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Discorso del prelato al Congresso del centenario di Mons. Álvaro del Portillo, Pontificia Università della Santa Croce, Roma (12-III-2014)

La virtù della fedeltà, frutto della carità e della giustizia, agli occhi delle persone rette è adorna di grande dignità, perché è una partecipazione della fedeltà di Dio, che nella Sacra Scrittura definisce sé stesso come “un Dio fedele e senza malizia, egli è giusto e retto” (Dt 32, 4). San Paolo lo ribadisce vigorosamente: “Fidelis autem Dominus est, qui confirmabit vos” (2 Ts 3, 3). E desidera che le sue perfezioni, tutte, risplendano nei santi e in coloro che si impegnano sul serio per raggiungere la meta dell’unione con la Trinità. San Tommaso d’Aquino si chiede, a proposito della Passione di Cristo, se era conveniente che Egli seguisse quella strada; e argomenta che la convenienza era duplice: in primo luogo, per rimediare al male a cui l’uomo era andato incontro con il peccato originale; e in secondo luogo, era altrettanto utile per esserci di esempio, giacché nessun modello di virtù è assente dalla Croce[1].

La fedeltà dei santi li porta fino a un annientamento che vince il male; e dà loro la forza di seguire l’esempio del Maestro, che si offre per noi con una gioia infinita, come fu infinito il suo dolore. Certamente la fedeltà esige rinuncia, ma comporta la felicità dell’intimità con Colui che ci ha salvato e ci ha mostrato il cammino da seguire.

Ritengo che sia stato questo il percorso esistenziale del prossimo beato Álvaro del Portillo, il mio veneratissimo predecessore alla guida dell’Opus Dei. Proprio ieri si sono compiuti cento anni dalla sua nascita. Il cuore di moltissime persone in tutto il mondo eleva il proprio ringraziamento a Dio, da cui provengono tutti i beni, per l’aiuto ricevuto da quel servo buono e fedele. La nostra gratitudine racchiude, allo stesso tempo, una fervida supplica alla Madre del Cielo e il ricorso all’intercessione di san Josemaría, affinché noi — e tutti coloro che si alimentano dello spirito dell’Opus Dei — sappiamo avanzare quotidianamente nel cammino di santità annunciato da san Josemaría e seguito integralmente da don Álvaro del Portillo, un sentiero di fedeltà percorso con serena letizia.

Le relazioni di questo simposio analizzeranno diversi aspetti della figura del mio predecessore e il modo in cui hanno influito nella vita della Chiesa, prima e dopo il Concilio Vaticano II. Centrerò, pertanto, il mio intervento sul motto scelto dal congresso: Vir fidelis multum laudabitur (Prv 28, 20), l’uomo leale sarà colmo di benedizioni. In tal senso si è pronunciato il decreto sulle virtù del venerabile Álvaro del Portillo, emanato dalla Congregazione delle Cause dei Santi: «Queste parole della Scrittura evidenziano la virtù più caratteristica del vescovo Álvaro del Portillo: la fedeltà. Fedeltà indiscussa a Dio, nel compimento pronto e generoso della sua volontà; fedeltà alla Chiesa e al Papa; fedeltà al sacerdozio; fedeltà alla vocazione cristiana; fedeltà in ogni istante e in ogni circostanza della vita»[2].

Quella frase della Scrittura la fece incidere san Josemaría sull’architrave della porta dello studio in cui don Álvaro lavorò per cinquant’anni; prima come segretario generale dell’Opus Dei, fino al momento del transito al Cielo di san Josemaría. E poi, una volta diventato presidente generale e in seguito prelato, fino al suo ultimo giorno su questa terra, il 23 marzo 1994: seguendo l’abitudine del fondatore, anche don Álvaro di solito lavorava nello studio del vicario generale. Era — e lo è ancora oggi — un modo per sottolineare la collegialità, caratteristica essenziale del governo nell’Opus Dei. Per noi che risiediamo nella sede centrale della Prelatura, quelle parole rappresentano un richiamo continuo al nostro servizio alla Chiesa, all’Opera e alle anime: dimenticarci totalmente di noi stessi, con una fedeltà assoluta allo spirito ricevuto da san Josemaría e con piena dedizione al compito che il Signore ha affidato a ciascuno.

Mi sembra opportuno citare, a questo proposito, una lettera di san Josemaría, del maggio 1962, quando don Álvaro era ricoverato in ospedale. «Pregate — diceva — perché se fra voi ci sono molti miei figli eroici e tanti che sono santi da altare — non abuso mai di qualificativi del genere —, tuttavia Álvaro è un modello, ed è il figlio mio che ha più lavorato e più sofferto per l’Opera, è quello che meglio ha saputo cogliere il mio spirito. Pregate per lui»[3]. Anni dopo, nel 1973, il giorno del compleanno di don Álvaro, approfittando di un momento in cui egli non era presente, fece questo commento: «Ha la fedeltà che anche voi dovete avere sempre, e ha saputo sacrificare con un sorriso tutto quello che era suo (…) E se mi chiedete: è stato mai eroico? vi risponderò: sì, molte volte è stato eroico, molte; di un eroismo che sembra normale»[4].

«Vorrei che lo imitaste in molte cose, ma soprattutto nella lealtà. In anni e anni di vocazione gli si sono presentate molte occasioni — dal punto di vista umano — per arrabbiarsi, per risentirsi, per essere sleale; e ha sempre mantenuto un sorriso e una fedeltà incomparabili. Per motivi soprannaturali, non per virtù umana. Sarebbe davvero un bene che lo imitaste in questo»[5].

Nel marzo del 1994, nell’omelia della Messa per l’eterno riposo di don Álvaro, pronunciai alcune parole che, ancora oggi, dopo vent’anni, mi sembrano quanto mai attuali. «Quando si scriverà la sua biografia, fra gli altri aspetti rilevanti della sua personalità soprannaturale e umana, questo dovrà occupare un luogo preminente: il primo successore del beato Josemaría Escrivá nel governo dell’Opus Dei fu — anzitutto e soprattutto — un cristiano leale, un figlio fedelissimo della Chiesa e del fondatore, un Pastore completamente dedito a tutte le anime e in modo particolare al suo pusillus grex, alla porzione del popolo di Dio che il Signore aveva affidato alle sue cure pastorali, in stretta comunione con il Romano Pontefice e con tutti i suoi Fratelli nell’Episcopato. Lo ha fatto con assoluta dimenticanza di sé, con donazione gioiosa e allegra, con carità pastorale sempre accesa e vigilante»[6].

Nella prima Messa celebrata dal servo di Dio dopo l’ordinazione episcopale, il 7 gennaio 1991, alla fine dell’omelia aggiunse alcune parole che evidenziano chiaramente le sue aspirazioni. Ricordando san Josemaría e l’ordinazione dei primi tre sacerdoti dell’Opera, nel 1944, affermò: “Nostro Padre ripeté in quella occasione e sempre: orazione, orazione, orazione; e io, mentre ero prostrato sul pavimento della Basilica di San Pietro, facendogli eco insistevo: fedeltà, fedeltà, fedeltà! Siamo fedeli: ne vale la pena! L’unica cosa che vale la pena è vivere una vita coerente, dopo aver risposto di sì a Nostro Signore. Decidiamoci a essere fedeli! E che lo si noti!”[7].

