L’ora di un Santo. Il tempo negli insegnamenti di Josemaría Escrivá de Balaguer, di Alfonso Nieto
Prof. Alfonso Nieto
Università di Navarra
Nell’estate del 1951 lessi per la prima volta Cammino. Iniziai la lettura con senso critico: forse era una ingiustificata reazione agli elogi dell’amico che mi aveva consigliato il libro. Eppure, man mano che andavo avanti, pagina dopo pagina, ho scoperto un po’ per volta la sapienza umana e soprannaturale che conteneva. Fra le altre cose, ho capito che ciò che è temporale e ciò che è eterno non sono poi così distanti tra loro: ai miei occhi il tempo acquistava un nuovo significato. Perché? Nelle righe che seguono tenterò di rispondere a questa domanda, facendo notare come il valore del tempo dipenda dal suo rapporto con ciò che non cambia, in virtù della presenza in esso dell’eternità. Per far questo mi servirò degli insegnamenti di San Josemaría: un Santo che ha saputo riconoscere la trascendenza che il buon uso del tempo riveste per quelli che cercano la perfezione umana e cristiana attraverso le proprie attività quotidiane.
1. Il significato del tempo
1.1. Nasce il tempo
Dicono che lo dipinse in un giorno. Michelangelo Buonarroti copre il Creatore con una tunica rossa e, in una geniale prospettiva, raffigura Dio che separa la luce dalle tenebre. Nella Cappella Sistina rimane questa immagine del primo giorno della creazione. «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno» (Gn 1,3-5). Nasce il tempo.
Che cos’è il tempo? Il Santo Vescovo di Ippona diceva che ignorava la risposta, ma che nel silenzio del dialogo con Dio aveva sperimentato bene l’ieri, l’oggi e il domani[1]. Sedici secoli dopo, Giovanni Paolo II domanda di nuovo «Che cosa è il tempo?» e risponde: «Sia la fede che la ragione rinviano, oltre i dati verificabili e misurabili, alla prospettiva del mistero»[2]. Il tempo ha una componente di mistero che si rende evidente nei tre grandi “momenti” della storia della salvezza: «all’inizio la creazione, al centro l’incarnazione-redenzione e al termine la “parusia”»[3].
L’abituale nozione di tempo fa riferimento alla durata delle cose soggette a cambiamento. Chiamiamo eternità la permanenza in un ente non soggetto a cambiamento; diamo il nome di tempo alla permanenza in un ente soggetto al cambiamento. Tempo è la durata propria di un essere che cambia; eternità è una permanenza immutabile, non una somma di tempi. In altre parole: Dio eternamente e continuamente crea il tempo, dà l’orologio ed è l’orologiaio.
È possibile conciliare eternità e tempo? «Questo è possibile proprio alla luce della rivelazione di Cristo, che ha unito in sé Dio e uomo, eternità e tempo, spirito e materia»[4]. Con la Redenzione, il tempo è il canale per scoprire l’eternità. Questo scoprire fa venire in mente una frase di San Josemaría. Ricordando che Dio ci aspetta nel lavoro di ogni giorno, diceva ai professori e agli studenti dell’Università di Navarra: «Sappiatelo bene: c’è un qualcosa di santo, di divino, nascosto nelle situazioni più comuni, qualcosa che tocca a ognuno di voi scoprire»[5]. Il mistero del tempo comincia a manifestarsi quando nella vita personale si ha il desiderio di scoprire quel qualcosa che circonda di eternità il tempo e permette di capire che «non esistono tempi cattivi o inopportuni: tutti i giorni sono buoni per servire Dio»[6], senza escludere i tempi “duri”[7].
Quando si “divinizza” il tempo, i calendari diventano giocattoli, il tempo porge la mano a ciò che non ha tempo, gli anni vanno e vengono, l’uomo può essere bambino e adulto nello stesso tempo. San Josemaría ha ricevuto la grazia di divinizzare il tempo. A ventisei anni chiedeva a Dio con tutta l’anima «ottant’anni di gravità [...] per sapere usare il tempo, per imparare a utilizzare ogni minuto al suo servizio»[8]. A settant’anni continuava a chiedere di essere bambino davanti a suo Padre Dio. «È duro, perché l’anima mette in esercizio le potenze che Dio ci ha dato per proseguire il cammino. E arrivano momenti in cui è necessario prescindere dalla memoria, sospendere l’intelligenza, piegare la volontà. È duro, ripeto, perché l’attività dell’anima è logica, come l’orologio carico che fa necessariamente tic-tac»[9].
Non è stata inventata la macchina che fa retrocedere e avanzare il tempo, fra gli altri motivi perché il congegno dovrebbe essere fuori dal tempo[10]. L’anima che vive la logica dell’eterno in mezzo alla logica del tempo fa offerta di intelligenza, memoria e volontà, deposita liberamente in Dio la sua libertà. Questo suole accadere nel silenzio, come quello che fa seguito al fiat della Vergine Maria, quando «un Dio tutt’intero si è celato nell’Umanità di Cristo per servirci. L’Onnipotente si mostra risoluto a offuscare per un certo tempo la sua gloria, per facilitare l’incontro redentore con le sue creature»[11].
1.2. Ha un padrone
Il tempo è tra le poche cose che sono fruibili da tutti gli esseri umani e che noi spendiamo facendo uso della nostra libertà. È la spesa più radicale: finché si spende c’è vita, quando manca questa possibilità termina la vita sulla terra. Del tempo parlano solo i vivi, i morti restano nel ricordo.
Poiché Dio «fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni» (Mt 5,45), è difficile dire «che i tempi passati fossero migliori; ogni tempo è stato buono e cattivo»[12]. Ciò che si spende si trasforma in un investimento se l’occhio si fissa nell’eternità, nel Creatore, e non in sé stesso; per questo, la migliore redditività è conseguenza di un totale distacco dal tempo quando Dio lo chiede[13].
Potremmo domandarci: è possibile spendere il tempo senza esserne padrone? Una risposta precipitosa potrebbe attribuire a ogni persona la proprietà del proprio tempo. Quanto questa risposta sia errata appare evidente davanti alla realtà della vita e alla realtà della morte. Nascere e morire ha un proprio tempo marcato dall’eternità.
Chi è il padrone del tempo?
Un amico, eccellente gioielliere e sagace commerciante, acquistò qualche anno fa un lotto di clessidre della durata di mezz’ora. Prima di metterle in vendita, qualcuno gli suggerì di apporre in esse una iscrizione: Dominum tempus habet qui non es tu, il tempo ha un padrone che non sei tu. In pochi giorni vendette le clessidre a un buon prezzo, forse per il latino, o perché erano belle, o per entrambe le cose. Sì, il tempo ha un padrone: «il mio tempo non mi appartiene, perché è del Padre nostro che è nei Cieli»[14].
A che titolo una persona spende il tempo? Si potrebbe dire, a titolo di usufruttuario per un periodo incerto. Non ha senso, dunque, rivendicarlo al suo Padrone dicendo: «I miei anni sono per me, non per Te»[15]. L’usufruttuario del tempo contrae l’obbligo di prendersene cura in base alla concessione del proprietario e acquista il diritto di godere gli anni di vita, anche se ignora quanti saranno.
In base agli insegnamenti di San Josemaría si possono indicare quattro caratteristiche del godimento del tempo: è breve, istantaneo, sereno, prezioso.
a) Breve
Cristo Gesù «vive l’unico avvenimento della storia che non passa», il mistero pasquale[16]. Tutto il resto passa, è breve, «l’ieri è passato, l’oggi sta passando. Il domani sarà presto un nuovo ieri»[17], questa è la realtà. Anche se qualcuno s’impegna a manomettere l’orologio, il tempo trascorre lo stesso, come proclama da alcuni secoli il testo dell’orologio solare in un angolo di Royal Tunbridge Wells: «Tu mi potrai distruggere, ma non mi potrai fermare»[18].
La Bibbia mette in guardia ripetutamente e in maniere diverse dalla brevità del tempo di vita, e lo quantifica anche: «Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti [...]; passano presto e noi ci dileguiamo» (Sal 90,10). Giobbe è più schietto: «I miei giorni sono stati più veloci d’una spola» (Gb 7,6). Ai cristiani della città dei due porti San Paolo lo dice in quattro parole: «Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve» (1 Cor 7,29).
Breve, fugace, passa rapidamente, inoltre è... piccolo. Il fatto che il tempo sia piccolo serviva alla Santa di Siena — per la quale San Josemaría aveva una singolare devozione — per dimostrare che le fatiche sono piccole perché il tempo è molto piccolo, «è quanto una punta d’ago e non più»; poi conclude: «Passato il tempo, è passata la fatica»[19]. Forse l’essere piccolo agevola la sua funzione di “vaglio”[20] delle vicende che passano attraverso il setaccio degli anni e acquistano l’autentico rilievo. Essendo la somma di tempi piccoli, l’ora si dilegua in minuti e questi sembrano volare in secondi. Nel corso della sua vita San Josemaría nota la «mancanza di tempo»[21], anche se questa carenza di tempo ha una particolarità: «quando c’è amore il tempo vola»[22].
b) Istantaneo
Comunicare in “tempo reale” — real time — significa avvicinare al massimo il tempo di diffusione di un messaggio a quello della sua ricezione. L’istante, minima porzione di tempo, misura l’efficienza dei prodotti dell’industria della comunicazione, è un valore positivo che spesso si identifica col tempo reale.
