’istituzione matrimoniale, quali l’origine divina, l’indissolubilità e il fine della procreazione e della educazione della prole. Appoggiandoci anche su altri testi di san Josemaría, in questo studio vogliamo presentare i suoi insegnamenti su questi elementi che caratterizzano l’istituto del matrimonio[7].
1. L’origine divina del matrimonio
San Josemaría inizia l’omelia ricordando un punto fondamentale del suo messaggio: la chiamata universale alla santità[8]. Il fondamento biblico si articola in due momenti inseparabili. Da un lato, il mistero della nascita di Gesù sta a significare «il momento scelto da Dio per manifestare in maniera completa il suo amore agli uomini, donandoci il proprio Figlio»[9]; dall’altro, l’Amore di Dio si fa presente «in mezzo alle circostanze più normali e comuni: una donna che partorisce, una famiglia, una casa»[10]. In base a queste premesse, sostiene che anche i laici, e non solo i religiosi o i sacerdoti, possono e debbono aspirare alla perfezione cristiana: «Da allora noi cristiani sappiamo che, con la grazia del Signore, possiamo e dobbiamo santificare tutte le realtà oneste della nostra vita. Non c’è situazione terrena, per quanto piccola e ordinaria possa sembrare, che non possa essere occasione di un incontro con Cristo e una tappa del nostro cammino verso il Regno dei Cieli»[11].
Per il fondatore dell’Opus Dei, tutte le realtà terrene nelle quali è immerso il cristiano specificano il contenuto della sua vocazione battesimale: non sono qualcosa di esteriore o di sovrapposto alla sua vita cristiana! Come insegna nell’omelia Amare il mondo appassionatamente, «qualsiasi specie di evasione dalle realtà oneste di tutti i giorni significa, per voi uomini e donne del mondo, il contrario della volontà di Dio.
«Dovete invece comprendere adesso — con una luce tutta nuova — che Dio vi chiama per servirlo nei compiti e attraverso i compiti civili, materiali, temporali della vita umana: in un laboratorio, nella sala operatoria di un ospedale, in caserma, dalla cattedra di un’università, in fabbrica, in officina, sui campi, nel focolare domestico e in tutto lo sconfinato panorama del lavoro, Dio ci aspetta ogni giorno. Sappiatelo bene: c’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire»[12].
Si lascia così intravedere tutta la grande dignità del matrimonio, laddove «indica il modo esistenziale e concreto — la vita coniugale e familiare —, nel quale e per mezzo del quale gli sposi devono vivere la propria vocazione cristiana, cioè quella chiamata alla santità che li ha già raggiunti con tutta la sua radicalità nel momento del Battesimo»[13]. E riferendosi in modo particolare al matrimonio, san Josemaría sottolinea che si tratta di «un’autentica vocazione soprannaturale»[14].
Possiamo domandarci allora: qual è la specificità dello stato matrimoniale rispetto ad altre situazioni ordinarie per cui merita tale appellativo? A me sembra che la risposta si trovi condensata nella seguente affermazione: il matrimonio è «sacramento grande in Cristo e nella Chiesa, dice san Paolo (cfr. Ef 5, 32) e, al tempo stesso, contratto che un uomo e una donna stipulano per sempre, perché — lo si voglia o no — il matrimonio istituito da Cristo è indissolubile: segno sacro che santifica»[15].
San Josemaría sottolinea la simultaneità e la inseparabilità fra contratto e sacramento. Impiega, dunque, una terminologia classica che, alla data dell’omelia, era ancora in uso nel Codice di Diritto Canonico. Con il termine contratto si voleva evidenziare che il vincolo coniugale nasce dalla libera volontà degli sposi[16].
Il significato della inseparabilità si percepisce quando in questa stessa omelia, ricorrendo ancora una volta a una terminologia teologica classica, sostiene che «il matrimonio è un sacramento che fa di due corpi una sola carne. La teologia afferma con forte espressione che la sua materia è costituita dal corpo stesso dei contraenti. Il Signore santifica e benedice l’amore del marito verso la moglie e quello della moglie verso il marito: ha disposto non solo la fusione delle loro anime, ma anche dei loro corpi»[17]. In armonia con il significato dell’espressione biblica «basâr» (carne)[18], il significato del termine «corpo» o «carne» denota tutta la persona — anima e corpo —[19]. Per questo, in altra occasione, san Josemaría sostiene che «i coniugi sono i ministri e la materia stessa del sacramento del matrimonio, come il pane e il vino sono la materia dell’Eucaristia»[20]. In linea con la terminologia classica impiegata, il segno sacramentale si compone di materia e forma. In questi testi non si fa riferimento esplicito alla forma, ma, se si sostiene che i coniugi sono i ministri del sacramento del matrimonio, si deve concludere che la forma è determinata dall’atto umano compiuto dagli sposi[21]. In tal modo, il segno sacramentale che santifica, il sacramento, non appare come qualcosa di accidentale o sovrapposto all’unione coniugale.
Pertanto, per san Josemaría la inseparabilità fra contratto e sacramento significa che il sacramento del matrimonio, per istituzione di Gesù Cristo, è la stessa alleanza coniugale tra gli sposi cristiani.
Tale inseparabilità dimostra inequivocabilmente che il matrimonio cristiano possiede una dignità peculiare fra tutte le realtà terrestri, perché è un sacramento istituito da Gesù Cristo e perché la sua celebrazione è un’azione di Gesù Cristo, come succede in ogni sacramento. In seguito ci soffermeremo su questo secondo aspetto, che apporta luci importanti sull’origine divina del matrimonio.
Gli sposi cristiani si donano reciprocamente, dando origine al vincolo coniugale per il quale sono marito e moglie. Ma siccome è Cristo che ha istituito il sacramento del matrimonio, la sua celebrazione tra battezzati è anche «azione di Gesù, che pervade l’anima di coloro che si sposano e li invita a seguirlo, perché in Lui tutta la vita matrimoniale si trasforma in un cammino divino sulla terra»[22].