1. Una fedeltà rinnovata costantemente

Papa Giovanni Paolo II, di cui già pregustiamo l’imminente canonizzazione, asseriva che si può parlare veramente di fedeltà solo quando si è superata la prova più impegnativa: il passare del tempo, che può logorare anche le migliori intenzioni. «È facile esser coerente per un giorno o per alcuni giorni. È difficile e importante esser coerente per tutta la vita. È facile esser coerente nell’ora dell’entusiasmo, è difficile esserlo nell’ora della tribolazione. Perciò può chiamarsi fedeltà solo una coerenza che dura per tutta la lunghezza della vita»[8]. Queste parole si sono avverate pienamente in don Álvaro del Portillo. Nel corso della sua lunga esistenza — colma di gioia per la consapevolezza di sapersi figlio di Dio in Cristo — la sua fedeltà si è temprata giorno dopo giorno. Sin dall’infanzia e adolescenza nella casa paterna coltivò, fra le altre virtù, la lealtà, che è la base umana della fedeltà. Educato dai genitori a una solida vita di pietà cristiana, imparò a essere coerente con le promesse battesimali; allo stesso tempo si sviluppò nel suo animo un affiatamento forte e pieno, senza ombra di screzi, con i genitori e i fratelli, gli amici e i compagni di scuola, e con qualsiasi persona a cui avesse dato la sua parola d’onore.

I genitori di don Álvaro, Ramón e Clementina, favorirono la crescita della personalità di ciascuno dei figli, rispettandone il carattere e insegnando loro a gestire con prudenza la propria libertà. Dimostravano sempre una fiducia assoluta nei loro confronti, a tal punto che, per esempio, non ostacolarono nessuno di loro a trasferirsi anche all’estero, per motivi di studio, cosa per la verità poco frequente all’epoca. Ci tenevano molto a che i ragazzi ricevessero una genuina formazione cristiana, prima di tutto in famiglia, come punto di riferimento per poter superare bene le difficoltà della vita; e seppero diventare veri amici di ognuno. Don Álvaro ricordava sempre con gioia e riconoscenza i colloqui con suo padre.

La mamma, dopo la scomparsa del marito in piena guerra civile spagnola, seppe affrontare con generosità e forza d’animo i problemi che le si presentarono. La tempra della signora Clementina si era irrobustita grazie alla vicinanza spirituale di san Josemaría, dopo che egli conobbe e iniziò a frequentare i componenti della sua famiglia. Da buona madre era motivata specie dall’affetto profondo e premuroso per il figlio Álvaro, non diverso da quello che nutriva per gli altri figli, ma particolare, perché aveva colto in lui un atteggiamento più responsabile e una maggiore sensibilità dinanzi ai problemi familiari, per i quali era sempre disponibile.

Il senso di responsabilità di Álvaro, piuttosto insolito in un giovane della sua età, si dimostrò, per esempio, nelle difficoltà economiche che la famiglia dovette affrontare. Alla fine della scuola secondaria, spinto dalla sua lealtà, decise di intraprendere un corso di studi di medio livello, per contribuire il più presto possibile al sostentamento della famiglia. Si iscrisse, perciò, alla “Escuela de Ayudantes de obras públicas” (Scuola di assistenti ai lavori pubblici) perché quel corso era più breve della laurea in ingegneria civile, che pure considerava come la sua vera vocazione professionale. Non esitò a sacrificare le proprie preferenze, anche pensando che, con i suoi ricavi professionali, avrebbe potuto finanziarsi gli studi di ingegneria civile, come di fatto avvenne, senza essere di peso alla famiglia.

In casa imparò anche ad allenarsi alla comprensione, facilitato dal suo carattere benevolo; e seppe andare d’accordo con magnanimità con le persone che frequentava, senza giudicare frettolosamente o con parzialità la condotta di nessuno, a maggior ragione se non conosceva in dettaglio le circostanze e l’ambiente. Allo stesso tempo dimostrò sempre di essere intransigente quando era necessario, senza farsi influenzare dalle critiche altrui se era in gioco una mancanza di giustizia o di carità. Non gli risultava costoso rettificare quando gli si faceva notare di essersi sbagliato o quando se ne rendeva conto da solo. Per questo, la compagnia di quel giovane era molto gradita, e tale restò per tutta la vita. Da adolescente si preoccupava con grande affetto dei fratelli minori. Tutti custodirono nella memoria il ricordo della sua disponibilità: non lesinava né tempo né sforzo per aiutarli o per insegnare loro qualsiasi cosa di cui avessero bisogno. Era santamente orgoglioso di tutta la famiglia e si comportava analogamente con le persone con cui aveva fatto amicizia o che conosceva appena. Insomma, Álvaro visse molto presto l’amicizia — intesa come un autentico servizio agli amici — con un modo di fare gradevole, malgrado una certa timidezza che affiorava quando doveva muoversi in pubblico. Si faceva voler bene perché la sua semplicità conquistava e nel suo comportamento si percepiva una magnanimità che facilitava l’amicizia.

Durante la giovinezza, oltre a maturare nel rapporto personale con Dio, cominciò a occuparsi con affetto sincero delle persone più bisognose. Lo faceva soffrire l’indigenza percepita in diversi ambienti, e in particolare la miseria di molti abitanti dei sobborghi di Madrid. Perciò, con una motivazione squisitamente cristiana, in cui si percepiva chiaramente la sua preoccupazione per il prossimo, partecipò spesso a visite ai poveri e ai malati, col desiderio di dedicare il proprio tempo alla formazione spirituale e umana di molti e ad alleviarne la miseria morale e materiale. Facendo leva sull’ampia base di virtù umane e di vita di fede, il Signore si servì di quelle vie per prepararlo all’incontro con il fondatore dell’Opus Dei, nel 1935.

2. L’incontro con san Josemaría

Uno degli amici, con cui don Álvaro andava ad assistere i malati negli ospedali di Madrid, conosceva don Josemaría Escrivá e gliene parlò con entusiasmo. Don Álvaro chiese all’amico di presentarglielo e così, a marzo del 1935, si recò per la prima volta nella residenza DYA, ubicata in via Ferraz a Madrid. L’incontro, per la verità, fu piuttosto breve per impegni che il sacerdote non poteva rimandare. Restarono d’accordo di rivedersi e fissarono il giorno e l’ora del successivo appuntamento.

Per vari motivi quell’incontro non ebbe luogo. Frattanto Álvaro aveva già iniziato a lavorare come Assistente ai lavori pubblici, senza tralasciare il piano di studi nella Scuola di Ingegneria Civile, in cui prendeva voti molto buoni. All’inizio dell’estate, prima di partire per la villeggiatura assieme alla famiglia, nel paese di La Granja (provincia di Segovia), si sentì in dovere di andare a salutare quel sacerdote che, sin dal primo, e unico, incontro, gli aveva dimostrato tanta simpatia, lasciando nella sua anima una profonda impressione. Anni dopo, parlando di questa decisione, non trovava nessuna spiegazione se non l’azione della grazia; e affermava che, ricordando la cordialità di san Josemaría, gli era sembrato assolutamente naturale passare dalla residenza di via Ferraz prima di partire.