Si potrebbe dire che Dio parla sempre in tempo reale, perché lo fa dalla realtà più impalpabile: l’eternità. Ecco perché il Fondatore dell’Opus Dei consiglia «la docilità alle chiamate divine di ogni istante, perché Dio ci aspetta proprio lì»[23]. Rimandare questo dialogo dicendo “domani” o “dopo” può denotare una «resistenza alla grazia»[24], anziché un ora aperto alla «felicità eterna»[25].
Spesso San Josemaría unisce i due avverbi — «oggi, adesso»[26] — per sottolineare che «il tempo urge»[27] e «il Signore è sempre più esigente»[28]. La conseguenza di avere il senso istantaneo del tempo consiste nel saper correggere al momento opportuno[29], nel trasmettere a tempo debito il consiglio adatto[30].
Tuttavia l’istante di Dio non coincide necessariamente con l’istante umano. Lo dimostra la storia del fico narrata dal Vangelo. I fichi arrivano di solito all’inizio dell’autunno, ma il Signore del Tempo chiede al fico il frutto quando non è tempo. «Non era quella la stagione dei fichi; ma il Signore si avvicina ugualmente, sapendo benissimo che non ne avrebbe trovati. Tuttavia, constatando la sterilità dell’albero, pur nell’apparente fecondità indicata dall’abbondanza di foglie, ordina: Nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti!»[31]. Quando Dio lo chiede, c’è sempre la possibilità di dare buon frutto, non solo foglie che danzano in modo frivolo al passaggio della brezza. Se la frivolezza potesse giustificarsi, potrebbe citare quel fico.
Invece i Santi sanno dare frutto nell’ora indicata da Dio. A tale proposito, San Giovanni della Croce fa una domanda compromettente: «Perché al momento del rendiconto ti dovrebbe pesare il fatto di non aver impiegato il tuo tempo al servizio di Dio? Perché non lo ordini e lo impieghi ora come avresti voluto aver fatto quando sarai sul punto di morire?»[32].
c) Sereno
Just in time — in tempo giusto — è un sistema di amministrazione d’impresa che si utilizza per individuare ed eliminare gli “sprechi” di tempo. L’obiettivo principale è ridurre i tempi non indispensabili nella gestione e negli inventari. Il sistema ha ottenuto risultati sorprendenti, ma si corre il rischio di relegare il tempo di lavoro delle persone subordinandolo al tempo della produzione materiale. Infatti non si deve dimenticare che il protagonista insostituibile del tempo e del lavoro è la persona. Il tempo è una somma di tempi che chiedono di essere spesi in modo sereno, pacifico, senza quelle accelerazioni che vorrebbero avere a disposizione ore di sessantacinque minuti. Da questo si deduce una verità a volte dimenticata: il tempo di riposo non è tempo sprecato.
Il motto dello stemma familiare di San Josemaría Escrivá contiene due parole che richiamano alla serenità del tempo: «alma, calma», anima, calma. La calma nell’anima induce a vedere che «le opere di Dio le fa Dio. Invece i monumenti umani li fa e li disfa il tempo»[33]. È una calma diligente, non pigra, che permette di contenere l’impazienza e decidere nel tempo giusto, perché la vita insegna che ciò che è “urgente” non sempre coincide con ciò che è “importante”.
La serenità richiede equilibrio nello spendere il tempo. Riferendosi al tempo nella relazione con Dio, San Josemaría ha lasciato scritto: «Quando vai a pregare, sia questo un fermo proposito: né più tempo se avrò consolazione, né di meno se avrò aridità»[34]. La visione serena e positiva del tempo affonda le radici in un fatto: con la venuta del Figlio di Dio in questo mondo ha avuto inizio il momento favorevole, il giorno della salvezza (cfr. 2 Cor 6,2)[35]. Viviamo nel migliore dei tempi: se ve ne fosse stato un altro migliore, Dio ce lo avrebbe dato. Noi cristiani possiamo dire ciò che spesso ripete un mio amico: chi sta meglio di noi, come deve star bene!
d) Prezioso
Quanto vale il tempo? Dipenderà da chi lo valuta e a che scopo lo usa. Nel mercato della comunicazione il tempo è denaro di uso corrente e di solito i prezzi sono alti. Per esempio, il prezzo di un secondo negli spots televisivi trasmessi durante il Super Bowl nord-americano del 2010 ha oscillato tra gli 83.000 e i 93.000 dollari. Queste cifre sono state inferiori a quelle del 2009, quando il prezzo di uno spot pubblicitario di trenta secondi raggiunse i 3 milioni di dollari. C’è chi considera il tempo come «una dimensione del nuovo capitalismo»[36], però il valore reale del tempo — che supera il puro “valore di mercato” — non può essere contenuto in un numero sia pure con molte cifre; conoscere il tempo è sapienza, dono dello Spirito[37].
Il tempo non è un “valore aggiunto” alla nostra esistenza. Per San Josemaría il tempo, piuttosto, «è il nostro tesoro, il “denaro” per comprare l’eternità»[38]. In una omelia, che poi sarà pubblicata col titolo Il tesoro del tempo, tracciò le linee guida di quel che mi sembra essere la “magna carta” della santificazione del tempo e l’ordito di queste pagine.
1.3. Tempo e intelligenza, realtà intangibili
Intangibile è ciò che non si può toccare in quanto non ha un’entità fisica. L’intelligenza umana, bene intangibile per eccellenza, genera conoscenze che hanno una proiezione economica nel cosiddetto “capitale intellettuale”, parte contabile dell’immobilizzo immateriale.
Tempo e conoscenza s’intrecciano come due realtà intangibili complementari, il cui valore economico si può riflettere sui diritti conferiti al titolare di un brevetto, sul nome commerciale, sulla marca, ecc. Nella sua considerazione intangibile, il tempo è più una idea che un oggetto[39], e per questo ha la forza di ordinare la vita delle persone.
Agli inizi di questo XXI secolo il lavoro di conoscenza spesso comporta una maggiore spesa di tempo rispetto a un lavoro che dia immediati risultati materiali, come può essere la produzione industriale. Tuttavia, malgrado i progressi nella misurazione del tempo, ancora nessuno è riuscito a trovare un sistema oggettivo e affidabile per misurare il tempo destinato all’attività intellettuale; per questo la maggioranza delle volte si ricorre al sempre limitato “valore di mercato”.
In base alla prospettiva del lavoro umano, il tempo intangibile si mette in evidenza in alcune tappe del processo lavorativo; per esempio, nella ricerca di informazioni, negli scambi di idee o concetti, attività il cui contenuto è di natura immateriale[40].
Giovanni Paolo II diceva: «Le grandi dimensioni del tempo! Se è sempre un allontanarsi dall’inizio, a ben pensarci il tempo è simultaneamente un ritorno all’inizio. E questo è di fondamentale importanza»[41]. È certamente importante riconoscere che il tempo viene da Dio e ritorna a Dio. Nella convergenza del tempo intangibile e del tempo tangibile si inserisce «la pienezza del tempo» (Gal 4,4), il «tempo stabilito» (Rm 5,6) al quale «corrisponde una particolare pienezza dell’autocomunicazione di Dio uno e trino nello Spirito Santo»[42]. San Josemaría Escrivá prende questo abbraccio di tempi e lo introduce nel cuore degli uomini: «Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo (Mc 1,15) [...]. Quando ti avvicini al Signore, pensa che Egli sta sempre molto vicino a te, in te: regnum Dei intra vos est (Lc 17,21). Lo troverai nel tuo cuore»[43].
Uno dei pericoli nel gestire gli affari sta nel dimenticare l’importanza del lungo termine, del tempo lungo, e nel voler ottenere grandi benefici a breve termine, in meno di un anno. Questa dimenticanza accorcia gli orizzonti al lavoro, riduce il campo della speranza, rende miope il cuore. È necessario avere pazienza per aspettare il frutto che arriverà a suo tempo[44], con la saggezza di scoprire la grandezza racchiusa nella piccolezza iniziale. Una volta, a quelli che stavano dando inizio a una Università, San Josemaría disse: «Cominciate a farla piccola, perché così diventerà un aquilotto e non un uccelletto allo spiedo»[45]. L’aquilotto nasce per diventare un’aquila, l’uccelletto...
La visione a lungo termine favorisce l’equilibrio di situare ogni cosa a suo tempo[46], senza restare ancorati al passato, senza complessi nel presente, con la certezza che tutti i tempi e tutti gli ambienti possono essere «adattati alla santità della dottrina morale di Gesù Cristo»[47]. Il lungo periodo rende più facile scrutare l’eternità, evitando di muoversi spinti dalla fretta, ed essere pazienti e comprensivi, «persuasi che le anime, come il vino buono, migliorano col tempo»[48].
