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Intervista concessa ad Archisevilla Digital, Spagna (20-VI-2014)

(Realizzata da

Ana Capote)

Don Javier, che cosa chiede ai fedeli dell’Opera per ciò che riguarda le diocesi?

Di tirare il carro nella stessa direzione del vescovo della diocesi e di saper imparare dagli altri. In realtà, l’appartenenza di un fedele della diocesi alla prelatura dell’Opus Dei lo deve spingere ad aumentare l’unione affettiva ed effettiva col vescovo diocesano e con gli altri fedeli della Chiesa particolare.

Più in particolare, che cosa chiede ai fedeli dell’Opus Dei di Siviglia?

Ai sivigliani e alle sivigliane dell’Opus Dei chiederei di pregare per le vocazioni sacerdotali della diocesi, per i catechisti e gli educatori, per la santità delle famiglie di Siviglia e per le altre intenzioni del molto amato arcivescovo, don Juan José Asenjo. Li incoraggerei anche a rafforzare sempre più il loro zelo apostolico, affinché la Chiesa di Siviglia raccolga frutti abbondanti dal lavoro di evangelizzazione della prelatura in quella terra. È motivo di gratitudine a Dio osservare che nell’ambito degli apostolati dell’Opera — con la grazia di Dio — nascono numerosi matrimoni cristiani, oltre che vocazioni al sacerdozio, alla vita religiosa e al celibato laicale.

Inoltre chiederei loro di aiutare a trasmettere, da sivigliani, a tutta la Chiesa quella gioia e quell’amore profondo per la Madonna, che è una caratteristica di questa terra.

Lei è stato testimone dell’amore di Giovanni Paolo II per Siviglia. Ha qualche ricordo?

Il Papa è stato a Siviglia due volte. Ricordo, fra le altre cose, la sua gioia per aver potuto beatificare lì suor Ángela de la Cruz, che in seguito avrebbe proclamato santa in una cerimonia che ebbe luogo anni dopo, nel 2003, a Madrid. San Giovanni Paolo II amava molto Siviglia, e l’amore dei sivigliani per il Papa è ora palpabile nella scultura del nuovo santo che si trova di fianco al palazzo arcivescovile.

È ancora recente la sua canonizzazione. Che cosa metterebbe in evidenza del nuovo santo?

San Giovanni Paolo II era anche un sacerdote, un vescovo, un Papa particolarmente unito alla Madre di Cristo, ai cui piedi mise il suo servizio pastorale, con il motto “Totus tuus”. Ha indetto nella Chiesa la Nuova Evangelizzazione e tirava diritto: lo Spirito Santo si è servito delle sue parole, dei suoi gesti, dei suoi scritti, della sua disponibilità per avvicinare milioni di uomini e donne alla sorgente della grazia o alla donazione a Dio nel sacerdozio, nella vita religiosa, nel matrimonio e nel celibato apostolico laicale. Ci ha guidato dal secondo al terzo millennio, lasciando un’imponente eredità sul valore della vita e della famiglia, sull’assistenza ai poveri e ai più bisognosi, sui diritti dei lavoratori, sulla dignità della donna e su tanti altri aspetti che appaiono fondamentali per la promozione di un’esistenza decorosa.

E di san Giovanni XXIII?

San Giovanni XXIII è il Papa che ha convocato il Concilio Vaticano II, una esperienza di fede e di rinnovamento con la quale si cercava di parlare al cuore dell’uomo dei nostri tempi. Papa Roncalli è stato un seminatore di pace: in un momento storico delicatissimo intervenne con i mezzi opportuni per evitare la guerra ed elaborò — seguendo l’esempio dei suoi predecessori — una stupenda dottrina sui presupposti della pace e sulla dignità dell’essere umano. È stato una persona, un “padre” di grande simpatia e un profondo devoto della Vergine Maria.

Che ricordo conserva del suo primo incontro con Papa Francesco?

Conservo il ricordo del padre che ti accoglie con grande cordialità, con semplicità, e che ti incoraggia nella missione di evangelizzazione; in particolare, mi è rimasto impresso il suo interesse a diffondere il sacramento della Penitenza. Papa Francesco ci porta ancora un dono dello Spirito Santo alla sua Chiesa. Il suo entusiasmo e il suo zelo per avvicinarsi a ogni persona (sana o malata, ricca o povera) sono uno stimolo perché tutti noi cristiani ci adoperiamo per portare l’amore e la misericordia di Cristo fino all’ultimo angolo della terra.

Quali sentimenti le vengono in mente se le ricordo san Josemaría Escrivá?

Una straordinaria gratitudine e un gran desiderio di imitare il suo modo di muoversi allegro e disponibile, pieno di zelo per le anime. Di san Josemaría potrei parlarle per ore. Qui mi limito a sottolineare un atteggiamento molto suo, del quale ho avuto la fortuna di essere testimone diretto: la sua capacità di imitare Cristo sulla Croce, con le braccia aperte a tutti. Sacerdotalmente aperto a quelli di sinistra, del centro e della destra, ai poveri e ai ricchi, ai sani e ai malati, senza eccezione a tutti. È l’apertura di Cristo, l’andare incontro agli altri, di cui oggi ci parla tanto Papa Francesco.

E Álvaro del Portillo?

Se penso ad Álvaro del Portillo mi viene in mente il suo sorriso indelebile, la sua affabilità e la sua fedeltà costante, il suo saper servire. Molte delle persone che lo hanno frequentato (dagli ecclesiastici della Santa Sede fino ai contadini con i quali ha parlato in un paesino vicino a Roma) mi dicono: “Don Álvaro trasmetteva pace”. Nel prepararci ora alla sua beatificazione, ricorro alla sua intercessione e gli chiedo di “contagiare” anche noi con questa sua profonda pace cristiana dell’anima; la sua lealtà a Dio, alla Chiesa e al Papa; e la sua preoccupazione sociale, che ha manifestato nell’impulso dato a numerose iniziative in tutto il mondo a favore dei più bisognosi.

Un santo e un beato: le hanno lasciata l’asticella posta molto in alto?

Li guardo e penso: grazie, Dio mio, per questi due giganti della santità. Più che come modelli irraggiungibili — un’asticella altissima, come lei dice —, mi piace considerarli come due grandi alleati, due intercessori che ci aiutano dal Cielo. E da lì ci spronano e ci sostengono con lo stesso cuore di padre e di madre col quale ci hanno amato sulla terra.

Tutti noi siamo “legno di santo”?

San Josemaría si poneva la stessa domanda in un punto di Cammino e si dava questa risposta: “Essere di quel legno non basta”. Tutti noi abbiamo la possibilità di praticare la sequela e l’imitazione di Cristo, spargendo carità. Ma per raggiungere questa meta — e arrivare alla felicità con la “F” maiuscola —, è necessario lasciare che la grazia di Dio faccia il suo lavoro, di solito anche con l’aiuto di altri, con docilità e obbedienza alle diverse chiamate che ci fa il Signore.

* Il discorso che il prelato dell’Opus Dei ha pronunciato al congresso Vir fidelis multum laudabitur, in occasione del centenario della nascita di Mons. Álvaro del Portillo, è riprodotto integralmente nel paragrafo “Centenario” della sezione “Sul venerabile servo di Dio Álvaro del Portillo”.

Romana, n. 58, Gennaio-Giugno 2014, p. 71-73.

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