Si presentò senza nessun appuntamento il 6 luglio 1935. Don Josemaría lo accolse con la sua tipica cordialità sacerdotale e umana. Parlarono a lungo, toccando in quella conversazione, profonda e spirituale, vari temi: il lavoro, la famiglia, gli studi, ecc. Alla fine il sacerdote lo invitò al ritiro spirituale che si sarebbe tenuto la mattina dopo nella residenza universitaria. Quell’invito cordiale, che dimostrava un sincero interesse per la sua persona, lo colse alla sprovvista, perché non aveva mai partecipato ad attività spirituali di quel genere, sebbene — come ho già detto — avesse ricevuto un’accurata educazione cristiana in famiglia e avesse frequentato una scuola retta da religiosi. Fu sempre convinto che, sia per il suo carattere un po’ timido, sia, soprattutto, per l’affabilità di don Josemaría, non se la sentì di opporgli un rifiuto e si impegnò a partecipare. Si accomiatò molto contento di quel colloquio e non ebbe alcun problema a cambiare, con piena libertà, il piano delle sue vacanze. La decisione non sorprese affatto la famiglia, sia perché i suoi impegni professionali richiedevano a volte cambiamenti improvvisi di programma, sia per la serietà di Álvaro, di cui conoscevano la maturità e il senso di responsabilità.

Ciò che accadde il 7 luglio 1935 è stato raccontato dettagliatamente nelle biografie di don Álvaro già pubblicate[9]. Quella stessa mattina, dopo la prima meditazione di san Josemaría, uno dei presenti gli parlò della possibilità di donarsi a Dio nell’Opus Dei, senza abbandonare il lavoro professionale, e la risposta affermativa di Álvaro fu immediata. In qualche occasione, anni dopo, lo ha raccontato egli stesso, cedendo alle confidenziali insistenze dei suoi figli.

«Andai al ritiro, ascoltai una meditazione e subito dopo mi parlarono della bellezza di seguire Dio. E io, con la grazia di Dio, dissi: “Eccomi qua”, e non andai in vacanza. Restai a Madrid, a lavorare e a ricevere formazione nello spirito dell’Opera. Nostro Padre, che era molto stanco — eravamo alla fine dell’anno scolastico, lui aveva lavorato molto ed era stato ammalato —, iniziò, nonostante tutto ciò, un corso di formazione solo per me»[10].

Sin dal primo momento, si rese conto del cambiamento avvenuto nella sua anima e anche nella sua personalità. Dal 7 luglio in poi, sentì la necessità imperiosa — lui che si considerava timido — di parlare di più con gli altri e di conoscere molte persone, per aiutarle a scoprire la fortuna di essere figli di Dio. Perciò, senza rispetti umani, cominciò a invitare studenti e conoscenti a partecipare ai mezzi di formazione spirituale.

Qualche tempo dopo, trovandosi fuori Madrid per un viaggio richiesto dagli studi di ingegneria, scrisse una lettera al fondatore dell’Opera, in cui gli diceva, fra l’altro: “Mi è passato l’entusiasmo”. San Josemaría utilizzò questa frase nel comporre un punto del libro Cammino: «“Mi è passato l’entusiasmo”, mi hai scritto. Tu non devi lavorare per entusiasmo, ma per Amore: con coscienza del dovere, che è abnegazione»[11].

Don Álvaro faceva osservare che, non appena parlò col fondatore dell’Opus Dei, precisò che non si era espresso così in un momento di scoraggiamento o di disorientamento, ma solo per far capire che era venuto meno l’entusiasmo esterno che fino ad allora aveva percepito intensamente. E aggiungeva che san Josemaría gli aveva risposto: “Ti capisco, ma non mi sembra fuori luogo ciò che ho scritto, perché può tornare utile a tutti noi”. Ritengo che questo episodio di Cammino — che ha fatto e continua a fare tanto bene alle anime — rifletta un’esperienza cristiana di vita vissuta, ricavata dalla realtà, e non una mera teoria. Nello stesso tempo, è una conferma di ciò che esprimeva Benedetto XVI in una certa occasione: «La scuola della fede non è una marcia trionfale, ma un cammino cosparso di sofferenze e di amore, di prove e di fedeltà da rinnovare ogni giorno»[12].

Con l’andar del tempo, crebbe in Álvaro la necessità — la santa ambizione — di formarsi di più e meglio, per corrispondere ai doni che aveva ricevuto e continuava a ricevere quotidianamente da Dio. Pochi mesi dopo quel luglio del 1935, san Josemaría cominciò ad appoggiarsi su quello studente nella direzione e nell’apostolato delle persone che facevano parte dell’Opera da tempo, sebbene il peso principale del lavoro ricadesse logicamente sul fondatore. Per coloro che ascoltavano Álvaro era evidente che, grazie al suo desiderio di formarsi per servire meglio, recepiva lo spirito di san Josemaría con una fedeltà che stava sotto gli occhi di tutti. Nessuno restò sorpreso che don Josemaría, quando doveva assentarsi da Madrid per qualche incombenza, desse ad Álvaro l’incarico di dirigere i mezzi di formazione spirituale e apostolica ai giovani che partecipavano al lavoro della Residenza.

Dopo la fine della guerra civile spagnola nel 1939, aumentò notevolmente l’espansione apostolica dell’Opus Dei. Ormai il fondatore non poteva più provvedere da solo alla direzione spirituale di tutti i fedeli dell’Opera, come faceva di solito, e volle che lo aiutassero i suoi figli più grandi. Álvaro fu il primo a collaborare alla direzione spirituale dei più giovani. San Josemaría gli raccomandò di svolgerla con grande responsabilità, perché si sarebbero rivolti a lui con la stessa fiducia con cui si affidavano al fondatore.

Non sono state poche le volte in cui, anni dopo, ho sentito dire da don Álvaro che, prima di iniziare ogni colloquio di direzione spirituale, si raccomandava allo Spirito Santo per ascoltare le persone con la massima delicatezza possibile; e soggiungeva anche che, proprio per svolgere quell’incarico con la massima fedeltà, consigliava a chi lo ascoltava, in ogni incontro, di cercare di migliorare sempre di più la propria unione con san Josemaría: era un punto che non ometteva mai, toccandolo con forza ma anche con garbo e — a quanto mi risulta — in modo sempre convincente. Era pienamente cosciente che in quel momento faceva le veci del Padre, il quale guidava tutti e ciascuno per cammini di dedizione sempre maggiore, con una fedeltà radicale allo spirito ricevuto dal Signore.

Il commento di tutti gli uomini dell’Opus Dei che furono destinatari dell’assistenza spirituale di don Álvaro è stato unanime: dietro a ogni parola di quel loro fratello vedevano san Josemaría, in particolare per l’affetto e la vicinanza con cui li sapeva accompagnare.

3. Piena fedeltà allo spirito dell’Opus Dei

Sin dagli inizi dell’Opus Dei il fondatore vide con assoluta chiarezza la necessità di procedere con ordine e mentalità teologico-giuridica nell’organizzazione dell’Opera di Dio secondo le luci interiori ricevute dal Signore. Nei primi anni, addirittura per più di un decennio, si incaricò personalmente anche del lavoro materiale, per mostrare ai fedeli dell’Opera — in maniera plastica — come si poteva cercare la santità nella vita ordinaria. Al contempo si dedicava a trasmettere gli aspetti basilari dello spirito dell’Opus Dei attraverso riunioni o lezioni, e in colloqui individuali; e si avvaleva della collaborazione di alcuni di loro — prima di tutti di Álvaro — per dattiloscrivere i documenti fondazionali che preparava lui. Diversi anni dopo, don Álvaro fu incaricato dallo stesso san Josemaría di annotare le Istruzioni e altri documenti del fondatore. Questo criterio operativo, con l’integrazione di commenti e precisazioni a coloro che lo aiutavano, si rivelava molto utile per rendersi conto meglio della profondità con cui assimilavano lo spirito dell’Opera e del modo in cui lo stavano mettendo in pratica.