La chiamata di Gesù agli sposi non può essere concepita in un modo vago. L’inseparabilità fra contratto e sacramento significa che l’azione di Gesù nella celebrazione del matrimonio non è qualcosa di esteriore o di accidentale al consenso matrimoniale che dà origine al vincolo, ma è Lui che unisce gli sposi cristiani. Questo insegnamento non manca di fondamento biblico. Il libro della Genesi narra che Dio formò l’uomo e la donna e che fu Egli stesso che fece dono di Eva ad Adamo come sposa[23]; Gesù, peraltro, si riferisce a questo passo biblico per insegnare che non è lecito all’uomo ripudiare la propria sposa perché entrambi sono stati uniti da Dio[24].
Il riferimento di Gesù Cristo al matrimonio delle origini dimostra che Egli ha elevato a sacramento non una istituzione stabilita dalla società umana, ma una realtà istituita da Dio. Come insegna il Concilio Vaticano II, «fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E così, è dall’atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l’istituto [del matrimonio] che ha stabilità per ordinamento divino; questo vincolo sacro in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio dell’uomo. Perché è Dio stesso l’autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini»[25].
Si deve tuttavia aggiungere che, secondo il primordiale disegno divino evocato da Cristo, chi unisce gli sposi è Dio, che «ha creato i due sessi, fatti l’uno per l’altro. Se Dio stesso unisce nell’unità coniugale due persone, sarebbe empio e vano usurpatore dei diritti divini chi volesse sciogliere il nodo che Dio ha fatto e garantisce, chi pretendesse separare, con una vivisezione, due esseri che Dio ha unito»[26]. Pertanto, «quando un uomo e una donna si sposano, anche se la loro unione avviene per una loro libera volontà, vale a dire grazie al reciproco dono di sé, in ogni caso è Dio che li unisce nel vero senso del termine; essi si inseriscono, così, nel piano divino originario sul matrimonio»[27].
Assecondando il piano divino della salvezza, secondo il quale tutte le cose furono create da Cristo e per Cristo[28], il matrimonio non rimane una realtà esclusiva dell’ordine della creazione, ma si inserisce nel piano della redenzione. In armonia con questo piano, il matrimonio fra battezzati, per istituzione di Gesù Cristo, viene elevato alla dignità di sacramento della Nuova Legge. Per questo la celebrazione sacramentale del matrimonio è un’azione di Gesù: «È Cristo, il Figlio di Dio incarnato, a unirli in quanto capo del corpo al quale appartengono. Ognuno degli sposi appartiene a Cristo in seguito al battesimo e, quando si danno l’uno all’altro, diventano allo stesso tempo un regalo di Cristo che dona l’uomo alla donna e la donna all’uomo. Si verifica ancora una volta che il sacramento è un atto di Cristo, senza nulla togliere al pieno significato umano della reciproca donazione di sé»[29].
La presenza di Cristo comporta, per san Josemaría, una chiamata divina specifica «perché in Lui tutta la vita matrimoniale si trasforma in un cammino divino sulla terra»[30]. Per compiere la loro missione «gli sposi hanno grazia di stato — la grazia del sacramento — per praticare tutte le virtù umane e cristiane della convivenza: la comprensione, il buon umore, la pazienza, il perdono, la delicatezza nel rapporto reciproco. L’importante è non lasciarsi andare, non lasciarsi dominare dal nervosismo, dall’orgoglio o dalle manie personali. Per riuscirci, marito e moglie devono sviluppare la propria vita interiore e apprendere dalla Sacra Famiglia a vivere con finezza — per un motivo che è allo stesso tempo umano e soprannaturale — le virtù del focolare cristiano. Lo ripeto ancora: la grazia di Dio ce l’hanno»[31]. La sacramentalità del matrimonio, dunque, non si limita al momento della celebrazione. Gesù Cristo non solo «viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio», ma «inoltre rimane con loro perché, come Egli ha amato la Chiesa e si è dato per essa, così anche i coniugi possano amarsi l’un l’altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione»[32].
2. Donazione e libertà: l’indissolubilità del matrimonio
San Josemaría indica l’indissolubilità come una legge del matrimonio che, essendo di istituzione divina, non dipende dagli sposi. Come all’epoca di Gesù, anche oggi questa legge può sembrare un giogo insopportabile, che soffoca la libertà degli sposi. L’eventuale dilemma tra libertà e donazione, tuttavia, si risolve nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio, al quale si riferisce san Josemaría all’inizio dell’omelia[33].
Secondo il fondatore dell’Opus Dei, la nascita di Gesù è «il momento scelto da Dio per manifestare in maniera completa il suo amore agli uomini, donandoci il proprio Figlio»[34]. Per amore a suo Padre e agli uomini, il Verbo si sottomette al compimento della volontà del Padre e dona la sua vita sulla croce con assoluta libertà: «Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo»[35]. Davanti alla donazione di Cristo, san Josemaría esclama: «Non riusciremo mai a capire fino in fondo la libertà di Gesù Cristo, immensa — infinita — come il suo amore»[36].
L’amore o è libero o non è amore, e la manifestazione più alta di amore consiste nel dare la vita per gli amici[37]. Per questo non c’è «niente di più falso che opporre la libertà al dono di sé, perché tale dono è conseguenza della libertà. Ascoltate bene: una madre che si sacrifica per amore dei suoi figli, ha fatto una scelta: e la misura del suo amore esprimerà quella della sua libertà. Se l’amore è grande, la libertà sarà feconda, e il bene dei figli deriva da questa benedetta libertà, che comporta il dono di sé, e deriva da questo benedetto dono, che è appunto libertà»[38]. «Insisto, vorrei inciderlo a fuoco in tutti: la libertà e il dono di sé non sono contraddittori; si sostengono a vicenda. La libertà si può cedere soltanto per amore; non riesco a concepire altro genere di concessione. Non è un gioco di parole, più o meno felice. Nel dono di sé volontario, in ogni istante della dedicazione, la libertà rinnova l’amore, e rinnovarsi significa essere sempre giovane, generoso, capace di grandi ideali e di grandi sacrifici»[39].
