Nella Messa della festa di San Josemaría, Basilica di Sant’Eugenio, Roma (26-VI-2012)
Da trentasette anni ci riuniamo in questa basilica per ricordare nella Santa Messa il transito al Cielo di San Josemaría Escrivá. Nei primi anni, offrivamo suffragi per la sua anima, anche se eravamo già convinti della sua intercessione presso il Signore; dopo la beatificazione e canonizzazione, celebriamo la Messa in onore di questo servitore di Dio, che volle sempre mettersi a disposizione della Chiesa e di tutte le anime.
Nell’anno 1975 arrivammo qui affranti dal dolore per la separazione fisica da San Josemaría, sebbene tutti noi che lo conoscevamo fossimo più che convinti che il Signore avesse portato la sua anima a godere della sua presenza. Ne era prova evidente, fra le altre, il notevole flusso di persone — Cardinali, Arcivescovi e Vescovi e tanti, tanti fedeli — che vennero a pregare davanti alla sua salma.
In occasione della beatificazione, il mio amatissimo predecessore, Sua Eccellenza Mons. del Portillo, scelse i testi da presentare alla Congregazione del Culto divino per comporre la Messa che oggi celebriamo, e lo fece con molta devozione. San Josemaría amava profondamente la Sacra Scrittura e Mons. del Portillo propose per le letture e per il Vangelo alcuni testi che aveva ripetutamente fatto oggetto della meditazione propria e altrui, raccogliendo la ricchezza dell’insegnamento dell’Antico e del Nuovo Testamento, dal quale scaturisce la consapevolezza per ciascuno di noi di essere seguiti da questo Dio che non ci abbandona mai: siamo noi purtroppo che possiamo allontanarci dalla vicinanza del suo amore.
Vorrei soffermarmi ora sul contenuto di questi brani.
Già nel lontano 1948, quando conobbi l’Opus Dei, mi colpì l’acutezza e la sensibilità con cui San Josemaría leggeva quel testo della Genesi che parla dell’amore profuso da Dio nella creazione del mondo. Tutte le creature erano messe al servizio della prima coppia, di Adamo e di Eva, che erano chiamati ad assumere un ruolo attivo nel progetto divino: proprio per mantenere il dialogo con il Signore, Jahvé ordinò loro di lavorare. La Sacra Scrittura afferma che l’uomo fu collocato nel Paradiso “ut operaretur” (Gn 2,15), perché vi lavorasse.
Seguendo questa ispirazione del Signore, San Josemaría ripeteva instancabilmente che il lavoro non è un castigo. Dopo la caduta originale dei nostri progenitori, si sperimenta la fatica, che ne è il castigo; ma il lavoro in sé stesso è dialogo con il Signore, è il cardine attorno al quale gira la vita ordinaria di ogni donna e di ogni uomo. Dunque è possibile santificarsi nel lavoro, santificare il lavoro, santificare gli altri con il lavoro. È questa una responsabilità che nessuno deve dimenticare. Posso dirvi che San Josemaría non soltanto si sforzò di vivere con squisita delicatezza questo comandamento del Signore, ma cercava di essere contemplativo in unità di vita; cercava cioè l’unione con Dio non soltanto nella preghiera, ma trasformando il lavoro in preghiera: in quei momenti elevava la sua anima al Signore per esprimere la sua gratitudine e anche per offrire le sue fatiche per la salvezza della propria anima e delle anime di tutte le persone. E non dimentichiamo che lavoro è anche occuparsi della famiglia, delle faccende domestiche.
Il secondo testo è un brano di una lettera di San Paolo ai Romani (cfr. Rm 8,14-17) che parla della meraviglia della filiazione divina. Dobbiamo considerare questa meravigliosa realtà ogni giorno con gratitudine e con il desiderio di corrispondere a tutto l’amore di Dio, che ci ama più di qualsiasi padre della terra, più di tutti i padri e di tutte le madri della terra messi insieme. E ci dice: “Tu sei la mia figlia, tu sei il mio figlio” (cfr. Sal 2,7).
Pensiamo a questa vicinanza. Pensiamo a quest’amore di Dio, che è sempre con noi e segue tutto quello che facciamo. Dobbiamo cercare di realizzare le diverse incombenze con la certezza che, se corrispondiamo all’amore di Dio, potremo portarle a termine in ogni circostanza. Mi ricordo perfettamente che San Josemaría ci diceva — si riferiva anche alle persone non appartenenti all’Opus Dei — che in qualsiasi situazione, in qualsiasi momento, dobbiamo vivere alla presenza di Dio, con una gratitudine crescente per essere diventati figli del nostro Padre Dio in Cristo, avvalendoci dell’aiuto della grazia per santificare tutto quello che ci occupa in ogni momento.