Dinanzi a quelle dimostrazioni di fiducia tutti cercavano di corrispondere con la massima generosità. San Josemaría si rese subito conto che Álvaro dava prova — con l’attenzione prestata ma anche con i fatti — di una piena disponibilità, sempre unita alla correttezza e alla gioia, e quando gli si chiedeva un parere, le sue opinioni erano caratterizzate da grande prudenza e da un acuto e fine criterio nel governo, uniti al dono di una straordinaria capacità di attrarre la gente. Anche nelle riunioni di lavoro era palese la finezza con cui Álvaro seguiva le spiegazioni del fondatore, le faceva proprie e si impegnava a metterle in pratica.

Durante i mesi della guerra civile in cui il fondatore dell’Opus Dei trovò rifugio in una sede diplomatica, a Madrid, con altri fedeli dell’Opera tra cui Álvaro, e, successivamente, quando questo suo figlio riuscì a raggiungerlo a Burgos fuggendo dalla zona in cui la Chiesa era perseguitata, nell’ottobre del 1938, san Josemaría ebbe l’opportunità di un contatto più stretto con lui. Potevano parlare per le vie di Burgos, finché Álvaro rimase nei paraggi di quella città castigliana, mentre frequentava i corsi di sottotenente di complemento, e nelle visite di san Josemaría a Cigales, località in cui Álvaro fu destinato dall’esercito, nei primi mesi del 1939.

Sono state conservate alcune lettere del fondatore in cui egli usa la parola “saxum” per indicare Álvaro: «Saxum!: confido nella solidità della mia roccia», gli scriveva il 13 febbraio 1939. E il mese dopo, in data 23 marzo: «Gesù, mi ti protegga, Saxum. E certamente lo sei. Vedo che il Signore ti presta fortezza, e rende operativa la mia parola: saxum! Siigliene grato e sii fedele». Poco dopo, il 18 maggio di quell’anno, tornava a insistere: «Saxum!: come è bianco e lungo il cammino che ti resta da percorrere! Bianco e fecondo, come un campo pronto per il raccolto. Benedetta fecondità d’apostolo, più bella di tutte le meraviglie della terra! Saxum!». Infine, da Burjasot (Valencia), dove stava predicando un corso di ritiro, il 6 giugno, gli ripeté: «Saxum!: si aspettano molto da te tuo Padre del Cielo (Dio) e tuo Padre della terra e del Cielo (io)»[13], riferendosi alla filiazione spirituale dei fedeli dell’Opera nei confronti del fondatore.

La scelta della parola Saxum, roccia, rivela che san Josemaría, alla fine degli anni Trenta, riteneva già che quell’uomo sarebbe stato per lui un punto d’appoggio forte e gli avrebbe offerto una solida collaborazione per consolidare e sviluppare l’Opus Dei.

Nell’Archivio storico della Prelatura — prova lampante della sua lealtà — si conserva anche il manoscritto della traccia di una meditazione predicata da san Josemaría a Cigales, un paesino a cui era stato destinato Álvaro del Portillo assieme a un altro fedele dell’Opus Dei, Vicente Rodríguez Casado. È datato 10 febbraio 1939, vigilia della Madonna di Lourdes, ed è il più antico documento in cui appare questo termine. Il primo punto della traccia dice: «Tu es Petrus,... saxum — sei pietra,... roccia! E lo sei, perché lo vuole Dio. Nonostante i nemici che ci circondano,... nonostante te... e me... e tutto il mondo se si opponesse. Roccia, fondamento, appoggio, fortezza,... paternità!»[14]. Alla luce delle lettere citate, non c’è dubbio che si riferisse principalmente ad Álvaro, sebbene si appoggiasse su tutti i suoi figli con piena fiducia.

È molto significativo un documento in cui Álvaro descrisse il comportamento di una persona autenticamente responsabile quando occorre prendere una decisione e c’è la difficoltà di non potersi mettere in contatto con chi dirige un’importante attività. L’appunto è stato scritto molto probabilmente alla fine del 1939, quando egli aveva già assolto gli obblighi militari, protrattisi per alcuni mesi dopo la fine della guerra civile. In quell’appunto, che occupa due mezzi fogli scritti fronte e retro, Álvaro, su richiesta di san Josemaría, trasmette laconicamente la propria esperienza, ricorrendo al linguaggio militare che allora risultava a tutti molto familiare, per il conflitto ancora recente. Egli tratteggia la figura del enlace — vale a dire il militare che funge da collegamento tra il comando e la truppa — per descrivere uno che decide secondo la mens dei superiori, quando è impossibile ricevere gli ordini direttamente. Álvaro propone una riflessione ascetica, applicando il linguaggio militare all’ambito soprannaturale, dal momento che la vita cristiana — come insegna la Sacra Scrittura — è una milizia di pace (cfr. Giob 7, 1), che spinge il cristiano a lottare senza stancarsi contro tutto ciò che potrebbe allontanarlo da Dio. Fra le altre considerazioni, scrive: «Se veramente compiamo le norme [il piano di vita spirituale e ascetico], se leggiamo il Vangelo cercando di viverlo con intensità, diventando protagonisti di quelle scene, se recitiamo il Rosario così, se raggiungiamo, a costo di tutta la lotta che occorra, una presenza di Dio abituale, allora noi, che formiamo un solo corpo con Cristo, assomiglieremo sempre di più a Lui»[15]. In quelle brevi considerazioni parla anche dell’unità e obbedienza con chi sta a capo nel lavoro apostolico, per conoscere bene il suo spirito e identificarsi con colui che governa; e si sofferma ad apprezzare l’azione dello Spirito Santo nell’anima, la comunione dei santi e la perseveranza davanti agli ostacoli.

Al termine del periodo bellico, il reggimento a cui apparteneva Álvaro fu trasferito a Olot, in Catalogna, ed egli rimase lì fino al 18 luglio; quando fu congedato, poté rientrare a Madrid e riprese immediatamente il proprio lavoro professionale come Assistente ai lavori pubblici. In quei frangenti scrisse pieno di gioia a un amico: “Oggi ritorno a casa da Olot. Finalmente sono stato destinato a Madrid! Puoi immaginare ciò che rappresenta per me questo ritorno in famiglia, equivale alla liquidazione definitiva della guerra. Finora non era finita veramente per me”[16].

Durante i mesi precedenti, stando fisicamente lontano da san Josemaría, aveva realizzato diversi viaggi per stare con il fondatore dell’Opus Dei, per parlare a tu per tu e partecipare a qualche ritiro spirituale. Oltre ad andare sette volte a Burgos, ottenne due brevi congedi militari per recarsi a Valenza e a Vittoria, superando le enormi difficoltà del tragitto, per la mancanza di strade e di mezzi di trasporto efficienti. Inoltre, durante quelle settimane scrisse quasi ogni giorno a san Josemaría, ad altri membri dell’Opera e a diversi amici: sono lettere piene di ottimismo soprannaturale e di simpatia, in cui traspare il desiderio di curare fedelmente la propria vita cristiana e di migliorare il livello morale del contesto in cui si trovava.

Dopo uno di quei viaggi con permesso militare, al ritorno a Olot, scrisse una lettera al fondatore dell’Opera: “Credo che tutto andrà sempre molto bene. Ancor di più con quello che Lei mi ha detto a proposito della necessità di spingere molto, specialmente ora. Lo vogliamo entrambi [si riferisce al Signore e a sé] e io nutro l’aspirazione che, malgrado tutto, Lei possa fidarsi di uno che, più che roccia, è fango privo di ogni solidità. Ma il Signore è tanto buono!”[17].