La manifestazione dell’amore di Dio nell’incarnazione ha una duplice efficacia su di noi[40]:
a) ci rivela che il significato più profondo e radicale della nostra esistenza è la donazione sincera di sé stesso agli altri[41]; b) implica che Cristo ci dona la sua grazia per superare le ferite del peccato e poterci donare con la piena libertà dell’amore[42].
Con queste luci riprendiamo il discorso sul matrimonio. L’alleanza coniugale è un «sacramento grande in Cristo e nella Chiesa»[43], nel quale «il Signore santifica e benedice l’amore del marito verso la moglie e quello della moglie verso il marito»[44]. L’unione degli sposi cristiani è segno reale dell’unione fra Cristo e la Chiesa, perché i coniugi partecipano a questo mistero in quanto sposi e da Lui ricevono le grazie necessarie per manifestarlo con la loro vita, di modo che sono chiamati a esprimere l’amore di Cristo verso la sua Chiesa sempre fedele fino alla morte. Teniamo anche presenti le parole di Papa Francesco: «Gli sposi cristiani partecipano in quanto sposi alla missione della Chiesa. [...] La rotta è così segnata per sempre, è la rotta dell’amore: si ama come ama Dio, per sempre. Cristo non cessa di prendersi cura della Chiesa: la ama sempre, la custodisce sempre, come sé stesso. Cristo non cessa di togliere dal volto umano le macchie e le rughe di ogni genere. È bella e commovente questa irradiazione della forza e della tenerezza di Dio che si trasmette da coppia a coppia, da famiglia a famiglia. Ha ragione san Paolo: questo è proprio un “mistero grande”. Uomini e donne, sufficientemente coraggiosi per portare questo tesoro nei “vasi di creta” della nostra umanità, sono — questi uomini e queste donne così coraggiosi — una risorsa essenziale per la Chiesa, anche per tutto il mondo»[45].
L’indissolubilità del matrimonio, dunque, «non è un capriccio della Chiesa, e neppure una semplice legge ecclesiastica positiva: è un precetto della legge naturale e del diritto divino, e risponde perfettamente alla nostra natura e all’ordine soprannaturale della grazia. Per questo, nella stragrande maggioranza dei casi, l’indissolubilità è condizione indispensabile per la felicità dei coniugi e per la sicurezza anche spirituale dei figli. In ogni caso [...], la docile accettazione della Volontà di Dio porta con sé una soddisfazione profonda, insostituibile. Non si tratta di una specie di ripiego, di una ricerca di consolazione: è la stessa essenza della vita cristiana»[46]. Ed ecco ancora Papa Francesco: «Il sacramento del matrimonio è un grande atto di fede e di amore: testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere quell’amore che spinge ad andare sempre oltre, oltre sé stessi e anche oltre la stessa famiglia. La vocazione cristiana ad amare senza riserve e senza misura è quanto, con la grazia di Cristo, sta alla base anche del libero consenso che costituisce il matrimonio»[47].
L’amore coniugale, tuttavia, ha il suo maggior nemico nella superbia[48]: «Le persone continuamente preoccupate di sé stesse, che agiscono cercando innanzitutto la propria soddisfazione, mettono in pericolo la loro salvezza eterna, e già in questa vita sono inevitabilmente infelici. Può essere felice sulla terra, di una felicità che è preparazione e anticipo del Cielo, solo chi dimentica sé stesso — nel matrimonio come in ogni situazione — e si dedica a Dio e agli altri»[49].
Rinnovati dal dono dello Spirito Santo, gli sposi debbono «amarsi “come fidanzati”: saper ritornare a quell’amore appassionato del fidanzamento e delle prime ore di matrimonio»[50]. Questo invito non è frutto di ingenuità, ma di una speranza cristiana: «Durante la nostra vita sulla terra, il dolore è la pietra di paragone dell’amore. In modo plastico potrei dire che nel matrimonio c’è un dritto e un rovescio. Da una parte, la gioia di sapersi amati, l’entusiasmo di edificare e di consolidare una famiglia, l’amore coniugale, la consolazione di veder crescere i figli. Dall’altra, dolori e contrarietà, il trascorrere del tempo che logora i corpi e minaccia di inacidire i caratteri, l’apparente monotonia dei giorni che sembrano sempre uguali.
«Avrebbe un ben povero concetto del matrimonio e dell’affetto umano chi pensasse che, nell’urto contro queste difficoltà, l’amore e la gioia vengono meno. È proprio allora, invece, che i sentimenti che animavano quelle creature rivelano la loro vera natura, che la donazione e la tenerezza si rafforzano e si manifestano come affetto autentico e profondo, più potente della morte (cfr. Ct 8, 6)»[51].
San Josemaría conosceva perfettamente la difficile situazione di alcune persone che si erano separate, a volte senza colpa personale, e che dovevano portare avanti gli obblighi derivanti dalla loro unione. Sempre la sua risposta era che la dedizione assolutamente libera al compimento della volontà di Dio, a imitazione di Cristo, è cammino sicuro di felicità. Così, per esempio, rispondeva a chi gli prospettava la situazione delle donne abbandonate con figli[52]: «Se queste donne hanno dei figli a loro carico, devono vedere in questo fatto una continua richiesta di amorosa e materna dedizione, più che mai necessaria per sopperire in queste creature alle deficienze di un focolare diviso. Devono anche capire, con generosità, che quella stessa indissolubilità che per loro comporta un sacrificio, è per la maggior parte delle famiglie la salvaguardia della loro integrità, un qualcosa che nobilita l’amore degli sposi e impedisce che i figli si trovino nell’abbandono. Lo stupore di fronte all’apparente durezza del precetto cristiano dell’indissolubilità non è una novità: gli stessi Apostoli si meravigliarono quando Gesù ne diede loro conferma. Può apparire un peso, un giogo; ma proprio Cristo ha detto che il suo giogo è soave e il suo peso è leggero.