L’unione di tempo e intelligenza viene da molto lontano. Una testimonianza la troviamo nell’antica Grecia. La Sfinge, appostata sulla via di Tebe, faceva morire chi non sapeva rispondere alla domanda: “quale essere vivente cammina a quattro zampe all’alba, con due a mezzogiorno e con tre al tramonto?”. Solo Edipo rispose “l’uomo”: si muove a gattoni da piccolo con le mani e le ginocchia, cammina su due piedi da adulto e nella vecchiaia si aiuta con un bastone. Risposta sagace, anche se bisogna dire che il tempo non solo cambia il modo di camminare: nel tempo l’uomo cambia la storia, anche se questo gli può richiedere secoli.
Vale la pena ricordare che il tempo scorre inesorabile e non possiamo permettere che passi «come l’acqua sui ciottoli, senza lasciare traccia»[49], fra l’altro perché quest’acqua ha una forza intangibile che «salta fino alla vita eterna»[50]. Però l’acqua può essere il peggior nemico anche della roccia più resistente: «è quell’acqua insignificante che penetra, a goccia a goccia, tra le sue fenditure, fino a disgregarne la struttura»; e conclude il paragone: «il pericolo più grande per il cristiano è quello di disprezzare la lotta nelle cose piccole che penetrano a poco a poco nell’anima fino a renderla molle, fragile e indifferente, insensibile ai richiami di Dio»[51].
In questa lotta il cristiano fa uso della sua libertà e — sempre “a goccia a goccia” — costruisce, tesse la storia. A questo punto entra in gioco una certezza di San Josemaría: la «certezza della indeterminazione della storia, aperta a molteplici possibilità che Dio non ha voluto precludere»[52]. Lo conferma la realtà secondo cui «la vita e le opere di coloro che si sono posti al servizio di Dio hanno cambiato il volto della storia, al punto che molti di coloro che non conoscono il Signore sono spinti — forse senza saperlo — da ideali suscitati dal cristianesimo»[53]. Il senso di responsabilità verso il tempo che fa la storia lo porta a esclamare: «Ah, se gli uomini avessero voluto dare un corso diverso all’amore di Dio! Se tu e io avessimo conosciuto il giorno del Signore!»[54].
Le persone possono cambiare la storia se usufruiscono correttamente del tempo, se fanno in modo che dia frutto, senza far scorrere il tempo inutilmente e renderlo oggetto o cosa estranea alla vita personale. Perché dico questo?
Un proverbio cinese sentenzia: «C’è un tempo per andare a pesca e un tempo per asciugare le reti». Sì, però qual è il tempo dei pesci? Se si ignora il tempo dei pesci, si può andare a pescare senza sapere dove sono: in tal caso, serve a poco che le reti siano asciutte. Spendere il tempo è nelle mani dell’uomo, e nessuno accetta di cedere questa priorità. Un passo molto citato dell’Ecclesiaste afferma: «C’è [...] il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo»; e lo precisa con quattordici verbi contrapposti ad altrettanti. In modo breve e conciso dice: c’è un tempo per nascere e un tempo per morire, per piantare e per sradicare, per uccidere e per guarire, per demolire e per costruire, per piangere e per ridere, per gemere e per danzare, per gettare sassi e per raccoglierli, per abbracciare e per astenersi dagli abbracci, per cercare e per perdere, per serbare e per buttar via, per stracciare e per cucire, per tacere e per parlare, per amare e per odiare, per la guerra e per la pace (cfr. Qo 3,1-8). Soltanto l’uomo coniuga nel tempo questi ventotto verbi.
Il passare del tempo può cambiare le cose, i fatti e le circostanze che si succedono nella vita delle persone, ed ecco la necessità di rettificare[55] quando il cambiamento lo richieda, oppure mantenere la decisione con «un atteggiamento pienamente onesto di fronte alle situazioni che sembrano compromettere la sicurezza personale»[56]. Lo si può considerare anche da un altro punto di vista: l’uomo, esercitando le virtù, può cambiare il tempo nel quale vive e, contemporaneamente, può perfezionare sé stesso.
La Liturgia della Chiesa, dono dello Spirito Santo, dà un nome proprio e rende tangibili i vari periodi della vita del Figlio di Dio sulla terra. Anno dopo anno — secolo dopo secolo — fa memoria della Storia della Salvezza. San Josemaría visse e insegnò a vivere la Liturgia con profonda intelligenza e amore alla Chiesa. Così, l’Avvento è la tappa per implorare la misericordia divina[57], «tempo di speranza»[58] che rinnova «l’anelito sincero per la venuta di Cristo»[59]. La Quaresima è «tempo di penitenza, di purificazione, di conversione. Non è un compito facile. Il cristianesimo non è un cammino comodo: non basta stare nella Chiesa e far passare gli anni»[60]. In questo tempo c’è posto per la gioia[61], che acquista un particolare significato nel tempo di Pasqua, pur senza limitarsi a quel periodo dell’anno liturgico, «ma è presente in ogni momento nell’animo del cristiano»[62].
Il cristiano contrae l’obbligo di amministrare il tempo al fine di ottenere il più grande beneficio possibile. Il beneficio può essere immateriale, materiale, o di entrambe le forme e contemporaneamente. Infatti è un bene scarso per la maggioranza delle persone che lavorano, e aumenta il suo valore soprattutto per quelli che “non hanno tempo”. «Non hai tempo?...» — si domanda l’autore di Solco — e risponde: «Meglio. A Cristo interessano proprio quelli che non hanno tempo»[63]. Nell’economia dei senza tempo i minuti valgono ore e i secondi valgono minuti.
Potrebbe accadere che le precedenti considerazioni provochino uno scettico sorriso in chi considera il tempo come una cosa soggettiva, psicologica, non trascendente, di valore relativo. Davanti a questa possibilità ritorna alla mente — anche se forse non è del tutto adeguato — il consiglio di Paul Valéry a quelli che ignorano il senso e il significato del tempo: «Aspettate di avere fame. Fate a meno di mangiare e vedrete che cosa è il tempo»[64].
2. Nel tempo
2.1. Sempre
Esaminiamo ora, in relazione al tempo, l’avverbio sempre. Questo contribuisce a esprimere i contrasti nella vita delle persone: verità, falsità; promesse, inganni; gioie, pianti; speranze, sconforto; fedeltà, infedeltà. Significa “in tutto e in ogni tempo”: più che una somma di tempi, è uno stato che permette di fare in modo continuo azioni buone o azioni cattive, perché non esiste un “sempre” che sia indifferente.
Nella storia dell’umanità le innovazioni nascono in tempi precisi che cercano di allungarsi in un sempre che ha pretese di permanente originalità. Se l’intelletto, la memoria e la volontà procurano di fare in ogni momento «ciò che è gradito al Signore»[65], il “sempre” ha un qualcosa di eternità, supera il tempo: «è sempre pronto»[66]. I Santi sono promotori di quel “sempre” quando il mondo ha bisogno di loro, vale a dire, quando Dio li invia. Di solito i ricordi di santità sono accompagnati da un “sempre” colloquiale: era sempre allegro, era sempre generoso, aiutava sempre per quanto poteva, pregava sempre, senza che tutte queste lodi fossero conseguenza del loro potere umano. Per questo, nel riferirsi ai primi Apostoli che accompagnarono Gesù, San Josemaría dice che «in mezzo alla gente del loro tempo, non contavano nulla»[67].
Per capire il “sempre” che riposa in Dio, non basta pensare all’inevitabile passare del tempo, ma è necessario tener conto di come si spende il tempo. C’è un verbo che accompagna il “sempre” e spiega l’allungamento di una virtù nel tempo cronologico: servire. A San Josemaría piaceva ripetere: «Serviam, servirò!»[68]; sta qui la chiave dell’autentico “sempre”.
L’anelito di servire induce a lasciare tutto per Dio[69], senza un’eccessiva preoccupazione per il domani — è sufficiente per le attività di ogni giorno (cfr. Mt 6,34) —, senza avere paura neppure della morte, perché «verrà nel tempo, nel luogo e nel modo più opportuni»[70]. È un sentirsi «strumenti nelle mani di Dio, strumenti su cui Egli conta ogni giorno e, per questo, ogni giorno, ci sforziamo di servirlo»[71].
Il giorno dopo giorno raggiunge una proiezione universale perché in questo sempre si «edifica il Regno di Dio», un compito affidato a tutti e «nessuno può sentirsene esentato»[72]; esige che approfittiamo del tempo perché non possiamo gettare «irresponsabilmente questo tesoro dalla finestra: non possiamo sprecare il momento del mondo che Dio ha affidato a ciascuno di noi»[73].
La meta del “sempre” supera il tempo, si trasforma nel “per sempre” dell’eternità[74]. Per arrivare a questa meta sono necessarie forti dosi di pazienza, fortezza e speranza.
a) Pazienza
«Dio crea ogni margherita separatamente, ma non si stanca mai di crearle»[75]. Chesterton si stupisce del fatto che Dio crei una per una le margherite, e il suo stupore aumenta constatando l’eterna perseveranza dell’atto creativo. Dio è paziente e costante: per questo tutte le primavere ci regala le margherite senza stancarsi di regalarle. Il “sempre” è perseverante nel desiderio di servire gli altri, come quel padrone della vigna che andò ad assumere gli operai alle 9, e poi alle 12, alle 15 e alle 17 (cfr. Mt 20,3-7).