Come si deduce da tutti questi fatti, san Josemaría si rese conto — in molti modi — che il Signore aveva messo così strettamente al suo fianco Álvaro, perché aveva doti particolari per il lavoro di governo e per la cura spirituale e apostolica degli altri. In quegli anni, il fondatore sapeva di essere l’unico responsabile davanti a Dio della crescita dell’Opus Dei secondo quanto aveva visto il 2 ottobre 1928, ed era cosciente che avrebbe dovuto render conto del compimento di questo dovere, pur non prescindendo mai dalle iniziative dei suoi figli nel mettere in pratica i suoi insegnamenti.

Non esito a dire che, sia agli inizi del suo cammino nell’Opus Dei che alla fine della vita, Álvaro fu pienamente consapevole della grande portata — del peso significativo — dell’avventura divina e umana di attuare la volontà di Dio assecondando san Josemaría. Non si lasciò scoraggiare da quello splendido panorama superiore alle forze di chiunque, anche della persona più dotata, e reagì nel modo descritto puntualmente nel Deuteronomio: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: ‘Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?’. Non è di là dal mare, perché tu dica: ‘Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire?’ Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica” (Dt 30, 11-14). Era stato testimone della generosa fedeltà di san Josemaría e, mosso dalla grazia, seguì con lealtà le sue orme, giorno dopo giorno, con una lotta quotidiana altrettanto generosa.

Álvaro non perdeva occasione per ascoltare, per meditare ciò che sentiva, per pensare nell’orazione ai consigli e insegnamenti ricevuti e non rifiutava la fatica quando san Josemaría gli chiedeva di dedicarsi alle più diverse incombenze. Per tali motivi, già dalla fine del 1939, una volta rientrato a Madrid, il fondatore lo nominò segretario generale dell’Opus Dei, cioè il suo più stretto collaboratore. Gli altri fedeli dell’Opera capirono subito che l’interessato non assumeva la carica come un riconoscimento personale, e meno che mai come una promozione. Al contrario, percepirono ancora di più il suo anelito di crescere in vita interiore, di lavorare con professionalità nei diversi compiti o attribuzioni che gli piombavano addosso, di servire tutti, in qualsiasi momento o circostanza avessero avuto bisogno di lui. Certamente aveva trovato un buon maestro nel fondatore dell’Opus Dei, che quotidianamente, con la propria condotta, gli dava esempio di dedizione generosa, cercando l’eroismo nella corrispondenza alla grazia divina, sia nelle occupazioni rilevanti che nelle attività ordinarie.

Don Álvaro rappresentò sempre, e soprattutto dopo quella nomina, un appoggio molto solido per san Josemaría. Da allora in poi, “nei rapporti con il fondatore portò all’estremo la venerazione e il rispetto, dimostrando sempre la massima disponibilità e generosità nel proiettare tutte le proprie qualità al servizio della missione ricevuta. Seppe affiancarlo validamente in tutte le prove e le numerose tribolazioni che dovette affrontare; la sua fortezza, la sua prudenza, la sua prontezza nell’obbedire furono per il Padre un punto di appoggio che non venne mai meno. Riferendosi a lui in modo implicito, ma altrettanto palese per coloro che lo ascoltavano, un giorno san Josemaría confidò: «Non sono mai mancati, in modo provvidenziale e costante, fratelli vostri che, più ancora che figli miei, sono stati per me come un padre quando ho avuto bisogno della consolazione e della fortezza di un padre»[18].

Forse anche per questi motivi, molti anni dopo, san Josemaría ricordava di tanto in tanto che non era stato lui a scegliere don Álvaro per lavorare assieme, ma era stato Dio a metterlo accanto a lui. Diceva anche che la fedeltà di quest’uomo, così ininterrotta nel corso degli anni, costituiva «una permanenza che dev’essere opera dello Spirito Santo»[19]. Lo stesso don Álvaro varie voltò assicurò: “Non è stato nostro Padre a scegliere che io gli stessi accanto; di solito diceva che era opera dello Spirito Santo. Tutti gli altri, chi per un motivo, chi per un altro, non potevano restare accanto a nostro Padre. E così Dio ha scelto me: il nostro fondatore lo ha asserito molto spesso”[20].

Concludo questo paragrafo sulla fedeltà di don Álvaro al fondatore dell’Opus Dei, come manifestazione della sua fedeltà alla Volontà di Dio, con due episodi molto eloquenti, riferiti da testimoni oculari.

Nel 1950 don Álvaro ebbe un attacco di appendicite acuta accompagnato da dolori fortissimi e con pericolo di vita, per cui fu necessario operarlo d’urgenza. Era il 26 febbraio. Tanto per le tecniche che allora si usavano che per la durata dell’intervento, complicatosi più del previsto, i medici decisero di aumentare le dosi dell’anestesia; perciò il risveglio post-operatorio fu più lento del normale. In quelle circostanze avvenne un aneddoto, riferito da Encarnación Ortega[21], che io stesso ho sentito raccontare personalmente varie volte da san Josemaría.

Dopo che don Álvaro era stato riportato in stanza, gli si avvicinò uno dei medici per controllare come stava andando la ripresa post-operatoria. Si stupì nel vedere che nessuno riusciva a farlo risvegliare e cominciò a preoccuparsi perché stavano usando tutti i mezzi possibili, senza il minimo successo. Stanti così le cose, arrivò in clinica il fondatore dell’Opus Dei e fu informato della situazione, probabilmente molto critica, del paziente. San Josemaría si avvicinò al capezzale e, con una gran calma, gli sussurrò affettuosamente: “Álvaro!”. La risposta del paziente fu immediata: “Padre!”. E così iniziò il risveglio che fino a quel momento non sembrava imminente. San Josemaría proferì con naturalezza, come se si trattasse di qualcosa di abituale, il seguente commento: “Questo figlio mi ubbidisce anche nel sonno”.

Il quadro dell’accaduto si completa con un altro episodio riferito da Giovanni Masià, che sottolinea il serio rischio di quell’operazione. «Qualche giorno dopo l’intervento — si legge nella sua testimonianza —, nostro Padre mi chiese di accompagnarlo a far visita al malato. Nella stanza c’eravamo solo noi tre e don Álvaro era ancora in preda al delirio (…). Non faceva altro che ripetere questa frase: “Voglio lavorare accanto al Padre, con tutte le mie forze, fino alla fine della mia vita”. Poiché continuava a ripetere solo queste parole, nostro Padre e io, molto emozionati, quasi con le lacrime agli occhi, dovemmo uscire dalla stanza»[22].

La fedeltà di don Álvaro si dimostrò specialmente nel modo in cui portò a termine l’itinerario giuridico dell’Opera con la sua erezione come Prelatura personale nel 1982. La forma giuridica definitiva assicurava, così, che il carisma ricevuto da san Josemaría Escrivá il 2 ottobre 1928 non si snaturasse e venisse rafforzata l’unità di spirito, di regime e di giurisdizione di questa porzione del popolo di Dio composta da comuni cristiani, laici e sacerdoti.

È commovente la coincidenza — che ritengo, a parer mio, voluta dalla Provvidenza divina — che nell’ultima lettera pastorale di questo vescovo esemplare, inviata a noi fedeli dell’Opus Dei perché gli fossimo vicini spiritualmente nel suo ottantesimo compleanno, pochi giorni prima della sua inattesa scomparsa, don Álvaro abbia scritto: «In questo anniversario così significativo per me, e quando compirò i cinquant’anni di sacerdozio nel prossimo mese di giugno, il miglior regalo che potete farmi, figlie e figli miei, è rinnovare in profondità il desiderio di fedeltà proselitista che ci anima tutti»[23].

