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Intervista concessa al Corriere della Sera, Italia (15-XII-2013)

(Realizzata da

Antonio Macaluso)

— Cosa pensano all’Opus Dei di Papa Francesco? Come hanno accolto in una delle più potenti e ramificate costole della Chiesa cattolica l’elezione di un gesuita e le sue mosse sorprendenti?

«L’abbiamo accolta con profonda gioia — sorride il Prelato dell’Opus Dei, Monsignor Javier Echevarría — e ho affidato Papa Francesco nella mia preghiera a Sant’Ignazio di Loyola, il Fondatore della Compagnia di Gesù, i cui frutti apostolici sono un tesoro per la Chiesa. Un Santo molto apprezzato dal Fondatore dell’Opus Dei, tanto che in uno dei suoi libri, Cammino, si riferisce a lui ben sei volte, chiamandolo anche con il nome familiare di Iñigo».

— Giriamo la domanda: cosa pensa il Papa dell’Opus Dei? Vi siete incontrati due volte. Si dice sia un devoto del vostro Fondatore, San Josemaría: è vero?

«Il Santo Padre mi ha espresso la sua gioia e impartito la sua benedizione per il lavoro apostolico della Prelatura, che conosce bene. Fra l’altro, quando era Arcivescovo di Buenos Aires, aveva rapporti con diversi fedeli dell’Opus Dei. E conosce San Josemaría. Alcuni anni fa venne a visitare la sua tomba, qui a Roma, e si soffermò in preghiera per ben 45 minuti. È una dimostrazione pratica dell’intensità e della generosità della preghiera di chi ora è il successore di Pietro».

— Fin da subito Papa Francesco si è mostrato un Pontefice «rivoluzionario», con scelte spiazzanti...

«E la gente ha riconosciuto subito in Papa Francesco un sacerdote autentico, che prega molto e sa ascoltare chi ha davanti. Nello stesso tempo, è austero con sé stesso. Vuole approfondire quella bella immagine di Benedetto XVI, che anelava una Chiesa sempre più somigliante alla casa di Nazaret. Perché lo diventi davvero, non basta rinunciare ai beni materiali (alcuni sono necessari per il lavoro e per una normale vita familiare e sociale), bisogna — come ci insegna Francesco — amare la povertà per amore».

— E infatti, fin dall’inizio, il Papa ha fatto riferimento a una Chiesa «povera tra i poveri», capace di andare nelle periferie, e lui stesso ha scelto uno stile sobrio. Come vede tutto questo l’Opus Dei che da molti, a torto o ragione, è considerata un’organizzazione non certo per cristiani poveri?

«In realtà potremmo dire che l’Opus Dei è nata proprio nelle periferie, negli anni ’30, a Madrid. E da allora tante persone continuano a esercitare quel tipo di impegno in tutto il mondo, assistendo poveri, malati, uomini, donne e bambini in difficoltà da New Delhi a Manila, a Lima, a Manchester, a Kinshasa. E poi mi permetta di chiarire che l’Opus Dei non si rivolge solo ai ricchi: molti fedeli della Prelatura, in diverse parti del mondo, non riescono ad arrivare a fine mese e affrontano questa difficoltà con eroismo e con fede, senza fare rumore».

— Non è ancora trascorso il primo anno di pontificato e il Papa ha compiuto scelte importanti sul fronte dei suoi collaboratori, con una chiara intenzione di riformare — non senza resistenze — la Curia. Anche sulla trasparenza finanziaria e sulla riforma dello Ior, sta mostrando determinazione. Come giudica questa strategia?

«Non sta a me indicare ciò che è prioritario, ma al Santo Padre. Nella mia esperienza incontro, nei diversi dicasteri e nella Santa Sede in generale, molte persone che lavorano senza risparmiarsi. Ma certamente la riforma è sempre necessaria: per quanto ben organizzate, le strutture umane non riusciranno mai a essere perfettamente all’altezza del compito di portare il Vangelo in tutto il mondo. Per questo la Chiesa, come dice bene il Papa, non può essere confusa con una Ong, ma si deve sempre fondare sulla fede in Cristo, come una sposa fedele».

— Sulla scia di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Papa Francesco spinge sul tema della nuova Evangelizzazione: come risponde l’Opus Dei a questo appello?

«Papa Francesco sta aiutando tutto il mondo a dare risalto alla cultura dell’essere, della vita, in contrasto con quella dell’avere che, a volte, soffoca le società economicamente più sviluppate. E parla della santità comune: una donna che cresce i suoi figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati. Questo tipo di santità è ciò che l’Occidente deve riscoprire. Non un cammino per pochi iniziati ma un invito che il Signore rivolge a tutti. Nei Paesi di tradizione cristiana, l’Opus Dei — attraverso attività di formazione spirituale — offre un cammino di riscoperta della fede in mezzo alle occupazioni ordinarie. È questa la nuova Evangelizzazione: riaccendere nei cristiani, che magari si sentono tali solo per “appartenenza culturale”, il calore di un rapporto vivo e personale con Dio».

— Papa Francesco ha parlato di una Chiesa «ospedale da campo» che si deve occupare anche di chi ha abortito o ha divorziato. Per il 2014 è previsto un Sinodo sulla famiglia e il Papa ha inviato un questionario in cui chiede ai Vescovi di esprimersi su questi temi. Qual è la posizione dell’Opus Dei?

«L’uomo contemporaneo sperimenta profonde sofferenze nella vita professionale, nelle relazioni sociali e perfino nella propria famiglia. Come cristiani siamo chiamati a darci da fare, a guardare gli altri con lo stesso sguardo di Cristo, pieno di amore e misericordia. Quando un cristiano aiuta un amico, è come Cristo che cura, senza ripugnanza verso chi ha bisogno di essere guarito. Il Sinodo sulla famiglia ci spronerà a riscoprire la bellezza dell’amore, della fedeltà, di quel clima familiare che si costruisce anche con parole e atteggiamenti di servizio, senza dimenticarci di coloro che hanno subito ferite proprio in questo campo».

— In un’intervista al Corriere, la presidente del movimento dei Focolarini, Maria Voce, ha chiesto maggiore peso per le donne all’interno della Chiesa. Concorda?

«Certamente. Posto che, come ha ricordato il Santo Padre, la Chiesa è donna, basti pensare al ruolo centrale della Madonna. Il tema della donna non è nuovo, e del resto lo sviluppo stesso della Chiesa è stato sostenuto anche dalle donne. E l’Opus Dei ha sempre visto la donna in un ruolo centrale».

— Cosa pensa del ruolo e delle responsabilità delle classi dirigenti nella crisi che ormai da anni ha colpito il mondo occidentale, e in particolare Paesi come l’Italia?

«Penso che non possiamo scaricare tutto sulle classi dirigenti senza prima interrogarci su quello che — quale che sia il nostro ruolo nella società — facciamo ogni giorno. Non possiamo pensare solo di scaricare le responsabilità sugli altri, su una classe dirigente che scegliamo noi e che noi possiamo comunque condizionare. Dunque, interroghiamoci prima su come viviamo, su come lavoriamo, su come siamo nel rapporto con gli altri, con la nostra famiglia. In una crisi si entra, da una crisi si esce, e per farlo occorre anche l’impegno di ciascuno di noi, non solo di chi ci governa».

Romana, n. 57, Luglio-Dicembre 2013, p. 271-273.

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