In seguito, l’amatissimo don Álvaro, grande servitore della Chiesa e delle anime, suggerì che nei testi approvati — come ho detto prima — dalla Congregazione per il Culto divino comparisse come lettura del Vangelo il brano della prima pesca miracolosa. A San Josemaría — posso dirvelo con totale sicurezza, perché sono stato testimone di questa scena parecchie volte — gli si illuminavano la faccia e gli occhi al considerare che il Signore ci chiede in prestito, come a Pietro, la nostra povera barca, la nostra vita.
Non abbiamo scuse per dire: io sono così debole, sono così meschino…: no, no, no. È Dio che ci chiede la nostra barca per parlare a tutte le persone, affinché possiamo far scoprire loro che possono e devono aspirare all’intimità con Dio, alla santità. San Josemaría si soffermava su questa scena nella quale Gesù sale sulla barca di Pietro e da lì comincia a parlare da Maestro, però da Maestro che non umilia, da Maestro che illumina, da Maestro che si occupa di tutte le faccende dei suoi fratelli, delle sue sorelle. Dopo si rivolge a Pietro con quella frase meravigliosa: “Duc in altum!” (Lc 5,4), prendi il largo: devi andare lontano, impugna i remi, fa’ lo sforzo di arrivare fino a dove si può pescare.
All’inizio Pietro ragiona come talvolta ragioniamo noi. Era esperto nella pesca, e di solito lavorava di notte per cercare di prendere qualche pesce. In quell’occasione non avevano preso niente, niente; ma vedendo la fiducia e l’interesse con cui Cristo ci segue, obbedì; con tutti gli altri remò verso il mare aperto e lì ascoltarono un altro consiglio del Maestro: “Gettate le reti per la pesca” (ibid.).
Non dobbiamo prestare attenzione alle scuse. Possiamo, così come siamo, gettare la rete del Signore, affinché molte persone scoprano la sua amicizia. E si verificò di nuovo il miracolo, il prodigio, in quel mare nel quale non avevano preso niente. “Presero tanti pesci che le reti si rompevano” (Lc 5,6). Non potevano farcela da soli, e così chiamarono quelli dell’altra barca. San Josemaría ne traeva questo insegnamento: l’obbedienza porta alla fraternità, la fraternità porta all’obbedienza, alla docilità, apre la via della grazia.
Fratelli e sorelle miei: cerchiamo di compiere il nostro lavoro con docilità alla grazia. Se viviamo così, se ci comportiamo con fedeltà, possiamo essere sicuri che non soltanto ci avvicineremo noi stessi al Signore, ma anche altri, vedendo la nostra gioia, la nostra pace, la nostra sicurezza — perché il Signore non ci lascia mai soli —, si chiederanno e ci domanderanno: come fai a essere così? E potremo spiegare loro che vivere da figli di Dio ha un grande vantaggio, non soltanto per noi, ma anche per le altre persone. Se si sforzeranno di vivere in questo modo, sperimenteranno che non mancheranno mai loro la pace e la gioia di stare con il Signore.
Abbiamo visto come Pietro, sbalordito di fronte al prodigio del quale è stato testimone, dice a Gesù: “Allontànati da me, Signore, che sono un peccatore!” (Lc 5,8). Ricordo che San Josemaría, comprendendo perfettamente l’ammirazione di Pietro, diceva: “Signore, non ti allontanare da me, seguimi da vicino, perché senza di te non posso fare niente”. Capiva pure che Pietro, pieno di ammirazione, dicesse al Signore che non era degno di stare con Lui. E grazie alla misericordia, all’amore di Dio, noi tutti siamo diventati degni di stare con Dio, perché Lui ci offre i sacramenti per porre rimedio ai nostri errori e fragilità. Cercate di fare l’apostolato della Confessione; parlate con i vostri amici, con i vostri parenti, della meraviglia di un Dio che perdona perché ama, perché comprende.
Infine, vi chiedo di pregare, come sempre, per il Santo Padre Benedetto XVI: in quanto figlie e figli suoi abbiamo l’obbligo di sostenerlo, di aiutarlo con la nostra preghiera, con il nostro lavoro, con la nostra gioia e con la nostra pace.
Vi chiedo anche di pregare per i Vescovi e i sacerdoti di tutto il mondo; ed elevate la vostra voce da figlie e figli per dire al Signore: mandaci molti seminaristi che vogliano diventare Santi attraverso il ministero sacerdotale.
Ci rivolgiamo anche alla Madonna, Madre di Dio e Madre nostra, per dirle che vogliamo essere fedeli ai comandamenti del Signore, che vogliamo essere sempre uniti a Cristo, che vogliamo anche essere donne e uomini che sanno fare della loro vita un apostolato costante. La gente ci aspetta: con Maria, possiamo arrivare fino all’ultimo angolo di questa terra nostra che è assetata della misericordia e dell’amore di Dio.
Sia lodato Gesù Cristo!
Romana, n. 54, Gennaio-Giugno 2012, p. 96-99.