4. Fedeltà alla Chiesa e al Romano Pontefice

La fedeltà alla vocazione cristiana, in tutta la sua integrità, non è una virtù che riguarda solo alcuni, ma interessa tutti, dato che a ciascuno di noi battezzati il Signore concede la sua grazia nella nostra esistenza quotidiana. Lo ricordava anche Papa Francesco in una delle sue prime omelie, dopo l’elezione a Romano Pontefice.

«Il Signore ci chiama ogni giorno a seguirlo con coraggio e fedeltà; ci ha fatto il grande dono di sceglierci come suoi discepoli; ci invita ad annunciarlo con gioia come il Risorto, ma ci chiede di farlo con la parola e con la testimonianza della nostra vita, nella quotidianità». E aggiungeva il Santo Padre: «Questo ha una conseguenza nella nostra vita: spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti: possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, il mettere al centro sé stessi, la tendenza a prevalere sugli altri, la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri.

«Questa sera vorrei che una domanda risuonasse nel cuore di ciascuno di noi e che vi rispondessimo con sincerità: ho pensato io a quale idolo nascosto ho nella mia vita, che mi impedisce di adorare il Signore? Adorare è spogliarci dei nostri idoli, anche quelli più nascosti, e scegliere il Signore come centro, come via maestra della nostra vita»[24].

Non ho dubbi che la biografia spirituale di don Álvaro, “servo buono e fedele” (Lc 19, 17), costituisca un esempio che tutti noi possiamo imitare. La nostra massima aspirazione in quanto cristiani è servire la Chiesa, il Romano Pontefice e tutte le anime, come ci insegna il Vangelo. È stata questa la linea di condotta di don Álvaro, che lottò con pace e gioia, con costanza, per mettere in pratica lo spirito che gli aveva trasmesso san Josemaría. Dal primo momento in cui lo fece proprio, visse e insegnò a vivere la chiamata universale alla santità. E fu quella la traiettoria della sua fedeltà, prima come giovane, poi come membro dell’Opus Dei, contrassegnata da una saldissima unione con san Josemaría e con il suo spirito, durante gli anni passati accanto a lui e, successivamente, i lustri in cui diresse l’Opus Dei con il proprio servizio pastorale.

La sua lealtà cristiana e umana alla Chiesa e al Papa andò in crescendo e si mostrò in modo ancor più evidente da quando si stabilì definitivamente a Roma nel 1946, fino alla morte avvenuta nel 1994. Non mi soffermerò — torno a ripeterlo — su aspetti ampiamente riportati nelle biografie pubblicate: la sua collaborazione con vari dicasteri della Curia romana, durante i pontificati di Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II; il suo lavoro nei preparativi del Concilio Vaticano II e nel suo svolgimento come segretario di una delle commissioni conciliari; il suo ruolo nella revisione del Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983, ecc. Alluderò solo ad alcuni momenti di cui sono testimone oculare, durante il pontificato del beato Giovanni Paolo II, con cui don Álvaro ebbe un rapporto di intimità e affetto filiali per molti anni.

Sin dai primi mesi dopo l’elezione del nuovo Papa nel 1978, si stabilì uno stretto e frequente rapporto fra Giovanni Paolo II e don Álvaro. Fu una collaborazione molto ampia — fatta di piccoli incarichi e di programmi di ampio respiro —, perché don Álvaro, con lo sguardo della fede, vedeva la Volontà di Dio dietro a ogni richiesta o suggerimento del Santo Padre, come aveva sempre fatto con i precedenti successori di Pietro. Nelle prime settimane di quella nuova tappa della Chiesa, assecondò il Papa nei preparativi dell’ordinazione episcopale del suo successore a Cracovia, nell’altare della Confessione della Basilica di San Pietro. Il progetto non era stato accolto con molto calore in alcuni ambienti della Curia romana, per timore di non riuscire a riempire la basilica. Un ecclesiastico suggerì allora al Santo Padre di rivolgersi a don Álvaro per fare intervenire un gran numero di persone. Don Álvaro riuscì a mobilitare molti romani, attraverso i membri e i Cooperatori dell’Opera residenti a Roma: con il loro apostolato personale contribuirono decisivamente alla riuscita della celebrazione con un grande afflusso di gente. Il Santo Padre fu grato per questo gesto e menzionò l’Opus Dei al termine della cerimonia.

Altrettanto accadde quando il Papa manifestò il desiderio di ripristinare le processioni eucaristiche del Corpus Domini nelle vie di Roma, che da moltissimo tempo non si celebravano più per le strade della Città Eterna. Poté contribuire, poi, alla realizzazione anche di un altro desiderio apostolico di Giovanni Paolo II: iniziare a Roma una consuetudine a lui molto cara, che aveva promosso da arcivescovo di Cracovia. Si trattava della celebrazione di una Messa per gli universitari in Avvento e in Quaresima, come preparazione al Natale e alla Pasqua, alla presenza anche del corpo docente. Non era un’usanza romana, ma il Papa comunicò a don Álvaro questo suo desiderio, chiedendogli qualche suggerimento. Egli, da sacerdote fedele, accolse subito con gioia la proposta, suggerendo di fare stampare inviti personali per poterli distribuire tra gli studenti. Fece presente che quell’occasione poteva essere ottima per riavvicinare i giovani al sacramento della Penitenza, e propose che nella Basilica di San Pietro ci fossero parecchi sacerdoti secolari, tra cui alcuni incardinati nell’Opus Dei e residenti nell’Urbe, disponibili per le confessioni alcune ore prima dell’inizio della celebrazione eucaristica. Il Cardinale Martínez Somalo, all’epoca Sostituto della Segreteria di Stato, racconta che «la risposta degli studenti fu entusiastica: e da allora in poi è sempre stata così. Furono sensibilizzati uno per uno e molti parteciparono a quella Messa. Al termine, i sacerdoti presenti parlavano con stupore del numero elevato di confessioni che ci furono, grazie alla celebrazione liturgica del Papa»[25].

Altro capitolo potrebbe essere quello dei viaggi pastorali del Pontefice. Nel 1978, Giovanni Paolo II chiese il parere di don Álvaro sull’opportunità di andare in Messico per presiedere la Conferenza dell’Episcopato Latinoamericano a Puebla. Mons. del Portillo rispose che lo riteneva un gran bene per la Chiesa, nonostante le possibili previsioni pessimistiche. Nell’imminenza dei successivi viaggi pastorali del Papa nel mondo, egli ricordava ai fedeli e ai Cooperatori della Prelatura di dimostrare in tutti i modi il loro affetto filiale al Santo Padre e di contagiarlo agli amici, parenti e conoscenti, attraverso il proprio apostolato personale. Questo appoggio accompagnò il Papa dappertutto e fu decisivo specialmente in alcuni viaggi pastorali in cui si prevedeva un ambiente freddo, o addirittura ostile, alla visita del Vicario di Cristo.

Anche in progetti di più ampio respiro don Álvaro si rivelò sensibilissimo ai desideri del Papa, inserendoli nei piani pastorali della Prelatura. Un esempio molto chiaro è rappresentato dall’inizio del lavoro apostolico dell’Opera nei Paesi del Nord e dell’Est dell’Europa.