Saper aspettare il tempo opportuno è un modo di essere paziente. San Josemaría fa un esempio unico nella storia: «Ben sapeva il Signore quale estremo bisogno avesse di Lui l’umanità, e ardente era la sua ansia di scendere sulla terra per la salvezza di tutte le anime: eppure ogni cosa segue il suo corso. Egli nacque quando giunse il suo momento, come ogni altro uomo sulla terra»[76].
La pazienza viene messa alla prova quando «prende corpo l’impressione che Gesù dorma, che non ci stia a sentire». È il momento di «avere piena fiducia nel Maestro, abbandonarsi nelle sue mani senza lesinare»[77]. Questo abbandono può costare e richiedere anche eroismo, ma in cambio dà pace, equilibrio nell’anima. Colui che è paziente vive il motto che adorna un orologio dei Musei Vaticani: Oneratem aequilibro, metti equilibrio in ciò che è faticoso e pesante[78]. Le difficoltà restano avvolte in misura, buonsenso, equanimità.
b) Fortezza
Il “sempre” richiede fortezza perché è totalizzante: cerca il Signore «sempre e in tutte le cose»[79]. Servire Dio non ha dimensioni, comprende tutto, persino il pensiero che dura un secondo perché «un solo pensiero dell’uomo vale più di tutto il mondo; perciò solo Dio ne è degno»[80].
La fortezza del “sempre” si misura con la libertà, non solo con l’orologio. Servire nel tempo non vuol dire essere schiavo dell’orologio, ma dominarlo. Occorre fortezza perché l’orologio non acceleri né rallenti il tempo.
c) Speranza
Se il “sempre” guarda all’eternità, sarà pieno di quella speranza che contiene tutti i valori umani, la «speranza di Cristo»[81]. Da questa posizione piena di speranza «la mente del saggio conosce il tempo e il giudizio. Infatti, per ogni cosa vi è tempo e giudizio» (Qo 8,5-6). La speranza del “per sempre” «ha reso grande Teresa di Gesù. Quando, bambina, usciva con suo fratello Rodrigo dalle mura di Avila, attraverso la porta dell’Adaja, con l’intenzione di andare nella terra dei mori per farsi decapitare per Cristo, al fratello che si stancava del cammino sussurrava queste parole: “Per sempre, per sempre, per sempre”»[82].
San Josemaría fa una domanda che traccia la strada per la quale fluisce l’avventura del “sempre”: «Che cosa ricerchiamo, anche senza prestarvi particolare attenzione, in tutto ciò che facciamo?». E risponde: «Quando siamo mossi dall’amore di Dio e lavoriamo con rettitudine d’intenzione, cerchiamo ciò che è buono, ciò che è puro, ciò che porta la pace alla coscienza e la felicità all’anima»[83]. Quando troviamo ciò che è buono e puro è per darlo agli altri, e per questo dobbiamo avere tempo e dobbiamo essere pieni di ciò che si dà; citando le parole di un poeta, «diamo tempo al tempo: perché il bicchiere trabocchi, prima bisogna riempirlo»[84]. Riempire di bene il tempo vuol dire stare in ogni momento in ciò che si deve fare[85], senza pensare a soluzioni egoistiche[86] e senza lasciare il futuro nelle mani di una prolungata indifferenza[87]. Il tempo si riempie con il lavoro e anche con il riposo[88].
Alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, sulla fotografia di un giovane asino, dallo sguardo sereno e dalle orecchie tese, San Josemaría scrisse: Semper ut iumentum, sempre come un asinello. Gli piaceva elogiare l’umiltà dell’asino lavoratore, fedele e docile alle indicazioni del padrone. L’asino è menzionato, fra l’altro, in un testo del 16 febbraio 1932, in cui è citato un detto popolare ascoltato nella sua anima: «le opere sono amore, non i bei ragionamenti», col significato di un richiamo a essere «assai generoso»[89]. Il contesto di questo brano è circoscritto in molte ore di orazione, di lavoro pastorale, fra preoccupazioni economiche e incomprensioni.
Il “sempre” è esigente perché Dio chiede di più. Allora si capisce perché nell’omelia La conversione dei figli di Dio ricorda la frase di Sant’Agostino: «Se dici basta, sei perduto. Guarda sempre avanti, cammina sempre, avanza sempre»[90].
2.2. Godere
A differenza degli altri usufrutti, quello del tempo che stiamo esaminando non sminuisce il pieno potere del Padrone del Tempo, che in qualunque momento può chiedere la definitiva resa dei conti. Si tratta di una insicurezza che l’usufruttuario intelligente interpreta come uno stimolo a godere adeguatamente dei frutti del tempo di vita, ad apprezzare il dono di vivere nel tempo, coltivare il tempo e condividerlo con quelli che gli stanno attorno. Sono tre modalità di godimento che si prestano ad alcune considerazioni.
a) Vivere nel tempo
Se si guarda spesso l’orologio, non si gode la vita, anche se si è in grado di dire che ora è al minuto secondo. Viceversa, questa tensione può condurre all’angoscia del tempo, o a una sottile predisposizione ad ammazzarlo per precipitazione, senza dare tempo al tempo, riempiendolo al ritmo della vita. Gode dell’ora chi assapora ognuno dei sessanta minuti che la compongono[91]. Già Seneca aveva fatto distinzione tra vivere nel tempo ed esistere nel tempo[92]. Vive nel tempo chi lo riempie con opere e lo impiega pensando agli altri attraverso Dio. San Josemaría consiglia: «Usa, per la tua vita, questa ricetta: “Non mi ricordo di esistere. Non penso alle mie cose, perché non me ne resta il tempo” — Lavoro e servizio!»[93].
Vivere nel tempo significa avere la possibilità di moltiplicarlo, come Giosuè quando ottenne che «un giorno divenisse lungo come due» (Sir 46,4; Gs 10,12-14). Dio allunga le giornate a chi vive nel tempo con gioia e, se è fedele, ottiene una gioia che «ogni giorno sarà più grande»[94]. La gioia di vivere nel tempo è un modo di esercitare il diritto di “migliorare” il bene di cui si usufruisce, trasformando la vita in una continua preghiera, in un buon umore e in una pace inesauribili[95]. La gioia non scompare se il sole non si vede, perché per segnare l’ora il sole si serve dell’ombra. Così «tutta la giornata può essere tempo di orazione: dalla sera alla mattina, dalla mattina alla sera»[96].
Il gioco del giorno e della notte mi ricorda il giardino zoologico di Chester, nel Regno Unito, con la sua casa dei pipistrelli. In una profonda oscurità i pipistrelli passano a pochi centimetri dal visitatore con un volo veloce. Per questi mammiferi volanti è notte fonda, anche se fuori splende il sole. Alla fine della loro giornata di lavoro si accendono le luci e cominciano a riposare. Quei pipistrelli vivono nel tempo in base alle indicazioni dell’interruttore della luce elettrica. L’uomo ha una sua chiave personale per marcare il giorno e la notte e, quando lo fa alla presenza di Dio, vive nel tempo in qualunque tempo.
Poco prima che si concludesse il XVI secolo, Francesco Bacone scrisse: «Scegliere il tempo significa risparmiare tempo»[97]. Il godimento della vita consiste in una indovinata scelta di tempo per ogni attività, cominciando dalla relazione con Dio, e «se per noi Dio è vita, non deve destare meraviglia che la nostra esistenza cristiana debba essere impregnata di orazione»[98]. Ecco perché vivere il tempo è un’occasione per redimerlo e renderlo partecipe della corredenzione. Un testo paolino consiglia di camminare saggiamente tempus redimentes[99], redimendo, recuperando il tempo.
Redimere, recuperare il tempo è un concetto che si usa negli ambiti universitari per collegare tempo e sapienza: lo studio deve tendere alla sapienza, lo sforzo per conseguirla “redime” il tempo perduto[100].
L’azione di redenzione riguarda il tempo delle persone e delle generazioni. «Ogni generazione di cristiani deve redimere e santificare il suo tempo»[101], fra gli altri motivi per la necessità di partecipare all’«agitato procedere della storia umana»[102]. Il tempo corredentore mette l’eternità nel calendario dell’uomo, e porta al momento sublime di petizione, sacrificio, adorazione, ringraziamento: la Messa. Compiuti da poco trent’anni — era il 1932 —, San Josemaría scrive: «Durante la Santa Messa, gli orologi dovrebbero fermarsi»[103]. Il sacerdote offre in sacrificio l’eternità nel tempo.
b) Lavorare nel tempo
«“Santificare il lavoro. Santificarsi nel lavoro. Santificare gli altri con il lavoro”. Con questa frase espressiva il Fondatore dell’Opus Dei riassumeva il nucleo del messaggio che Dio gli aveva affidato per ricordarlo ai cristiani»[104]. La frase citata da Mons. Javier Echevarría fa riferimento al tempo di lavoro, a quel lavoro che rende fecondo il tempo. Il lavoro dà un senso alla vita, perché la vita consiste nel riempire il tempo con il lavoro, fisico e intellettuale, e con il riposo. Per ogni cristiano, lavoro, riposo e tempo si arricchiscono perché hanno Dio come primo destinatario.