«D’altronde, pur riconoscendo l’inevitabile durezza di parecchie situazioni — che in non pochi casi si sarebbero potute e dovute evitare —, non bisogna drammatizzare eccessivamente. La vita della donna in queste condizioni è veramente più dura di quella di una donna maltrattata, o di quella di chi deve sopportare qualcuna delle grandi sofferenze fisiche o morali che la vita comporta?
«Ciò che veramente rende infelice una persona — o un’intera società — è l’affannosa ricerca del benessere, la pretesa di eliminare a ogni costo qualsiasi contrarietà. La vita presenta molti aspetti diversi, situazioni svariatissime, difficili alcune, altre facili forse solo in apparenza. Ciascuna di esse porta con sé un seme di grazia, una chiamata di Dio unica: sono occasioni irripetibili di operare e di offrire la testimonianza divina della carità. A chi sente il peso di una situazione difficile, io consiglierei anche di provare a dimenticare un po’ i suoi problemi e preoccuparsi di quelli degli altri: così facendo avrà più pace e, soprattutto, si santificherà»[53].
La significativa crescita delle fratture di vita coniugale verificatesi negli ultimi decenni ha messo la Chiesa di fronte alla necessità di affrontare pastoralmente la situazione di molti cristiani divorziati, anche quando hanno fatto ricorso alle unioni civili. Recentemente il Papa ha ricordato che «non mancano, grazie a Dio, coloro che, sostenuti dalla fede e dall’amore per i figli, testimoniano la loro fedeltà a un legame nel quale hanno creduto, per quanto appaia impossibile farlo rivivere»[54]; e che, considerata la situazione di coloro che hanno iniziato una nuova unione dopo il naufragio del matrimonio, «la Chiesa sa bene che una tale situazione contraddice il Sacramento cristiano»[55]. In particolare, il Papa invita i coniugi che hanno infranto l’armonia del vincolo matrimoniale a uscire dal loro egoismo e a preoccuparsi soprattutto del benessere dei figli, che sono le prime vittime. «Quando gli adulti perdono la testa, quando ognuno pensa solo a sé stesso, quando papà e mamma si fanno del male, l’anima dei bambini soffre molto, prova un senso di disperazione. E sono ferite che lasciano il segno per tutta la vita»[56]. Proteggere la parte più debole della famiglia è un obiettivo che ridimensiona molto altri problemi: «Pensate che cosa sarebbe una società che decidesse, una volta per tutte, di stabilire questo principio: “È vero che non siamo perfetti e che facciamo molti errori. Ma quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso o troppo grande, pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio, di non valere niente e di essere abbandonato alle ferite della vita e alla prepotenza degli uomini”»[57].
3. Il matrimonio, vocazione a partecipare all’amore creatore di Dio
Il terzo aspetto dell’istituto matrimoniale sul quale si sofferma san Josemaría è il suo essere orientato alla procreazione e all’educazione della prole.
Dopo aver ribadito che «gli sposi sono chiamati a santificare il loro matrimonio e a santificare sé stessi in questa unione», e che «commetterebbero perciò un grave errore se edificassero la propria condotta spirituale volgendo le spalle alla famiglia o al margine di essa»[58], san Josemaría individua il contenuto della vocazione matrimoniale nel compito di creare, con l’affetto, un autentico ambiente di famiglia[59]. Subito dopo avverte che per far questo occorre esercitare le virtù teologali e quelle umane, ma fra tutte «è necessario cominciare con un riferimento chiaro all’amore umano»[60].
La specificità dell’amore coniugale, rispetto ad altri amori umani nobili e limpidi, è dovuta alla sua intrinseca finalizzazione alla procreazione, al punto che «l’amore degli sposi non può essere detto coniugale se lo si priva artificialmente della sua apertura alla vita»[61]. In proposito, san Josemaría afferma: «Il Creatore ci ha dato l’intelligenza, quasi una scintilla dell’intelletto divino, che ci consente — assieme alla libera volontà, altro dono di Dio — di conoscere e amare; e ha posto nel nostro corpo la capacità di generare, partecipandoci il suo potere creatore. Dio ha voluto servirsi dell’amore coniugale per donare al mondo nuove creature e accrescere il corpo della sua Chiesa. Il sesso non è una realtà vergognosa, ma un dono divino ordinato schiettamente alla vita, all’amore, alla fecondità»[62].
In questo testo appaiono due elementi che ci aiutano a capire bene il significato di questo orientamento dell’amore coniugale, e dunque del matrimonio, alla procreazione e alla educazione della prole: a) la generazione come partecipazione all’amore creatore di Dio, b) la procreazione come compito degli sposi. Il primo è il più importante perché determina il preciso significato del secondo.
Come abbiamo appena visto, san Josemaría afferma che «la facoltà di generare» è una «partecipazione al potere creatore di Dio»[63]: i genitori sono, veramente, procreatori[64]. Insegna san Giovanni Paolo II che «all’origine di ogni persona umana c’è un atto creativo di Dio: nessun uomo nasce per caso; egli è sempre il termine dell’amore creativo di Dio»[65]. Con questo amore, Dio ama ogni persona per sé stessa[66].
Però ricordiamo che san Josemaría ripete che la misura di questo amore si manifesta in modo eminente nel mistero dell’incarnazione. Sulla Croce Dio rivela che ogni persona vale tutto il sangue del suo Figlio amatissimo[67]. Vista la dignità di ogni persona umana, si intuisce che, volendo rendere l’uomo partecipe del suo potere creatore, Dio abbia creato anche la grammatica umana che corrisponde al linguaggio dell’amore divino creatore. Tale grammatica, nell’infinita sapienza divina, è l’amore coniugale tra un uomo e una donna. Dio ha istituito il matrimonio perché ogni persona umana sia generata come termine di un atto di amore personale sempre fedele ed esclusivo, a immagine e somiglianza dell’amore divino.