Uno dei sogni apostolici di don Álvaro era che l’Opus Dei potesse lavorare in Cina continentale per collaborare alla semina della luce di Cristo in quell’immenso Paese. Tale aspirazione cominciò a realizzarsi, almeno parzialmente, quando alla fine del 1980 egli eresse il primo centro dell’Opera a Hong Kong e, due anni dopo, in un altro importante crocevia dell’Estremo Oriente: Singapore. A dicembre del 1982 don Álvaro informò Giovanni Paolo II sui passi che l’Opus Dei stava muovendo in Asia e gli manifestò il desiderio di arrivare quanto prima in Cina continentale. Il Papa rispose che apprezzava quel desiderio, ma era più preoccupato della situazione delle nazioni scandinave, molto lontane dalla fede cristiana. Dinanzi a tali parole il Prelato capì che sarebbe stato più gradito a Dio un cambiamento di rotta e che occorreva arrivare il più presto possibile ai Paesi del Nord Europa.

Infatti, nella lettera di auguri di Natale per i suoi figli, inviata pochi giorni dopo, don Álvaro scrisse: “Adesso vorrei raccomandarvi di pregare per l’espansione apostolica dell’Opera, preparando con le vostre preghiere e i vostri sacrifici, con la vostra dedizione lieta e generosa, il lavoro nelle fredde regioni del Nord Europa: nei Paesi scandinavi”[26]. L’apostolato in quelle terre diventò una priorità di don Álvaro, a cui egli dedicò molte energie. Sapeva benissimo che non sarebbe stato facile ottenere risultati a breve scadenza, ma era convinto che Dio avrebbe dato tutto l’aiuto necessario. Riferendosi alla non facile semina dei fedeli dell’Opera colà, osservava: “È molto duro!, ma se è molto duro, sappiamo che avremo più grazia di Dio, perché quando il Signore manda ad arare un campo, dà tutti gli strumenti necessari per poter rimuovere le zolle aride. Andando là, Egli ci concederà tutte le grazie sufficienti per smuovere le anime”[27].

Giovanni Paolo II custodiva nel cuore l’anelito della nuova evangelizzazione e nel 1985 impresse un forte impulso a questa priorità pastorale, soprattutto nei Paesi dell’Europa occidentale e del Nord America in cui i sintomi del secolarismo stavano crescendo in modo allarmante. Una data carica di simbolismo è l’11 ottobre di quell’anno, quando il Santo Padre concluse un simposio di vescovi europei, che si teneva a Roma, invitando la Chiesa a un rinnovato slancio missionario. Don Álvaro fece immediatamente eco a questo progetto apostolico, e in data 25 dicembre dello stesso anno scrisse una Lettera pastorale ai fedeli della Prelatura, spingendoli a collaborare con tutte le forze a tale obiettivo, soprattutto nei Paesi della vecchia Europa. A partire da quel momento rilanciò i propri sforzi pastorali in questo settore, con frequenti viaggi nelle diverse circoscrizioni dell’Europa. Gli anni tra il 1987 e il 1990 si caratterizzarono per l’estensione di questo impegno agli altri Continenti: l’Asia e l’Oceania, l’America del Nord, e infine l’Africa.

In altri momenti, mosso dallo zelo di appoggiare fedelmente altre intenzioni del Papa, dette il via ad alcune iniziative apostoliche, con una profonda incidenza nella vita della Chiesa universale e delle Chiese particolari, orientate alla formazione dei sacerdoti e dei candidati al sacerdozio di diversi Paesi. Tra le prime spicca il potenziamento delle Facoltà ecclesiastiche dell’Università di Navarra e la creazione del Centro Accademico Romano della Santa Croce, che, nel giro di pochi anni, sarebbe diventato l’attuale Pontificia Università. Com’è ovvio, dovette superare molti ostacoli prima di vedere realizzati tali progetti, ma non desistette dall’impegno perché sapeva che corrispondevano ai piani del Santo Padre nel suo comprensibilissimo anelito di far conoscere Cristo, come lo aveva presentato nelle Encicliche Redemptor hominis e Redemptoris missio.

Per la formazione di candidati al sacerdozio, facendo proprio un altro suggerimento esplicito del Romano Pontefice, fondò due seminari internazionali allo scopo di preparare al sacerdozio seminaristi mandati dai rispettivi vescovi: il Collegio Internazionale “Bidasoa” (a Pamplona) e il “Sedes Sapientiae” (a Roma), eretti rispettivamente nel 1988 e nel 1991, nell’alveo dell’Università di Navarra e della Pontificia Università della Santa Croce. Con l’intento di offrire un degno alloggio agli alunni, ottenne la collaborazione di molte persone, attraverso la loro preghiera e le loro elemosine, per la costruzione o ristrutturazione degli edifici necessari, sia a Roma che a Pamplona.

Non occorre sottolineare che la realizzazione di questi progetti richiedeva somme di denaro di cui non si disponeva: non solo per la costruzione e la manutenzione degli edifici, ma anche per procurare un gran numero di borse di studio per gli studenti provenienti da diocesi con limitate risorse economiche.

I frutti spirituali di queste ultime iniziative apostoliche, e di molte altre, sono stati e continuano a essere grandi; e costituiscono una prova di come il Signore provvede sempre alle opere intraprese per servirlo. Don Álvaro era felicissimo vedendo crescere in quei centri accademici, anno dopo anno, il numero dei seminaristi e dei sacerdoti di differenti diocesi. Ci possono bastare qui poche cifre fornite dalla fondazione CARF, che ha esclusivamente lo scopo di indirizzare gli aiuti economici a quegli strumenti. Stando ai dati del 2011, dal loro inizio nel 1989, hanno svolto gli studi ecclesiastici alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma o all’Università di Navarra più di 11.000 alunni di 109 Paesi — seminaristi, sacerdoti, religiosi e religiose, professori di religione, catechisti, ecc. —, di cui 2.500 circa hanno usufruito di una borsa di studio, e più di 1.700 sono giunti al sacerdozio. Soltanto nei Seminari Internazionali “Bidasoa” (di Pamplona) e “Sedes Sapientiae” (di Roma) fino a quell’anno avevano ricevuto l’ordinazione sacerdotale 776 seminaristi[28].

Prima di concludere il mio intervento, certamente insufficiente a riflettere l’esemplare fedeltà a Dio e alla Chiesa del primo successore di san Josemaría Escrivá e primo prelato dell’Opus Dei, desidero ricordare come considerò la sua fedeltà il beato Giovanni Paolo II. Ebbe un’ampia ripercussione nei mezzi di comunicazione il fatto che, poche ore dopo la morte del mio predecessore, il Papa fosse venuto a pregare dinanzi ai suoi resti mortali nella camera ardente posta nella chiesa prelatizia di Santa Maria della Pace. Quando lo ringraziai per la sua presenza in mezzo a noi, che ci aveva dato tanta consolazione e tanta gioia, Giovanni Paolo II mi rispose: “Era cosa dovuta, era cosa dovuta!”.

Non dubito che ciò voleva essere da parte del Papa un riconoscimento paterno ed esplicito della fedeltà di don Álvaro verso il Successore di Pietro e la sua missione di Pastore Supremo. Lo aveva già detto in occasione dell’80° compleanno di don Álvaro, l’11 marzo, mandandogli una sua fotografia accompagnata da un chirografo con la sua benedizione autografa. Dopo aver dichiarato il suo «apprezzamento per il fedele lavoro compiuto al servizio della Chiesa», invocava su don Álvaro «copiose grazie celesti per un ministero ancora lungo e ricco di frutti», mentre gli impartiva «di cuore una speciale Benedizione Apostolica, estendendola con affetto a tutti i sacerdoti e laici della Prelatura dell’Opus Dei»[29].