Il Creatore fa libero l’uomo e non gli lesina il tempo[105], che questi può ordinare e spendere nel modo da lui liberamente scelto. In Cristo troviamo un paradigma di tempo dedicato al lavoro perché «si guadagna il pane, per lunghi anni, col suo lavoro»[106].
Lavorare nel tempo vuol dire far fruttare le giornate «che Dio ci mette a disposizione»[107]. Un buon lavoratore utilizza il tempo, oltre che per il risultato tangibile del suo impegno, per il beneficio intangibile che ottiene personalmente: «non è solo denaro, è gloria di Dio!»[108]; «rappresenta un anticipo della gloria che Dio ci concederà»[109].
Nella società in cui ci tocca vivere, dove il tempo è un bene che scarseggia, ascoltiamo spesso la gente lamentarsi perché “manca il tempo”. Chi vuole risparmiare tempo guarda con particolare attenzione le lancette dell’orologio che girano. Grazie al suo realismo, San Josemaría fa una considerazione recisa, degna del miglior imprenditore: «Non ci deve avanzare nemmeno un secondo di tempo: non sto esagerando. Lavoro ce n’è»[110]. Non si tratta di una esagerazione, perché un secondo può avere un valore infinito, di eternità.
Sono molti i testi nei quali consiglia come utilizzare il tempo[111] nelle diverse circostanze della vita; per esempio: nel lavoro domestico[112], nello studio[113]; o anche prendendo spunto da alcuni passi del Vangelo: il fico maledetto[114], le vergini stolte[115].
Tutti i minuti contano sessanta secondi, tutte le ore contengono sessanta minuti; però la volontà di lavorare intensamente fa sì che alcuni secondi valgano come minuti e che il risultato di un’ora di lavoro superi i sessanta minuti. Tempo e lavoro concorrono al rendimento quando c’è un’intensità nell’impegno[116], tale da rendere indispensabile il riposo per recuperare le forze[117]. Così stando le cose, si capisce che «non ci sono ore libere»[118], purché si adotti l’atteggiamento sereno di utilizzare «i periodi di benessere fisico, i tempi favorevoli», e di accettare con «gioia soprannaturale le circostanze che la gente, sbagliando, considera sfavorevoli»[119]. Negli insegnamenti di San Josemaría sul lavoro nel tempo c’è un continuo intrecciarsi del senso trascendente della vita e di quel buon senso che è caratteristico dei cittadini che vivono nelle situazioni normali della vita civica.
c) Condividere il tempo
Il tempo è una piattaforma di relazioni. Non c’è una relazione di tempo senza un “altro”, non c’è un “altro” senza un tempo per coltivare una relazione. I soggetti della relazione sono le persone, in un contatto diretto o attraverso i mezzi di comunicazione. L’orologio può misurare la durata delle relazioni in tempi concreti, però non è la relazione né il mezzo per stabilirla.
L’oggetto della relazione tempo è la relazione stessa, il relazionarsi, l’essere in relazione per tempi determinati, non in nessuna ora, perché, in tal caso, non ci sarebbe relazione. Dalla creazione del tempo — per volontà del suo Creatore e Signore — la relazione migliore consiste nel condividere il tempo con Lui, e, dopo questa prima relazione, con le persone con le quali abitualmente siamo in relazione. Non si può condividere il tempo con sé stesso e pretendere che tutte le ore siano “io”. Nel caso in cui «viene la tentazione di volersi riservare un po’ di tempo per sé», occorre «porre rimedio a tanta piccineria, rettificando immediatamente»[120].
Il concetto di solidarietà porta a essere generosi nello spendere il tempo, perché altri ne godano quando lo richiedono «gli interessi buoni e giusti degli altri»[121], e ad aiutare coloro che lo chiedono[122].
Per condividere il tempo bisogna sapersi adattare al tempo che passa, alcune volte con «l’apparente monotonia dei giorni che sembrano sempre uguali»[123]. Altre volte il tempo è portatore di difficoltà o di contrarietà che costringono ad «“andare a contropelo”, senza alcuna consolazione spirituale e neppure umana»[124], dove le ore si riempiono, «soprattutto, con amore di Dio»[125].
2.3. Restituire
È obbligo dell’usufruttuario restituire il bene che gli è stato dato in uso e godimento. Il proprietario ha il diritto di esigerne la restituzione. Nel nostro caso, che cosa significa restituire il tempo?
La restituzione tiene conto, prima di tutto, del tempo liberamente speso e della modificazione — positiva o negativa — del tempo ricevuto in usufrutto. La pretesa di restituire la medesima quantità di tempo ricevuto significa ignorare chi è il Padrone, che cosa è il tempo e la condizione di usufruttuario. Ancora una volta viene in mente la parabola dei talenti e il dovere di far rendere ciò che si è ricevuto[126]. Il tempo non va sprecato[127], né si deve dimenticare la sua destinazione: «Il tuo tempo è per te? Il tuo tempo è per Dio!»[128].
L’orologio aiuta a controllare il tempo che si spende e, in qualche modo, contribuisce a misurarne il rendimento, anche se marcare le ore non serve a indicare se sono piene o vuote, se guardano al Cielo o a sé stessi[129]. Nella nobile professione dell’orologeria si chiama orologio maestro quello la cui marcia serve di norma a quella degli altri. Quando si tratta del tempo della vita, l’orologio maestro non solo segna le ore o i secoli, ma segna anche il senza tempo o eternità.
Che cosa caratterizza l’obbligo di restituire il tempo? Fra le altre, segnalo tre caratteristiche: è continuo, insostituibile, rischioso.
a) Continuo
L’orologio maestro che governa la restituzione del tempo indica con identica precisione l’eternità e i secondi, e per questo l’obbligo di restituirlo è permanente e continuo, non limitato al tempo in cui si abbandona la vita terrena. Il tempo si restituisce nella misura in cui si spende, secondo dopo secondo, con azioni od omissioni. San Josemaría usa spesso la parola istante — una breve porzione di tempo — per manifestare il continuo consumo di tempo: «Il Signore ha diritto — e per ciascuno di noi è un obbligo — a essere glorificato “in ogni istante”. Dunque, se sciupiamo il tempo, rubiamo gloria a Dio»[130].
Come si possono misurare gli istanti? La risposta va oltre l’orologio e il tempo, le tattiche e i sistemi di misurazione: sta nell’amore, che è «la “tattica” di Dio»[131]. Questa prospettiva induce a esclamare: «Quanto è grande l’uomo quando si riconosce creatura prediletta di Dio e si rivolge a Lui tota die, in ogni momento del suo pellegrinaggio terreno!»[132].
La restituzione continua di tempo ha un’immediata risposta. Riferendosi al lavoro, San Josemaría scrive: «Non appena lo si è offerto e si è messo mano all’opera, Dio è già in ascolto, già infonde coraggio»[133].
b) Insostituibile
Praticamente tutti i prodotti che circolano nei mercati di beni di rapido consumo hanno la possibilità di essere sostituiti da altri, uguali o simili. Questa realtà è uno dei pilastri della concorrenza nel libero mercato. Nel caso del tempo, la sostituzione non è possibile: il tempo è personale e intrasferibile. Si può contrattare il tempo di lavoro, però le ore continuano a essere di una persona, anche se questa le destini alle attività di un altro.
Il tempo configura la vita; di entrambi — tempo e vita — ignoriamo quanto ce ne resta[134]. Se non si possono sostituire, si possono recuperare? La vita no[135]; il tempo, sì.
Gli orologi umani — da quello solare a quello atomico — non recuperano il tempo passato, né riempiono il tempo futuro: segnano quello presente. Però l’eterno orologio maestro, con l’amore di Dio come tic-tac, accetta il tempo per rettificare il passato[136]. La grazia di Dio, che si manifesta specialmente nel sacramento della Penitenza[137], permette di ricominciare e di recuperare le ore perdute; anche, per esempio, mediante una maggiore donazione e una maggiore intensità nel lavoro[138].
Possiamo perdere tempo o ce lo possono rubare. Già nel XV secolo a.C. l’orologio ad acqua veniva chiamato klepsýdra, in greco “ruba acqua”, ladro di acqua. Le persone rubano tempo a Dio e agli altri quando lo perdono[139]. In ogni persona vi sono ladri di tempo specializzati; tuttavia uno dei più comuni si chiama immaginazione[140]. L’immaginazione spicciola e incontrollata consuma minuti, ore, giorni. È una situazione spesso propiziata dai nuovi strumenti della comunicazione digitale, capaci di impegnare l’immaginazione portandola a consumare anche intere giornate.
c) Rischioso
Il momento della resa dei conti è delicato e rischioso. Se si tratta della vita, è un atto unico per presentare il bilancio finale del tempo vissuto e sottoporlo al giudizio del Signore del Tempo. Chi ha saputo rendere conto di ogni “istante”, si può prevedere che non avrà molte sorprese; in caso contrario, può andare incontro a sorprese che non hanno rimedio: perdere la felicità eterna.