Pertanto, san Josemaría invita a non ridurre la concezione cristiana del matrimonio: non si tratta di considerarlo «una semplice istituzione sociale, né tantomeno un rimedio alle debolezze umane»[68]. Per questo «è importante che gli sposi acquistino un chiaro senso della dignità della loro vocazione; che sappiano di essere stati chiamati da Dio a raggiungere l’amore divino attraverso l’amore umano; che sono stati scelti, fin dall’eternità, per cooperare con il potere creatore di Dio nella procreazione e poi nell’educazione dei figli; che il Signore chiede che facciano della loro casa e della loro vita di famiglia una testimonianza di tutte le virtù cristiane»[69].
Il secondo elemento è la procreazione e l’educazione dei figli come compito o missione affidata agli sposi. Dio non solamente ha istituito il matrimonio, ma si rivolge ai primi sposi con un preciso mandato: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela»[70]. San Josemaría evidenzia questo fine essenziale del matrimonio come esigenza intrinseca dell’amore coniugale, quando avverte che la contraccezione è un comportamento egoista, che pertanto pregiudica seriamente la fedeltà alla vocazione matrimoniale. Il fondatore dell’Opus Dei esorta gli sposi a esprimersi reciprocamente l’affetto «perché questa inclinazione è la base della vita familiare»[71], ma contemporaneamente sottolinea che «chiudere le fonti della vita è un delitto contro i doni che Dio ha concesso all’umanità, è un segno evidente che è l’egoismo e non l’amore a ispirare la condotta»[72].
Inoltre, riferendosi alla chiamata di Cristo agli sposi a seguirlo nell’amore coniugale e attraverso di esso — che Egli stesso ha sanato, perfezionato ed elevato con il sacramento del matrimonio[73] —, san Josemaría indica la ragione più profonda della disposizione di apertura alla vita che debbono avere gli sposi cristiani: «Due sposi cristiani non possono desiderare di chiudere le fonti della vita. Perché il loro amore si fonda sull’Amore di Cristo, che è donazione e sacrificio»[74].
Per quanto detto sinora, si capisce perché invitava gli sposi a «costruire la loro convivenza su un affetto sincero e limpido e sulla gioia di mettere al mondo i figli che Dio dà loro la possibilità di avere, sapendo all’occorrenza rinunciare a comodità personali e avendo fede nella Provvidenza divina. Formare una famiglia numerosa, se tale è la volontà di Dio, è una garanzia di felicità e di efficacia, checché ne dicano i tristi fautori di un cieco edonismo»[75]. Questo stesso insegnamento è stato ricordato recentemente da Papa Francesco nella sua catechesi sulla famiglia, quando ha fatto notare che la procreazione dei figli deve essere responsabile: «Avere più figli non può diventare automaticamente una scelta irresponsabile. Non avere figli è una scelta egoistica. La vita ringiovanisce e acquista energie moltiplicandosi: si arricchisce, non si impoverisce! I figli imparano a farsi carico della loro famiglia, maturano nella condivisione dei suoi sacrifici, crescono nell’apprezzamento dei suoi doni. L’esperienza lieta della fraternità anima il rispetto e la cura dei genitori, ai quali è dovuta la nostra riconoscenza»[76].
Più sopra abbiamo detto che la procreazione come compito acquista il suo significato preciso nella misura in cui la generazione costituisce partecipazione al potere creatore di Dio. Le cose stanno così perché non basta mettere al mondo figli perché i coniugi siano fedeli alla loro vocazione matrimoniale: la procreazione, se non è accompagnata da una vera relazione di amore coniugale, non è all’altezza della dignità e della santità di questo compito. San Josemaría non esita a equiparare un tale comportamento a quello animale: «C’è chi mette al mondo figli per la propria industria, per il proprio servizio, per il proprio egoismo... E non si ricorda che sono un dono meraviglioso del Signore, di cui dovrà rendere specialissimo conto. Far figli solo per continuare la specie, lo sanno fare anche — non prendertela — gli animali»[77]. E da qui trae un’importante conclusione: «In sé, il numero dei figli non è decisivo: averne molti o pochi non basta perché una famiglia sia più o meno cristiana. Ciò che conta è la rettitudine con cui si vive la vita matrimoniale»[78].
L’amore creatore di Dio non soltanto dona l’esistenza, ma mantiene tutte le cose sotto la sua Provvidenza. La Sacra Scrittura rivela la particolare delicatezza con cui Dio si prende cura di ogni uomo, invitandolo a cercare il Regno di Dio, perché egli sa perfettamente che abbiamo bisogno di mangiare, di bere, di vestirci, e così come nutre gli uccelli del cielo, darà all’uomo tutto ciò di cui egli ha bisogno in sovrappiù[79]. Per questo san Josemaría aggiunge che «la paternità e la maternità non si esauriscono nel momento in cui il figlio nasce: la facoltà di generare — partecipazione al potere di Dio — deve continuare poi come cooperazione all’opera dello Spirito Santo e culminare nella formazione di uomini e donne autenticamente cristiani»[80].
Dato che il compito di educare i figli è una partecipazione al potere creatore di Dio, i genitori devono essere «i principali educatori dei figli, sia nell’aspetto umano che in quello soprannaturale, e devono sentire la responsabilità di questa missione»[81]. Il contesto adeguato che raccomanda per adempiere a questo compito è quello dell’amore e del rispetto alla libertà: «L’imposizione autoritaria e violenta non è una buona risorsa educativa. L’ideale per i genitori consiste piuttosto nel farsi amici dei figli: amici ai quali si confidano le proprie inquietudini, con cui si discutono i diversi problemi, dai quali ci si aspetta un aiuto efficace e sincero»[82]. Si capisce, a questo punto, che un tale compito non può essere usurpato dallo Stato né delegato ad altri organismi al di fuori della famiglia. Infatti nessuno di questi è nelle condizioni di assicurare direttamente la crescita umana, culturale e affettiva delle persone, perché non sanno come somministrare l’amore[83].