Poche ore dopo, in una tertulia con i suoi figli di Roma, don Álvaro aveva commentato con la sua abituale semplicità: “È un regalo che mi ha commosso perché non me lo aspettavo; è stato una bella sorpresa”[30].

Il giorno stesso della morte di don Álvaro, oltre alla visita appena ricordata davanti ai suoi resti mortali, Giovanni Paolo II mi fece giungere — in qualità di vicario generale dell’Opus Dei — un telegramma nel quale esprimeva i sentimenti con cui inviava a tutti i fedeli dell’Opera, laici e sacerdoti, le più sentite condoglianze ricordando «con animo grato al Signore la zelante vita sacerdotale ed episcopale del defunto, l’esempio di fortezza e di fiducia nella Provvidenza divina da lui costantemente offerto, nonché la sua fedeltà alla Sede di Pietro e il generoso servizio ecclesiale quale stretto collaboratore e benemerito successore del beato Josemaría Escrivá»; e assicurava «fervide preghiere di suffragio perché (il Signore) accolga nel gaudio eterno questo suo servitore buono e fedele»[31].

Poco tempo dopo, giunse nelle mani di Giovanni Paolo II una cartolina che don Álvaro gli aveva scritto qualche giorno prima da Gerusalemme. Rivolgendosi all’allora segretario personale del Papa, Mons. Stanislao Dziwisz, lo pregava “di voler presentare al Santo Padre il nostro desiderio di essere fideles usque ad mortem, nel servizio alla Santa Chiesa e al Santo Padre”[32].

Quest’ultimo ricordo mi sembra molto adeguato per concludere le mie parole, che hanno voluto inquadrare, in un modo inevitabilmente frammentario, una delle caratteristiche essenziali di Mons. Álvaro del Portillo, vescovo e prelato dell’Opus Dei, fondatore e primo Gran Cancelliere di questa Università: la sua fedeltà a Dio, alla Chiesa, al Romano Pontefice, a san Josemaría e allo spirito dell’Opus Dei. Alla sua intercessione raccomando che anche noi possiamo percorrere fino in fondo il suo stesso cammino.

Tante grazie!

[1] Cfr. SAN TOMMASO D’AQUINO, Esposizione del Simbolo degli Apostoli, art. 4.

[2] CONGREGAZIONE DELLE CAUSE DEI SANTI, Decreto sulle virtù del servo di Dio Álvaro del Portillo, 28-VI-2012.

[3] SAN JOSEMARÍA, Lettera a don Florencio Sánchez-Bella, allora Consigliere dell’Opus Dei in Spagna, 1-V-1962: AGP, serie A.3.4, leg. 277, carp. 2, lettera 620501-1.

[4] SAN JOSEMARÍA, Appunti di una riunione familiare, 11-III-1973: AGP, biblioteca, P01, 1973, p. 217.

[5] SAN JOSEMARÍA, Appunti di una riunione familiare, 19-II-1974: AGP, biblioteca, P01, 1974, p. 226.

[6] MONS. JAVIER ECHEVARRÍA, Omelia nella Messa in suffragio di Álvaro del Portillo, 25-III-1994: Romana 18 [1994] pp. 30-31.

[7] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Omelia nella prima Messa dopo l’ordinazione episcopale, 7-I-1991: AGP, biblioteca, P01, 1991, p. 50.

[8] BEATO GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella Cattedrale Metropolitana di Città del Messico, 26-I-1979.

[9] Cfr. SALVADOR BERNAL, Recuerdo de Álvaro del Portillo, prelado del Opus Dei, Madrid, Rialp 1996 (tradotta nelle principali lingue); HUGO DE AZEVEDO, Missão cumprida: biografia de Álvaro del Portillo, Lisboa, Diel 2008 (tradotta in castigliano e in italiano); JAVIER MEDINA, Álvaro del Portillo. Un hombre fiel, Madrid, Rialp 2012 (in corso di traduzione in varie lingue); FRANCESC CASTELLS, voce “Portillo y Diez de Sollano, Álvaro”, in Diccionario de san Josemaría Escrivá de Balaguer (ed. José Luis Illanes), Burgos, Monte Carmelo 2013, 984-989.

[10] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Appunti di una riunione familiare, 22-II-1988.

[11] SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 994.

[12] BENEDETTO XVI, Discorso nell’udienza generale, 24-V-2006.

[13] SAN JOSEMARÍA, Lettere a don Álvaro nelle date indicate: AGP, serie A.3.4, leg. 256, carp. 2; AGP, serie A.3.4, leg. 256, carp. 2; AGP, serie A.3.4, leg. 256, carp. 3; AGP, serie A.3.4, leg. 256, carp. 3.

[14] Cfr. SAN JOSEMARÍA, Appunto autografo del 10-II-1939: AGP, biblioteca, P01, 1994, pp. 214-215.

[15] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Nota sull’efficacia apostolica dell’Opera (probabilmente del 1939): AGP, APD D-10154, pp. 2-3.

[16] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Lettera a Miguel Sotomayor y Muro: AGP, APD, C-390728.

[17] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Lettera a san Josemaría: AGP, APD, C-390712.

[18] “Profilo Cronologico-Spirituale del Servo di Dio Mons. Álvaro del Portillo, Vescovo e Prelato dell’Opus Dei”, preparato dall’Ufficio delle Cause dei Santi della Prelatura, Roma 2002, p. 65.

[19] SAN JOSEMARÍA, Appunti di una riunione familiare in Messico, 21-V-1970: AGP, biblioteca, P01, II-1972, p. 46.

[20] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Appunti di una riunione familiare, 11-III-1984: AGP, biblioteca, P01, 1984, p. 244.

[21] Cfr. ENCARNACIÓN ORTEGA, Ricordi su san Josemaría: AGP, serie A.5, leg. 234, carp. 2.

[22] Testimonianza di Joan Masià Mas-Bagà: AGP, APD, T-0503, p. 3.

[23] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Lettera, 1-III-1994: AGP, biblioteca, P17, vol. III, p. 290.

[24] PAPA FRANCESCO, Omelia nella III Domenica di Pasqua, 14-IV-2013.

[25] Testimonianza del Cardinale Eduardo Martínez Somalo: AGP, APD, T-19518, p. 3.

[26] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Lettera di Natale del 1982: AGP, biblioteca, P17, vol. I, n. 65.

[27] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Appunti di una riunione familiare, 1-I-1983.

[28] Dati raccolti da JAVIER MEDINA, Álvaro del Portillo. Un hombre fiel, Madrid, Rialp 2012, pp. 547-548.

[29] GIOVANNI PAOLO II, Dedica olografa in una fotografia, 11-III-1994.

[30] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Appunti di una riunione familiare, 11-III-1994: AGP, biblioteca, P01, 1994, p. 231.

[31] GIOVANNI PAOLO II, Telegramma a Mons. Javier Echevarría, 23-III-1994: AGP, APD, T-17395.

[32] VEN. ÁLVARO DEL PORTILLO, Cartolina postale mandata a Mons. Dziwisz, datata Gerusalemme 17 marzo 1994; manoscritto pubblicato in: AGP, biblioteca, P01, III-2004, p. 8, in occasione del decimo anniversario del decesso di don Álvaro.

Romana, n. 58, Gennaio-Giugno 2014, p. 108-127.

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