Uno dei maggiori fattori di rischio consiste nel non rendersi conto dei tempi morti che uno ha ammazzato per egoismo[141]. A San Josemaría produceva un certo malessere ciò che di solito si esprime con ammazzare il tempo. «Che pena ammazzare il tempo, che è un tesoro di Dio!»[142]. Il rischio è grande, si può dire infinito, perché «quando il cristiano ammazza il suo tempo sulla terra, si mette in pericolo di ammazzare il suo Cielo»[143]. Con una immagine che non lascia adito al dubbio, scrisse: «Se ammazzi il tempo, spalanchi le porte della tua anima al demonio»[144].
3. Da tempo
La preposizione “da” esprime un punto di partenza in vista di una fine. Il tempo è sempre un inizio verso il futuro, terminale di un passato che viene al presente e cerca una meta. Da tempo equivale a indicare un orizzonte senza tempo, e questo malgrado l’ostinazione umana che tende a misurare il tempo con precisione e per un periodo sempre più lungo. San Josemaría insegna che tutti i livelli dell’umanità possono «elevare all’ordine della grazia il dovere quotidiano, la propria professione, il proprio mestiere». Nasce così «una speranza nuova, che trascende il tempo e la caducità mondana»[145]. Si tratta di una speranza che ci obbliga a mettere i mezzi soprannaturali e quelli umani[146]. Grazie al tempo si capisce quel momento dell’Apocalisse in cui l’angelo proclama che «non vi sarà più tempo» (Ap 10,6), che sarà sempre giorno «poiché non vi sarà più notte» (Ap 21,25).
3.1. A immagine dell’eternità
Dice il Libro della Sapienza: «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece a immagine della propria natura. Ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 2,23-24). Dio crea l’uomo nella e per l’eternità. Il mistero del peccato e il mistero della Redenzione influiscono sulla nostra comprensione dell’eternità, ma a causa della routine umana se ne può dimenticare il profondo significato. Ce lo dice il Fondatore dell’Opus Dei: «Che strana capacità ha l’uomo di dimenticare le cose più meravigliose, di abituarsi al mistero!»[147].
A volte la parola “sempre” si utilizza per attenuare il mistero: è stato sempre così, da sempre è una questione non risolta, ecc., senza riconoscere che questo avverbio ha un’equivalenza di eternità. «Da sempre e per sempre tu sei, Dio» (Sal 90,2), che in alcune versioni è: “Da tutta l’eternità e per tutta l’eternità, o Dio, sei tu”. Questa realtà prende forza nel punto 999 di Forgia: «È vero soltanto, di una verità totale, il “per sempre” dell’eternità»[148].
Il fatto che l’uomo sia stato creato a immagine dell’eternità ci porta a considerare il suo passaggio sulla terra come un pellegrinaggio per il quale è stato scelto e che la sua intelligenza tende all’eterno infinito.
a) Tempo di peregrinazione
Il verbo “peregrinare” significa «vivere in terra come pellegrino di passaggio»[149]. Ecco come lo concepì San Josemaría: «siamo in cammino, come dei viandanti»[150], che rivela il valore di eternità di cose apparentemente senza importanza[151], dove «le occupazioni comuni e ordinarie hanno un senso divino, di eternità»[152], di speranza[153].
In questo peregrinare nel tempo lo sguardo arriva al Cielo quando si «vedono le cose con sguardo d’eternità»[154], con un continuo riferimento al passaggio di Gesù sulla terra, cercando di entrare nei Vangeli «come un personaggio tra gli altri»[155]. Così, in un modo ineffabile, l’uomo gode della gioia annunciata dal Signore: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete» (Lc 10,23). Di conseguenza, il lavoro, le gioie e le contrarietà della vita producono frutti che sono «semi di eternità»[156].
b) Scelti dall’eternità
«Non mi piace parlare di eletti o di privilegiati. Eppure il Signore chiama e sceglie. Sono parole della Scrittura: Elegit nos in ipso ante mundi constitutionem — dice San Paolo — ut essemus sancti (Ef 1,4). Ci ha scelti prima della creazione del mondo perché fossimo santi». Non dobbiamo attribuirci alcun merito in questa scelta, perché «siamo soltanto strumenti del Creatore del mondo»[157].
La scelta diventa effettiva nella vita e per un tempo determinato. È personale; Dio non sceglie a blocchi, ma uno per uno: «Il Signore vi ha tutti contati, fin dall’eternità!»[158]. La chiamata è universale, «il Signore si rivolge a tutti gli uomini perché tutti gli vadano incontro, perché tutti siano santi»[159], la realizza nelle circostanze di tempo e condizioni più favorevoli, «in un momento concreto, ma che era nella sua mente da tutta l’eternità»[160]. È un momento che la persona ignora finché non si presenta, come accadde alla Vergine Maria che, prima dell’annuncio dell’Arcangelo Gabriele, ignorava di essere stata scelta dall’eternità[161].
La scelta rispetta la libertà personale, ma, una volta accettata, introduce nella vita il desiderio di «vivere ogni istante con vibrazione d’eternità»[162], con la certezza del continuo aiuto di Dio[163].
c) Ansia di Infinito
Per giocare col tempo è necessario conoscere le regole di questo gioco. La prima cosa è sapere che ha un Creatore ed è marcato da un inizio e da una fine. La seconda è ammettere che esiste il “senza tempo” chiamato eternità. Questo significa che dobbiamo essere consapevoli che «l’attuale condizione umana non è quella definitiva»[164]. Per un cristiano la situazione definitiva è la conseguenza di una conquista spirituale con «ansia di Infinito, di eternità»[165], una conquista mediante la libertà, con tappe inevitabili per il pellegrino.
Quando qualcosa è inevitabile, il buonsenso consiglia di procurarsi l’amicizia di questo “qualcosa” che Dio invia o permette, e di farlo con la serenità di chi lo considera come una decisione che viene dall’eternità e va all’eternità. È inevitabile che un giorno si fermi l’orologio fisiologico che tutti noi portiamo dentro, e che chiamiamo cuore. Quando cessa il suo tic-tac naturale, il “qualcosa” riceve un nome: morte. Se abbiamo coltivato la sua amicizia, la sorpresa sarà minore. Con un’immagine poetica, molti anni fa l’autore di Cammino scrisse: «Hai visto, in una sera triste d’autunno, cadere le foglie morte? Così cadono ogni giorno le anime nell’eternità: un giorno, la foglia caduta sarai tu»[166].
Il Signore del Tempo si riserva il giorno e l’ora di questo momento inevitabile, ed ecco perché è importante il «vegliate» evangelico (Mt 25,13). Per “vegliare” la morte è necessario stare vigilanti durante la vita, sapendo che quella è una tappa assolutamente inevitabile: rendere conto. In questa resa di conti il contributo personale dovrà risultare elevato, perché quello che abbiamo ricevuto è il riscatto attraverso la redenzione divina, «il prezzo e il tesoro della tua eternità»[167].
Nel rivolgersi ai sacerdoti, San Josemaría ricordava loro che «il bisogno grande a cui vogliamo porre rimedio è il peccato, l’allontanamento da Dio, il pericolo che le anime si perdano per tutta l’eternità. Condurre gli uomini alla gloria eterna nell’amore di Dio: ecco la nostra aspirazione fondamentale quando celebriamo la Messa»[168]. La vera dimensione dell’offesa a Dio acquista un particolare rilievo se la paragoniamo al sacrificio redentore della Croce: «Per salvare l’uomo, Signore, tu muori sulla Croce; e, tuttavia, per un solo peccato mortale, condanni l’uomo a un’eternità infelice di tormenti...: quanto ti offende il peccato, e quanto lo debbo odiare!»[169].
L’attesa di raggiungere l’eterna beatitudine non è comoda, né è consentito ignorare che il tempo passa; però l’esercizio della speranza porta tranquillità all’anima. Nell’omelia La speranza del cristiano, San Josemaría trasmette il suo pensiero con sicura gioia. «Sono felice per la certezza del Cielo che raggiungeremo, se rimaniamo fedeli sino alla fine». Questa convinzione gli fa capire che «solo ciò che porta il sigillo di Dio rivela il segno indelebile dell’eternità, e il suo valore è imperituro»[170].
Dio dà a tutti un tempo da vivere e a tutti offre l’eternità («nessuno è escluso dalla salvezza»): è una conquista difficile, ma raggiungibile in qualunque istante, anche se potrebbe sembrare impossibile. Basti ricordare la canonizzazione concessa da Cristo a un peccatore — «oggi sarai con me in Paradiso» —, come risposta alla supplica umile di chi è con Lui su un’altra croce[171].
La gloria eterna ha, come moneta di acquisto, il tempo speso in Dio[172]. Lì si riceve «l’eterno abbraccio di Amore di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo e di Santa Maria»[173]. Lì raggiunge pieno significato la parola “felicità”, senza che sia possibile fare alcun paragone (cfr. Rm 8,18).
3.2. Il Cantico 103
Parlare della beatitudine eterna senza pensare a Santa Maria è come dire che sta albeggiando e dimenticarsi del sole. Ella è la Porta e la Regina del Cielo, Madre dell’Eternità. Se non fossero esistiti il Cielo e l’Eternità, Dio li avrebbe creati per Lei: «è il capolavoro della missione del Figlio e dello Spirito nella pienezza del tempo»[174].