Infine, è opportuno rispondere a una domanda che può sorgere dopo queste considerazioni: che senso ha la vocazione matrimoniale per i coniugi che non hanno una discendenza? In questa omelia troviamo un solo riferimento molto breve: «È segno allora che Egli chiede loro di volersi bene con immutato affetto, e di dedicare le loro energie — per quel che possono — a servizi e iniziative per il bene di altre anime»[84]. In un altro testo sviluppa di più questo concetto: «Molte volte il Signore non dà figli perché chiede di più. Chiede che lo stesso sforzo e la stessa delicata dedizione vengano posti al servizio del nostro prossimo, senza la legittima soddisfazione umana d’aver avuto figli: non c’è quindi motivo per sentirsi falliti e tristi [...]. Se sono capaci di dedicarsi con tutto il cuore a questo compito, donandosi agli altri con generosità e dimenticando sé stessi, avranno una splendida fecondità, una paternità spirituale che colmerà la loro anima di autentica pace»[85].
4. Conclusioni
Nell’omelia Il matrimonio, vocazione cristiana san Josemaría presenta la verità dell’amore coniugale come un cammino di imitazione di Cristo nella reciproca donazione degli sposi. L’istituto del matrimonio, con le sue caratteristiche e i suoi fini, non appare allora come un’imposizione esterna o arbitraria, ma come un’esigenza intrinseca dell’amore coniugale. Come dirà più tardi san Giovanni Paolo II, il matrimonio è l’unico «luogo» che rende possibile il reciproco amore tra un uomo e una donna, che si donano nella totalità della persona in quanto sessualmente complementari[86].
In virtù della elevazione del matrimonio a sacramento, l’imitazione di Cristo è un’autentica vocazione soprannaturale. È un dono, non solo per gli sposi, ma anche per la Chiesa e per il mondo intero, perché «in ogni famiglia autenticamente cristiana si riproduce in un certo modo il mistero della Chiesa, scelta da Dio e inviata come guida del mondo»[87].
La famiglia cristiana riveste un ruolo di primo piano nella evangelizzazione della cultura e della società, come ha ricordato recentemente il Papa: «La famiglia che risponde alla chiamata di Gesù riconsegna la regia del mondo all’alleanza dell’uomo e della donna con Dio. Pensate allo sviluppo di questa testimonianza, oggi. Immaginiamo che il timone della storia (della società, dell’economia, della politica) venga consegnato — finalmente! — all’alleanza dell’uomo e della donna, perché lo governino con lo sguardo rivolto alla generazione che viene. I temi della terra e della casa, dell’economia e del lavoro, suonerebbero una musica molto diversa!»[88].
Analogamente, san Josemaría ricordava l’importanza che «il senso vocazionale del matrimonio sia sempre presente, tanto nella catechesi e nella predicazione quanto nella coscienza di coloro che Dio prepara a questo cammino, poiché è attraverso di esso che sono realmente chiamati a incorporarsi al disegno divino di salvezza di tutti gli uomini.
«Non si può quindi proporre agli sposi cristiani un modello migliore di quello delle famiglie dei tempi apostolici: la famiglia del centurione Cornelio, che fu docile alla volontà di Dio e nella cui casa si realizzò l’apertura della Chiesa ai gentili (cfr. At 10, 24-48); quella di Aquila e Priscilla, che diffusero il cristianesimo a Corinto e a Efeso e collaborarono all’apostolato di san Paolo (cfr. At 18, 1-26); quella di Tabita, che con la sua carità soccorse i bisognosi di Joppe (cfr. At 9, 36). E tanti altri focolari di giudei e di gentili, di greci e di romani, nei quali attecchì la predicazione dei primi discepoli del Signore.
«Famiglie che vissero di Cristo e che fecero conoscere Cristo; piccole comunità cristiane che furono come centri di irradiazione del messaggio evangelico. Focolari come tanti altri di quei tempi, ma animati da uno spirito nuovo che contagiava chi li avvicinava e li frequentava. Così furono i primi cristiani, e così dobbiamo essere noi, cristiani di oggi: seminatori di pace e di gioia, della pace e della gioia che Gesù ci ha guadagnato»[89].
L’odierna cultura del provvisorio, nella quale sembra che non vi sia nulla di definitivo, fa perdere la fiducia nel matrimonio. Dinanzi a uno scenario come questo, Papa Francesco propone la stessa soluzione di san Josemaría: «La testimonianza più persuasiva della benedizione del matrimonio cristiano è la vita buona degli sposi cristiani e della famiglia. Non c’è modo migliore per dire la bellezza del sacramento! Il matrimonio consacrato da Dio custodisce quel legame tra l’uomo e la donna che Dio ha benedetto fin dalla creazione del mondo; ed è fonte di pace e di bene per l’intera vita coniugale e familiare. Per esempio, nei primi tempi del Cristianesimo, questa grande dignità del legame tra l’uomo e la donna sconfisse un abuso ritenuto allora del tutto normale, ossia il diritto dei mariti di ripudiare le mogli, anche con i motivi più pretestuosi e umilianti. Il Vangelo della famiglia, il Vangelo che annuncia proprio questo Sacramento ha sconfitto questa cultura di ripudio abituale.
«Il seme cristiano della radicale uguaglianza tra i coniugi deve oggi portare nuovi frutti. La testimonianza della dignità sociale del matrimonio diventerà persuasiva proprio per questa via, la via della testimonianza che attrae, la via della reciprocità fra loro, della complementarietà fra loro»[90].
[1] Lo dimostrano S. GIRGIS, R.T. ANDERSON, R.O. GEORGE, nel loro libro What is marriage? Man and woman: a defense, Encounter Books, New York 2012.