San Josemaría indica il cammino che la Trinità, nella «misteriosa economia divina», dispone per la Madre del Salvatore: «La Madonna, resa pienamente partecipe dell’opera della nostra salvezza, doveva seguire da presso il cammino di suo Figlio condividendone la povertà a Betlemme, la vita nascosta di umile lavoro a Nazaret, la manifestazione della divinità a Cana di Galilea, l’obbrobrio della Passione, il sacrificio divino nella Croce, la beatitudine eterna nel Paradiso»[175].
Sono molti i testi del Fondatore dell’Opus Dei che esaltano le glorie di Maria. Tra quelli più antichi c’è Il Santo Rosario, un libro scritto nel 1931, quando l’autore aveva 29 anni. Sono pagine che fanno diventare vita il consiglio che dava ai lettori di intrattenere un dialogo con Gesù: «un fiducioso amore alla Madonna»[176]. In una delle pagine contempla la gioia degli Angeli nel vedere Maria «portata da Dio, in corpo e anima, in Cielo», dove «la Santissima Trinità riceve e colma di onori Colei che è Figlia, Madre e Sposa di Dio»[177].
I secoli hanno lasciato una serie di indizi della devozione dei cristiani alla loro Madre: scritti, dipinti, sculture, canti, ecc. San Josemaría ricorda una di queste testimonianze. «Mi torna alla memoria uno dei cantici di Alfonso il Saggio in cui si narra la leggenda di un monaco che, nella sua semplicità, aveva supplicato la Madonna di poter contemplare il Cielo, anche solo per un istante. La Vergine ne esaudì il desiderio e il buon monaco venne portato in Paradiso. Al ritorno, non riconosceva nessuno di quelli che dimoravano nel monastero. La sua contemplazione, che aveva creduto brevissima, era durata tre secoli»[178].
Il cantico porta il numero 103 delle Cantigas de Santa María[179]— I Cantici di Santa Maria. Il ritornello della poesia, che si ripete quattordici volte, ricorda al cristiano che chi serve bene la Madonna andrà in Paradiso: Chi la Vergine ben servirà / in Paradiso andrà.
[1] SANT’AGOSTINO, Le confessioni, libro XI, cap. 14 e 15.
[2] GIOVANNI PAOLO II, Udienza Generale, 19-XI-1997, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX-2, p. 831.
[3] BENEDETTO XVI, Angelus, I Domenica d’Avvento, 30-XI-2008.
[4] BENEDETTO XVI, Discorso per l’inaugurazione dell’85° corso accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, 25-XI-2005.
[5] SAN JOSEMARÍA, Amare il mondo appassionatamente, omelia pronunciata all’Università di Navarra l’8-X-1967, in Colloqui con Monsignor Escrivá, n. 114 (in seguito, Colloqui).
[6] SAN JOSEMARÍA, Amici di Dio, n. 52 (in seguito si citerà solo il titolo del libro).
[7] Cfr. Colloqui, n. 68, e A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, Leonardo International, Milano 1999, vol. I, pp. 50-51.
[8] Amici di Dio, n. 54.
[9] A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, Leonardo International, Milano 2004, vol. III, p. 578.
[10] Cfr. É. KLEIN, Las tácticas de Cronos, Ediciones Siruela, Madrid 2005, p. 80.
[11] Amici di Dio, n. 111.
[12] Idem, n. 105.
[13] Cfr. idem, n. 124.
[14] Idem, n. 54.
[15] Idem, n. 48.
[16] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1085.
[17] Amici di Dio, n. 52.
[18] “Ye may waste but can not stop me”. Royal Tunbridge Wells si trova a una cinquantina di chilometri dal centro di Londra.
[19] SANTA CATERINA DA SIENA, Il dialogo della Divina Provvidenza, Edizioni Cantagalli, Siena 1998, p. 45.
[20] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, Leonardo International, Milano 2003, vol. II, p. 536.
[21] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. II, pp. 271, 434, 484.
[22] SAN JOSEMARÍA, È Gesù che passa, n. 151 (in seguito si citerà solo il titolo del libro).
[23] SAN JOSEMARÍA, Forgia, n. 224 (in seguito si citerà solo il titolo del libro).
[24] SAN JOSEMARÍA, Solco, n. 155 (in seguito si citerà solo il titolo del libro).
[25] È Gesù che passa, n. 152.
[26] Per esempio, in Forgia, n. 163.
[27] Solco, n. 613.
[28] Amici di Dio, n. 308. Il corsivo è mio.
[29] Cfr. Forgia, n. 596.
[30] Cfr. Amici di Dio, n. 158.
[31] Idem, n. 51.
[32] SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Dichos de la luz y amor, 76, Obras completas. BAC, 11ª ediz., Madrid 1982, p. 49. Il corsivo è mio.
[33] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. II, p. 540.
[34] SAN JOSEMARÍA, Cammino, n. 99 (in seguito si citerà solo il titolo del libro).
[35] San Josemaría faceva eco a questa affermazione paolina nella sua predicazione: cfr. Amici di Dio, n. 52 ed È Gesù che passa, n. 59.
[36] Cfr. R. SENNET, The Corrosion of Character. The personal consequences of work in the new capitalism, Norton and Company, New York, Londra 1998, p. 25.
[37] «La mente del saggio conosce il tempo» (Qo 8,5).
[38] Solco, n. 882.
[39] Cfr. F. TROMPENAARS - C. HAMPDEN-TURNER, Riding the waves of colture, 2ª ed., Nicholas Brealey Publishing, Londra 1999, p. 121.
[40] Cfr. A. O’CARROLL, Fuzzy Holes and Intangible Time: Time in a knowledge industry, Time & Society 2008, 17, p. 185.
[41] GIOVANNI PAOLO II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo, 14 marzo 1999, n. 2.
[42] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Dominum et vivificantem, 18 maggio 1986, n. 50.
[43] SAN JOSEMARÍA, Il Santo Rosario, Terzo mistero della luce: L’annuncio del Regno di Dio.
[44] Cfr. Solco, n. 617.
[45] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. III, p. 350.
[46] Cfr. Solco, n. 950.
[47] Idem, n. 307.
[48] Amici di Dio, n. 78.
[49] Forgia, n. 7.
[50] Cammino, n. 148. Cfr. Gv 4,14.
[51] È Gesù che passa, n. 77.
[52] Idem, n. 99.
[53] Idem, n. 150.
[54] SAN JOSEMARÍA, Via Crucis, I stazione.
[55] Cfr. Solco, n. 605.
[56] Amici di Dio, n. 82.
[57] Cfr. È Gesù che passa, n. 7.
[58] Idem, n. 11.
[59] Forgia, n. 548.
[60] È Gesù che passa, n. 57.
[61] Cfr. idem, n. 63.
[62] Idem, n. 102.
[63] Solco, n. 199.
[64] P. VALÉRY, citato in É. KLEIN, o.c., p. 137.
[65] È Gesù che passa, n. 58.
[66] «Il vostro [tempo] è sempre pronto» (Gv 7,6).
[67] SAN JOSEMARÍA, La Chiesa nostra Madre, n. 29 (in seguito si citerà solo il titolo del libro).
[68] È Gesù che passa, n. 179.
[69] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. III, pp. 26-27.
[70] Cammino, n. 739.
[71] Forgia, n. 613.
[72] Cfr. È Gesù che passa, n. 158.
[73] Amici di Dio, n. 39.
[74] Cfr. Forgia, n. 999.
[75] G.K. CHESTERTON, Ortodoxia IV. Obras Completas, I. José Janés, Editor. Barcellona 1952, p. 559.
[76] È Gesù che passa, n. 18.
[77] Amici di Dio, n. 22.
[78] Planisferologio Farnesiano, dono del Conte di Caserta a Leone XIII, Musei Vaticani.
[79] A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. II, p. 703.
[80] SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Dichos de luz y amor. Obras completas, o. c., pag. 46.
[81] Solco, n. 293.
[82] Amici di Dio, n. 200.
[83] Idem, n. 292.
[84] A. MACHADO, Proverbios y Cantares, LI.
[85] Cfr. Colloqui, n. 88.
[86] Cfr. Solco, n. 55.
[87] Cfr. Amici di Dio, n. 15
[88] Cfr. A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. III, p. 122. Si veda anche il commento al punto 357 di Cammino in P. RODRÍGUEZ, Camino. Edición crítico-histórica, Rialp, Madrid 2004 (3ª ed.), p. 531.