[2] Cfr. C. CAFFARRA, “Fede e cultura di fronte al matrimonio”, in: H. FRANCESCHI (ed.), Matrimonio e famiglia. La questione antropologica, Edusc, Roma 2015, p. 22.
[3] Il primo autore che sostenne questa tesi fu Herbert Doms nel 1935, nel suo libro Vom Sinn und Zweck der Ebe. Per un maggior approfondimento del dibattito aperto da questo e da altri autori della prima metà del XX secolo si può consultare: R.B. ARJONILLO, Sobre el amor conyugal a los fines del matrimonio. El pensamiento de algunos autores católicos y la doctrina del Concilio Vaticano II (1930-1965), Instituto de ciencias para la familia, Pamplona 1999.
[4] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, nn. 49-50.
[5] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, nn. 22-30.
[6] A. ARANDA, È Gesù che passa. Edición crítica-histórica, Rialp, Madrid 2013, p. 247, nota 11.
[7] Uno studio teologico di questa omelia si trova in: A. SARMIENTO, “El matrimonio, vocación cristiana. A propósito de la homilia sobre el mismo titulo del beato Josemaría Escrivá”, in J.L. ILLANES - I.R. VILLAR - R. MUÑOZ - T. TRIGO - E. FLANDES (coord.), El Cristiano en el mundo. En el centenario del nacimiento del Beato Josemaría Escrivá (1902-2002), Servicio de publicaciones de la Universidad de Navarra, Pamplona 2003, pp. 347-365. Sarmiento cerca di «sottolineare quelle che si potrebbero descrivere come linee di forza della teologia sulla vocazione matrimoniale». Il nostro obiettivo, invece, consiste nel comprendere l’armonia tra il primato dell’amore coniugale e l’istituto del matrimonio negli insegnamenti contenuti in questa omelia.
[8] Nella stessa omelia lo dichiara esplicitamente: «A ogni cristiano, qualunque sia la sua condizione — sacerdote o laico, sposato o celibe —, si adattano pienamente le parole dell’apostolo che si leggono nell’epistola della festa della Sacra Famiglia: “Scelti da Dio, santi e amati”» (SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 30).
[9] Ibid., n. 22.
[10] Ibid.
[11] Ibid.
[12] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 114.
[13] A. SARMIENTO, “Il matrimonio, sacramento e vocazione”, in Romana n. 8 (1989/1), pp. 169-170. Cfr. anche F. GIL HELLÍN, “La vita di famiglia, cammino di santità”, in Romana n. 20 (1995/1), pp. 224-236.
[14] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 23.
[15] Ibid.
[16] Sull’impiego del termine “contratto” in questa omelia si può consultare l’articolo di J.M. VÁZQUEZ GARCÍA-PEÑUELA, “Contrato y sacramento: las claves humanas y sobrenaturales del matrimonio en el pensamiento de san Josemaría Escrivá”, in A. MÉNDIZ, J.A. BRAGE (ed.), Un amor siempre joven. Enseñanzas de san Josemaría Escrivá sobre la familia, Palabra, Madrid 2003, pp. 128-133.
[17] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 24.
[18] Cfr. Gn 2, 24.
[19] Sul significato biblico del termine «basâr» si può consultare: P. O’CALLAGHAN, Figli di Dio nel mondo, Edusc, Roma 2013, pp. 514-515.
[20] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 92.
[21] Per san Tommaso d’Aquino, la forma è il consenso interiore dato dai coniugi espresso esternamente: cfr. Super Sent., IV, d. 26, q. 2, a. 1, ad 1. Cfr. anche: J. GRANADOS, Una sola carne en un solo espíritu, Palabra, Madrid 2104, pp. 214-219; A. MIRALLES, El matrimonio. Teología y vida, Palabra, Madrid 1997, pp. 347-352.
[22] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 23.
[23] Cfr. Gn 2, 22-24.
[24] Cfr. Mt 19, 3-9.
[25] CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 48.
[26] M. ADINOLFI, “Gesù e il matrimonio. Riflessioni sui testi evangelici”, in: Bibbia, 14 (1972), pp. 14-15. Cfr. anche D. TETTAMANZI, “Esiste una ‘vocazione’ al matrimonio?” in: La famiglia, 7 (1973), pp. 128-129.
[27] A. MIRALLES, El matrimonio. Teología y vida, o. c., p. 169.
[28] Cfr. Col 1, 16.
[29] A. MIRALLES, El matrimonio. Teología y vida, o. c., pp. 169-170.
[30] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 23.
[31] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 108.
[32] CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 48.
[33] Uno studio della relazione tra libertà e donazione si trova in L. CLAVELL, “La libertà conquistata da Cristo sulla Croce. Approccio teologico ad alcuni insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá sulla libertà”, in Romana n. 33 (2001/2), pp. 240-269.
[34] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 22.
[35] Gv 10, 18.
[36] SAN JOSEMARÍA, “La libertà, dono di Dio”, in: Amici di Dio, n. 26.
[37] Cfr. Gv 15, 13.
[38] SAN JOSEMARÍA, “La libertà, dono di Dio”, in: Amici di Dio, n. 30.
[39] Ibid., n. 31.
[40] Cfr. L. CLAVELL, “La libertà conquistata da Cristo sulla Croce”, o. c., p. 256.
[41] «L’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per sé stessa, non può ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé» (CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 24).
[42] San Josemaría impiega questa espressione per riferirsi alla donazione di Dio sulla Croce: «Quando il Signore giunge al Calvario, gli danno da bere del vino mescolato con fiele, come narcotico, per attutire un po’ il dolore della crocifissione. Ma Gesù, dopo averlo assaggiato per ringraziare del pietoso servizio, non ha voluto berlo. Si consegna alla morte con la piena libertà dell’Amore» (Via Crucis, X Stazione).
[43] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 23.
[44] Ibid., n. 24.
[45] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 6-V-2015.
[46] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 97.
[47] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 6-V-2015.
[48] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 26.