[89] Il testo è quello che segue: «16 febbraio 1932. Da alcuni giorni ho un forte raffreddore: è stata l’occasione perché si manifestasse la mia scarsa generosità con il mio Dio, diminuendo l’orazione e le mille piccole cose che un bambino — e ancor più un bambino asinello — può offrire al suo Signore ogni giorno. Mi stavo rendendo conto di questo e che rimandavo i propositi di dedicare più interesse e tempo alle pratiche di pietà, ma mi tranquillizzavo pensando: più avanti, quando ti sentirai bene, quando si assesterà la situazione economica dei tuoi... allora! E oggi, dopo aver dato la Santa Comunione alle monache, prima della Santa Messa, dissi a Gesù quello che tante e tante volte gli dico di giorno e di notte: [...] “Ti amo più di loro”. Immediatamente ho inteso, senza parole: “Le opere sono amore, non i bei ragionamenti”. Vidi subito con chiarezza quanto io sia poco generoso, e mi vennero alla mente molti particolari cui non pensavo né davo importanza, che mi fecero comprendere con molta evidenza la mia mancanza di generosità. O Gesù: aiutami, perché il tuo asinello sia completamente generoso. Opere, opere!». Citato in A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. I, p. 433.
[90] È Gesù che passa, n. 58. La citazione di Sant’Agostino è tratta da Sermo 169, 15 (PL 38, 926).
[91] San Giovanni mette in bocca al Signore una domanda molto significativa: «Non sono forse dodici le ore del giorno?» (Gv 11,9).
[92] «Nulla ti può far pensare che una persona sia vissuta molto tempo sol perché la vedi canuta e piena di rughe. Costui non è vissuto molto tempo, ma è esistito per lungo tempo». L.A. SENECA, De brevitate vitae, in Invito alla serenità, p. 20.
[93] Forgia, n. 853.
[94] Solco, n. 86.
[95] Cfr. È Gesù che passa, n. 144.
[96] Poi aggiunge: «E, più ancora, persino il sonno, ci ricorda la Sacra Scrittura, deve essere preghiera». È Gesù che passa, n. 119. «Di notte anela a te l’anima mia, al mattino ti cerca il mio spirito» (Is 26,9).
[97] «To choose time, is to save time», F. BACONE, Essay or Counsels Civil and Moral. Cfr. On Dispatch, First published in 1597.
[98] È Gesù che passa, n. 119.
[99] «In sapientia ambulate ad eos, qui foris sunt, tempus redimentes» (Col 4,5).
[100] Due esempi di orologi solari che hanno la legenda «In sapientia ambulate tempus redimentes»: si trovano, rispettivamente, nel Fellow’s Garden, Trinity College, Cambridge, Regno Unito, e nel Memorial Union, Columbia University, Columbia, Missouri, USA.
[101] È Gesù che passa, n. 132.
[102] Colloqui, n. 113.
[103] Forgia, n. 436. Citato dal Servo di Dio Álvaro del Portillo nella conferenza di chiusura dell’XI Simposio internazionale di teologia dell’Università di Navarra: cfr. L.F. MATEO-SECO (ed.), La formación de los sacerdotes en las circunstancias actuales: XI Simposio internacional de teología de la Universidad de Navarra, EUNSA, Pamplona 1990.
[104] Omelia di Mons. Javier Echevarría, Prelato dell’Opus Dei, nella Messa in onore di San Josemaría celebrata in Piazza San Pietro, Vaticano, 7-X-2002.
[105] Cfr. Forgia, n. 539.
[106] È Gesù che passa, n. 61.
[107] Idem, n. 37.
[108] Amici di Dio, n. 81.
[109] Idem, n. 212.
[110] Idem, n. 42
[111] Per esempio, in Cammino, Solco e Forgia sono, in totale, 42 i punti sulla utilizzazione del tempo.
[112] Cfr. Colloqui, n. 89.
[113] Cfr. Solco, n. 523.
[114] Cfr. Cammino, n. 354.
[115] Cfr. Amici di Dio, n. 40.
[116] Cfr. Cammino, nn. 333, 335; Amici di Dio, n. 186.
[117] Cfr. Amici di Dio, n. 137.
[118] Colloqui, n. 61.
[119] Amici di Dio, n. 124.
[120] Solco, n. 19.
[121] Amici di Dio, n. 138.
[122] San Josemaría sollecitava questo aiuto con una petizione che commuove: «Dobbiamo sfruttare il tempo che ci è dato! Aiutatemi a sfruttarlo», A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. III, p. 665.
[123] È Gesù che passa, n. 24.
[124] Solco, n. 149.
[125] Forgia, n. 705. La chiamata all’amore di Dio nel tempo è cosa comune nei Santi. San Giovanni della Croce lo dice brevemente: «L’anima che si muove nell’amore, né stanca né si stanca», Dichos de luz y amor, 96, Obras completas, o. c., p. 50.
[126] È ancora valida la risposta del padrone al servo «malvagio e infingardo»: «Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse» (Mt 25,27).
[127] Cfr. Amici di Dio, n. 5.
[128] Idem, n. 49.
[129] A proposito di orologi e uso del tempo, non posso fare a meno di trascrivere un passo di Santa Teresa di Gesù: «Il padre fra’ Antonio aveva già raccolto alcuni oggetti necessari. Noi facevamo di tutto per aiutarlo, ma non potevamo far molto. Venne a trovarmi a Valladolid tutto allegro, e mi fece l’elenco di quanto aveva raccolto. Era assai poco. Soltanto di orologi si era provvisto in abbondanza: ne aveva cinque, e ciò mi fece ridere. Ma egli mi disse che per aver le ore ben regolate, occorreva non esserne sprovvisti. — E forse non aveva ancora nulla per dormire!», Fondazioni, 14, 1, Opere, 7ª ed., Postulazione Generale O.C.D., Roma 1981, p. 1167.
[130] Solco, n. 508; cfr. anche, n. 509.
[131] Idem, n. 147.
[132] Amici di Dio, n. 248.
[133] Idem, n. 67.
[134] Cfr. Solco, n. 963.
[135] «La vita ci sfugge dalle mani, e non c’è possibilità di riprenderla», Solco, n. 621.
[136] Cfr. Solco, n. 677, e Amici di Dio, n. 225.
[137] «Dio sia benedetto!, ti dicevi subito dopo la Confessione sacramentale. E pensavi: è come se fossi tornato a nascere. Poi, hai proseguito con serenità: “Domine, quid me vis facere?” — Signore, che cosa vuoi che io faccia? — E tu stesso ti sei dato la risposta: con la tua grazia, al di sopra di tutto e di tutti, compirò la tua Santissima Volontà: “Serviam!” — ti servirò senza condizioni!», Forgia, n. 238.
[138] Cfr. Solco, nn. 167 e 996.
[139] Cfr. Idem, n. 552.
[140] Cfr. Idem, n. 135.
[141] Cfr. Forgia, n. 1050.
[142] Idem, n. 706.
[143] Amici di Dio, n. 46.
[144] Solco, n. 620.
[145] Amici di Dio, n. 210.
[146] Il primo giorno del 1972 il Fondatore dell’Opus Dei lesse a quelli che stavano con lui il testo di un appunto che aveva scritto la sera precedente, come proposito per l’anno che cominciava: «Questo è il nostro destino sulla terra: lottare, per amore, fino all’ultimo istante. Deo gratias!», A. VÁZQUEZ DE PRADA, Il Fondatore dell’Opus Dei, o. c., vol. III, p. 606.
[147] È Gesù che passa, n. 65.
[148] Forgia, n. 999.
[149] Seconda accezione indicata nel Grande Dizionario illustrato della lingua italiana di A. Gabrielli, Mondadori, Milano 1989.
[150] È Gesù che passa, n. 177.
[151] Cfr. Colloqui, n. 112.
[152] Forgia, n. 688.
[153] Cfr. Idem, n. 1009.
[154] Cammino, n. 837; Forgia, n. 1017.
[155] Amici di Dio, nn. 222, 253.
[156] Idem, n. 68.
[157] È Gesù che passa, n. 1.
[158] Cammino, n. 927.
[159] È Gesù che passa, n. 33.
[160] Forgia, n. 18.
[161] Cfr. È Gesù che passa, n. 172.
[162] Amici di Dio, n. 239.
[163] Cfr. Forgia, n. 280, e Amici di Dio, n. 312.
[164] È Gesù che passa, n. 168.
[165] Forgia, n. 1031.
[166] Cammino, n. 736.
[167] Idem, n. 708.
[168] La Chiesa nostra Madre, n. 47.
[169] Forgia, n. 1002.
[170] Amici di Dio, n. 208.
[171] Cfr. È Gesù che passa, n. 180.
[172] Cfr. Cammino, n. 355.
[173] Forgia, n. 1012.
[174] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 721.
[175] È Gesù che passa, n. 176.
[176] Il Santo Rosario, Prologo.
[177] Idem, L’assunzione della Madonna.
[178] Così il testo prosegue: «Io mi spiego allo stesso modo i duemila anni di attesa di Gesù nell’Eucaristia. È l’attesa di Dio, che ci ama», È Gesù che passa, n. 151.
[179] Il titolo del Cantico 103 è: Como Santa Maria feze estar o monge trezentos anos ao canto da passara porque lle mostrasse qual era o bem que avian os que eran in Parayso. La tradizione indica come protagonista il monaco Virila (IX secolo), del Monastero di San Salvador de Leyre, Navarra. Cfr. K.R. POOLE, In Search of Paradise: Time and Eternity in Alfonso X’s Cantiga 103, eHumanista: Volume 9, 2007, pp. 110 e ss.
Romana, n. 51, Luglio-Dicembre 2010, p. 430-459.