[49] Ibid., n. 24.
[50] C. BURKE, “Il Beato Josemaría Escrivá e il matrimonio: cammino umano e vocazione soprannaturale”, in Romana n. 19 (1994/2), p. 378.
[51] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 24. Cfr. anche Colloqui, n. 91.
[52] Col passare degli anni, sono diventati più frequenti i casi di uomini abbandonati dalle loro mogli. Il brano di san Josemaría che segue è valido anche per queste persone.
[53] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 97.
[54] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 24-VI-2015.
[55] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 5-VIII-2015.
[56] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 24-VI-2015.
[57] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 8-IV-2015.
[58] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 23.
[59] «Si tratta di santificare giorno per giorno la vita domestica, creando con l’affetto reciproco un autentico ambiente di famiglia» (ibid.).
[60] Ibid. Intorno allo sviluppo delle virtù nella vita coniugale e familiare negli insegnamenti di san Josemaría, si possono consultare i seguenti studi: A. VÁZQUEZ, Como las manos de Dios, Matrimonio y familia en las enseñanzas de Josemaría Escrivá, Palabra, Madrid 2002, pp. 141-165 e 241-283; C. DELPIAZZO, G. DELPIAZZO ANTÓN, “La familia como base fundamental de la sociedad”, in: AA.VV., San Josemaría Escrivá, universitario, Università di Montevideo, Montevideo (Uruguay) 2002, pp. 91-95.
[61] A. SARMIENTO, “Matrimonio”, in: J.L. ILLANES (coord.), Diccionario de San Josemaría Escrivá de Balaguer, Editorial Monte Carmelo - Instituto histórico San Josemaría Escrivá de Balaguer, Burgos 2013, p. 820.
[62] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 24.
[63] «La facoltà di generare — partecipazione al potere di Dio — [...]» (ibid., n. 27).
[64] Nelle omelie pubblicate in Amici di Dio, insiste due volte sulla stessa realtà: «La facoltà di generare — una realtà nobile, partecipazione al potere creatore di Dio —» (n. 84); «Il sesso è qualcosa di santo e di nobile — ci fa partecipare al potere creatore di Dio —, ed è ordinato al matrimonio» (n. 185). E in Forgia, n. 691, afferma: «Partecipate del potere creatore di Dio e, per questo, l’amore umano è santo, nobile e buono».
[65] SAN GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai sacerdoti partecipanti a un seminario di studio su “La procreazione responsabile”, 17-IX-1983, n. 1.
[66] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 24.
[67] San Paolo insegna l’universalità dell’opera redentrice di Cristo affermando che «è morto per noi» (Rm 5, 8) o «è morto per tutti» (2 Cor 5, 15); nello stesso tempo sottolinea che la sua morte non è a favore di una umanità astratta ma di ogni singola persona: «vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me» (Gal 2, 20). In armonia con questi insegnamenti, san Josemaría sostiene che «ogni singola anima è un tesoro meraviglioso; ogni uomo è unico, insostituibile. Ogni uomo vale tutto il sangue di Cristo» (SAN JOSEMARÍA, “La lotta interiore”, in: È Gesù che passa, n. 80).
[68] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 23.
[69] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 93.
[70] Gn 1, 28.
[71] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 25.
[72] Ibid. Cfr. anche SAN JOSEMARÍA, Colloqui, nn. 93-96.
[73] Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 49.
[74] SAN JOSEMARÍA, Solco, n. 846.
[75] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 25. «[...] sono criminali, anticristiane e infraumane tutte le teorie che fanno della limitazione delle nascite un ideale, un dovere universale o semplicemente generale. Non è altro che contraffare e pervertire la dottrina cristiana far leva su di un preteso spirito post-conciliare per attaccare la famiglia numerosa. Il Concilio Vaticano II ha proclamato che “tra i coniugi che soddisfano alla missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più gran numero di figli da educare convenientemente” (CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 50). Paolo VI, poi, in un’allocuzione del 12 febbraio 1966, commentava: “Che il Concilio Vaticano II appena concluso diffonda tra gli sposi cristiani questo spirito di generosità per dilatare il nuovo Popolo di Dio... Ricordiamo sempre che la dilatazione del Regno di Dio e la possibilità di penetrazione della Chiesa nell’umanità, per la sua salvezza eterna e terrena, è affidata anche alla loro generosità”» (SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 94).
[76] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 11-II-2015.
[77] SAN JOSEMARÍA, Solco, n. 845.
[78] SAN JOSEMARÍA, Colloqui, n. 94.
[79] Cfr. Mt 6, 25-34. Cfr. anche Is 49, 15; Mt 10, 29-31; Lc 12, 6-7.
[80] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 27. Alcuni studi sull’educazione nella famiglia in san Josemaría si trovano in: M. DOLZ, “Una pedagogia della fede in famiglia. A proposito di alcuni insegnamenti del Beato Josemaría Escrivá”, in Romana n. 32 (2001/1), pp. 114-127; A. MÉNDIZ - J.A. BRAGE, (ed.), Un amor siempre joven. Enseñanzas de san Josemaría Escrivá sobre la familia, o. c., pp. 213-279.
[81] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 27.
[82] Ibid.
[83] Cfr. P. O’CALLAGHAN, “I tempi dell’amore, della santità e della misericordia. Una riflessione sulle strutture di sostegno del matrimonio e della famiglia”, in: H. FRANCESCHI (a cura di), Matrimonio e famiglia, o. c., pp. 50-59.
[84] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 27.
[85] SAN JOSEMARÍA Colloqui, n. 96.
[86] Cfr. SAN GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio, n. 11.
[87] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 30.
[88] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 2-IX-2015.
[89] SAN JOSEMARÍA, “Il matrimonio, vocazione cristiana”, in: È Gesù che passa, n. 30.
[90] PAPA FRANCESCO, Udienza generale, 29-IV-2015.
Romana, n. 61, Luglio-Dicembre 2015, p. 360-376.